YES

Open Your Eyes

1997 - Beyond Music

A CURA DI
SANDRO NEMESI PISTOLESI
02/02/2016
TEMPO DI LETTURA:
5

Introduzione Recensione

Fra il 1996 ed il 1997, i poveri fans degli Yes sono più che disorientati che mai dall'ennesima rivoluzione, da un nuova direzione musicale e dalla enorme quantità di dischi usciti, fra band e spin-off solisti. Jon Anderson pubblica ben quattro album solisti, Rick Wakeman esagera con ben 10 uscite ed era impegnato con la EMI per un mastodontico progetto dal suggestivo titolo "Return To The Centre Of The Earth", svelando i retroscena del suo rifiuto ad uscire in tour con gli Yes in occasione di "Keys To Ascension 2" (che di conseguenza lo portò ad uscire dalla band), ovvero era sommerso dai troppi impegni personali ed aveva già programmato numerose date in tutta Europa. Steve Howe ne pubblica due, ma è in procinto di ultimare "Quantum Guitar", trovandosi ad essere l'unico membro della band con residenza nel Regno Unito, motivo per cui non partecipò in maniera sostanziale alla composizione dei brani del futuro "Open Your Eyes". Il primo "Keys To Ascension" era uscito a fine 1996 illudendo i fans di vecchia data, mentre il fratello gemello era praticamente ultimato da tempo, ma non era ancora stato pubblicato a causa della dipartita di Wakeman e dell'impossibilità di supportarlo con un tour. Nel frattempo, Chris Squire aveva iniziato a collaborare con il produttore e polistrumentista Billy Sherwood, per la realizzazione di un suo progetto solista denominato semplicemente The Chris Squire Experiment, progetto che in futuro vedrà la luce con il nome Conspiracy. Nello stesso momento, urgeva trovare quanto prima un rimpiazzo per il talentuoso Tastierista Di Perivale. Dopo che fu scartata l'ipotesi del clamoroso ritorno di Patrick Moraz e il suggestivo coinvolgimento di Eddie Jobson, che già in passato era stato accostato alla band, gli Yes stavano prendendo in considerazione di sostituire l'ingombrante sagoma di Wakeman con un carneade, ed iniziarono le operazioni di scouting. Steve Howe invece caldeggiava un altro clamoroso ritorno, quello dell'amico Geoff Downes, con il quale aveva e stava tuttora collaborando con gli Asia. Proprio quando l'affare sembrava andare in porto, Jon Anderson sentì il materiale composto da Squire e Sherwood per quello che doveva essere il progetto solista del Gigante Buono. E come accadde in occasione di "90125", Il Santone Di Accrington propose ai due di coinvolgere anche Alan White e Steve Howe e fare uscire il prodotto come il diciassettesimo album in studio degli Yes, rimpiazzando Wakeman con Billy Sherwood, in modo da poter supportare l'album con un tour mondiale. Per motivi logistici, Steve Howe non dette un forte contributo alla composizione dei brani, limitando il suo apporto alla registrazione delle parti di chitarra, senza comparire nei crediti compositivi. La notizia di un nuovo album deli Yes previsto per il 1998, con rispettivo tour, giunse alle orecchie di quelli della Essential Records, che immediatamente anticiparono tutti mettendo sul mercato "Keys To Ascension 2". Come risposta, i manager del combo albionico imposero di anticipare quanto prima l'uscita del nuovo "Open Your Eyes", facendo terminare forse in maniera troppo frettolosa le sessioni di registrazione e produzione. Durante questa precipitazione degli eventi, le operazioni di scouting in cerca di un sostituto di Wakeman andavano avanti. A Jon Anderson capitò fra le mani un nastro di un talentuoso tastierista russo di nome Igor Khoroshev, che conquistò immediatamente tutti. Purtroppo, a causa della fretta messa dallo staff manageriale degli Yes a pubblicare il nuovo album, fece si che il Biondo Tastierista Russo raggiungesse gli Yes a sessioni quasi ultimate, limitando il suo apporto a tre sole tracce, senza peraltro comparire come membro ufficiale, ma come special guest al pari dell'altro più illustre ospite Steve Porcaro. Il nostro comunque accompagnerà la band nel tour, entrando definitivamente nella linea up l'anno successivo e contribuendo alla stesura del futuro "The Ladder", quindi rimanderemo le presentazioni ufficiali alla prossima recensione. Invece andiamo a conoscere da vicino quello che è il tredicesimo membro ufficiale degli Yes. Billy Sherwood nasce a Las Vegas il 14 Marzo del 1965, ovviamente da una famiglia di musicisti. Negli anni 80 forma insieme al fratello Michael i Lodgic, ma il suo progetto musicale più importante sono i World Trade, band di neo progressive ispirata agli Yes dell'era Rabin, con all'attivo due album. Il nostro si fa notare per la produzione e come session man, comparendo nei crediti in una lista interminabile di progetti. Agli inizi del nuovo millennio darà finalmente alla luce la progetto Conspiracy insieme a Chris Squire, progetto che era stato rallentato dall'uscita di "Open Your Eyes", dove finirono la maggior parte delle idee del talentuoso duo. E' giunta l'ora di andare ad ascoltare questo tribolato "Open Your Eyes", che inevitabilmente si discosta molto dall'ottimo progressive ascoltato sui gemelli "Keys". L'assenza di Wakeman ed il contributo di Steve Howe ridotto alla sola incisione delle parti di chitarra già scritte, fa sì che le sonorità del platter facciano un passo indietro, avvicinandosi molto a quelle dell'era Rabin.

