YES

Union

1991 - Arista Records

A CURA DI
SANDRO NEMESI PISTOLESI
27/12/2015
TEMPO DI LETTURA:
6

Introduzione Recensione

In fase di recensione del precedente ABWH, avevo scritto che gli Yes si erano superati, disorientando i fans con ben due distinte formazioni, quella americana, chiamata YesWest, con sede in California e capitanata da Squire e Rabin, e la suggestiva reunion dei 4/5 che dettero vita al capolavoro Close To The Edge, denominata in stile studio di avvocati Anderson, Bruford, Wakeman, Howe. Sembrava che le due band avessero ormai preso due strade separate, con obbiettivi e percorsi musicali diametralmente opposti. Gli YesWest proponevano un ammaliante AOR con l'obbiettivo di catturare nuovi giovani fans, mentre gli ABWH si erano dedicati a modernizzare le vecchie suite, con l'intento di recuperare i fans persi per strada dagli Yes con l'avvento dell'era Rabin. Ma poi, quasi per caso avvenne l'ennesimo colpo di scena in casa Yes. Con una faraonica operazione commerciale, la Arista Records impose che le due band si unissero sotto il nome Yes dando vita all'album numero 13 (o 14, per quelli che come me considerano ABWH un album degli Yes a tutti gli effetti). Ovviamente non aspettatevi di vedere le due band affollare uno studio di registrazione cercando di comporre nuovi brani appassionatamente insieme, andando d'amore e d'accordo, ma il progetto si limitò a mettere su un unico disco i brani che entrambe le band stavano allestendo per i rispettivi nuovi lavori. Tutto nacque per colpa di Jon Anderson. Gli YesWest erano ancora alla ricerca di un sostituto del Santone di Accrington, si era paventato il clamoroso ingresso del Supertramp Roger Hodgson, ma poi con la minaccia dell'uscita di Trevor Rabin dagli Yes che incombeva, si optò per il cantante chitarrista dei World Trade, Billy Sherwood, che in futuro darà vita al progetto Conspiracy assieme a Chris Squire, andando poi addirittura a sostituirlo al basso, dopo che il gigante buono il 27 Giugno 2015 ha dovuto purtroppo cedere ad una terribile malattia. Nel frattempo, gli ABWH avevano quasi ultimato il loro secondo album in Francia, insieme al produttore Jonathan Elias, album che avrebbe dovuto intitolarsi "Dialogue", ma a detta di Jon Anderson, per completare il mosaico mancava un singolo scala classifiche. E indovinate un po' a chi chiese incredibilmente aiuto, se non a quella macchina fabbricatrice di "hook" di nome Trevor Rabin. Il chitarrista sudafricano, mettendo da parte tutti i pregiudizi, si comportò da signore, inviando una demo contenente tre brani, chiedendo però di usarne solamente uno. Il brano "Lift Me Up" fu quello che impressionò maggiormente Jon Anderson, che però nell'indecisione era intenzionato ad inserire nell'album tutti e tre i pezzi. Quando la cosa giunse alle orecchie dei massimi dirigenti dell'Arista Records, si accese una lampadina, ovvero fare un album che riuniva le due formazioni sotto lo storico nome Yes, cercando di sfruttare il marchio e superare le "misere" 750000 copie venduto dal precedente album degli ABWH. E nessuno mi leva dalla testa che questo non fosse anche lo scopo principale di Jon Anderson, quando "innocentemente" si rivolse al talentuoso chitarrista sudafricano. A quel punto si mise in moto una schiera infinita di produttori e musicisti che riuscirono a rovinare quella che sarebbe potuta essere un'idea vincente. Howe, Bruford e Wakeman, convinti del loro nuovo progetto, erano contrari all'idea, in particolare il Chitarrista di Londra era terrorizzato dall'idea di condividere le parti di chitarra con un altro musicista. Dall'altra parte del globo, vista la mancanza di un cantante di ruolo, accettarono di buon grado l'improbabile unione. Quello che ne venne fuori, fu una compilation, che raccoglieva nuovo materiale delle due versioni degli Yes, per la precisione, circa i 2/3 facevano parte del repertorio degli ABWH. Praticamente, ogni singolo brano ha il suo produttore, i suoi compositori e i suoi strumentisti, oltre ovviamente a suoi studi di registrazione ed i rispettivi assistenti del suono. Una miriade di mani si muoveva fra i mixer e le apparecchiature computerizzate di registrazione, come uno sciame di formiche su una succulenta torta lasciata incustodita su un prato in aperta campagna. Per farla breve, alle tracce degli ABWH furono aggiunti in un secondo tempo i cori di Chris Squire, mentre le parti di basso rimasero invariate, ovvero quelle scritte e suonate da Tony Levin, mentre sul materiale degli YesWest fu aggiunta la voce di Jon Anderson. All'epoca, Wakeman e Howe stavano parallelamente lavorando su progetti solisti, e non potevano essere sempre presenti nei vari studi dove avvenivano i mixaggi e le registrazioni. Jonathan Elias ovviò al problema cambiando quasi completamente alcune partiture di tastiera e chitarra, facendole suonare ad alcuni suoi fidati turnisti, fra i quali spicca Steve Porcaro, suonando addirittura lui stesso alcune parti di tastiera. Inutile dire come la presero i due musicisti quando ascoltarono il prodotto finito. Steve Howe in alcune interviste attaccò pesantemente il produttore americano, accusandolo di aver chiamato i suoi amici a risuonare le sue parti di chitarra, mentre Rick Wakeman, si limitava sarcasticamente a chiamare l'album "Onion (cipolla)", in quanto ogni volta che lo sentiva gli veniva da piangere, sottolineando che l'unico essere vivente che non aveva suonato sull'album era il suo cane. In conclusione, l'album riuscì a scontentare tutti, fans, musicisti e perfino la Arista Records, che in quanto a vendite, raggiunse la beffarda cifra di 750000 copie. Ci fu un'unica cosa che mise tutti d'accordo, l'imponente tour che vide su un fantascientifico palco rotante ben otto musicisti (avrebbero potuto far cifra tonda chiamando anche Horn e Downes NDR), con al centro la figura angelica di Jon Anderson, che volava da un musicista all'altro come le api fanno a primavera con i coloratissimi e profumanti fiori appena sbocciati. A detta di gran parte degli otto musicisti, quello di Union è stato il tour più divertente a cui hanno partecipato, dopo ovviamente che i due presuntuosi chitarristi si erano divisi equamente le parti. E' giunta l'ora di andare ad ascoltare questa compilation di inediti marcata Yes e intitolata inevitabilmente "Union".

