YES

Tormato

1978 - Atlantic Records

A CURA DI
SANDRO NEMESI PISTOLESI
06/10/2015
TEMPO DI LETTURA:
6,5

Introduzione Recensione

Nonostante il brontolio della critica, dischi come Topographic e Relayer hanno ottenuto un enorme successo commerciale, i quali proventi, sommati agli innumerevoli sold-out dei concerti e ai guadagni provenienti dal merchandising ricoprono letteralmente d'oro gli Yes, che in virtù della giovane età non badarono di certo a spese e a stravaganze. In un batter d'occhio si trovarono catapultati da un estremo all'altro della scala sociale.  Scintillanti Rolls Royce, Bentley e Lotus erano all'ordine del giorno, per non parlare delle lussuose abitazioni. Chris Squire si stabilì a Virginia Water, in una abitazione che in passato era stata la sede dell'ambasciata Americana. Denominata New Piper, era considerata il più grande tetto di paglia di tutta l'Inghilterra. All'interno comprendeva anche di un attrezzatissimo studio di registrazione, dove i nostri avevano registrato Relayer. Il soggiorno era una vera e propria sala baronale, con tanto di campanello per richiamare le attenzioni della servitù. Anche Alan White non se la cavava male, l'abitazione era stata ricavata da un vecchio mulino, aveva una cantina per il sidro ed una suggestiva stanza dal pavimento in vetro che permetteva di vedere l'acqua del fiume che le scorreva sotto. I novelli sposi Jon e Jenny optarono per una classica dimora di campagna, dove party a base di champagne con tanto di fuochi d'artificio erano quasi all'ordine del giorno. La sobria personalità di Steve Howe lo portò a concentrare le sue spese incrementando la propria collezione di chitarre, l'unica stravaganza commessa dal chitarrista Holloway fu quella di far viaggiare in aereo accanto a se la sua chitarra preferita, una Gibson 175, con tanto di biglietto sotto il nome di Mr. Gibson. Non se la sentiva proprio di relegarla nella stiva, temendo il peggio durante il viaggio fra Londra e Washington a bordo di un Concorde. In compenso, Rick Wakeman si dà alla vera vita da rockstar, piena di lussi e belle ragazze. I nostri possedevano anche un lussuoso jet privato, un Gruman Gulf Stream G2, provvisto di cucina.  Il problema è che come molte altre rockstar, gli Yes spendevano, spendevano ma non mettevano neanche un centesimo da parte e in men che non si dica si ritrovarono a litigare fra loro per motivi di denaro. A Steve Howe non andava giù che gli Anderson sperperassero anche parte delle sue quote in lussuosi viaggi. Erano i primi segnali di una rottura che da lì a poco avrebbe disorientato i fans. Ci furono discussioni anche a riguardo della scelta dello studio di registrazione. Steve Howe e Chris Squire si trovarono a combattere con il resto del gruppo che pretendeva di tornare a registrare in Svizzera, mentre loro avrebbero preferito rimanere in patria, alla fine riuscirono a spuntarla. Comunque sia, nonostante gli attriti ed il fantasma del punk che aleggiava sulle loro spalle, gli Yes continuavano ricevere consensi positivi da tutte le parti;  nel referendum proposto dalla rivista Melody Maker nel 1978, Jon Anderson primeggiava come miglior cantante, staccando David Bowie e Bob Dylan, Rick Wakeman si confermava miglior tastierista del pianeta, Steve Howe e Chris Squire vincevano di gran lunga le classifiche dei rispettivi strumenti a corda. Sembrava che i fans difendessero a spada tratta i loro idoli dagli attacchi dei punk. Tutto quello che dovevano fare gli Yes era di entrare in studio e sfornare un nuovo disco di prima qualità che tappasse la bocca a Johnny Rotten e discepoli. Le idee per il nuovo album c'erano, secondo Rick Wakeman aveva tutte le potenzialità per diventare uno dei migliori dischi degli Yes. Ma non fu così, a causa di una produzione orribile. Orfani del latitante Eddie Offord, ogni singolo membro aveva un proprio tecnico del suono. Uno stormo di avide mani imperversava sui cursori del mixer come un branco di piranha su una bistecca gettata nel Rio Delle Amazzoni, sembrava che ognuno suonasse per la sua strada. A detta del saggio Howe,  fra i tanti tecnici presenti, non ce ne era uno che capisse qualcosa nella musica degli Yes. Gli arrangiamenti erano talmente complessi da risultare incomprensibili in fase di produzione. Sul disco ci sono almeno 3-4 brani degni di nota, che però non sfruttano al massimo il potenziale a causa della pesante produzione, degli arrangiamenti al limi te della sopportazione e del caotico mixaggio. Rick Wakeman è convinto che se potesse remixare l'album otterrebbe un prodotto finale completamente diverso dall'originale. E' giunta l'ora di inserire Tormato nel nostro lettore e giudicare se la produzione ha veramente rovinato quello che poteva essere l'ennesimo capolavoro del combo albionico.