New State Of Mind

Ad aprire le danze è "New State Of Mind (Nuovo Stato Mentale)", aperta da un accordo in fader che ricorda il rombo di una moto. Poi irrompe un riff all'unisono supportato da un'ossessiva ritmica cadenzata. Il riff viene alternato ad una brillante armonia vocale, che insieme ad alcune squillanti fiammate di tastiera, ci fa venire in mente le sonorità del deludente "Big Generator". Nel chorus emergono pungenti scale di basso, ma si tira troppo per le lunghe con la stessa ritmica, qui le armonie vocali si intrecciano magicamente con la voce del Cantastorie di Accrington, ma sinceramente non è un ritornello che decolla, né si discosta poi tanto dalla linea musicale della strofa. Breve break con un mini assolo di chitarra e ritorna la strofa, che ad un primo ascolto ha un forte impatto sonoro, ma alla lunga risulta tediosa, stesso discorso per il successivo ritornello. Un paio di battute di strofa strumentali e poi finalmente si cambia. Chris Squire cerca di rivitalizzare con un bel groove l'incomprensibile monotonia del compagno di sezione ritmica, mostrando la strada all'ennesima armonia vocale. Ancora un paio di battute strumentali di strofa, e poi si riparte. Se l'armonia vocale all'inizio poteva sembrare vincente, ora diventa nauseante. Il successivo inciso si fonde con un blando assolo di chitarra poco ispirato, riusciamo a percepire che il Maestro Howe non è affatto entusiasta di suonare partiture a cui non ha contribuito in fase di composizione. Un breve break strumentale dai sentori orientaleggianti ci illude, ma poi una rocambolesca rullata ci riporta nella strofa, che ormai ci esce dalle orecchie. A fatica siamo arrivati all'ultimo inciso, che finalmente lascia il campo ad un breve finale strumentale abbastanza caotico, che nemmeno troppo lentamente sfuma verso l'estinzione. E' giusto informarvi che in questa traccia fa la sua prima comparsa con gli Yes il tastierista russo Igor Khoroshev, accreditato solo come "Additional Keyboards". Le liriche continuano il percorso intrapreso con "Mind Drive", dove il Guru Di Accrington, con una sorta di vero e proprio mantra, ci esortava a prendere il pieno controllo della nostra mente. Qui ci invita ad aprire la nostra mente, in modo da poter cogliere al momento giusto quell'attimo fuggente che può dare una svolta in positivo alla nostra vita. Bisogna vincere tutte le nostre paure e calarci in un nuovo stato mentale, che con la sua positività sarà il fattore predominante per far sì che i nostri sogni diventino realtà. Spesso ci capita di voler scappare da tutto, tormentati dai fantasmi del passato, magari non ci accorgiamo che siamo sull'orlo di quello che potrebbe essere il più grande momento della nostra vita. Bisogna essere positivi, disposti a perdonare e a saper amare, questo è il nostro nuovo stato mentale che ci permetterà di uscire da situazioni apparentemente tragiche Sinceramente non sono stato minimamente colpito da questo brano che oserei definire di banale AOR, troppo monotono, privo di fantasia e di passione, brano che di Yes non ha neanche la benché minima parvenza se non le classiche liriche che lanciano profondi messaggi mistici. Le armonie vocali inizialmente potevano sembrare interessanti, ma alla lunga diventano stucchevoli, andando ad offuscare per tutto il brano la cristallina voce di Anderson.

Open Your Eyes

Meglio passare oltre e sperare in "Open Your Eyes (Apri I tuoi Occhi)", aperta da uno squillante effimero arpeggio acustico, al quale si affianca subito una seconda chitarra elettrica con un tema dal sapore orientaleggiante, supportato da un pad di tastiera. Un glissato di basso chiama all'appello Alan White. L'ingresso della sezione ritmica dona un discreto wall of sound con le tastiere in evidenza. Dopo poche battute rimane solo un sottile riff stoppato che accompagna Jon Anderson, che finalmente riesce a recitare cinque parole in completa solitudine. Un breve stacco strumentale all'unisono mette in vetrina il potente groove di basso sparato da Chris Squire, poi arriva la strofa. Alan White spara pochi colpi ma li mette al punto giusto, impreziositi dai profondi glissati di basso. Le trame di chitarra e tastiera sono quasi impercettibili e lasciano il campo ad una briosa e trascinate armonia vocale. Arriva il bridge, Alan White cambia decisamente il ritmo, Jon Anderson inizia a dialogare con l'amico di sempre Squire, che nel frattempo macina una discreta quantità di note con il suo Rickenbacker. Nella parte finale il bridge sale vertiginosamente, mettendo in risalto un suggestivo intreccio di cori e controcanti che brillantemente ci portano verso l'inciso. Tastiera e chitarra riducono ai minimi termini il loro contributo, lasciando gli oneri alla sezione ritmica. Squire e Anderson cantano all'unisono il ritornello, che nella parte finale diventa molto più brioso, la voce di Anderson si va ad intrecciare con un coro paradisiaco ed interessanti controcanti. Andando avanti incontriamo un interludio strumentale dove spadroneggia un grintoso giro di basso, ricamato da timidi accordi di chitarra acustica e da un freddo assolo di Mr. Howe. Ritorna la strofa, seguita dall'ammaliante bridge e dal ritornello. Al minuto 03.10 rimane un ridondante riff di chitarra, ricamato da intarsi di chitarra e tastiera, poi irrompe un prepotente fraseggio di basso carico di effetti che apre le porte all'assolo di chitarra. Le inconfondibile scale di Steve Howe si intrecciano con un armonioso coro. Ritornano in rapida successione strofa, bridge e ritornello, seguiti da un brillante finale dove gli strumenti si fondono con voce, cori e controcanti dando vita ad una bellissima babele di suoni e voci che nel finale vede aggiungersi anche un graffiante assolo di chitarra. Una rocambolesca rullata seguita all'unisono da tutti gli strumentisti va a chiudere. Come spesso accade per i brani più commerciali degli Yes, le liriche sono un susseguirsi e ripetersi di licenze poetiche che lanciano messaggi più o meno positivi. C'è aria di cambiamento, bisogna aprire i nostri occhi e la nostra immaginazione in modo da essere pronti a qualsiasi situazione ci riservi il destino e saper affrontare la realtà senza ritrovarsi poi a piangere sul latte versato. Prima o poi il cambiamento arriverà, teniamo gli occhi aperti e facciamoci trovare pronti. Nonostante anche questo pezzo non sia proprio "Yes" al cento per cento, il risultato è senza ombra di dubbio buono. Le armonie vocali risultano sempre vincenti ed usate intelligentemente, catturandoci all'istante. Interessanti anche i molteplici cambi di ritmo. Si ha l'idea che i nostri abbiano riversato tutte le fantasie e le ispirazioni in questo brano. Ospite d'onore alla tastiere: Mr. Steve Porcaro. Una curiosità, sul primo ed omonimo album dei Conspiracy, il brano "Wish I Knew" mantiene lo scheletro di "Open Your Eyes", con qualche leggera variazione e devo dire con un impatto sonoro leggermente inferiore.