I Would Have Waited Forever

Ad aprire le danze è "I Would Have Waited Forever (Avrei Aspettato Per Sempre)" aperta curiosamente dal bellissimo chorus, dove la voce cristallina di Jon Anderson recita il titolo del brano, intrecciandosi magicamente con una solare armonia vocale, dove spicca la voce di Chris Squire, come a i tempi d'oro. Una sognante chitarra arpeggiata cerca di farsi largo fra l'intreccio di voci, mentre gli altri strumentisti scandiscono all'unisono i cambi di tono. Dopo circa trenta secondi, Steve Howe spara uno dei suoi intricati temi di chitarra, ricamato all'unisono da Mr. Tony Levin. Bill Bruford ci offre un brioso e complicato tempo con la fredda batteria elettronica, mentre Rick Wakeman pare aver ampliato ulteriormente la sua vasta gamma di sonorità, ricamando con suoni spaziali. Arriva la strofa, basso e chitarra viaggiano all'unisono con un riff stoppato su un insolito 4/4 (insolito per Bill Bruford) che si trascina dietro il Cantastorie di Accrington. Curiosamente, potete trovare il riff portante della strofa sull'album solista di Steve Howe "Turbolence", e precisamente nella traccia numero 7 "Sensitive Chaos". I grintosi riff di chitarra vengono ricamati da improvvise fiammate di tastiera. Ritorna il tema di chitarra sentito all'inizio, dove nella seconda parte Jon Anderson canta, aiutato dalle classiche armonie vocali, facendo da bridge al ritorno della strofa. Andando avanti incontriamo uno spettacolare gioco di voci in pieno stile "Leave It", supportato da un graffiante tappeto di basso che in crescendo annuncia il ritorno dell'ammaliante inciso, dove Mr. Bruford cala vistosamente i BPM. Sul finire del ritornello rimane Jon Anderson, che accompagnato da una paradisiaca chitarra arpeggiata, ci fa venire la pelle d'oca con l'ennesima linea vocale vincente. Il bridge annuncia il ritorno della strofa, stavolta arricchita da suggestivi contro canti, poi un breve stacco strumentale con la batteria in evidenza apre nuovamente le porte al bellissimo ritornello, che si presta ad essere ricantato dopo il primo ascolto. Nella bellissima appendice conclusiva, stavolta Steve Howe accompagna in strumming, poi un bel crescendo con il basso in evidenza annuncia l'assolo di chitarra, che parte in maniera molto melodica, sfociando poi nei classici fraseggi Howeiani. Sulla parte finale del solo, una serie di funamboliche scale all'unisono di basso e chitarra ci guidano verso l'ultima apparizione dell'inciso, che poi lascia il compito della conclusione a Steve Howe con un ridondante tema di chitarra, successivamente imitato dal fragoroso basso di Tony Levin. Nelle liriche, il Santone Di Accrington continua a descriverci il suo difficile rapporto con l'Onnipotente, riferendosi a quel periodo buio della sua vita, in cui la fede iniziò a vacillare. Anche nel peggiore dei periodi, in quei momenti in cui si era allontanato da Dio, lui ha sempre lasciato la porta aperta, aspettando che il Signore tornasse a bussare per rientrare nella sua vita. Ora che le due strade si sono riunificate, Anderson si chiede se anche Lui lo avrebbe aspettato così pazientemente. E' rimasto molto scosso in quel periodo buio dove la fede venne a mancare, provando un forte dolore ed un senso di smarrimento, sperando che non si presentino più momenti di black out, né per lui, né per qualsiasi altro credente. Tutti hanno bisogno dell'apporto di Dio per raggiungere la riva opposta de fiume. Brano firmato Anderson-Howe-Elias, ovvero appartenente al repertorio ABWH, direi un ottimo brano che mette in mostra uno dei chorus più riusciti degli Yes e che giustifica le perplessità da parte di Wakeman e Howe di fronte alla mastodontica reunion.

Shock To The System

Si continua con un brano firmato dai medesimi autori del precedente, intitolato "Shock To The System (Shock Nel Sistema)", aperto da un graffiante riff all'unisono di basso e chitarra, riff che suona molto Deep Purple o Black Sabbath. Dopo qualche battuta, rimane solo il potente 4/4 di Mr. Bruford, raggiunto poi dal potente unisono di apertura, dove emerge il basso di Tony Levin. Durante la strofa, i nostri alternano il potente unisono a delle parti più vuote dove rimane un semplice pad di tastiera, supportato dalla batteria, in modo da mettere in evidenza Jon Anderson, rafforzato dalle armonie vocali e dai controcanti. Nel brevissimo bridge, un tagliente riff di chitarra duetta con Jon Anderson, poi ritorna la potente strofa, stavolta ricamata da alieni riff sparati dal castello di tastiere che circonda Rick Wakeman. Di nuovo bridge e strofa, che ogni volta viene riempita da ulteriori fraseggi di chitarra e tastiera. Stavolta il bridge vien prolungato ed apre le porte al solare ritornello, dove emerge Jon Anderson con una linea vocale che emana positività da tutti i pori. Un crescendo delle tastiere annuncia un breve break di chitarra, stranamente acido per gli standard di Steve Howe, poi in successione ritornano strofa, bridge e ritornello, che poi lascia il campo ad uno spettacolare pad di tastiera che annuncia la nuova versione dell'inciso. Jon Anderson varia leggermente la linea vocale, accompagnato dalla chitarra acustica e da struggenti pad di tastiera. Brividi. Il Santone di Accrington con un dolce crescendo ci porta verso un prolungato interludio strumentale, dove si alternano gli assolo di chitarra e di organo, fino ad intrecciarsi in un bellissimo vortice di note. Steve Howe esegue una serie di funamboliche scale che precipitosamente si ricollegano alla seconda parte dell'assolo di chitarra, sul finale ricamato dalle inconfondibili armonie vocali che vanno a concludere il brano. Sconcertato da un mondo che va a rotoli, dove i diritti umani e la libertà vengono sempre di più a mancare, sopraffatti da cinici giochi di potere, Jon Anderson si rivolge nuovamente a Dio, affinché rimetta tutto in ordine. Le preghiere ed i sogni di un futuro migliore si fondono assieme, sperando che un giorno Dio riesca a fare aprire gli occhi ai potenti che stanno mandando il Mondo in rovina. Altro convincente brano perfettamente in linea con il precedente, che dimostra quanto fossero ispirati i quattro reduci di "Close To The Edge".