Future Times

Ad aprire le danze è Future Times (Tempi Futuri), una mini suite divisa in due parti ben distinte, la prima parte viene introdotta da Rick Wakeman con uno squillante riff di tastiera. Il basso flangerato anticipa di poche battute l'ingresso di Alan White, che dopo pochi istanti inizia una marcia militare suonando il suggestivo military snare drum, ossia il classico rullante delle bande musicali militari. Sotto il ritmo marciante, Steve Howe inizia a tessere una delle sue ragnatele composte da fraseggi, chiamando all'appello Jon Anderson che si presenta con l'inconfondibile timbrica dal tono festoso. Dopo la prima strofa, la marcia militare si ferma, lasciando a Jon Anderson, Rick Wakeman e Chris Squire i compiti dell'inciso, che a dire il vero non è fra i migliori proposti dagli Yes. Anche nella successiva strofa perdura la marcia militare, risultando tediosa e oscurando gli splendidi fraseggi di chitarra che ricamano la linea vocale. Nuova pausa, il ridondante basso accompagna Jon Anderson, mentre Alan White ritma con il glockenspiel, un lontano parente dello xilofono. Purtroppo per noi ritorna la snervante marcia militare, ma solo per poche battute, poi su un bel tappeto ritmico, Rick Wakeman e Steve Howe instaurano un bel duello alternando interessanti parti soliste. Al minuto 04:05 ha inizio la seconda parte, intitolata Rejoice (Gioire), introdotta dall'angelica voce di Jon Anderson, accompagnata dal solo basso carico di effetti e da qualche timido riff di tastiera. Una rullata di batteria annuncia Steve Howe, che fa capolino con un effimero assolo molto melodico anticipando la strofa, dalle inusuali ritmiche vagamente reggaeggianti. Steve Howe ci delizia con un nuovo assolo, seguito a ruota da Rick Wakeman che si difende a colpi di polymoog. Successivamente, un pad di tastiere ospita Jon Anderson, raggiunto prima da un leggero strumming di chitarra acustica e aiutato poi dalla classica armonia vocale. Nell'epico finale, prima Wakeman ci colpisce con un pomposo tema di Kashmiriane memorie, per poi sfociare in un funambolico assolo, doppiato all'unisono da Mr. Howe. Le liriche della prima parte sembrano più un'opera fantasy che un testo vero e proprio. Si parte dalle sorgenti dell'universo, dove siede un piccolo Salomone, che sogna gloria per le città del Cielo del Sud. Con il suo avvento raggiungerà il compimento l'era dell'innocenza. Ci sarà un futuro roseo, dove imperverserà la purezza. Il Demone Dantalian verrà rimandato nelle tenebre dell'oltretomba ( Dantalian è un demone notturno, a capo di 36 legioni di spiriti). Egli rivela i pensieri interiori e i desideri delle persone, e influenza la mente degli altri senza che lo sappiano, poiché conosce tutti i pensieri umani ed è in grado cambiarli secondo la propria volontà. Incita inoltre amore tra uomo e donna, e insegna tutte le arti e scienze. Dantalian è in grado di "trasportarci" in stati mentali alterati, provocando allucinazioni. L'avvento dei malvagi verrà combattuto da una guerra che coinvolgerà tutta la Terra, vedendo trionfare alla fine l'innocenza. L'uomo sarà coinvolto in un'alternanza di emozioni e situazioni. Prima di tutto la parola divina penetrerà nei cuori degli uomini, che successivamente verranno inesorabilmente divisi dalle guerre. Poi le ricchezze divine risplenderanno altrove, mentre una lunga guerra tenta di liberare il mondo, separando gli uomini con lacrime di dolore. Una volta raggiunto il compimento dell'era dell'innocenza, Anderson ci invita a cogliere l'attimo e godersi intensamente l'amore, che perdurerà a lungo, per oltre dieci estati, finché non arriveranno nuovi venti a far cambiare la rotta. Bisogna sfruttare i momenti positivi, vivendoli al massimo e assaporandone ogni essenza, purtroppo la ruota gira, e non ci saranno solamente momenti rosei, arriverà un vento che cambierà le cose, mettendoci duramente alla prova. L'aria festosa del brano tenta di replicare le ammalianti sonorità della title track dell'album precedente, non riuscendo a centrare però l'obbiettivo, complice la prolungata insistenza della marcia militare ed altre estenuanti soluzioni in fase di arrangiamento. Ci sono interessanti spunti solisti da parte del duo Wakeman Howe, specie nel finale, ma il brano è destinato a finire nel dimenticatoio.

