YES
Relayer
1974 - Atlantic Records
SANDRO NEMESI PISTOLESI
10/09/2015
Introduzione Recensione
Le sessioni di registrazione ed il tour a supporto di Tales From Topographic Oceans sono stati un vero e proprio incubo per Rick Wakeman, tanto da portarlo a prendere la drastica decisione di abbandonare gli Yes, rassegnando le dimissioni. Il caso volle che di lì a poco, il povero Wakeman fu colpito da un infarto, non una bella cosa per un giovane ed aitante musicista. Jon Anderson, preoccupato che l'infarto fosse una conseguenza dello stress dovuto alle sessioni di registrazione e live di Tales From Topographic Oceans, nonostante il divieto, si recò immediatamente al suo capezzale, presso il Wexham Park Hospital di Slough, nella Contea del Berkshire. Rassicurato che le due cose non avevano assolutamente nessun legame, Jon se ne andò assai sollevato. A detta di Jon, i motivi dell'abbandono del gruppo da parte di Wakeman avevano poco a che fare con il leggendario aneddoto del curry (che potete trovare illustrato in maniera dettagliata sulla recensione di Tales From Topographic Oceans NDR) o con la noia. In realtà il problema era che Rick non riusciva a suonare bene un assolo particolarmente fondamentale. Jon lo stressava con tediosa insistenza, invitandolo a studiarlo bene a fondo ed impegnandosi al massimo. Il tutto per oltre una dozzina di volte, tormentandolo per tutto il tour, fino a quando il povero Wakeman esplose dicendo: "Basta, mi fai diventare matto. Ne ho abbastanza, me ne vado!" Preso dai rimorsi Jon tentò di rimediare al danno, ma ormai aveva spinto Wakeman sull'orlo del baratro. L'annuncio ufficiale dell'uscita dagli Yes da parte di Rick Wakeman, fu emanato l'8 Giugno del 1974. La prima scelta per il sostituto cadde sul greco Vangelis Papathanassiou, musicista che Jon Anderson ammirava molto, tanto è che in futuro i due instaureranno una soddisfacente collaborazione sotto il nome di "Jon & Vangelis". Jon si recò a Parigi, assieme a Phil Carson, boss della Atlantic Records di Londra, per convincere il tastierista ellenico a far parte del progetto Yes. Fu un incontro memorabile, il suo bizzarro appartamento era arredato per lo più da belle giovani donne. Nell'ampio soggiorno aveva un bersaglio per il tiro con l'arco. Durante il colloquio, le frecce vibravano veloci sfiorando le persone che si trovavano nel soggiorno, finendo sempre nel centro del bersaglio. Dopo un paio di prove con gli Yes, Vangelis declinò l'invito, il problema principale era che lui era terrorizzato dall'aereo e non ci sarebbe salito sopra per nessuna ragione al Mondo, cosa impensabile di fronte al tour mondiale che era alle porte, inoltre non è che legasse più di tanto con lo scorbutico Steve Howe. Brian Lane allertò tutti i conoscenti per trovare un rimpiazzo al più presto possibile. Alla fine fu il giornalista Chris Welch a raccomandare quello che sarebbe stato il nono membro degli Yes. Patrick Moraz nasce a Morges, in Svizzera, il 24 Giugno del 1948. Alla tenera età di cinque anni era già in grado di comporre pezzi per pianoforte. La sua carriere fu bruscamente rallentata da un incidente sui pattini a rotelle, che gli costò la frattura di quattro dita della mano destra. Il responso dei medici fu lapidario, non sarebbe più stato in grado di suonare musica classica. Per fortuna poi, grazie ad un duro lavoro di terapia e di pratica, riuscì a smentire le funeste previsioni dei medici, ritornando a suonare ed ottenendo anche alcuni importanti riconoscimenti in patria. Attratto dalle avvolgenti sonorità delle band inglesi, in primis i Beatles, ma anche Nice ed Yes dopo averli ammirati in sede live in Svizzera, all'età di diciassette anni acquistò un biglietto aereo per l'Inghilterra e partì armato del solo spazzolino da denti. Fece tappa a Bournemouth, racimolando del denaro tramite lavoretti come cameriere, che gli servirono anche ad imparare i primi rudimenti della lingua inglese. Iniziò anche a suonare. Durante la sua permanenza in Inghilterra si scontrò sovente con L'Unione Musicisti, un potente sindacato dalle rigide regole, che lo costrinse più volte a lasciare l'isola britannica. Vi ritornò nel 1969, incidendo un disco con i Mainhorse. In occasione di un concerto dei Nice in Svizzera, aveva avuto l'occasione di fare una jam con la sezione ritmica di Mr. Emerson (che a dire il vero non fu proprio entusiasta di tale "invasione" da parte di Moraz). E proprio assieme al bassista Lee