Masquerade

La successiva "Masquerade (Festa In Maschera)" è una delle piacevoli brevi escursioni sulla chitarra acustica alle quali ci ha abituato da tempo il Maestro Howe. Il brano è stato registrato in un quarto d'ora nel suo studio privato, in santa pace, lontano dai giochi di potere che regnavano negli studi deve veniva registrato "Union" usando un desueto ReVox a due canali. In vero, Howe in quell'occasione registrò un altro bellissimo brano con la chitarra spagnola, intitolato "Baby Georgia", ma la Arista, andando contro il suo volere optò per "Masquerade", l'altro brano, comunque, andrà a finire sull'album solista di Howe "The Grand Scheme of Things (1993)" con il titolo "Georgia's Theme". Il brioso arpeggio che apre il brano suona molto "old west", poi lentamente la canzone prende una piega che inevitabilmente, con la mente ci riporta ai fasti di "Clap", facendoci fare un piacevole e nostalgico tuffo nel passato. Ascoltando il brano, riusciamo a percepire tutto l'amore e la passione che Steve Howe riversa sulla sei corde acustica. Le note sembrano uscire direttamente dal suo cuore. Il nostro alterna il tema portante con altri pregevoli fraseggi, riuscendo a cullarci per oltre due minuti. Lontano dal caos che regnava negli studios, il Chitarrista di Holloway trova all'interno delle sue mura domestiche quella pace che gli permette di suonare in maniera rilassata, confezionando suoni e atmosfere d'altri tempi. Rispetto alle sorelle "The Clap" e "Mood For A Day", la nostra "Masquerade" è molto più melliflua e meno autocelebrativa e riesce a diffondere piacevoli sensazioni di pace e benessere.

Lift Me Up

Con la quarta traccia arriviamo finalmente ad ascoltare un brano made in YesWest, quella "Lift Me Up (Sollevami)" che praticamente è stata la scintilla del progetto "Union". Dopo un paio di colpi soft con la drum machine, i nostri ci sorprendono con un bellissimo unisono di tastiera e chitarra che sa di progressive metal, ma è solo una trappola. Dopo circa un minuto, rimane un oscuro pad di tastiera, ritorna la drum machine ad annunciare uno squillante arpeggio di chitarra, ricamato da pungenti scale di basso. Alan White suona sulla stecca, poi arriva Jon Anderson, che ci cattura con un "Look Around (Guardati Intorno)". La strofa sembra funzionare, giocando su ammalianti frasi messe al punto giusto. La seconda strofa viene cantata da Trevor Rabin, nel bridge, un bel crescendo della batteria apre le porte al ritornello, solare, cantato a squarcia gola a tre voci che lo fanno sembrare un inno alla positività. Ritorna il bridge, che stavolta annuncia la strofa, anticipata da effimere escursioni sul basso e la chitarra. Di nuovo il bridge e poi l'anthemico chorus che sprizza gioia da tutti i pori, che viene riproposto per ben due volte, intervallato dal bridge. Nel secondo inciso, Trevor Rabin duetta con l'ammaliante armonia vocale e poi arriva l'assolo di chitarra. Le mani vellutate del Chitarrista Sudafricano volano velocemente sulle sei corde, le note sembrano uscire da un violino. Nella parte conclusiva, il nostro esegue una serie di funamboliche scale, poi un rocambolesco finale ci porta verso l'epilogo, dove la fredda drum machine viene ricamata da effimere escursioni sugli strumenti. Le liriche sono state scritte a quattro mani da Squire e Rabin, che hanno fatto uso di un dizionario in cerca delle parole giuste che potessero catturare l'ascoltatore, e direi che ci sono riusciti in pieno. Smarrito in una città che non ha posti per lui, i nostri chiedono nuovamente aiuto a Dio, per ritrovare la speranza e la retta via. Gli chiede aiuto per trovare la forza necessaria a vincere le dure battaglie della vita, compresa la difficile battaglia amorosa, che gli ha lasciato una profonda ferita nel cuore, che ancora arde. Senza l'aiuto dell'Onnipotente, risulta difficile dare un senso alla propria vita. Da soli non si riesce ad imboccare la strada giusta che porta ad un radicale cambiamento in positivo della vita. Solo la forza della fede saprà dare una nuova alba, saprà dare la forza per raggiungere la vetta della montagna più alta. Solo la mano di Dio può ci può risollevare. Brano che ci illude con la bellissima introduzione progressive, ma che comunque si mantiene su buoni livelli, puntando molto sull'ammaliante armonia vocale del ritornello, che sembra fatto a posta per coinvolgere il pubblico in sede live. Ovviamente, è stato scelto come primo singolo estratto dall'album.