Universal Garden

La successiva "Universal Garden (Giardino Universale)" è aperta da suggestivi fraseggi con la chitarra acustica. Il fatato suono del "chimes" chiama all'appello Billy Sherwood, che con un melanconico pad orchestrale va a ricamare le tristi trame di chitarra acustica. White continua ad accarezzare il "chimes" ed il "ride", scandendo i cambi di tono con colpi di cassa e piatto, seguiti scolasticamente dal basso. I nostri riescono a ricreare una magica atmosfera da brividi, che dopo circa un minuto accoglie il Cantastorie di Accrington. La cristallina voce si intreccia meravigliosamente con le trame della chitarre e gli struggenti pad di tastiera. Questa idilliaca atmosfera purtroppo viene spazzata bruscamente via da una banale ritornello che ci fa cascare le braccia. Nel bridge, aumentano i BPM, l'angelica voce di Anderson viene ricamata dai controcanti, poi un coro celestiale annuncia finalmente il ritorno delle magiche atmosfere dell'introduzione. In questo limbo celestiale Steve Howe esegue un malinconico assolo con la chitarra acustica, ricamato dalle tastiere e da suggestivi brusii. Il Cantastorie di Accrington interpreta meravigliosamente la strofa, intrecciandosi con le trame della chitarra e le tastiere e ricamato da inquietanti sussurri che sembrano provenire da un altro mondo. Purtroppo ritorna il banale ritornello, che di certo non è dei migliori composti dal combo albionico, seguito dal bridge. Una prolungata corsa sui tom apre i cancelli all'assolo di chitarra. Calano i BPM, Steve Howe si fa guidare dai tappeti di tastiera, tessendo trame di gran classe. Andando avanti incontriamo un cambio, le pungenti note di basso spianano la strada al ritorno di Anderson che recita un paio di strofe, poi Alan White aumenta la velocità. Trasportato dalla testiere, in crescendo Jon Anderson spalanca le porte ad un nuovo assolo di chitarra. Alan White dimezza i tempi, nella prima parte Steve Howe segue i passi della tastiera, poi inizia a tessere una delle sue intricate trame. A malincuore dobbiamo riascoltare il ritornello, che alla sua terza apparizione ci risulta proprio infantile. Alan White trascina verso il finale, dove i fraseggi di chitarra si intrecciano con banale linea vocale dell'inciso accompagnandoci verso il finale. Stavolta il Poeta Di Accrington fa un profondo viaggio cosmico alla ricerca di risposte, cercando di recuperare le tessere mancanti del misterioso puzzle che raffigura l'inizio della vita sul Pianeta Terra. Lui immagina che le stelle siano i fiori di un infinito giardino universale, dove tutte le forme di vita vivono in armonia. Con la mente intraprende un affascinate viaggio a ritroso nel tempo, ripercorrendo gli anni che hanno visto la razza umana progredire sino ai giorni nostri, sperando di trovare la risposta alla più antica delle domande. Il giardino universale è mandato avanti dal sentimento dell'amore, che spazza via i cattivi pensieri che troppo spesso albergano nell'essere umano. In questo infinito giardino non ci sono religioni, paure e delusioni, quelle sono tutte cose create dall'uomo. E' incomprensibile come i nostri abbiano potuto abbinare un ritornello che sa di "Zecchino d'Oro" ad interludi di forte atmosfera, che senza ombra di dubbio sono fra i migliori momenti dell'album. Peccato, perché all'iniziano c'erano tutti i presupposti per un brano degno di nota. 