Jackson ed al batterista Brian "Blinky" Davison formò i Refugee, band con cui si sentiva in perfetta sintonia e con la quale incise un disco. Poi, in un caldo mercoledì della prima settimana del mese di Agosto del 1974, ci fu l'inaspettata chiamata degli Yes. Era l'occasione della vita, era stato chiamato da una delle migliori band del momento a sostituire il miglior tastierista del pianeta. Dopo un paio di sessioni di prova, accettò con entusiasmo l'invito e se pur a malincuore, lasciò i Refugee. Quel memorabile mercoledì, la band stava provando il materiale per il nuovo album, Relayer. Moraz rimane tramortito nel sentire suonare Sound Chaser. Patrick dette immediatamente il suo contributo buttando giù le partiture che poi finiranno sul disco. Le sessioni di composizioni avevano come sede lo studio presso l'abitazione di Chris Squire, ubicata in Virginia Water, nella contea di Surrey, acquistata dal gigante buono nel 1972, dove i nostri stavano rinchiusi perlomeno otto ore al giorno. Il carattere solare di Patrick Moraz fece sì che si integrasse immediatamente con il gli Yes, entrando in perfetta sintonia anche con il difficile carattere di Steve Howe. Fu immediatamente soprannominato "il barboncino svizzero" a causa della sua inconfondibile capigliatura, e veniva sovente deriso per i suoi proverbiali strafalcioni in lingua inglese, che spesso portavano ad imbarazzanti equivoci. Le nuove composizioni di Relayer ripropongono lo stesso formato di Close to the Edge, un lungo brano sul primo lato e due brani di circa nove minuti sul secondo. Lo stile musicale invece è piuttosto diverso, con sonorità più oscure e grintose ed alcune influenze prossime al jazz rock. Un grosso rischio, con le semplici e concise sonorità del punk che lentamente stavano prendendo piede in Inghilterra. Relayer si rivelerà ancora un disco controverso, come il suo predecessore, però accolto in maniera più che positiva dalla critica. Ci sono pareri contrastanti riguardo Relayer, alcuni lo considerano un lavoro "minore" degli Yes, altri uno dei migliori dell'intera discografia.
The Gates Of Delirium
Sta a noi giudicare dove sta la verità, inserendo Relayer nel nostro lettore. La prima traccia che incontriamo è The Gates Of Delirium (I Cancelli del Delirio), una lunghissima suite di 21:55 minuti, stavolta non suddivisa in sottotracce, brano che vanta il record di canzone in studio più lunga degli Yes (escludendo la versione restaurata di The Revealing Science of God - Dance of the Dawn, che arriva a ben 22:22 minuti). Sin dalle prime note dell'introduzione notiamo che il suono è ben più aggressivo e grintoso rispetto ai precedenti album. Alan White accarezza velocemente il "ride", un caotico e marziano tappeto di tastiera accoglie grintosi ricami di chitarra. Dopo una serie di colpi stoppati, la tastiera di Patrick Moraz spara un bel tema pomposo e squillante, la chitarra di Howe si fa più aggressiva. Al minuto 02:26 entra in scena il cantastorie di Accrington, seguito da Chris Squire, che torna fragoroso ed imponente come ai vecchi tempi. La ritmica sostenuta proposta dal valente Alan White, spinge Jon Anderson a rendere più piccante la linea vocale. Un breve interludio strumentale con la chitarra protagonista ci separa dall'inciso, che si presenta con frizzanti tastiere che si intersecano a meraviglia con la brillante linea vocale. La strofa successiva assume un tono più grintoso, grazie alla incalzante ritmica proposta da Alan White, che allontana definitivamente il fantasma di Bill Bruford. Poi incontriamo un prolungato interludio strumentale, che prima mette in evidenza il sorprendente Patrick Moraz, che successivamente lascia il campo a Steve Howe, per uno stralunato assolo di chitarra. Il basso di Squire ci martella, sconfinando sul finale in parti soliste. Improvvisamente la musica si tranquillizza, rimane un leggero pad di tastiera ad accompagnare una celestiale armonia vocale. La strofa successiva mantiene l'armonia vocale, supportata da una ritmica stoppata, poi incontriamo l'ennesimo interludio strumentale, la potente ritmica accompagna un prolungato assolo di chitarra, suddiviso in tre parti ben distinte. Sul finale una grintosa armonia vocale si intreccia con le note della chitarra, poi una squillante ed epica tastiera apre le porte ad una potente cavalcata ritmica, il basso di Squire domina, tenendo testa prima ad un assolo di tastiera, dove Moraz non fa affatto rimpiangere