Without Hope You Cannot Start The Day

Si ritorna dagli ABWH con la traccia successiva "Without Hope You Cannot Start The Day (Senza Speranza, Non Puoi Iniziare Il Giorno)" aperta da un enigmatico Jon Anderson, accompagnato da un avvolgente pad di tastiera e da vellutati accordi di pianoforte. Il brano porta la firma di Jon Anderson e Jonathan Elias, che non soddisfatto della partitura di pianoforte troppo "classicheggiante" composta da Rick Wakeman, ha provveduto all'insaputa del Mago delle Tastiere a suonare lui stesso una nuova partitura assai più semplice ed adatta al brano. L'emozionante duetto fra voce e pianoforte perdura a lungo, offrendoci momenti da brividi, quando Jon Anderson sale alto spinto da struggenti pad di archi. Un bellissimo tema di chitarra dal sapore epico ci lascia presagire che questa bellissima introduzione sta volgendo al termine. Al minuto 01:41, un grintoso unisono con la chitarra in evidenza ci desta. Trascinato dal cadenzato ritmo proposto da Mr. Bruford, Tony Levin fa ruggire le quattro corde, Jon Anderson sforna una grintosa linea vocale dal sapore sibillino, ricamata da suggestivi giochi di eco e contro canti. Nel chorus emerge la cristallina voce del Santone di Accrington, guidata quasi all'unisono dalle tastiere. La strofa successiva viene anticipata da un breve graffiante assolo di chitarra. Ritorna il chorus, seguito da un interludio dove gli strumenti e le armonie vocali si attorcigliano confezionando una babelica atmosfera. Sul finale Steve Howe esegue una serie di funamboliche scale, che in crescendo ci portano verso un nuovo cambio di atmosfera. Rimane un delicato strumming di chitarra, ad accompagnare Jon Anderson, poi la gran cassa inizia a ritmare, la line vocale del Cantastorie di Accrington si intreccia con quella dell'amico di una vita Chris Squire, Steve Howe tesse una intricata ragnatela di note, Bill Bruford si cimenta in una serie di rullate, lasciando i compiti ritmici al fragoroso basso di Tony Levin. Lentamente in fader, il brano evapora fino a scomparire del tutto. Un profetico Jon Anderson riesce a coniare un titolo ancora attuale, "Senza speranza, non puoi iniziare il giorno" e mai parole possono essere più giuste di queste. Troppo spesso la speranza è l'unica cosa che riesce a farci andare avanti nei momenti più difficili, a far sì che possiamo trovare la forza per superare i molti ostacoli che incontriamo durante il duro cammino della vita. Sovente le soluzioni le abbiamo vicine a noi, ma non riusciamo a scorgerle. Spesso, per chi crede, la speranza è sinonimo di fede, Jon Anderson si domanda il perché in alcuni momenti la fede viene a mancare, rendendo più arduo il cammino della vita. E allora lui spera in "un ritorno", spera che Dio si presenti nuovamente davanti alla porta della sua anima. Senza la fede il fuoco brucia selvaggio all'interno dell'anima, incenerendo tutte le speranze, solo un pioggia purificante può spazzarlo via, e ridonarci la speranza per affrontare un nuovo giorno. Altro brano interessante che ci cattura con l'emozionante parte introduttiva, mantenendosi su alti livelli durante il proseguo.

Saving My Heart

La traccia numero sei prevede un altro brano marcato YesWest, nonché secondo singolo estratto dall'album, intitolato "Saving My Heart (Salvando Il Mio Cuore)". Le prime note dell'introduzione suonano molto "Toto", poi il brano prende una sorprendente piega "reggae", con il fragoroso basso di Chris Squire in evidenza. Jon Anderson si dimostra un vocalist versatile, trovandosi a proprio agio anche di fronte a queste per lui insolite sonorità. Alan White spara un simpatico organo in controtempo. Si passa dal reggae al pop, il brano esplode letteralmente nel caloroso inciso, dove una squillante chitarra arpeggiata guida una solare armonia vocale. Ritornano le sonorità giamaicane della strofa, ricamata da alcuni fraseggi di chitarra dal sapore rock, che cozzano le atmosfere calypso. Il pezzo forte del brano è il ritornello, costruito e studiato in ogni minimo dettaglio per catturare nuovi fans, che suona quasi come un inno in pieno stile "We Are The World". Successivamente incontriamo un interludio dove ritornano le calde sonorità giamaicane, cantato da Trevor Rabin, che viene ricamato da un coro carico di effetti e poi via, si riparte con l'ammaliante ritornello, stavolta seguito da un melodico assolo di chitarra. Ritorna il chorus, che ci accompagna fino alla fine del brano, sfumando dolcemente. I quel periodo, Jon Anderson doveva attraversare una profonda crisi mistica, dove tutto girava intorno alla fede nei confronti di Dio. Spesso l'uomo viene offuscato da desideri, da tentazioni che possono indurlo ad imboccare una strada sbagliata, a prendere decisioni errate, ad essere invasi da una pericolosa follia. Ed è qui che allora dobbiamo aprire il cuore a Dio, che saprà mandar via i cattivi pensieri dalla mente e farci ritrovare la calma smarrita. Solo all'ora ci sentiremo in pace, in una stanza vuota che riesce a rigenerarci. Nel cuore del Santone di Accrington ci sarà sempre un posto per Dio. Un brano molto leggero che mixa il pop alle sonorità reggae, che in origine era stato concepito per la voce di Roger Hodgson, prima della fatale telefonata di Jon Anderson a Trevor Rabin. Un brano solare che si discosta molto dalle classiche sonorità AOR di Rabin e compagni, e che devo dire non lascia il segno sugli ascoltatori di vecchia data più esigenti.