No Way We Can Loose

Veniamo a "No Way We Can Loose (Non C'è Modo Di Perdere)", che dietro il set delle tastiere vede il futuro quattordicesimo membro degli Yes Igor Khoroshev. I nostri ci sorprendono con un gioioso impatto sonoro che sprizza positività da tutti i pori. Chris Squire con solari passaggi di armonica a bocca dona un retrogusto Old Texas. I fraseggi di chitarra ricamano la solare linea vocale di Jon Anderson, che suona un po' da inno della pace. Arriva il chorus, lo squillante arpeggio di chitarra accompagna la calorosa armonia vocale che ci fa venire in mente i buoni propositi di "We Are The World". La spensierata atmosfera ricreata dai nostri, ci proietta in una calda notte sulla spiaggia, a sorseggiare birra ghiacciata di fronte ad un falò. Breve break di armonica a bocca e ritorna la strofa. La ritmica spensierata di Alan White ci invita a battere il tempo sulla prima superfice piana disponibile. Jon Anderson spinge con l'acceleratore aprendo le porte al ritorno del solare inciso. Andando avanti troviamo un interludio strumentale. Le squillanti tastiere di Mr. Khoroshev quasi offuscano le trame dell'assolo di chitarra, poi un graduale crescendo ci porta verso un inaspettato interludio dai sentori reggae, dove accompagnato dal mandolino di Mr. Howe, Chris Squire si diverte con un suggestivo assolo con l'armonica a bocca. Ritorna per l'ultima volta il raggiante ritornello, seguito da un finale dove le note dell'armonica a bocca si intrecciano con i cori ed i fraseggi della chitarra fino al termine. Le liriche vanno a riprendere la positività che emana il brano, spesso non possiamo dare a tutto una risposta e non possiamo fermare i cambiamenti, ma se siamo in pace con il nostro cuore e la nostra mente, possiamo evitare ogni tipo di sconfitta, possiamo trovare una soluzione alle differenze e ai problemi che incontriamo quotidianamente, possiamo trovare il modo di non perdere. Una simpatica e calorosa ballata estiva da birra e salcicce, con piacevoli escursioni verso altri lidi, che non fa gridare allo scandalo, specie nel contesto di questo album.

Fortune Seller

Nella successiva "Fortune Seller (Venditore Di Fortuna)" ritroviamo il simpatico Tastierista Russo dietro al set delle tastiere. Il brano viene aperto da un oscuro suono che ricorda molto da vicino le vibrazioni musicali del "didgeridoo" degli aborigeni. Poi Jon Anderson con uno squillante "didit di didit" annuncia un travolgente attacco di basso, seguito da una inconfondibile armonia vocale alla "Leave It". E' il turno un breve interludio strumentale, dove domina il prepotente basso di Squire, andando quasi ad annientare le briose trame della chitarra. Jon Anderson ricama con i suoi inconfondibili "Didit", imitato da Igor Khoroshev con fiammate di tastiera. Arriva la strofa, potenti pennate di basso scandiscono il ritmo proposto da Mr. White. Rientra in gioco Jon Anderson, rafforzato in alcuni frangenti dai brillanti cori dei colleghi. Improvvisamente la sezione ritmica diminuisce i colpi, andando a ricreare un limbo che pare tenerci sospesi a mezz'aria. Breve break di chitarra e tastiera e poi ritorna la strofa. Le pungenti note del basso ci arrivano allo stomaco, diminuendo di intensità nel bridge. Arriva il chorus, rimane solo la tastiera ad accompagnare una spensierata armonia vocale effettata, che ancora una volta ci riporta ai fasti di "90125". Arriva l'assolo di chitarra. Le trame dai sentori fusion vengono sovrastate dai ruggiti del basso. Al minuto 02:50 rimane solamente il talentuoso Igor Khoroshev, che con un magico intreccio di pad accompagna il Cantastorie Di Accrington, successivamente ricamato da suggestivi contro canti. Sulla scia di questa magica atmosfera, rientra in gioco la sezione ritmica, che accompagna un timido assolo di chitarra che si intreccia con le celestiali armonie vocali. Ritorna la strofa, seguita dal bridge e chorus. Le prime battute del ritornello le recita Mr. Khoroshev con un avvolgente suono sparato dal synth, che in crescendo annuncia il ritorno dell'armonia vocale. Un funambolico assolo di organo ci fa intuire che gli Yes hanno trovato un degno sostituto di Rick Wakeman. Nel finale vengono alternate le strofe ad interludi strumentali, fino che una spettrale voce dice stop. Il "Venditore di Fortuna" è una saccente figura mistica incaricata di fare avverare i sogni degli essere umani, in modo da poter affrontare in maniera migliore il duro cammino della vita, ancora una volta paragonato da un fiume, un fiume di cui nessuno conosce la fine. Il Venditore di Fortuna spesso dona le risposte alle nostre domande e ci fornisce delle opportunità per poter continuare a navigare il tortuoso fiume della vita. Questo brano non avrebbe sfigurato durante il regno di Re Rabin, ma ascoltato dopo gli interessantissimi brani inediti dei "Gemelli Keys" non fa che disorientare ulteriormente gli ascoltatori.

Man In The Moon

Anche la successiva "Man In The Moon (Uomo Nella Luna)" è un brano che potete ritrovare sul primo album dei Conspiracy, senza sostanziali variazioni. Il brano viene aperto da uno squillante riff di tastiera in "Kashmir style", alternato ad un acido riff di chitarra. Arriva la strofa, cantata a tre voci e ricamata dalla chitarra, la sezione ritmica accompagna con un robusto 4/4. Ritorna l'arabeggiante tema dell'introduzione, arricchito da preziosi intarsi di chitarra, poi il basso inizia a macinare sedicesime tirando su il brano, fino all'arrivo del inciso, dove spicca una cadenzata armonia vocale che si insinua subito nel nostro cervello. Ritorna la strofa dall'aria sognante, seguita subito dal cantilenante chorus. Il pompante bridge stavolta ci porta verso un interludio strumentale, dove orientaleggianti tastiere si intrecciano con le sferraglianti trame di chitarra, andando a ricreare un'atmosfera fiabesca. Di nuovo strofa e ritornello, che stavolta viene raddoppiato e impreziosito da ulteriori cori e contro canti. Arriva l'assolo di chitarra, accompagnato dalle tastiere dell'introduzione. Il riff portante viene ricamato da funambolici fraseggi di Mr. Howe, che sapientemente ci accompagna con le sue intricate trame di chitarra fino alla fine. Nelle brevi e ripetitive liriche, Jon Anderson ci presenta l'Uomo Nella Luna, una misteriosa creatura notturna che attraverso i freddi raggi di luce spera di illuminare il mondo durante il regno delle tenebre. L'Uomo Nella Luna è una creatura triste e solitaria, che ogni notte vaga nei cieli oscurati dalle tenebre, cercando di portare un po' di luce a chi ne ha bisogno. Come spesso accade, il Poeta di Accrington stende liriche quasi impenetrabili, ma che allo stesso tempo permettono di prendere in considerazione molte strade interpretative. Io, personalmente, ho identificato "L'Uomo Nella Luna" nella speranza, la speranza che spesso ci permette di squarciare l'oscurità in cui siamo piombati in modo da poter affrontare più serenamente i momenti più bui della nostra vita. Questo brano lo ricorderemo per l'ammaliante riff di tastiera e per la quasi totale assenza della cristallina voce di Jon Anderson, sempre offuscato dalle ingombranti armonie vocali che imperversano per tutto il brano. 

