YES
Magnification
2001 - Eagle Records
SANDRO NEMESI PISTOLESI
07/03/2016
Introduzione Recensione
Con il precedente "The Ladder", gli Yes sono ampiamente riusciti a cancellare tutte le perplessità lasciate dal mediocre "Open Your Eyes" ed anche le 83 date del "The Ladder Tour" ottennero consensi più che positivi all'unanimità, tanto da portare i nostri alla pubblicazione del DVD live House of Yes: Live from the House of Blues, che ripropone l'intero concerto registrato durante la notte di Halloween del 1999 presso la House of Blues di Las Vegas, nel Nevada; un perfetto mix fra i brani del nuovo album e alcuni classici intramontabili del passato. Sull'onda dell'entusiasmo, dopo neanche tre mesi dalla conclusione del tour, i nostri ripresero a girare negli Stati Uniti con il "Masterworks Tour", per quasi l'intera Estate del 2000, proponendo un suggestivo e nostalgico spettacolo che raccoglieva i migliori brani del periodo d'oro, ovvero da "The Yes Album" a "Relayer". Al cospetto di una scaletta che prevedeva solo le intramontabili epiche sinfonie del passato, Billy Sherwood si sentiva ancor più a disagio e decise di smettere di recitare il mero ruolo di inutile pezzo d'arredamento, rassegnando le dimissioni. Questo ovviamente non fu un problema per gli Yes, anzi, donò nuova linfa a Steve Howe, che come sapete, ha sempre avuto un veterato odio solo all'idea di dividere il palco con altri chitarristi. Ma anche nei momenti di miglior splendore, le sorprese sono sempre dietro l'angolo in casa Yes. Con il carneade Igor Khoroshev i nostri si erano ritrovati in casa un tastierista che raccoglieva il meglio di tutti i suoi predecessori, aveva la classe di Tony Kaye durante le partiture di organo Hammond, la tecnica e l'esuberanza di Rick Wakeman, la classe di Patrick Moraz e il gusto negli arrangiamenti di Geoff Downes. Ma purtroppo, dopo un lungo periodo di ambientamento, dove tutto filava liscio come l'olio, iniziò a venire lentamente alla luce la sua lunatica ed esuberante personalità. Il nostro non uscì a testa alta dalla band come i suoi predecessori, ma scelse una via alquanto indecorosa, prontamente passata alla storia come "l'incidente Khoroshev". Il biondo Tastierista Russo sentiva sempre sopra di sé il fantasma di Wakeman che incombeva, nonostante le eccellenti prestazioni, aveva sempre il timore che i fans volessero un clamoroso ritorno del "Mago Delle Tastiere", quindi iniziava a cercare di imitarlo, assumendo sempre di più un atteggiamento stravagante. Spesso si metteva a baciare le fans che incontrava nel backstage. Il 23 Luglio del 2000, importunò in maniera pesante due ragazze che effettuavano il servizio d'ordine al "Nissan Pavillon" di Briston, in Virginia, dove i nostri si esibivano in una delle ultime tappe del Masterworks Tour. Le due ragazze non presero nel migliore dei modi quelle pesanti avance non richieste, e denunciarono l'esuberante tastierista russo alla Polizia, con l'accusa di aggressione e molestie sessuali. Sotto cauzione riuscì a terminare il tour, ma ormai il rapporto di fiducia con il resto della band si era incrinato, ed i suoi giorni erano ormai contati. Ovviamente gli Yes erano rammaricati dopo aver preso la drastica decisione di allontanarlo, aveva talento da vendere, ma anche una selvaggia personalità difficile da controllare. Era diventato una mina vagante, e con lui, spiacevoli sorprese erano sempre dietro l'angolo. Morale della favola, da avere un tastierista che ne racchiudeva quattro in un colpo solo, si ritrovarono a non averne nemmeno uno. Con Rick Wakeman carico di impegni e con gravi problemi di salute, agli Yes venne in mente di ripercorrere una strada che già avevano imboccato agli inizi della loro carriera. A distanza di ben 31 anni, decisero di fare un album e relativo tour insieme ad un'orchestra sinfonica, come già fecero in occasione del loro secondo album "Time and A Word", nel 1970. Gli Yes quindi passarono da una formazione allargata di sei elementi ad un insolito ma affiatato quartetto e si misero al lavoro per il nuovo Magnification, cercando di rievocare le sinfoniche sonorità degli anni settanta. Una volta ultimate le composizioni, per la prima volta senza un tastierista, i nostri si riunirono presso gli Sound Design Studios di Santa Barbara, in California, con