Dont Kill The Whale

Nettamente superiore è la successiva Dont Kill The Whale (Non Uccidere La Balena), introdotta splendidamente da Steve Howe con un bellissimo tema che mischia il rock al country. Sotto i delicati colpi del drummer White, Chris Squire accompagna brillantemente con un bel basso carico di effetti il melodico tema proposto da Howe, seguito poi dal Mago delle Tastiere, che entra in scena gradualmente. Jon Anderson segue il ritmo sincopato, sfornando l'ennesima linea vocale vincente, impreziosita da una serie di intarsi di chitarra. L'inciso non è altro che il prolungamento della strofa, dove Jon Anderson ripete il titolo del brano. Successivamente Steve Howe ci delizia con un prolungato assolo che a grandi linee riprende la melodia dell'introduzione, supportato dalle pompose tastiere di Rick Wakeman. E' di nuovo il turno dell'ammaliante strofa, stavolta alzata di un tono, seguita dall'effimero ritornello, dopo di che Steve Howe riprende l'assolo precedentemente interrotto, aprendo i cancelli a quello di Rick Wakeman che ci colpisce con un irridente motivetto sparato dal polymoog. Alcuni fraseggi di chitarra aprono le porte ad un nuovo interludio, dove sulle orme di un'alienante tastiera, una ammonente armonia vocale inneggia ai grandi cetacei che popolano il mare. L'articolata ritmica è rafforzata da un clap di mani che scandiscono il ritmo Una interminabile corsa sui tom annuncia il rocambolesco finale, lasciato nelle mani del mago delle tastiere. Le liriche sono una vera e propria evocazione spirituale contro la caccia alle balene, definite animali celestiali. Jon Anderson ci invita ad ammirare ed amare i maestosi cetacei, e vi posso garantire che l'incontro ravvicinato con una balena o con un grande cetaceo in generale è veramente emozionante. Di solito, gli uomini più deboli sono costretti a lottare con i padroni, che solo per denaro acconsentono la brutale caccia ai magnifici cetacei, abbassandone notevolmente il numero della popolazione. Un domani saremo ricordati ed osannati per aver posto fine alla brutale mattanza dei cetacei, facendo in modo che i nostri figli possano continuare ad ammirarli per molti altri anni La caccia alle balene è da sempre fonte di dispute diplomatiche internazionali. Per fortuna, con il passare del tempo, nella maggior parte del Mondo la caccia alle balene è stata vietata, portando a termine con successo la lunga crociata a favore dei cetacei, appoggiata da Jon Anderson e soci. Attualmente la caccia alle balene è limitata alla ricerca scientifica e alla sussistenza di limitate popolazioni indigene che non possono prescindere di praticarla per motivi di sopravvivenza. L'unica nazione che si ostina inspiegabilmente a legalizzare la mattanza è il Giappone. Dont Kill The Whale, scelto come singolo apripista dell'album, fra tutti i brani commerciali scritti dagli Yes fino ad ora è quello che più si avvicina ad un tormentone. Il punto di forza sono le ammalianti linee vocali ed gli avvolgenti temi che fuoriescono dalla Gibson Les Paul di Steve Howe.

Madrigal

Rick Wakeman ci porta indietro nel tempo con il vetusto clavicembalo che apre la successiva Madrigal (Madrigale). Jon Anderson entra in scena con una linea vocale da vero e proprio cantastorie di strada. Nel breve inciso Rick Wakeman aggiunge uno struggente pad di archi, gli arpeggi eseguiti con la Spanish Guitar da parte di Steve Howe si sposano a meraviglia con la trama che fuoriesce dal clavicembalo. Chris Squire si limita ad ovatte note sparate con il Bass Pedals. Dopo un breve interludio che vede Rick Wakeman protagonista, ritorna la strofa stavolta arricchita da un coro ancestrale da parte di Squire e Howe, il quale successivamente ci conquista con uno suggestivo assolo dal sapore latino. Le suggestive note sparate dalla Spanish Guitar si intrecciano meravigliosamente con il desueto clavicembalo. Stavolta nell'inciso Jon Anderson sale di un tono, un leggero crescendo ci riporta alla strofa finale, cantata più energicamente. Chiude il brano Steve Howe, con un'altra emozionante escursione sulla Spanish Guitar. Durante il brano, con estrema delicatezza Alan White si è limitato a ricamare con impercettibili tocchi sui piatti, Bell Tree e Crotales. Il madrigale è una composizione musicale o lirica, originaria dell'Italia, diffusa in particolar modo tra Rinascimento e Barocco. Gli Yes ci riportano indietro nel tempo con questa raffinata ballata d'altri tempi. Con una serie di licenze poetiche dai sentori trecenteschi e voli pindarici ancestrali made in Jon Anderson, il cantastorie di Accrington ci narra di un affascinante viaggiatore celestiale immaginario che galleggia fra l'alba ed il tramonto dei millenni, testimone di ataviche battaglie marine nel nome della libertà. Sarebbe bellissimo ed affascinante poter respirare ancora una volta l'essenza di quell'ardore fiammante. I viaggiatori celestiali sono sempre stati presenti a fianco dell'uomo, sin dai tempi dei tempi, testimoni di mille battaglie e del lungo cammino dell'essere umano, danzando nello spirito di ogni era, spesso evaporano magicamente come sono venuti. Madrigal è una geniale ed effimera ballata dal sapore medievale, il clavicembalo di Mr. Wakeman ci trasporta magicamente all'interno di un elegante maniero, dove giullari e musicanti intrattengono i partecipanti della festa indotta dal nobile di turno.