Wakeman, duellando poi con un grintoso assolo di chitarra. Steve Howe e Moraz si alternano più volte con funambolici assoli, accompagnati a dovere da una caotica sezione ritmica. Il prolungato interludio strumentale sfocia in folli sonorità che mixano la grinta del rock con l'improvvisazione del jazz, facendo morire d'invidia Bill Bruford, che aveva seguito l'insano Robert Fripp in cerca di sonorità più estreme. I nostri si sbizzarriscono sfornando una babele sonora difficile da decifrare, sovrapponendo le proprie linee soliste, ottenendo un insolito sferragliante wall of sound. Una prolungata rullata annuncia l'ennesimo cambio, rallentano i BPM, White ci delizia con una ritmica composta da lunghe rullate, ma il protagonista è ancora Patrick Moraz, con un fragoroso assolo di tastiera, seguito poi da Steve Howe. I due danno vita ad un epico duello a suon di note lancianti fino al minuto 15:05, dove lentamente le cotiche sonorità sfumano, chiudendo i cancelli del delirio e ponendo fine all'epica battaglia, lasciando il campo ad un ben più rilassante tappeto di organo che annuncia venti di pace. The Gates Of Delirium non risulta suddivisa in sottotracce nelle note di copertina, ma al minuto 16:24 ha inizio una rilassante seconda parte, che gli Yes hanno pubblicato come singolo sotto il titolo di Soon (Presto). Avvolto da una nebbiosa atmosfera dispensata da Mr. Moraz, Steve Howe ci incanta con la con un ammaliante assolo eseguito con la sua fida Fender lap steel guitar. Lentamente entra in scena un solare strumming di chitarra acustica che apre le porte all'ingresso di Jon Anderson, il quale ci conquista immediatamente con una linea vocale celestiale, senza ombra di dubbio fra le migliori proposte dal santone di Accrington. Steve Howe ricama con emozionanti appendici l'angelica linea vocale, riprendendo poi l'assolo iniziale, che si segnala come una delle più interessanti esecuzioni con la lap steel guitar. Ritorna il celestiale inciso, sul finale Jon Anderson sale in cielo spinto dalla chitarra, la parte finale dell'assolo è semplicemente da brividi. Soon è un sorprendente lieto fine, dolce e melodico che riesce ad addolcire il delirio musicale dei primi 16 minuti. Le liriche sono ispirate all'opera Guerra e pace di Lev Nikolaevic Tolstoj. Nella prolungata e delirante parte strumentale, i nostri rievocano la sanguinosissima battaglia di Borodino, simulando una guerra dove le armi sono i rispettivi strumenti e i proiettili le funamboliche note. La sanguinosa battaglia fu definita da Napoleone la più terribile di tutta la campagna russa, che vide evaporare le vite di circa 80.000 uomini, diventando un simbolo della vittoriosa guerra patriottica contro l'invasore, grazie alla tenacia e all''incrollabile capacità di resistenza dell'esercito e della nazione russa. Fra onore e rispetto, si combatte duramente cercando di respingere l'invasore. In questo caso vivere pacificamente non sarebbe sinonimo di libertà, quindi bisogna combattere duramente, osservati dal cinico occhio dei leader. Sotto le ali del demone si instaura una sanguinosa battaglia in nome della libertà, uccidi o sarai ucciso, vendica i tuoi amici. Contrasta i nemici, dà a loro quanto loro danno a noi, odio e sofferenza; poi l'anima troverà la redenzione. La guerra sembra non avere fine, in queste crude e violente liriche, inusuali per una persona solare e pacifica come Jon Anderson, che però si riconosce nella poche righe della parte finale intitolata Soon, dove canta che presto arriverà la luce a curare questa notte senza fine. Il nostro cuore si aprirà, guidato dalla luce del Sole, illuminando la ragione per cui siamo qui, la libertà, un nostro diritto, pagato però a caro prezzo. La prima parte del brano, con le spensierate linee vocali e i briosi riff di tastiera ci porta velocemente verso la tediosa parte strumentale centrale, dove i nostri instaurano una dura battaglia sonora, sovrapponendo parti soliste indipendenti legate sapientemente fra loro, dando vita ad una babele sonora talmente nevrotica che non sfigurerebbe come colonna sonora in una delle primissime oniriche e visionarie pellicole di David Lynch. Quando le nostre orecchie sono al limite della sopportazione, come per magia arriva la melliflua Soon, con il bellissimo intreccio fra la voce celestiale di Anderson e le magiche note della lap steel guitar di Steve Howe, segnando uno dei momenti più belli ed emozionanti dell'intera discografia yessana.