Wonderlove

Andando avanti incontriamo "Wonderlove (Amore Bellissimo)", aperta da un rilassante arpeggio che si intreccia magicamente con la tastiere e melodici fraseggi di chitarra. Questa avvolgente atmosfera ci catapulta all'interno di un mistico tempio sperso nel verde di una sconosciuta località dell'Asia. L'atmosfera ricreata sembra fatta apposta per rivitalizzare il Guro di Accrington, troppo spesso offuscato dalle solari armonie vocali. Infatti, il nostro ci cattura all'istante con un'angelica linea vocale, ricamata da fraseggi di chitarra dal sapore orientale. Alan White entra in scena con una serie di corse sulle pelli, poi, purtroppo la bellissima atmosfera viene spazzata via da una banale strofa in modalità "Police". Jon Anderson tira un po' su il brano nel bridge, per poi esplodere nell'inciso, aiutato dall'ennesima armonia vocale di turno. Nemmeno le lancinanti note sparate dal Chitarrista di Holloway riescono a rendere meno banale la strofa, scolasticamente seguita da bridge a dal ritornello di Stinghiane memorie, ricamato timidamente dalla chitarra di Steve Howe, che sembra piangere dalla disperazione. Andando avanti incontriamo un caotico interludio strumentale, dove tenta di farsi largo Steve Howe con un timido assolo di chitarra, che nel finale prende un po' di grinta, senza lasciare però il segno come i suoi predecessori. Per fortuna si cambia, Jon Anderson tira fuori un po' di verve in questo breve interludio. Altro bridge e poi incontriamo una versione piccante dell'inciso, seguita da un altro assolo di chitarra dall'aria stralunata, mixato con alcuni versi di ritornello. Billy Sherwood ricama con banali fiammate di tastiera, siamo lontani anni luce dai preziosi fraseggi di Rick Wakeman, che sapeva sempre scegliere lo strumento e la soluzione giusta ad ogni occasione gli si paventasse davanti. Di nuovo strofa, bridge e ritornello, stavolta prolungato fino alla sfinimento, dei quali nessun dei tre riesce a colpirci in maniera particolare. Andando avanti incontriamo una nuova babele sonora, apparentemente priva di senso, dove cerca di farsi notare Steve Howe con un assolo di chitarra, ricco di funamboliche scale e preziosi fraseggi, forse il migliore del platter. Per alcune battute irrompe Jon Anderson, con una manciata di frasi, interpretate in maniera leggermente piccante, poi l'assolo prosegue gridando vendetta, anche nei momenti peggiori, il sound peculiare di Steve Howe riesce sempre ad emergere, nonostante le melodie dell'inciso tornino a disturbare fino al brusco finale. Stavolta il Cantastorie Di Accrington la butta sul romantico, è coinvolto al cento per cento in una storia di amore che lo estrania dal resto del mondo, catapultandolo in una dimensione dove la sua anima gemella è al centro di ogni cosa. In preda ad un estasi totale, spesso non riesce a distinguere il sogno dalla realtà. I due amanti, in piena sintonia riescono a mettersi tutti i problemi alla spalle vivendo un sogno interminabile, i loro cuori sono aperti, le loro anime in sintonia, l'una il mondo dell'altro. Brano inutile che non riesce a trasmettere nulla, piatto, banale, che di Yes non ha nulla, nemmeno di quelli controversi dell'era Rabin. Peccato perché l'introduzione non era poi tanto male.