Release, Release

Si cambia decisamente atmosfera e velocità con Release, Release (Rilascio, Rilascio). L'enigmatico riff sparato dalla Fender Broadcaster di Steve Howe viene accolto da un bel tappeto di organo Hammond, mentre la premiata ditta Squire & White accompagna con una interessante ritmica stoppata. Successivamente siamo travolti da un roccheggiante unisono più vicino ai colleghi Led Zeppelin che alle classiche sonorità Yessane. Un irridente riff sfuggito dal Polymoog ed una veloce rullata innescano un ulteriore aumento di BPM che apre i cancelli all'ingresso in scena di Jon Anderson. Sulle onde della cavalcata ritmica il santone di Accrington ci trasporta verso il bridge, dove spicca un burlesco organo Hammond dai sentori grotteschi. Un breve riff di chitarra e ritorna la strofa, seguita dal bridge, che apre le porte ad uno degli incisi più insoliti sfornati dal combo albionico. La prima parte vien cantata da Chris Squire e Steve Howe, accompagnati da una ritmica stoppata. In sottofondo Steve Howe tesse una delle sue avvolgenti trame, Rick Wakeman spara squillanti riff con il Polymoog. La seconda parte del prolungato inciso riprende le ritmiche veloci della strofa, Jon Anderson deve sforzarsi per contrastare l'insolito roccheggiante unisono. Si sale di un tono, Rick Wakeman imperversa con squillanti riff. Poi a porre fine al tutto ci pensa Alan White, con un prolungato assolo di batteria, con tanto di folla urlante, a dir di Wakeman proveniente da una partita di calcio del campionato inglese. Alla folla urlante si aggiunge Steve Howe, con un funambolico assolo di chitarra, che sul finire si lega magicamente al ritorno della strofa dall'andatura andante. Dopo una armonia vocale eseguita su una ritmica stoppata è il turno di un breve assolo di tastiera, che prosegue nel ritornello, sovrapponendosi alla brillante linea vocale di Jon Anderson. Si sale di un tono, poi successivamente siamo investiti da una babele di suoni e voci che si intrecciano fra loro, lasciando poi il campo ad uno stralunato finale. Liriche libertine per questo brano dai sentori rock'n'roll, il rock è il mezzo che la generazione degli anni 70/80 usava per rivendicare ogni loro diritto. Molto spesso le rock star hanno usato la musica come mezzo di promozione di idee, per raggiungere degli obbiettivi, per manifestare ideali o per ottenere diritti umani. La musica ha il potere di portare in alto i messaggi, ottenendo molti più risultati di anarchiche manifestazioni in strada, che troppo spesso degenerano in violenza. Sin dalla notte dei tempi, la politica dei partiti sia di destra che di sinistra si è anteposta alla libertà della creazione artistica. Sfruttando l'energia e la forza della musica, ognuno può combattere per ogni diritto. Sono molti gli esempi che dimostrano quanto potere possa avere una canzone, basti pensare al progetto "We Are The World", inno degli anni 80, o per restare in ambito progressive rock, al progetto "Rock For Armenia", che ha visto l'impegno dei membri delle maggiori band dell'ambito progressive rock ed hard rock per una nobile causa comune. Brano atipico a causa delle alacri sonorità non proprio consone agli Yes, ad un primo ascolto suona simpatico, ma gli arrangiamenti alla lunga risultano troppo oppressivi.