la San Diego Orchestra. Le parti di orchestra furono scritte, dirette ed arrangiate da Larry Groupé, acclamato compositore di colonne sonore per il cinema e per la televisione. In carriera è riuscito ad ottenere una nomination al premio Emmy per la miglior colonna sonora originale per la serie televisiva "Line of Fire" della ABC, e vincendolo per la migliore colonna sonora di documentari, per la precisione con "Jonas Salk: Personally Speaking". Fu così che a distanza di ben 31 anni, gli Yes dettero vita ad un nuovo album con una intera orchestra a supporto. Durante lo Yes Symphonic Tour, per motivi logistici gli Yes non erano seguiti sempre dalla medesima orchestra, per agevolare le operazioni di coordinamento, si affidarono al giovane tastierista Tom Brislin, che aveva lavorato con Meat Loaf. Il nostro eseguì alla perfezione le difficili partiture di tastiera appartenenti a mostri sacri come Wakeman e Moraz, ricevendo consensi positivi ad ogni concerto (posso confermare personalmente, essendo stato favorevolmente impressionato della performance del giovane tastierista americano, in occasione della tappa milanese dello Yes Symphonic Tour NDR), elogi e consensi che ben presto lo fecero diventare una sorta di nuova icona del progressive rock. In occasione del suggestivo tour, gli Yes riproposero molti dei vecchi classici in una nuova ed interessante veste orchestrale. Il tour iniziò prima dell'uscita dell'album, quando gli Yes presentarono il nuovo singolo Don't Go, affondò come un piombo da pesca, lasciando perplessa la platea. Per fortuna, i nostri si rifecero quando presentarono l'imponente suite In the Presence Of, subito apprezzata dal pubblico e ribattezzato come un nuovo grande classico. Per la prima volta nella loro carriera, sconfinarono anche in Russia, anche se Jon Anderson della suggestiva data moscovita, ricorda solo il gran freddo ed il carburante di scarsa qualità che non veniva ben digerito dalla sua auto. Ma poniamo fine alla nostra curiosità ed andiamo ad ascoltare questo ambizioso Magnification, con gli Yes affiancati da un'orchestra, per la seconda volta in carriera.
Magnification
Ad aprire le danze è la title track Magnification (Magnificazione) introdotta da Mr. Howe con un baroccheggiante arpeggio di chitarra. Dopo qualche fragoroso fraseggio di basso, entra in scena Alan White, con una delle sue ritmiche più delicate mai partorite. I flauti e gli archi dell'orchestra donano un'insolita atmosfera disneyana che accoglie il Cantastorie di Accrington, che con classe recita la strofa. Un breve break con gli archi in evidenza e ritorna la strofa, con quest'ultimi protagonisti che accompagnano dolcemente Jon Anderson verso la seconda parte, dove il nostro viene accompagnato da dolci coretti vintage e dal raffinato lavoro diretto da Mr. Larry Groupé. Chris Squire e Steve Howe affiancano all'unisono il Cantastorie di Accrington dando vita ad un suggestivo intreccio di voci e strumenti. Il fragoroso basso di Squire si fa largo fra gli strumenti dell'orchestra e ci guida verso un interessantissimo bridge, dove Jon Anderson recita poche frasi, lasciando il campo agli archi che si intrecciano con il tellurico giro di basso. Arriva l'inciso, l'oscura atmosfera rievoca i fasti di "Relayer". Un acido riff di chitarra viene seguito all'unisono dal basso e affiancato da un ridondante suono elettronico che si insinua prepotentemente nel nostro cervello, una fiammata degli archi apre i cancelli a Jon Anderson, che grida ai quattro venti il titolo del brano, lasciando poi il campo ad un'avvolgente armonia vocale, il giochino si ripete due volte, con un Alan White ispiratissimo che si trascina dietro tutta l'orchestra. Breve interludio strumentali con gli archi in evidenza e poi, dopo una breve pausa, un timido assolo di chitarra introduce di nuovo la strofa, eseguita nella sua interezza, con gli spensierati cori dal piacevole retrogusto retrò sul finale. Arriva l'assolo di chitarra. Trasportato dal trascinante giro di basso, Steve Howe fa lamentare la sei corde, amalgamandosi poi alla perfezione con il bridge, che apre i cancelli al ritorno dell'inciso. Dopo la caustica prima parte strumentale, il chorus cantato viene ridotto ai minimi termini, lasciando il campo ad un gran finale strumentale dal piacevole