Sound Chaser
Le dolci sonorità di Soon vengono brutalmente spazzate via dalla schizofrenica introduzione della successiva Sound Chaser (Il Corridore del Suono), aperta da aliene tastiere e da rocambolesche corse sui tom da parte di Alan White, alle quali si alternano vertiginosi groove di basso. Poi una interminabile corsa sui tom anticipa un virtuoso unisono che ci introduce alla strofa, l'armonia vocale si lega a fatica con la caotica struttura musicale, Steve Howe esegue una serie di fraseggi ad una velocità incredibile, seguito come un'ombra dal basso, che successivamente viene lasciato in solitudine per una velocissima escursione solista, alla quale poi si riallaccia Steve Howe, seguendo all'unisono le orme di Squire. Alan White segue le vertiginose velocità percuotendo il ride, il tutto si svolge sopra ad uno spaziale trappeto di tastiera. Al minuto 03:07 rimane il solo Steve Howe, che si cimenta in una serie di prolungati fraseggi rock-jazz. Moraz stende un bel tappeto di tastiera, invitando Steve Howe a suonare qualcosa di più melodico, il nostro ci colpisce con uno struggente tema di chitarra che vagamente ricorda il tema de Il Padrino. Prosegue poi il funambolico ed autocelebrativo lavoro di Howe con la sei corde, che finalmente rallenta sotto i cadenzati ed enigmatici colpi del basso. Patrick Moraz aggiunge un tappeto di violini, Steve Howe continua a fraseggiare con la chitarra, ma in maniera meno invadente. Finalmente arriva Jon Anderson a porre fine al prolungato assolo di chitarra. L'evocativa linea vocale viene accompagnata dal solo Steve Howe che gioca sapientemente con il pedale del volume. Improvvisamente una inquietante tastiera anticipa una breve escursione solista di Chris Squire, che apre la porta ad un nuovo interludio strumentale. L'epica tastiera si intreccia con i grintosi accordi della chitarra, poi improvvisamente aumentano i BPM a supportare una serie di improvvisazioni jazz dai sentori crimsoniani, che faranno crepare d'invidia Bill Bruford. Chris Squire domina. Si rallenta nuovamente, ma le improvvisazioni continuano, stavolta è Patrick Moraz ad emergere con un bel tema di tastiera. Una breve armonia vocale a cappella anticipa l'ennesima veloce cavalcata ritmica, che supporta un funambolico assolo di organo che dimostra una tecnica eccelsa e padronanza dello strumento. La parte di basso è indescrivibile e lo diventa ancora di più nel vorticoso unisono degli strumenti che ci accompagna verso il finale, spezzato da un effimero ritorno dell'armonia vocale poco prima del rocambolesco epilogo. Le brevi liriche ricalcano la caotica struttura musicale del brano, con una serie di licenze poetiche di difficile interpretazione Jon Anderson rafforza l'importanza del rapporto di coppia. Sotto i colpi dell'eccitante libertà del ritmo, la nostra coscienza viene influenzata dal moto del bilanciamento e del riequilibrio delle stelle. Durante il cammino della vita, incontreremo nuove persone, se scatterà la scintilla vivremo esperienze fantastiche, facendo scudo con i nostri corpi alle avversità che ci riserva la vita. Lo scopo principale è quello di incrociare gli occhi della propria amata, superando insidie ed ostacoli, sperando di andare il più possibile avanti nel tempo insieme. La caotica introduzione di stampo jazzistico è una novità per il combo albionico, insieme alla successiva strofa mette alla prova gli ascoltatori. Le pacate atmosfere della parte centrale danno nuova linfa alle nostre orecchie, che vengono nuovamente massacrate nel fiale in una nevrotica babele sonora. Sicuramente un brano difficile, che ha bisogno di una serie di ascolti accurati per essere apprezzato fino in fondo.