Miracle Of Life

Anche se l'introduzione può trarci in inganno, rimaniamo in America con la successiva "Miracle Of Life (Miracolo della vita)". Dopo un fragoroso unisono, una ridondante e funambolica chitarra anticipa Tony Kaye, che con sua immensa gioia ritorna a suonare il suo vetusto ed amatissimo organo. Lo spensierato riff di organo predomina e con la mente ci porta ai tempi di Time And A Word. Sulla complicata ritmica proposta da Alan White anche Chris Squire esegue un roboante groove di basso molto nostalgico. Un effimero coro che sa di Queen grida "Miracle Of Life (Miracolo Della Vita)", annunciando prima un lancinante assolo di chitarra, seguito addirittura da uno strumming con la balalaika. Continuano le escursioni sugli strumenti, che si alternano fra di loro, poi dopo circa due minuti spariscono le nostre speranze di sentire un nostalgico brano ispirato alle prime sonorità degli Yes, anche se i presupposti vi erano tutti. Alan White cambia direzione sparando un monotono 4/4, Squire si limita ad enigmatiche pennate che seguono la gran cassa, imitate poi dalla chitarra distorta, che nella strofa viene sostituita da una meno invadente chitarra arpeggiata, sulla quale si appoggia Jon Anderson. Nel bridge entra in scena Trevor Rabin, che ci guida dritti verso il chorus, dove spicca una delle classiche armonie vocali. Nella strofa ritorna Jon Anderson, il bridge stavolta è diverso, è una progressione di accordi distorti a guidarci verso il solare ritornello, più adatto ad un jingle pubblicitario che ad un brano degli Yes. Nella seconda metà del brano troviamo un improbabile interludio, dove predominano delle profonde note di basso, accompagnate da uno svogliato Alan White. In sottofondo si percepisce un fastidioso brusio, seguito da un coro che sembra uscito da uno sperduto villaggio del Congo. Una rullata annuncia il bridge, dove un grintoso Rabin ci riporta nell'anthemico inciso, che viene proposto ad oltranza intervallato da un effimero passaggio di basso. Nel prolungato finale, canti, cori e controcanti si intrecciano, alternandosi con stralunati assolo di chitarra. Ricompare anche il vetusto organo di Mr. White, che sfuma insieme ad un solo di chitarra. Trevor Rabin rimase disgustato da un crudo documentario sull'incomprensibile mattanza dei delfini, quelle splendide ed eleganti creature marine, uno dei tanti miracoli della vita che ci offre Madre Natura. Senza nessun motivo apparentemente comprensibile, uomini senza cuore spazzano via le vite dei meravigliosi cetacei come l'acqua spazza via il fango, tingendo di rosso le acque blu degli oceani. Chi compie questi ignobili gesti, dovrebbe lavarsi con il sangue per purificarsi. L'uomo dovrebbe smettere questa guerra contro la Natura, guerra persa in partenza, dovrebbe mettersi ad ammirare il miracolo della vita. Il brano vede la firma di Trevor Rabin assieme al compositore di colonne sonore Mark Mancina, brano che ci illude con una prolungata introduzione dal piacevole retrogusto settantiano, che purtroppo poi lascia il campo ad una banale canzone pop di cui si salvano solo le profonde liriche ambientaliste; brano con un inutile interludio centrale e che punta fino alla noia sul ritornello, sicuramente non fra i migliori partoriti da Rabin e compagnia cantante.

Silent Talking

Torniamo dall'altra parte del globo, con "Silent Talking (Parlando in silenzio)", brano firmato da Jonathan Elias assieme ai quattro reduci di Close To The Edge. E' Rick Wakeman ad aprire il brano con un paradisiaco pad di tastiera, spazzato subito via da un grintoso riff di chitarra. Le due partiture si alternano per un paio di volte, poi al pad di tastiera si aggiunge la fredda batteria elettronica di Bruford, scaldata dal giro di basso proposto da Tony Levin. Il crescendo delle tastiere annuncia un breve assolo di chitarra. Ritorna il riff portante, ricamato da alcune pregevoli acrobazie di tastiera, si ha l'idea di essere di fronte ad un brano strumentale, ma dopo poco più di un minuto entra in scena Jon Anderson, quasi offuscato dal riff di chitarra, rafforzando la nostra idea di brano strumentale. Un funambolico break di chitarra e poi arriva l'inciso fra i più brevi e strani mai proposti dagli Yes. Ritorna la strofa, stavolta in versione strumentale. Il ridondante riff tiene testa ad alcuni interessanti funambolici suoni sparati da Rick Wakeman, dando vita ad un breve interludio dai forti sentori progressive che anticipa il ritorno dell'effimero inciso, concluso da un profondo glissato di basso che chiude al prima parte del brano. Si cambia completamente atmosfera. Rick Wakeman e Steve Howe ci trasportano in mezzo al giardino dell'Eden con un meraviglioso intreccio di chitarra e tastiera, dopo alcune battute ritorna il Guru di Accrington, con una paradisiaca linea vocale, dimostrandosi molto più a suo agio di fronte ad ancestrali atmosfere. I nostri danno vita ad un prolungato chorus finale, dove la cristallina voce di Anderson viene ricamata da angeliche armonie vocali. Rientra in gioco anche la sezione ritmica, che lentamente ci accompagna verso la conclusione. Le liriche sono quasi impenetrabili e girano intorno alla ripetizione di profonde licenze poetiche, alle quali ognuno può dare la propria interpretazione, come spesso accade quando ci troviamo di fronte ai versi stesi dal Poeta di Accrington. Tutto ruota intorno al sentimento dell'amore, l'amore verso il prossimo e verso la Natura, "Parlando in silenzio" significa fare un esame di coscienza, un profondo viaggio introspettivo alla ricerca di se stessi, attraversando i nostri sogni, cercando di riuscire ad apprezzare il meraviglioso Mondo che Madre Natura ci ha donato, e che troppo spesso viene rovinato dall'uomo. Ascoltando il brano, si ha l'idea che nella prima parte la linea vocale sia stata inserita quasi forzatamente, molto meglio invece nell'ancestrale seconda parte, dove la voce si sposa a meraviglia con il magico intreccio di chitarra e tastiera.