retrogusto beatlesiano, dove il fragoroso basso va ad intrecciarsi con un acido assolo di chitarra, raggiunti poi da un bellissimo interludio orchestrale diretto alla perfezione da Larry Groupé. Le trame dell'orchestra e della chitarra si aggrovigliano fra loro, poi Alan White sembra perdere la testa, e con una serie di folli corse sulle pelli da inizio al rocambolesco finale. Le liriche son un profondo esame di coscienza della band, dove vengono rinnegate le dubbie escursioni verso un banale AOR, definendole addirittura demoni e fantasmi notturni, anche se c'era chi adorava quei brani easy listening, ma anche chi li ascoltava per assuefazione al moniker Yes, senza provare il minimo sentimento. I nostri allora fanno un profondo viaggio introspettivo alla riscoperta delle loro origini, trovando nel progressive rock l'unica chiave capace di aprire la porta verso la rinascita. Il progressive rock è come un filo d'oro che mantiene unite le perle, le perle sono gli Yes, e senza un filo conduttore musicale che gli accomuna, rischiano di perdersi per l'ennesima volta. Ora sono decisi ad esternare la musica che gli esce dal cuore, senza badare a futuri profitti, sapendo che i loro vecchi fans li contraccambieranno con lo stesso amore che loro mettono nelle nuove composizioni. Il brano conferma la mia idea iniziale, ovvero la musica degli Yes non ha nessun tipo di problema a miscelarsi con le classicheggianti parti orchestrali, dando vita ad un interessante ed originalissimo prodotto di gran classe che richiama fortemente le origini. Dall'accordo distorto in fader con cui si conclude la title track, emerge la cristallina voce di Jon Anderson, che va ad aprire la traccia successiva.
Spirit Of Survival
Giunge quindi il momento di Spirit Of Survival (Lo Spirito di Sopravvivenza). Dopo pochi versi recitati a cappella, arriva Steve Howe, che fa centro con un articolato e luminoso arpeggio acustico. Jon Anderson recita un paio di strofe, poi un bel crescendo degli archi annuncia l'ingresso in campo di tutta la banda. Il potente giro di basso ci avvinghia come le mortali spire dell'anaconda. Le improvvise fiammate sparate sotto le direttive di Sir Larry Groupé danno vita ad un impatto sonoro che non sfigurerebbe in una pellicola di James Bond. Breve break strumentale che mette ancora di più il basso in evidenza e finalmente arriva Jon Anderson, che segue la strada spianata da Chris Squire, ricamato da preziosi intarsi da parte del quartetto d'archi. Gli ottoni annunciano un bel crescendo evidenziando una briosa armonia vocale che sembra aprire le porte all'inciso, ma non è così, accompagnato dall'invadente giro di basso, Steve Howe tesse una intricata trama di note, ricamato dalle fiammate degli ottoni. Alan White sembra in martello pneumatico, stavolta il bridge annuncia il ritornello, dove persiste il ridondante giro di basso. Jon Anderson dialoga con un coro che recita il titolo del brano. Il chorus si fonde con un acido assolo di chitarra, che termina con un grintoso riff accompagnato da una serie interminabile di colpi di basso cassa e piatti all'unisono. Al minuto 02:40 emerge in fader una pungente scala di basso eseguita sotto il dodicesimo capotasto ad una velocità disarmante. Chris Squire replica la scala sulle note più gravi, rendendola molto più potente, accompagnando la sognante linea vocale di Jon Anderson, ricamato da fatati flauti. Al secondo giro, Alan White segue all'unisono con il rullante i passi del Gigante Buono, Jon Anderson recita alcuni versi, sempre ricamato dai flauti, poi una rocambolesca serie di colpi stoppati annuncia l'assolo di chitarra. Le acide note sparate dalla sei corde vengono sovrastate dal potente giro di basso, poi un crescendo degli ottoni annuncia il ritorno del bridge, arricchito con una celestiale armonia vocale. Ritorna il chorus, che va ad intrecciarsi nuovamente con un acidissimo assolo di chitarra, poi una serie infinita di colpi stoppati in crescendo sembra portarci verso l'epilogo, ma dal silenzio riemergono le pungenti scale del basso, ricamate da una sottilissima e tagliente trama di violini, che insieme ad una dolce armonia vocale ci accompagnano verso la fine del brano, lasciata nelle sapienti mani del quartetto d'archi. Le liriche sono rivolte a tutti quei giovani, che