To be Over
In men che non si dica siamo giunti alla traccia conclusiva dell'album, To be Over (Finiremo), aperta da orientaleggianti tastiere che fanno da supporto all'ennesima escursione con la steel lap guitar da parte di Steve Howe. La rilassante introduzione ci trasporta all'interno di un mistico tempio buddhista immerso nel verde dell'Asia, riuscendo a spazzare via le scorie lasciate dal brano precedente. Al minuto 01:57 entra in scena la sezione ritmica, con un tempo tranquillo e cullante, la melliflua armonia vocale proposta da Anderson e compagnia cantante ha sentori hawaiani. Dall'affascinante Asia, con la mente siamo trasportati in una delle accoglienti isole dell'arcipelago, che dal 1959 formano la 50º stella federale degli Stati Uniti d'America. Un breve bridge in salire anticipa un interludio strumentale che vede protagonista prima Patrick Moraz con uno squillante riff di tastiera, poi Steve Howe con un prolungato assolo eseguito con la Fender lap steel guitar, le cui calde sonorità ci riportano nuovamente nei pressi di Honolulu. Ad infrangere l'accogliente atmosfera ricreata dal combo albionico irrompe un improvviso grintoso fraseggio di chitarra, che fa da bridge alla seconda parte dell'assolo, stavolta eseguito con la chitarra elettrica, composto da una serie di scale funamboliche che sprigionano melodia da tutti i pori. Dopo un bel tema all'unisono con la tastiera, Steve Howe continua il prolungato assolo di chitarra, che al minuto 05:34 viene spazzato via dal ritorno della strofa, con la sue atmosfere radiose e positive, grazie alle solari tastiere che si intrecciano meravigliosamente con la linea vocale di Jon Anderson. Quando il brano sembra volgere alla fine, Alan White aumenta i BPM, invitando Patrick Moraz a prodigarsi con un bellissimo assolo ricco di tecnica, ricamato sapientemente da Steve Howe, la sezione ritmica si mantiene sugli standard del brano, senza risultare invadente, supportando un epico duello fra chitarra e tastiera. Nell'inciso finale ritroviamo l'immancabile armonia vocale, alla quale si intrecciano melodici fraseggi di chitarra. Sul finire un bellissimo unisono fra tastiera e chitarra dai sentori orientaleggianti ci accompagna dolcemente verso l'epilogo di questa calorosa ed insolita ballata. Stavolta le liriche sono ancora più brevi, e traspariscono calore e positività, rispecchiando a pieno la parte musicale. Mentre navighiamo nel lungo fiume della vita, non dobbiamo disperarci pensando al futuro, che sembra sigillare le porte dei nostri sogni. Bisogna vivere alla giornata, il tempo guarirà le paure e sfruttando la fanciullezza della nostra anima dobbiamo volare alla ricerca dei nostri sogni, se saremo positivi, le porte che finora abbiamo trovato chiuse si apriranno, facendoci trovare finalmente la pace, l'amore e la tranquillità. Liriche in cui purtroppo intravedo il senso della vita attuale, in molti senza un lavoro fisso sono costretti a vivere alla giornata, tenendo a freno i propri sogni. Solo se armati di coraggio, convinzione e positività sarà possibile aprire una delle tante porte troppo spesso vengono trovate chiuse. To be over è una piacevole ed insolita ballata, dalle atmosfere gioiose e rilassanti. Il fatto che il brano mantenga stranamente una costante linea melodica, bilancia perfettamente alcuni nevrotici interludi strumentali della precedente traccia.