The More We Live / Let Go

La successiva "The More We Live / Let Go (Più viviamo / Lascialo Andare)" è firmata dall'inedito duo Squire-Sherwood, una collaborazione che sarà destinata a durare nel tempo. Il brano viene aperto da enigmatiche tastiere. Entrano in scena Anderson e Rabin, che iniziano a duettare accompagnati dalle tastiere, mentre White ritma con una serie di delicati colpi di gran classe. Il suggestivo duetto a due voci viene impreziosito dai cori guidati da Chris Squire che gioca intorno al titolo del brano, confezionando il tema portante del brano, che possiamo considerare un vero e proprio chorus. I nostri danno vita ad una bellissima atmosfera che ci ricorda molto il pop rock d'autore di Tears For Fears e Alphaville. Al minuto 01:33 un bellissimo cambio di tonalità attira la nostra attenzione. Stavolta è Chris Squire a cantare la nuova strofa, ricamato da struggenti armonie vocali e sognanti tastiere, aggiungendo un po' di polvere floydiana alle avvolgenti atmosfere di inizio brano. Una rullata annuncia un accordo distorto che tenta di donare verve al brano, senza rovinare la bellissima atmosfera ricreata. Le tastiere si fanno largo fra le note dell'accordo che lentamente sta evaporando, mentre in sottofondo possiamo apprezzare un bellissimo lavoro percussionistico. Jon Anderson sale di tono, sempre ricamato dal coro portante. Le tastiere in fader annunciano il ritorno di Chris Squire alla voce. Gli intrecci vocali che caratterizzano tutto il brano sono da brividi e lentamente lasciano il campo alle tastiere che vanno a concludere questo bellissimo brano d'atmosfera, a cui manca solamente un bellissimo assolo in "Gilmour Style" per essere perfetto. Stavolta è il Gigante Buono a rivolgersi al Signore, affrontando il cammino della vita, durante il quale un uomo si forma in base alle esperienze vissute. Più viviamo, più impariamo più sappiamo, più diamo, più amiamo, più cresciamo. In questi versi apparentemente banali, Squire riesca a raccogliere l'essenza della vita umana. L'uomo, in ogni singolo gesto che compie è in grado di decidere il proprio futuro, e molto spesso anche quello degli altri. Ad un certo momento della nostra vita, arriverà l'ora in cui dobbiamo prendere delle sagge decisioni, scrivendo nero su bianco il nostro futuro. Credendo in noi, bisogna sobbarcarsi sulle spalle il peso del mondo in cui stiamo per entrare, cercando di migliorarlo. Se abbiamo la fede, abbiamo anche le chiavi di volta per tutte le domande che incontreremo durante il nostro cammino. La fede ci indicherà la giusta strada da intraprendere, sta a noi cancellare il passato e spazzare via dubbi e paure e raggiungere gli obbiettivi prefissati. Chris Squire, come già aveva fatto qualche anno prima con "Leave It", porta avanti la sua idea di brani che puntano molto sulle armonie vocali, confezionando un prodotto di classe, dove l'atmosfera regna sovrana. Per quanto mi riguarda, questo è il migliore dei quattro brani firmati YesWest.

Angkor Wat

Siamo arrivati alla traccia numero 10, il titolo "Angkor Wat" prende il nome da un famoso tempio Khmer, posto all'interno del sito archeologico di Angkor, in Cambogia, nei pressi della città di Siem Reap e ci lascia presagire che saremo di fronte ad un brano dalle avvolgenti atmosfere e dai sentori mistici. Il brano viene aperto da Rick Wakeman, con un suggestivo intreccio di parti di tastiere che non sfigurerebbe nella colonna sonora di un videogames di Tomb Raider. Dopo circa un minuto entra in scena il Santone di Accrington, con una linea vocale che vagamente ci ricorda quelle del suo grande fan e collega Trevor Horn in "Run Through The Light" e "White Car". Dal castello di tastiere fuoriesce una magica nuvola di suoni che ci trasporta all'interno del suggestivo tempio cambogiano. Per circa un minuto siamo ipnotizzati dall'intreccio di parti di tastiera confezionato dal talentuoso Musicista di Perivale. Dopo questo interludio di forte atmosfera, ritorna Jon Anderson a duettare con le fatate tastiere. Quando cala l'oscurità, la Luna si sostituisce al Sole, illuminando i sogni di tutti, che parlano delle nostre vite. In un punto del firmamento, esiste una stella luminosa che come una bussola ci guida dritti al centro del Mondo, al tempio di Angkor Wat. Nella parte finale, sempre accompagnata dalle magiche tastiere, Pauline Cheng recita una bellissima poesia scritta da Jon Anderson, ispirata da un documentario che parlava dei rifugiati cambogiani, nel quale i diretti interessati sostenevano di credere in una vita oltre la morte, che li avrebbe riportati nel centro spirituale cambogiano, in un mondo senza guerre, senza fame, senza malattie, in un mondo pieno di pace, amore e armonia. Jon Anderson chiese a Pauline Cheng quale fosse questo centro spirituale, lei rispose "Angkor Wat", fornendo al Guru di Accrington il titolo perfetto per il brano. Questo suggestivo brano, oltre alla firma di Wakeman e Anderson, vede anche quella di Elias, che chiese a Rick Wakeman di registrare separatamente alcune tracce di tastiera, poi magistralmente mixate insieme in fase di produzione, dando vita ad una traccia di forte atmosfera che non stona affatto all'interno del platter.

Dangerous - Look In The Light Of What You 're Searching For

Si cambia decisamente atmosfera nella successiva "Dangerous - Look In The Light Of What You 're Searching For (Pericoloso - Guarda Nella Luce Di Quello Che Stai Cercando)", aperta da un grintoso riff di chitarra. Per una volta, Bill Bruford si abbassa a suonare un semplice ma efficace 4/4, potenziato da un bellissimo groove di basso sleppato. Con una linea vocale grintosa, Jon Anderson ci trascina velocemente verso il chorus, che ruota intorno alla parola "Dangerous (Pericoloso)", ricamata da una serie di armonie vocali e controcanti. Una pungente scala di basso ci ricollega alla strofa, che musicalmente ricorda il Peter Gabriel della seconda metà degli anni 80. Il successivo inciso viene variato leggermente, riempito dalle tastiere e forse un po' troppo appesantito dalla produzione. Dopo un breve e grintoso interludio con Jon Anderson in evidenza si cambia completamente atmosfera. Uno spaziale pad di tastiera accoglie uno squillante arpeggio di chitarra, ricamato da preziosi intarsi di basso. Si ha l'idea di essere sospesi in aria, da questa fantastica atmosfera emerge brillantemente il Cantastorie di Accrington, rafforzato da uno spettacolare gioco di cori e controcanti. Poi improvvisamente come si era manifestato, l'idilliaco interludio lascia il campo ad una dimostrazione di tecnica da parte della premiata ditta Bruford - Levin, impreziosita da alieni schiamazzi delle tastiere, dopo di che si cambia ancora, ed incontriamo un interludio a cappella in pieno stile "Leave It" dove i giochi di voce si intrecciano magicamente. Ritorna lo stralunato chorus, seguito da una caotica appendice dove siamo tempestati da una babele di voci. Si chiude con un'altra breve escursione "drum & bass". L'amore viene dipinto come un sentimento pericoloso, che spesso può forviare la mente dell'essere umano, mandandolo in confusione. Mostrare in maniera provocante il proprio corpo, può essere pericoloso, perché tutti coloro che ne vengono attratti, non lo fanno nel segno dell'amore. L'amore può essere pericoloso, bisogna saperlo gestire. Vedendolo dall'esterno sembra che amare sia facile, sembra che tutti siano in grado di farlo, ma è soltanto apparenza. Spesso, camminando per strada potremmo essere ammaliati e rompere il nostro sigillo d'amore, il cuore è una strana macchina che ci mette pochi secondi ad entrare in confusione, se colpito da una pericolosa freccia sagittabonda. E' così pericoloso il richiamo dell'amore. Ascoltando il brano, firmato Anderson ed Elias (e si sente?NDR) si ha l'idea che si tratti di un puzzle di vari brani, messo in piedi all'ultimo dalla produzione per far ciccia. Brano destinato a finire ben presto nel dimenticatoio, anche se lascia trapelare qualche idea interessante.