Arriving UFO

Passiamo alla traccia numero 5, le oscure sonorità ottenute dalla combinazione del basso effettato e del Polymoog sembrano provenire da un altro mondo, in perfetta sintonia con il fantascientifico titolo Arriving UFO (Arrivano gli UFO). Uno stridente riff di chitarra annuncia Jon Anderson, che si presenta con una linea vocale dal tono sorpreso.  Steve Howe fa parlare in alienese la sua chitarra, duettando con Jon Anderson. Un bridge in salire ci porta verso il brillante inciso, dove la linea vocale di Jon Anderson viene imitata dalle tastiere di Mr. Wakeman. L'irridente tema di tastiera sparato dal Polymoog e l'insoliti fraseggi di chitarra somigliano ad un dialogo in lingua marziana fra i piloti di una astronave, in procinto di atterrare sul Pianeta Terra, chissà con quali intenzioni. Mentre il ridondante basso perdura in sottofondo, lentamente Alan White incrementa il tempo, introducendo il breve inciso, dove alla brillante voce di Anderson fa di nuovo eco un irridente tema di tastiera. Si rallenta, su una ritmica stoppata Rick Wakeman ci delizia con un simpatico riff che potrebbe essere tranquillamente l'inno nazionale dei simpatici visitatori. Successivamente, sotto i colpi irregolari inferti sulle pelli da Mr. White e una raffica di sedicesime sparate dal basso, l'assolo di tastiera si fa più maestoso e caotico, assumendo inquietanti sonorità aliene. Al minuto 02:17 rimane uno spaziale tappeto sparato dal Birotron, il precursore dei sintetizzatori, Squire riprende il ridondante groove di basso, Jon Anderson lentamente riparte dalla strofa, accompagnandoci verso il brioso inciso. Irrompe nuovamente Rick Wakeman, con un prolungato e pomposo assolo di tastiera. Sul tappeto di sedicesime sparato da Squire, iniziano a danzare inquietanti schiamazzi che sembrano provenire dallo spazio profondo, ma in realtà sono sparati dalla Les Paul di Howe, che finalmente poi si fa notare con un assolo di chitarra, accompagnato dalle squillanti tastiere di Mr. Wakeman. Nella parte finale Howe riprenda ad emettere gli inquietanti schiamazzi alieni, che si fanno largo fra i taglienti riff sparati da Wakeman. Improvvisamente una violenta esplosione pone fine alla stordente cacofonia, rimandando gli extraterrestri nello spazio da dove sono venuti. In fader iniziano a riprendere vita le aliene sonorità dell'introduzione. In sottofondo, oscurato dalle tastiere e dalla chitarra possiamo percepire Jon Anderson che ci invita ad aguzzare la vista in cerca di testimonianze aliene. La cacofonia carica di elettronica sfuma lentamente lasciando il campo al Birotron che conclude con suoni che sembrano provenire da un'altra galassia. Jon Anderson è incredulo e diffidente, quando riceve una telefonata da parte di un amico, che sostiene di aver appena visto un UFO. Ma poi, ragionando a mente fredda, si ricorda quando, una notte, mentre contemplava le stelle, udì una inquietante voce venuta dal tempo, che lo fece trasalire. La voce lanciava strani messaggi, sosteneva che nello spazio vi è un centro che accomuna tutte le forme di vita. Collegando i due avvenimenti, Anderson mette da parte la diffidenza ed inizia a credere che forse l'essere umano non è l'unica forma di vita a popolare l'immenso Universo. Forse, in arrivo dagli eoni dei tempi, stanno davvero arrivando delle forme di vita aliene, a bordo di strani vascelli che la mente umana non potrebbe concepire. Jon Anderson è affascinato ed elettrizzato dalla possibilità di incontrare una nuova forma di vita, proveniente da chissà quale pianete e chissà da quale tempo. Ora lui si sente il pazzo e l'ingenuo che crede all'esistenza degli UFO, ed ogni notte si mette a fissare l'infinito cielo, sperando di scorgere un'astronave che arriva dallo spazio profondo. Altro brano atipico, dove domina prepotentemente Rick Wakeman con futuristiche sonorità elettroniche che fanno pensare ad un brano dei primi anni 80. Forse questo è l'esempio lampante delle teorie di Mr. Wakeman, che sostengono ci fossero ottime idee rovinate dalla produzione e da arrangiamenti eccessivi. Brano che però all'epoca riuscì ad attirare le attenzioni di chi era ostile agli Yes.