in possesso di un innato spirito di sopravvivenza, si mettono alla guida ubriachi, sfidando la sorte a folle velocità, senza pensare che in un solo attimo la loro vita potrebbe svanire da un momento all'altro, lasciando dietro di se soli i ricordi dei banchi di scuola. Magnification uscì nel Regno Unito proprio l'11 Settembre, in contemporanea con i terribili e deplorevoli attentati alle Torri Gemelle. I fans degli Yes hanno da sempre associato i due fatti, come una sorta di butterfly effect, trovando nelle liriche di Spirit Of Survival alcune frasi che per un macabro gioco del destino sembrano richiamare i terribili attentati. Frasi come "Gli dei hanno dimenticato di accendere una luce", "Chi si è perso nel buio si schianterà nella notte", "Queste lezioni che stiamo ricevendo, le menzogne di questa giornata?", "c'è chi sta insegnando l'odio", suonano veramente come funeste involontarie profezie sui terribili accaduti delle Twin Towers. Quasi sentendosi in colpa, gli Yes, nei giorni successivi all'attacco, misero in vendita l'mp3 del brano "We Agree" sul sito Yesworld, per raccogliere fondi da devolvere ai parenti delle sfortunate vittime degli attentati di New York City. Stavolta l'orchestra non ce l'ha fatta a prevalere su un devastante Chris Squire, che ci martella per tutto il brano con potenti raffiche di note basse.
Don't Go
La successiva Don't Go (Non Andare) è l'unico singolo che è stato estratto dall'album, e viene aperta da una classica armonia vocale made in Yes, ricamata da sognanti archi, poi una corsa sulle pelli richiama tutti all'appello. Steve Howe disegna una interessante trama, rafforzato dalle potenti pennate sul basso. Arriva la strofa, Yes e orchestra viaggiano all'unisono, la linea vocale disegnata da Jon Anderson lascia dietro di se un intrigante alone di mistero. Nel breve bridge, il nostro viene affiancato dagli amici di una vita, ed insieme al crescendo degli archi, ci accompagnano dritti verso il ritornello, che gioca molto su un intrigante gioco di cori e contro canti che seguono la ridondante trame degli archi ed il martellante tappeto steso da Chris Squire. Sul finire, un prezioso fraseggio di chitarra ci riporta nelle enigmatiche atmosfere della strofa, seguita canonicamente da bridge ed inciso. Stavolta i fraseggi della sei corde aprono le porte ad uno strano interludio, annunciato da un simpatico passaggio orchestrale dal piacevole retrogusto cartooniano. Il basso ruggisce, guidando la voce filtrata di Jon Anderson che sembra provenire da un'altra dimensione. Alcuni coretti da spot pubblicitario ricamano il Cantastorie di Accrington, che dopo alcune battute ritorna al suo cristallino timbro di voce naturale. Lasciati liberi dall'orchestra, basso e chitarra tessono una intricata trama di note che si attorcigliano fra di loro. Aiutato da timidi flauti, Jon Anderson sale abilmente in crescendo, aprendo le porte ad un breve assolo di chitarra. Nel bridge gli archi annunciano il ritorno dell'inciso, che si presenta con un paio di strofe a cappella dove un sensuale e profondo "Don't Go" si intreccia con una babele di voci, cori e contro canti. Le fiammate degli archi richiamano all'appello la granitica sezione ritmica e Steve Howe con le sue che inizia a tessere una ragnatela con le sue caratteristiche scale funamboliche. La chiusura è lasciata nelle sapienti mani di Mr. Larry Groupé, che con maestria dirigi archi ed ottoni verso l'epilogo. Nelle liriche, Jon Anderson descrive il rapporto con la figlia Deborah. Il nostro si rabbuia quando vede la figlia, una volta diventata adulta, imboccare la propria strada e farsi una propria vita, allontanandosi da lui. Il Poeta di Accrington la supplica di non andare, di abbassare la difesa e tornare sopra i suoi passi, era convinto di stare insieme a lei per sempre, ma ormai la decisione era stata presa. Quando poi i rapporti fra Deborah e il proprio amante iniziarono a scricchiolare, lui subito si precipitò a cercarla, chiedendo aiuto alla sua migliore amica, in modo di poterla riportare a casa, dove l'amore paterno non svanirà mai e non si consumerà, rimanendo inalterato nel tempo. Classico brano orecchiabile ma di gran classe, che spesso gli Yes includono nei loro album, brano che gioca molto sull'intreccio fra gli archi e le armonie vocali.