Holding On

Andando avanti, rimaniamo in casa ABWH ed incontriamo "Holding On (Resistendo)", aperta da una ridondante armonia vocale, ricamata da un bel pad orchestrale. Bill Bruford detta il tempo con un micidiale mix fra batteria elettronica e percussioni. Un pungente glissato del basso annuncia l'ingresso di Steve Howe con uno squillante arpeggio carico di effetti. L'introduzione prosegue e mette in mostra un bellissimo groove di basso. Anche se nei crediti possiamo leggere che tutte le parti di basso dei brani firmati ABWH sono state eseguite dal maestro Tony Levin, il potente giro di basso appena ascoltato sembra sparato dal Rickenbacker di Squire, ergo o Tony Levin è bravissimo nell'imitare il Bassista di Harrow, o si tratta di una svista nei crediti del disco. Arriva la strofa, di forte atmosfera, che vagamente ricorda i Rush della seconda metà degli anni 80. Dopo un paio di battute strumentali, irrompe un cupo Jon Anderson con un'enigmatica linea vocale guidata dai ricami della chitarra. Un cambio di tono spinge più in alto il Cantastorie di Accrington, che annuncia un breve assolo di chitarra, prima di ritornare con la strofa. Arriva il chorus, dove spicca ancora Jon Anderson, ricamato da una ridondante armonia vocale. Una veloce rullata annuncia il cambio, dove il nostro sale sempre più in alto, rafforzato da cori e controcanti e ricamato da una intricata trama di chitarra. Andando avanti incontriamo un caotico interludio strumentale, dove ognuno sembra andare per conto suo. Una sorta di sciogli lingua Andersoniano viene alternato ad un celestiale pad di tastiera che supporta un delicato coro, che ci porta nell'ennesimo cambio. Un paradisiaca tastiera trasporta Jon Anderson, che poi esplode in un trascinante vortice dove canti, controcanti e strumenti si aggrovigliano magicamente. Da questa fantastica babele musicale emerge un graffiante groove di basso che con funamboliche scale ci catapulta in un caotico interludio strumentale che a fatica riusciamo a decifrare. Su una ritmica impossibile da descrivere, basso e chitarra sembrano inseguirsi in una rocambolesca corsa alla quale mette fine Rick Wakeman, con un ridondante riff di tastiera che grida "anni 80", seguito poi da una dolce armonia vocale in crescendo ci accompagna delicatamente verso il finale. Nel pieno di una crisi di coppia, Jon Anderson è alla ricerca dell'anima perduta, che ha lasciato il posto ad un freddo ed interminabile Inverno che gela il sentimento dell'amore. Bisogna tenere duro, una volta trovata l'anima gemella, bisogna combattere per superare i momenti peggiori, cancellando le promesse non mantenute. Nessuno è innocente, basta saper riconoscere i propri errori e tornare sui propri passi, seguendo la strada indicata dal cuore. Ottimo brano firmato da Anderson e Howe, con l'aggiunta dell'ingombrante figura di Elias, a cui con molta probabilità va dato il merito dei caotici interludi che stonano con il resto della canzone, che, se omettiamo qualche dubbia soluzione in fase di produzione, è pienamente in linea con il disco d'esordio ABWH.

Evensong

La traccia successiva, intitolata "Evensong (La canzone regolare)", è la traccia più breve del platter, dall'alto dei suoi soli 52 secondi. Si tratta di un effimero brano strumentale firmato dalla sezione ritmica del Re Cremisi, che prende spunto dalla parte centrale di un duetto drum and bass interpretato da Bill Bruford e Tony Levin durante il tour degli ABWH. Il brano si sviluppa attorno ad una cupa progressione di accordi di basso, accompagnato da un suggestivo gioco di percussioni da parte di Mr. Bruford, che rallenta i BPM e l'intensità man mano che l'epilogo del brano si avvicina. I nostri riescono a trasmetterci un senso di pace e di amore, confezionando un'avvolgente atmosfera dal sentore ecclesiastico, attraverso pochi secondi di musica. Il titolo viene preso da una tradizionale preghiera della sera in uso nella Chiesa d'Inghilterra. Un altro brano di cui avremmo potuto fare anche a meno, ma visto il contesto dell'album, diciamo che può anche starci, senza ovviamente lasciare il segno. A fatica siamo giunti all'ultima traccia, "Take The Water To The Mountain (Porta l'acqua alla montagna)", firmata Jon Anderson e aperta da un arcano pad di tastiera seguito immediatamente da inquietanti lamenti fuoriusciti dal castello di tastiere di Mr. Wakeman. Bill Bruford ritma con minacciosi ed ovattai colpi sulle pelli. Dopo circa quaranta secondi, le tastiere diminuiscono notevolmente l'intensità, lasciando il campo al Poeta di Accrington, che inizia a recitare la sua poesia. Un profondo glissato di basso annuncia Steve Howe, che per un paio di battute fa lamentare la sei corde, facendo da bridge alla seconda strofa, impreziosita da suggestive percussioni dal sapore tribale. Altro bridge strumentale, l'oscuro pad si intreccia ai lamenti della chitarra, poi irrompono delle inquietanti tastiere che ricordano l'affascinante canto di una balena. Nella successiva strofa avvertiamo un cambio di tono, scandito da delicati accordi distorti, Rick Wakeman si sbizzarrisce con suoni che sembrano provenire da un'altra dimensione, diffondendo un pesante senso di malinconia. Improvvisamente, alcuni acidi accordi di chitarra danno brio all'ultima strofa, invitando il Santone di Accrington a vivacizzare la linea vocale, trasportato da sibilline percussioni, poi una sorta di tuono pone fine all'inquietante babele di suoni, rimane solo un malsano effetto di tastiera che non sfigurerebbe nella colonna sonora di un film horror, chiude Jon Anderson con un lapidario "Picà!" al quale sinceramente non sono in grado di dare una spiegazione di senso compiuto. Durante la lunghissima carriera, Jon Anderson ha spesso usato la metafora dell'acqua associandola all'anima e all'amore. L'acqua è un elemento essenziale per la vita dell'uomo, come del resto lo è l'amore. Portare l'acqua alla montagna significa portare il nostro amore alla persona amata, ma può significare anche di dimostrare il nostro amore a Madre Natura, alla quale bisogna essere sempre riconoscenti. Altro brano riempitivo, che non lascia il segno.