Circus Of Heaven

Sonorità ancora più insolite per la successiva Circus Of Heaven (Circo del Paradiso). Durante quasi tutto il brano, Alan White ci tedia con uno snervante sonaglio con i campanelli, attirando le ire degli energici ascoltatori del punk, amanti di serrati e martellanti 4/4. Squire prevale con un groove di basso dai sentori reggae, Steve Howe ricama con la sua Gibson, imitato da Rick Wakeman con irridenti sonorità sparate dal Birotron. In questa insolita e stucchevole babele sonora emerge Jon Anderson, con una squillante linea vocale, rafforzata da cori e controcanti dal sapore anni sessanta. La tediosa ed inusuale strofa perdura anche troppo. Dopo circa un minuto e mezzo i controcanti che ricordano i Beach Boys si fanno più pronunciati. Ci pensa Rick Wakeman a spezzare la monotonia, con un solitario assolo di tastiera, che di certo non rimane fra quelli più memorabili proposti dal mago delle tastiere. Si cambia decisamente atmosfera, Steve Howe rievoca sonorità del Pel Paese pizzicando sapientemente le corde di un suggestivo mandolino. Un sobrio pad di tastiera accoglie Jon Anderson che si presenta con una teatrale linea vocale. Al minuto 03:41 alla tenera età di 6 anni fa l'ingresso nel mondo della musica Damion Anderson, recitando alcune versi scritti appositamente per lui da papà Jon.  Dopo la dubbia parentesi da Zecchino D'Oro, Alan White ritma con sporadici colpi ovattati di gran cassa e usando le spazzole, Rick Wakeman ci avvolge con un bel tema di tastiera, sicuramente la parte migliore del brano, che ha l'unico difetto di durare solamente 9 secondi, spazzata via da una infantile cacofonia fra mandolino e tastiera. Siamo in uno sperduto paesello del Midwest, la popolazione è in fermento per l'arrivo del Circo Del Paradiso. Un bellissimo unicorno guida l'insolita parata, circondato da una nutrita schiera di strane creature molto simili ad angeli. A seguito aveva centauri, elfi, fate ed altre magiche creature che sembrano provenire dalla Terra Di Mezzo. C'erano anche sette bellissimi carri dorati, trainati da cavalli volanti. Un gigante era a difesa dei Sette Signori delle Montagne del Tempo. Tutti si inginocchiarono al passaggio del Settimo Re della Settima Era, accompagnato da una fanfara dalle sonorità incredibili. Dopo la sfilata ha inizio lo spettacolo, i magici circensi rievocano ataviche battagli che hanno segnato il cammino dell'uomo, passando dal saccheggio di Troia ai Giardini di Babele, fino ad arrivare al regno di Alessandro il Grande. Una volta finito lo spettacolo, il Circo del Paradiso si mise in cammino, in cerca di una nuova cittadina da incantare. In conclusione, Jon Anderson lancia un velato messaggio di chiaro stampo animalista, sostenendo che si può ottenere uno spettacolo degno di nota senza che tristi clown abusino della pazienza di poveri animali incatenati. Senza ombra di dubbio abbiamo ascoltato il brano più controverso (leggi orrendo) mai scritto dagli Yes, dove si salvano solamente le epiche liriche dal sapore fantasy. Brano che ha sconvolto talmente alcuni seguaci del combo albionico, tanto da farli diventare degli ex fans degli Yes.

Onward

Si cambia decisamente registro con la successiva Onward (Dinanzi A Me), brano interamente firmato Chris Squire. Steve Howe ha il compito di eseguire il tema portante del brano, un ridondante ed avvolgente tema che viene eseguito in diverse tecniche per non risultare tedioso. Alan White ritma con il suggestivo vibrafono, strumento a percussione, fratello maggiore dello xilofono, dal quale si differisce per le lamelle in metallo, amplificate da una cassa di risonanza, suonato tramite battenti con la testa in gomma o feltro. L'atmosfera iniziale ci porta con la mente alle inquietanti, ma affascinati atmosfere della bellissima serie Twin Peaks, partorita dal geniale David Lynch. Jon Anderson si supera con una melliflua linea vocale, che quasi ci ipnotizza. Nel ritornello Rick Wakeman ricama con ancestrali flauti ed avvolgenti pad. Chris Squire aiuta il compagno di sezione ritmica con profonde pennate di basso. Il tema di chitarra proposto da Steve Howe è semplice quanto ammaliante e sembra provenire da un'altra dimensione. Dopo un breve break strumentale, nella strofa successiva viene aggiunto uno struggente pad orchestrale da brividi, gentilmente offerto dal grande amico di Chris Squire Andrew Pryce Jackman, tastierista del vecchio gruppo del gigante buono, i Syn. Spinto dai bellissimi arrangiamenti orchestrali Jon Anderson vola in alto nel successivo ritornello, facendoci venire la pelle d'oca. Dopo un breve emozionante intermezzo orchestrale, Rick Wakeman fa centro con un bellissimo assolo di tastiera, blando ed avvolgente, una sorta di epico inno che sposa in pieno le melliflue atmosfere del brano. Sulle ali dell'assolo di Wakeman fa la sua ultima apparizione l'inciso, enfatizzato dagli struggenti arrangiamenti orchestrali, che spingono il più in alto possibile un Jon Anderson da pelle d'oca. Con un rallentamento di gran classe i nostri chiudono questo emozionante brano. Più che di liriche possiamo parlare di una vera e propria breve poesia d'amore, che il romantico Chris Squire dedica alla sua anima gemella. Ogni piccolo gesto che compie Chris Squire è legato all'amore verso la sua amata. All'interno della musica che compone, vi è sempre l'amore che lui prova per lei, la luce che arde nel buio della notte, rendendola luminosa come il giorno. L'amore che Chris Squire donato alla fortuna donna, è pienamente ripagato da quest'ultima, che risponde con dolci gesti e melliflue parole, illuminando come il sole l'oscurità delle notti. Con questi oltre quattro minuti di vera e propria poesia musicale, i nostri spazzano via le perplessità lasciate dal brano precedete. Insieme a Soon, Onward è uno dei brani più dolci ed emozionanti mai scritti dagli Yes.