Give Love Each Day
Larry Groupé fa valere tutta la sua esperienza maturata in ambito cinematografico, aprendo in maniera magistrale la successiva Give Love Each Day (Dai Amore Ogni Giorno), iniziando con oscure atmosfere degne dei vecchi film della Hammer, passando abilmente ad un magico intreccio fra archi, flauti e ottoni dal piacevole retrogusto anni sessanta. Dopo questi due minuti cinematografici, in fader dei rilassanti flauti dal sapore orientale subentrano lentamente, uno squillante piattello tiene il tempo, poi una pungente scala di basso annuncia l'ingresso in scena di Jon Anderson con una linea vocale carica di mistero. Basso e gran cassa ritmano con potenti colpi all'unisono, prima di entrare in gioco a pieno ritmo, insieme a Steve Howe, che ci sorprende con un arpeggio che richiama fortemente quello di "Starship Trooper", ricamato dalle struggenti trame degli archi. L'intreccio fra le trame degli strumenti e la cristallina voce di Jon Anderson ci fa rivivere le magiche atmosfere dei primi album. Un break strumentale di forte atmosfera fa da bridge ad una versione alternativa della strofa. L'arpeggio di chitarra portante viene affiancato da suggestivi sospiri dei flauti e da un oscuro unisono fra la sezione ritmica e l'orchestra. L'inciso viene annunciato da un'epica fiammata degli archi, che trasportano magicamente un ispiratissimo Jon Anderson, il quale nella prima parte finale dà il meglio di se. Ritorna il bridge strumentale, con i flauti che duettano con gli archi, ricamati dalle pungenti note del basso, poi ritorna la strofa, con i forti richiami al passato, seguita subito dall'epico ritornello, con gli archi che fanno volare il Cantastorie di Accrington, ricamato dagli immancabili controcanti. Un breve assolo di chitarra, fortemente ispirato ai primissimi tempi degli Yes, e poi ritorna l'inciso che ci accompagna verso la fine con un magico intreccio fra le armonie vocali e le epiche trame dell'orchestra. Tornano le profonde liriche fortemente spirituali, dove il Poeta Di Accrington rivede il suo rapporto con Dio e l'essenza dell'essere umano, incentrando tutto sull'immenso potere dell'amore. Con la forza dell'amore possiamo superare quelle giornate in cui l'umanità sembra essere totalmente in preda alla follia, o quei giorni tinti di grigio da un oppressivo senso di tristezza. Dio ci dà sempre una seconda scelta, in modo da poter intraprendere un nuovo viaggio alla ricerca della terra promessa. Siamo stati creati per vivere, essere amati e dare amore ogni singolo giorno della nostra esistenza, solo così potremo scorgere la strada mostrata da Dio, che da sempre veglia su di noi illuminandoci la vita. Sicuramente il miglior brano dei quattro appena ascoltati, dove vengono amalgamate alla perfezione le epiche trame orchestrali alle magnifiche sonorità dei tempi d'oro.
Can You Imagine
Andando avanti incontriamo Can You Imagine (Puoi Immaginare), brano nato dalle ceneri di "Can You See - And (Do) You Believe It" un brano degli XYZ, affascinante progetto che vedeva coinvolti Squire e White insieme a Jimmy Page e Robert Plant, e che purtroppo non è mai esploso. L'acronimo sta appunto per ex Yes e Zeppelin, il progetto prese vita nel 1981, quando gli Yes erano di fronte ad una delle tante minacce di scioglimento, ed i Led Zeppelin avevano da poco perso John Bonham, precipitando in una forte e comprensibile crisi. Il brano mantiene inalterate le linee vocali della versione originale, e stavolta, a vestire i panni del cantante solista non è Jon Anderson, che si limita a ricamare con melliflui cori, ma Chris Squire. Anche l'introduzione di pianoforte vede un insolito protagonista in Alan White, che dopo alcune battute in solitario vene affiancato da alcune fiammate degli archi. Dopo circa trenta secondi entra in scena Chris Squire, nelle insolite vesti di voce solista. Arriva l'inciso, il nostro viene affiancato dalla cristallina voce di Jon Anderson, che a ruoli invertiti ricama con un brillante coro, dando vita ad un suggestivo intreccio che grida fortemente anni ottanta. Una potente rullata richiama tutti all'appello. Basso e chitarra distorta viaggiano all'unisono, dando una notevole iniezione di energia alla strofa. L'inciso vede nuovamente il magico intreccio fra voce cori ed archi, che lentamente sfuma portandoci dolcemente verso la fine, lasciata nelle mani di Alan White al pianoforte, che dolcemente va a chiudere il brano. Le liriche ci offrono una suggestiva opportunità di vedere la nostra vita dall'altra parte, senza un sole che splende e la notte priva della brillante luce emessa dalle stelle. Il solo pensiero ci manda in confusione, ci fa cambiare il modo di pensare e di agire, facendoci sprofondare in un vero e proprio delirio. Immaginate come può essere poter vedere noi stessi, come in un sogno, ma da un'altra prospettiva, saremmo entusiasti o delusi di noi stessi? Liriche fortemente kafkiane, che ci fanno pensare e rendono speciale questo breve e piacevole brano, che a causa della propria genesi, inevitabilmente ci riporta alle frizzanti sonorità ottantiane di "Drama".