Conclusioni

E' fino troppo evidente che lo scopo della più grande e clamorosa reunion della storia del rock era solo ed esclusivamente quello di far soldi. L'idea potrebbe anche essere stata vincente, se affrontata in maniera diversa e con molto più tempo a disposizione. Sarebbe stato affascinante rinchiudere in uno studio tutti gli otto membri storici degli Yes a comporre del nuovo materiale e vedere cosa ne sarebbe uscito. Sarei stato capace perfino io a fare una sorta di compilation che raccoglie i nuovi brani degli ABWH e i quattro brani degli YesWest, fra l'altro privi di identità in quanto all'epoca i nostri erano alle prese con la ricerca di un nuovo vocalist, brani che inevitabilmente cozzano fra di loro, provenendo da due band che ormai avevano intrapreso un percorso musicale diametralmente opposto. Condivido in pieno le perplessità di Rick Wakeman e Steve Howe di fronte al progetto, in quanto, fra i brani firmati ABWH ce ne sono almeno quattro- cinque molto validi, ed il famoso singolo mancante che cercava Jon Anderson, a mio avviso si celava nella traccia di apertura del platter. Le quattordici tracce del CD sono fin troppe e rendono estenuante l'ascolto, almeno quattro o cinque avremmo fatto volentieri a meno di ascoltarle. Inoltre i troppi produttori e l'incomprensibile lunga lista degli special guest rendono ancor più pesante questa colossale operazione politico-finanziaria. Sono d'accordo con Steve Howe che gran parte dei demeriti del platter vanno al produttore Jonathan Elias, troppo invadente anche in fase compositiva, spesso pesante negli arrangiamenti ed irritante nell'occasione di far suonare a terzi alcune parti, in modo da ottenere quello che voleva, essendo in disaccordo con i diretti interessati. "Union" è venuto alla luce il 30 Aprile del 1991, registrato tra il 1989 ed il 1990 in separate sedi. Per farvi rendere conto del caos che regnava, e per facilitarci le cose, vie elenco i crediti dei vari brani che vanno a formare la track list. Per quanto riguarda quelli firmati ABWH, i quattro sono coadiuvati dal bassista dei King Crimson Tony Levin, la produzione è opera di Jon Anderson e Jonathan Elias, i brani sono stati registrati presso gli Studio Miraval di Correns (Francia) e gli studio Guillaume Tell di Parigi. Il tutto è stato mixato presso i Right Track Recording And Power Station di New York da Brian Foraker, coadiuvato da una folta schiera di aiutanti. Per motivi logistici non sto ad elencare i numerosi musicisti addizionali, ma vi assicuro che sono fin troppi quanto inutili, vista la tecnica strumentale dei nostri. Il brano "Masquerade" è opera del solo Steve Howe, che si è occupato anche della produzione, registrando il brano presso i suoi Langley Studios, siti nella propria casa nel Devon, mentre la post produzione è opera di Greg Jackman presso i Sarm West Studios di Londra. Gli YesWest, impreziositi dalla presenza di Jon Anderson alla voce, hanno registrato "Lift Me Up" e "Saving My Heart" presso i Jacaranda Rooms di Los Angeles, sotto la produzione di Mr. Trevor Rabin, coadiuvato da vari assistenti del suono. "Miracle Of Life" è stata registrata sempre agli stessi studi, ma la produzione è opera di Mark Mancina e del redivivo Eddy Offord, oltre ovviamente a Trevor Rabin. "The More We Life - Let Go" è stata registrata presso i Cherokee Studios di Los Angeles, prodotta da Eddie Offord e Billy Sherwood. L'unica cosa che ha trovato consensi positivi su tutti i fronti, è stato l'imponente tour, al termine del quale però Rick Wakeman, Bill Bruford e Steve Howe lasceranno per l'ennesima volta gli Yes, mentre Jon Anderson rimarrà, andando a riformare la line up vincente di 90125. Forse con qualche traccia e produttore in meno ed una maggiore collaborazione in fase compositiva fra le due versioni degli Yes, saremmo stati di fronte ad un prodotto migliore, che comunque contiene qualche idea interessante firmata ABWH, che gli permette di raggiungere la sufficienza striminzita.

1) I Would Have Waited Forever
2) Shock To The System
3) Masquerade
4) Lift Me Up
5) Without Hope You Cannot Start The Day
6) Saving My Heart
7) Miracle Of Life
8) Silent Talking
9) The More We Live / Let Go
10) Angkor Wat
11) Dangerous - Look In The Light Of What You 're Searching For
12) Holding On
13) Evensong
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