On The Silent Wings of Freedom

Con la conclusiva On The Silent Wings of Freedom (Sulle Silenziose Ali della Libertà), le melliflue atmosfere che ancora riecheggiano nella nostra mente, vengono spazzate via dalla brillante ritmica proposta da Mr. White, sulla quale si sbizzarrisce un superbo Chris Squire con un prolungato mix fra groove e assolo con il Rickenbacker carico di effetti. Wakeman e Howe ricamano con spaziali intarsi. Steve Howe inizia a duellare a colpi di note con l'amico Chris.  La prolungata introduzione dai sentori fusion si protrae fino al minuto 02:36, fino a quando entra in scena Jon Anderson con una brillante linea vocale che ricorda vagamente Sting, a cui fanno eco Rick Wakeman con degli squillanti temi di tastiera e Steve Howe con ammalianti arpeggi flangerati. Dopo la terza strofa, che si segnala come una delle cose più interessanti dell'intero platter, un breve intreccio di assolo di basso e chitarra precede l'insolito inciso, dove gli strumenti sovrastano l'armonia vocale dai sentori Policeiani. Fa il suo ritorno la strofa, appesantita a dismisura dagli arrangiamenti, fra ritmiche stoppate, irridenti riff di tastiera, assolo di chitarra e basso flangerato che imperversa. Dopo un vorticoso intreccio di assolo che coinvolge tutti gli strumenti, la babele sonora viene arricchita da una allegra armonia vocale. Dopo essere stati investiti da una vera e propria cacofonia, finalmente un po' di pace per le nostre orecchie, Rick Wakeman dispensa un avvolgente pad di tastiera di forte atmosfera, dove Chris Squire si sbizzarrisce con il Rickenbacker rafforzato dagli effetti a pedale. In mezzo alle pungenti trame del bassista di Kingsbury, irrompe un funambolico riff di chitarra, quasi fuori luogo. Chris Squire continua le escursioni soliste sul magnetico Rickenbacker, accompagnato da Alan White, che di gran classe ritma il tutto limitandosi a raffinati tocchi sui piatti. Rimane solo lo spaziale pad di tastiera, alcuni rintocchi di campane annunciano il ritorno di Jon Anderson che ci ripropone la strofa in versione soft, ricamata da calorosi arpeggi di chitarra e da pungenti note di basso. Le tastiere di Wakeman danno il "la" ad un graduale crescendo che coinvolge tutti. Il mago delle tastiere ci disturba con un breve quanto fastidioso funambolico assolo con l'RMI electric piano, che anticipa il ritorno del caotico inciso sbarazzino dai sentori Stinghiani. Dopo un breve assolo di chitarra, sulle orme della spensierata armonia vocale, in chiusura Rick Wakeman si sbizzarrisce sfoggiando tutta la sua tecnica con un interminabile assolo di tastiera, a cui fa eco il poderoso Chris Squire. Le liriche sono un filosofico ed ancestrale viaggio che illustra la vita dell'uomo, in cerca dell'equilibrio dell'anima, trasportato dalle silenziose ali della libertà che sfruttano i venti delle stagioni celestiali. L'uomo sogna un amore eterno, che condurrà le vite terrene ad incontrarsi nuovamente, una volta lasciata la vita terrena. Il mistero della vita e quello della morte sono i più grandi enigmi che da sempre tormentano l'esistenza dell'uomo. Noi sappiamo da dove veniamo, catapultati da un rilassante limbo silenzioso in un mondo di suoni. Con quaranta secondi di gemiti battezziamo il nostro ingresso nella vita, accettando la sfida di esistere. Durante il tortuoso cammino l'uomo sarà sempre affamato d'amore, l'unica cosa in grado di curare ogni avversità. I nostri chiudono in bellezza con un brano interessantissimo, che se non era appesantito dagli stressanti arrangiamenti, poteva essere una perla dell'album e non solo, alcune soluzioni, specie quelle solistiche raggiungono l'esasperazione risultando talvolta disturbanti. Le brillanti sonorità elettroniche sono avanti di almeno un lustro rispetto agli standard dell'epoca.