From The Balcony

Passare velocemente alla traccia successiva, intitolata "From The Balcony (Dal Balcone)", una dolce serenata incentrata sulla chitarra acustica di Steve Howe e l'angelica voce di Jon Anderson. Il talentuoso Chitarrista di Holloway attacca con un cullante arpeggio, indicando la strada da percorrere al Poeta Di Accrington, che con grazia recita le prime strofe, andando a riprendere la melodia dettata dalla chitarra. Si ha l'idea di ascoltare una dolcissima vecchia ninna nanna. Andando avanti incontriamo un break strumentale dove il nostro con preziosi fraseggi mette in mostra tutta la sua classe con la sei corde acustica. Posso tranquillamente asserire che questo è l'unico brano dove riusciamo a percepire la passione di Steve Howe, passione che ci ha sempre trasmesso attraverso gli strumenti, durante la sua magnifica carriera musicale. Ritorna la strofa zuccherosa, seguita da altri preziosi fraseggi di chitarra, che fanno da bridge al ritorno della medesima. Stavolta il break strumentale è più breve e si conclude con un sostanziale cambio di tono che guida Jon Anderson verso lidi più oscuri. Successivamente incontriamo un arpeggio dall'aria malinconica, ricamato dal Santone Di Accrington con una serie di desueti "la la la" dal forte sapore anni sessanta. Altro interludio strumentale dove Steve Howe alterna il tema portante a calorose pennate in strumming, poi il dolce intercalare degli accordi sembra accompagnarci verso la fine, ma ritorna per l'ultima volta Jon Anderson, che con grazia e dolcezza ci accompagna verso la fine del brano. Dietro questi versi apparentemente poetici, accompagnati dai magici tocchi sulla sei corde acustica, si cela un velato attacco a tutti quei manager che durante la carriera degli Yes hanno cercato di succhiare l'impossibile dalla gallina dalle uova d'oro che si ritrovavano a gestire. E' ciò che ha dichiarato Jon Anderson in una intervista. Molto spesso gli Yes si sono trovati a dover combattere con i loro manager, a dover contrattare e spesso accettare condizioni svantaggiose. Questo brano è dedicato a tutti i manager che hanno lavorati con il combo albionico e al loro difficile rapporto di convivenza. Una dolce serenata dai sentori barocchi, sicuramente fra i migliori momenti dell'album, in cui finalmente riusciamo ad identificare gli Yes.

Love Shine

Con "Love Shine (L'amore splende)" si cambia completamente atmosfera. Squillanti tastiere ci destano di colpo dalle melliflue atmosfere del brano precedente, poi un caloroso coro grida "Shine" richiamando all'appello la sezione ritmica e Steve Howe, il quale con un ridondante tema accompagna l'ennesima armonia vocale, che si appoggia sulla ritmica stoppata del duo Squire - White. La strofa mette in mostra un'aura che emana positività da tutti i pori. Nel bridge emerge un suggestivo intreccio fra Jon Anderson, cori e contro canti, che va ad esplodere nel chorus, dove emerge un'ammaliante 1-2-3-4-5-6-7 con cui Jon Anderson e soci catturano l'attenzione l'ascoltatore. Di nuovo strofa, bridge e ritornello, che stavolta viene riproposto in versione doppia, Squire e White insistono con la semplice ritmica che alla lunga risulta monotona. Stavolta la simpatica conta si fonde con un pungente assolo di chitarra del maestro Steve Howe, che devo dire per tutto il brano si limita a svolgere il compitino ai minimi termini senza passaggi degni di nota. Il brano segue la banale struttura radiofonica, e ritroviamo strofa, bridge e ritornello, dove emergono solo i suggestivi intrecci vocali, che andando verso il finale prendono il sopravvento, lasciando per alcuni istanti il campo a Steve Howe per un timido assolo di chitarra, fra i meno ispirati del Chitarrista di Holloway, che mestamente sfuma in fader verso l'estinzione. Jon Anderson cerca di tirare su il brano buttando giù una serie di profondi versi dedicati alla sua anima gemella, senza la quale non è capace di prendere sonno, non riesce a sognare. Lui è ammaliato dalla luce che splende nei suoi occhi, tutto quello che fa ha un che di magico. Lei le dà la speranza quando lui ne ha bisogno. La sua fiamma risplende nella notte, guidandolo nell'oscurità, è l'essenza della sua vita. Altro brano banale, privo di fantasia, dove l'unica nota positiva sono gli ammalianti intrecci vocali, vera e propria colonna portante. Se non avesse avuto sulle spalle l'ingombrante moniker di una delle più grandi ed influenti band del progressive rock, il brano sarebbe potuto sembrare anche piacevole, ma mi dispiace, gli Yes che vogliamo noi non sono questi.

Somehow, Someday

Le speranze di incontrare un brano da Yes si affievoliscono sempre di più, visto che a fatica siamo giunti alla penultima traccia, intitolata "Somehow, Someday (In qualche modo, qualche giorno)", aperta da Billy Sherwood con un oscuro pad di tastiera, che accoglie Jon Anderson accompagnato dolcemente da un arpeggio acustico. Non facciamo in tempo ad assaporare la melliflua atmosfera, che una rullata spazza via le nostre speranze, annunciando un ossessiva unisono cadenzato, dall'aria piatta, che non emana né energia né, trasmette sensazioni particolare. Jon Anderson si adegua e segue la strada aperta dai colleghi con una delle sue peggiori linee vocali. La tastiera e le chitare sono al minimo sindacabile. Sembra di ascoltare la brutta copia dei peggiori momenti di "Big Generator", che fino ad oggi ritenevo il punto più basso della discografia degli Yes, ma di che messo di fronte a questi brani rischia di essere rivalutato La tediosa ritmica insiste anche nell'orribile ritornello, che non si discosta molto dalla strofa, che alla suo ritorno viene leggermente migliorata con un timido arpeggio acustico e da un banale pad di tastiera che vanno a sostituire il tedioso unisono, ma state tranquilli, dopo qualche battute tornerà a tormentarci, seguito poi di nuovo bridge e ritornello, praticamente ci risulta impossibile trovare una sostanziale differenza fra le tre sezioni. Steve Howe cerca quasi inutilmente di farsi largo con un timido e freddo assolo di chitarra, che si dissolve rapidamente senza lasciare il segno. Al minuto 03:08 finalmente si cambia. Il Santone Di Accrington ruba la scena, accompagnato da un paradisiaco arpeggio acustico, al quale poi si fonde una melliflua trama di chitarra. Questo paradisiaco interludio ci dona del prezioso ossigeno che ci lascia respirare alcune boccate di aria fresca. A rompere l'idilliaca atmosfera ci pensa la ritmica ossessiva con gli strumenti all'unisono, che torna a massacrarci, poi dopo un paio di battute di strofa arriva l'assolo di chitarra, sicuramente il meno passionale partorito dal Maestro Howe, che anonimamente sfuma in fader. Paradossalmente, al brano più insignificante dell'album, troviamo appaiate le liriche più profonde ed impegnate. Con una serie di licenze poetiche, il Santone di Accrington affronta l'atavico conflitto che da tempo sconvolge la Terra Dello Smeraldo, seminando morte odio e distruzione. La speranza è che prima o poi, non si sa in quale maniera, questa nuvola di odio evapori, si dissolva, ricoprendo le verdi pianure irlandesi di pace ed amore. Poi il nostro va addirittura a scomodare Charles Bukowski, con un uccello blu della speranza, che un giorno volerà sopra le verdi vallate irlandesi, diffondendo perdono ed amore nel nome della patria irlandese. Come si dice "non c'è peggio al peggio", infatti questo è senza ombra di dubbio il momento peggiore del platter, e aggiungerei fra i peggiori dell'intera discografia Yessana, brano in cui da salvare ci sono solo i profondi versi stesi dal Poeta Di Accrington e che anche in eventuali futuri ascolti, finirà meritatamente con l'essere saltato.