Conclusioni
Nell'anno in cui i Genesis si affermano a livello mondiale con l'opera The Lamb Lies Down On Broadway ed i King Crimson pubblicano l'oscuro Starless and Bible Black, gli Yes sono chiamati a riscattare il mezzo passo falso (secondo la critica, ma non a livello commerciale) del precedente album. La dipartita di Rick Wakeman non agevola di certo il compito, anche se il sostituto Patrick Moraz, alla fine si rivelerà all'altezza del mago delle tastiere. Seguendo la struttura di Close To The Edge, che prevede una lunga suite sulla prima facciata e due tracce di circa nove minuti sulla seconda, i nostri sfornano un album oscuro, dalle sonorità molto più aggressive e spesso sferraglianti, assai diverse se paragonate alle sonorità dei precedenti lavori e forse troppo moderne per l'epoca. Nonostante i numerosi interludi strumentali al limite del nevrotico, risulta assai più facile da ascoltare rispetto al precedente Tales From Topographic Oceans, grazie ad alcune geniali melodie, messe al punto giusto. Il singolo Soon, estrapolato dalla lunga suite The Gates Of Delirium è la perla del disco, uno dei brani più dolci ed emozionanti dell'intera discografia del quintetto albionico. A causa delle prolungate sessioni strumentali, Jon Anderson risulta leggermente al di sotto degli altri, fatta eccezione della citata perla Soon, dove domina. La sezione ritmica offre una prestazione con i controfiocchi, sia durante i (pochi) passaggi ritmici, che nelle (molte) escursioni soliste. Finalmente si risente il fragoroso Rickenbacker sporcato dagli effetti, mentre Alan White si conferma il degno sostituto di Bruford massacrando il drum set, aggiungendo la potenza alla tecnica. Steve Howe ha un sound assai più aggressivo rispetto al passato, che però riesce a compensare con innumerevoli escursioni melodiche con la steel lap guitar. L'ultimo arrivato Patrick Moraz riesce incredibilmente a non fare rimpiangere Rick Wakeman, pur avendo una minore varietà di sonorità, riesce a dare una grinta incredibile al wall of sound yessano, dimostrando di essere in possesso di una eccelsa tecnica strumentale e di un'ottima padronanza dello strumento. Purtroppo per lui, Relayer sarà l'unico album in studio registrato con gli Yes, con i quali ha però ha partecipato al tour dell'album dal 1974 al 1976, dove, in quest'ultimo anno, Patrick Moraz tenne la bellezza di circa 75 concerti, prima di ricevere il benservito a beneficio del ritorno di Rick Wakeman, ma questa è una storia che approfondiremo nella prossima recensione. Relayer è stato registrato tra l'Agosto e l'Ottobre del 1974 presso i New Pipers Studios, siti nella proprietà di Chris Squire in Virginia Water, nella contea del Surrey, dove i nostri hanno passato intense giornate in compagnia del fido Eddy Offord, che insieme alla band si è occupato della produzione. Sempre sotto l'occhio vigile della major Atlantic, l'album è uscito il 28 Novembre del 1974 per il mercato inglese, mentre gli Stati Uniti hanno dovuto pazientare fino al 5 Dicembre. L'artwork è affidato, come di consuetudine, al grandissimo artista Roger Dean, che anche in questa occasione sforna una bellissima opera d'arte. Ispirandosi a tematiche fantasy come i Cavalieri dei Templari ed il Signore degli Anelli, il nostro dà vita ad una aliena struttura scolpita in maestose rocce che sembrano far parte di un altro mondo. Sopra un ponte, anch'esso scolpito nella roccia, transitano alcuni cavalieri, ricollegandosi alle tematiche liriche di guerra presenti in The Gates Of Delirium, mentre più a sinistra, una coppia di serpenti si crogiola al sole fra le calde rocce. Al centro domina l'ormai classico logo Yes con sopra il titolo dell'album, scritto in un gotico rivisitato. Le colorazioni predominanti sono molto sobrie e spaziano fra sfumature di grigio e ocra chiari. Tirando le dovute somme conclusive, pur risultando un album difficile, Relayer risulta meno opprimente di Tales Of Topographic Oceans, nonostante ciò ha bisogno di una serie di ascolti approfonditi per essere capito ed apprezzato al meglio. Il sound moderno per l'epoca, forse lo rende assai più appetibile adesso. La perla Soon ne alza notevolmente la valutazione. Dedicato ai vecchi fan degli Yes, oppure a chi ascolta il vecchio progressive di una volta e che odia le future escursioni commerciali di Yes, Genesis e compagnia cantante.
2) Sound Chaser
3) To be Over