Conclusione

Tirando le somme, Tormato è un album strano, controverso, dove incontriamo numerose idee geniali, troppo spesso rovinate dagli esasperati arrangiamenti. Sono i primi segnali di squilibrio che da qui a poco daranno il via ad un tremendo terremoto che squarcerà gli Yes, lasciando spiazzati i fans. Il via vai dei vari membri ed il ritorno di Rick Wakeman a cui abbiamo assistito fino ad ora non sono nulla a confronto di quello che succederà nel dopo Tormato. Già, Tormato, in molti si chiederanno l'origine del curioso titolo affibbiato al nono album in studio del combo albionico. In origine, Steve Howe aveva proposto di chiamarlo Yes Tor, prendendo il nome da una antichissima ed affascinante formazione rocciosa megalitica, sita a pochi chilometri da Okehampton, nel Devon, nella parte sudoccidentale dell'Inghilterra. Contro il parere di Steve Howe, che era un grande amico di Roger Dean, la copertina fu nuovamente affidata alla Hipgnosis. Il grafico Aubrey Powell propose un giovane con in dosso un vestito elegante ed un bastone rabdomante in mano. Il risultato non venne accolto a braccia aperte dagli Yes. Non si sa bene chi sia stato, se Rick Wakeman per dimostrare tutto il suo disprezzo o Aubrey Powell affranto dalla fallimentare opera, comunque sia qualcuno lanciò un pomodoro sopra la copertina, cospargendola di semi e succulenta polpa rossa. Il risultato ottenuto ebbe molto più successo rispetto alla versione originale, tanto è che gli Yes decisero di adottarla come copertina, cambiando addirittura il titolo dell'album, unendo la parola del titolo originale "Tor" a "mato", storpiando il nome dello squisito frutto di origine americana in "Tormato".  Ma questa non è l'unica stranezza della tribolata copertina. Nel back i nostri sono immortalati mentre indossano occhiali neri e bomber personalizzato con tanto di nome impresso su una targhetta. Sullo sfondo compare il suggestivo sito megalitico di Yes Tor, ma si tratta solo di un rudimentale copia e incolla di altri tempi, in quanto i nostri furono fotografati nei pressi di Regent Park, molto vicino ai Racket Studio di Londra. Lo sbadato di Chris Squire in occasione del servizio fotografico aveva dimenticato il proprio bomber. Per rimediare dovette indossare quello del tour manager Jim Halley, che ovviamente recitava la scritta "Jim", prontamente corretta in "Chris" dallo snervato grafico Aubrey Powell. Per la felicità di Steve Howe, in alto a sinistra rimane il simpatico logo ideato da Roger Dean. Le registrazioni di Tormato sono state effettuate fra il Febbraio ed il Giugno del 1978, facendo spola fra gli Advision Studiose i RAK Studios di Londra. Sotto le direttive degli Yes e del produttore esecutivo Brian Lane un manipolo di tecnici più o meno validi ha dato vita alla produzione più tribolata e controproducente della storia degli Yes. Fra le innumerevoli mani che tempestavano il mixer e pomodori spiaccicati sulla copertina, Tormato è venuto alla luce il 20 Settembre del 1978. Nonostante l'ostracismo dei punk, la critica non proprio benevola, l'album in questione è riuscito a raggiungere la posizione numero 8 in patria e la numero 10 negli Stati Uniti, dove ha conseguito anche il disco di platino, il primo per Squire e compagni. In una intervista Alan White ha detto che in certe parti d'America Tormato è uno dei loro dischi più acclamati dai fans, che cercano sempre di farselo autografare. Un album che forse, sotto la sapiente e giudiziosa direzione di Eddie Offord, sarebbe stato assai diverso e più funzionale. Le brillanti sonorità elettroniche lo fanno sembrare un prodotto del decennio successivo. Peccato perché tutti quelli gli arrangiamenti esasperati e pesanti hanno abbassato notevolmente il giudizio finale dell'album, che comunque non è da buttare.

1) Future Times
2) Dont Kill The Whale
3) Madrigal
4) Release, Release
5) Arriving UFO
6) Circus Of Heaven
7) Onward
8) On The Silent Wings of Freedom
9) Conclusione
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