The Solution

La durata della conclusiva "The Solution (La Soluzione)" che recita 23:47 stuzzica la fantasia di noi progrer incalliti, che sperano di trovare una lieta sorpresa proprio in zona Cesarini. Vi infrango subito i sogni di gloria, il brano finisce al minuto 05:24, per il resto si tratta di silenzio e rilassanti suoni ambient che descriverò al momento opportuno. Ad inizio brano, le chitarre e le tastiere si fondono in un unisono dai sentori orientaleggianti, dopo pochi secondi l'introduzione lascia il campo alla strofa. L'enigmatica linea vocale del Santone Di Accrington viene imitata da avvolgenti arpeggi di chitarra elettrica e ricamata da sibillini suoni di tastiera. Arriva subito il ritornello, cantato dal duo Squire - Sherwood, mentre Anderson si limita a semplici contro canti. Andando avanti troviamo un interludio autocelebrativo che ci fa venire in mente le migliori (poche) cose buone di "Union". Rimane uno spaziale pad di tastiera, poi una corsa sui tom annuncia il ritorno della strofa, stavolta impreziosita da alcuni ricami di chitarra, che proseguono anche nel successivo inciso. Improvvisamente Alan White alza notevolmente l'asticella dei BPM e Steve Howe si sfoga con un rockeggiante assolo di chitarra che si va ad intrecciare con la cristallina voce di Jon Anderson. Nella parte finale l'assolo viene scandito con colpi stoppati di piatti basso e gran cassa, poi ritorna il funambolico interludio sentito ad inizio brano che ci catapulta in un altro interludio strumentale dove ognuno sembra andare per i fatti suoi. Rimangono solo un avvolgente pad di tastiera ed un sognante arpeggio di chitarra ad accompagnare un Jon Anderson finalmente ispirato, poi una prolungata rullata apre le porte all'ennesimo assolo di chitarra, ricamato da fiammate di tastiera e cori ancestrali che ci ricollegano all'inciso. Altro passaggio strumentale in "Union Style" e poi Alan White ingrana la quarta, per un altro assolo di chitarra, accompagnato da un incessante tappeto di organo e ricamato da una repentina serie di "Giving in, Giving Out" da parte di un rinato Jon Anderson. Sul finale, trascinato dalla ritmica sostenuta, il solo prende una inaspettata piega metal che poi si conclude bruscamente lasciando il campo ad uno squillante accordo acustico. Al minuto 05:24 la canzone piomba in un silenzio assordante (scusate l'ossimoro) che si protrae per oltre due minuti, poi in fader arrivano i canti dei grilli e degli uccelli notturni, che ci catapultano con la mente in una notte di mezza estate, a rendere ancora più rilassante questo interludio dai sentori ambient, si aggiunge l'affascinante rumore delle onde del mare e qualche magico passaggio sul "chimes". Nel frattempo, all'inquietante canto degli uccelli notturni, si aggiunge quello spensierato dell'allodola, poi al minuto 08:39 fa una fugace comparsa un'armonia vocale che riprende i primi versi del brano di apertura "New State Of Mind". Si va avanti con i rilassanti rumori, l'affascinante suono delle onde si fa più pronunciato, altri uccellini mattinieri si aggiungono con il loro squillante cinguettio. Minuto 09:41 un'altra armonia vocale rompe l'equilibrio per alcuni secondi, recitando il resto dei versi della prima strofa di "New State Of Mind", seguita da un'altra al minuto 10:57 che recita l'inciso di "Fortune Sellers", poi si riparte con grilli, merli e onde. La marea aumenta la sua intensità, Alan White si diverte a stuzzicare delicatamente un campanellino in ottone, poi al minuto 12:08 irrompe una cantilenante armonia vocale non ben identificabile. Minuto 13.34, a destarci dall'atmosfera rilassante è un fugace "Wish i Knew", direttamente dalla title track. I nostri vanno avanti per altri 10 minuti, interrompendo i rilassanti rumori naturali recitando a cappella alcuni versi dell'album, che per vostra pietà (e anche mia) non continuo a specificare e che aggiungerei sono molto fastidiosi. Il Guru Di Accrington sostiene che c'è sempre una soluzione a tutti i nostri problemi. Spesso la chiave di volta gira intorno a noi, ma non riusciamo a vederla. Siamo sempre padroni del nostro destino, gli errori del passato determinano il nostro futuro, ogni scelta che facciamo, anche quella che al momento può sembrare insignificante, sarà fondamentale per il proseguo della nostra vita. Spesso nella vita ci troviamo di fronte ad un incrocio, sta a noi scegliere il sentiero giusto, sta a noi trovare la giusta soluzione. Forse forse, questa "The Solution" è il brano che si avvicina, se pur lontanamente ai momenti più commerciali dei brani inediti dei "Gemelli Keys", i rumori naturali sono rilassanti e piacevoli, ma direi che ne potevano bastare due o al massimo tre minuti, non venti.

Conclusioni

Nonostante l'evidente bollino appiccicato sul CD, che recita "The First YES studio album since 1994 (Il primo album in studio degli Yes dal 1994)", sin dai primi ascolti, si percepisce fortemente che non stiamo ascoltando un album degli Yes, ma un mero adattamento nato troppo in fretta da una serie di circostanze ed eventi. Sinceramente non mi ricordavo che l'album fosse così scadente, era rimasto lì, a prender polvere nello scafale, lasciandomi solo il piacevole ricordo della title track, brano AOR ma arrangiato in maniera egregia e che risulta piacevole, con le armonie vocali che ti catturano all'istante, poi per il resto si salvano in corner la traccia conclusiva, la serenata acustica, che in un altro album avrebbe recitato il misero ruolo di riempimento e la simpatica ballata estiva "No Way We Can Lose", che in altri contesti avrebbe istigato a premere le simpatiche "due freccette" che fanno passare al brano successivo. Per il resto solo banale AOR e nemmeno fatto poi tanto bene, brani dalla struttura scontata e privi di colpi di genio. La latitanza di inventiva è dovuta all'assenza di Rick Wakeman, che con maestria riesce sempre a trovare soluzioni interessanti che rendono speciali anche i brani minori. Il Mago delle Tastiere non si può rimpiazzare con un tastierista di ripiego come Billy Sherwood, valido polistrumentista e ottimo produttore, simpatico ragazzo, ma Rick Wakeman e su un altro pianeta e molto lontano. I migliori passaggi di tastiera ce li ha fatti sentire Igor Khoroshev, aimè arrivato troppo tardi, quando il disco era praticamente arrivato, ma ci lascia ben sperare, sembra proprio che il ragazzo abbia del talento e le carte in regola per sostituire Il Mago Delle Tastiere. Jon Anderson ripiomba nell'oblio come già aveva fatto durante il regno di Rabin, riesce ad emergere su un paio di brani, poi è sempre oscurato dalle invadenti armonia vocali che dominano per tutto il platter. Si fa notare comunque per le liriche, sempre intelligenti, profonde e quasi mai banali. In questo album manca la passione, che da sempre riusciamo a respirare attraverso i solchi dei dischi degli Yes. Si sente lontano un miglio che Steve Howe non ha partecipato alla composizione dei brani, recitando un misero ruolo da session man senza cuore e senza lode, risultando spesso freddo e poco ispirato. Anche Alan White sembra regredito, limitandosi a recitare in maniera minimale il suo compitino. L'unico che sembra divertirsi è Chris Squire, che sovente tira su le canzoni con travolgenti e articolate partiture di basso, d'altronde, i brani sono tutta farina del suo sacco, insieme e del nuovo amico Billy Sherwood, che dimenticavo, oltre che a tastierista, è accreditato anche come secondo chitarrista (come se Steve Howe avesse bisogno d'aiuto ?NDR). Album veramente deludente, che riesce a sfigurare perfino di fronte ai pessimi "Big Generator" e "Union", che con tutti i loro difetti lasciavano intravedere comunque qualcosa di buono. Oltre alla già elogiata title track, mi sono trovato in difficoltà nello scegliere l'altro brano da allegare alla recensione, optando alla fin fine per la traccia conclusiva, anche se devo dire non mi entusiasma più di tanto, ma forse è l'unica con una minima parvenza di Yes. A causa di un'assurda gara fra label e manager, questo pessimo "Open Your Eyes" è venuto alla luce il 24 Novembre del 1997, appena ventun giorni dopo l'ottimo "Keys To Ascension 2". L'album è stato registrato nell'Estate del 1997. Le tracce sono opera del duo Sherwood - Squire, anche se nei crediti compositivi compaiono anche White e Anderson. La produzione è opera degli Yes, mentre della registrazione se ne è occupato Billy Sherwood, presso gli studios "The Office" di Van Nuys, in California, dove, insieme a Randy Nicklaust si sono consumate anche le procedure di mixaggio. La masterizzazione è opera di Mr. Joe Gastwirt presso gli studios "Oceanview Digital Mastering". Paradossalmente la copertina richiama quella del primo album, e cioè il bellissimo logo a bolla edito dal maestro Roger Dean, che domina su uno sfondo nero con un'accesa colorazione che dal rosso sfuma gradualmente verso l'arancione, con un ammaliante bordatura in verde che dona un effetto leggermente psichedelico. Mi risulta difficile trovare qualcuno a cui consigliare questo album, come di solito si fa a fine recensione. Per i fans di vecchia data, meglio passare oltre, per chi si vuole avvicinare agli Yes attraverso strade meno tortuose, meglio "90125" o il sottovalutato ma ottimo "Talk". Rimangono quei malati che come me amano avere la discografia completa dei loro beniamini, rigorosamente originale, quindi, se appartenete a questa categoria potete procurarvelo, ma ricordatevi di spolverarlo ogni tanto.

1) New State Of Mind
2) Open Your Eyes
3) Universal Garden
4) No Way We Can Loose
5) Fortune Seller
6) Man In The Moon
7) Wonderlove
8) From The Balcony
9) Love Shine
10) Somehow, Someday
11) The Solution
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