We Agree
E' il turno del brano che gli Yes hanno messo in vendita sul loro sito, per raccogliere fondi da destinare ai familiari delle vittime cadute nello scempio delle Twin Towers, We Agree (Siamo D'accordo), aperta magistralmente da Steve Howe con la sei corde acustiche, con una trama che ricorda molto da vicino le sue migliori imprese unplugged del passato. Il fragoroso basso di Squire scandisce la ritmica dell'arpeggio, poi entra in scena l'orchestra con un melanconico tema che diffonde una pesante atmosfera di tristezza. Steve Howe accompagna con un triste arpeggio acustico, anticipando di qualche secondo l'ingresso in scena di Jon Anderson, insolitamente nelle vesti di un melanconico cantastorie. La sezione ritmica ritma all'unisono con colpi di gran cassa e profonde pennate di basso, quasi a simboleggiare i battiti di un cuore infranto dal dolore. Andando avanti incontriamo un interludio strumentale, dove Steve Howe accompagna, sempre con la sei corde acustica un bellissimo assolo di basso, le cui trame si riallacciano alle melanconiche atmosfere del brano, dopodiché ritorna la struggente strofa, enfatizzata da un bellissimo lavoro degli archi, che in crescendo ci portano verso l'inciso, dove Larry Groupé porta in alto il Cantastorie di Accrington, che tenta di illuminare le tenebre diffuse dalla strofa. Sul finire del chorus, si aggiungono i cori ed un bellissimo fraseggio di chitarra, che lentamente si trasforma in un assolo, dove Steve Howe trasmette tutto il suo feeling con la sei corde. Ritorna la strofa, impreziosita da fiammate di archi che in crescendo ci portano in quello che una volta era chiamato lo "special". Un brioso cambio di tono con gli archi che trasportano in cielo il Santone di Accrington, seguito all'unisono dalle immancabili armonie vocali, che finalmente portano una ventata di positività, squarciando definitivamente l'oscura atmosfera che finora persisteva. Alan White sembra rigenerato, e insieme al compagno di sezione ritmica, pone fine al brioso interludio, lasciando il campo a Steve Howe e Jon Anderson che duettano per qualche battuta, riportandoci indietro nel tempo. Rientra in gioco l'orchestra, seguita dal possente duo ritmico che ci trascinano verso un breve interludio, dove i fraseggi della chitarra si intrecciano con avvolgenti cori che si ricollegano magicamente alla strofa, seguita immediatamente dal solare ritornello, che nella parte finale si allaccia ad un roccheggiante assolo di chitarra, dove Steve Howe raccoglie in un colpo solo tutti i suoi inconfondibili marchi di fabbrica. Per l'ultima volta ritorna il solare inciso, impreziosito da struggenti controcanti di Chris Squire. Dopo un bel fraseggio orchestrale, Alan White accompagna con una triste marcia sul rullante la parte finale, dove mesti cori si intrecciano con le oscure trame dell'orchestra, sfumando lentamente verso l'estinzione. Nelle liriche il Poeta di Accrington rivolge un pensiero alle vittime del terribile conflitto che nella prima parte degli anni novanta ha afflitto l'ex Jugoslavia, quel massacro che si è consumato in Bosnia ed Erzegovina, da molti definito come una sorta di terza guerra mondiale invisibile, in quanto vi sono state implicate direttamente o indirettamente tutte le maggiori forze mondiali. In questa triste pagina della storia europea, i diretti interessati non hanno mai avuto risposte chiare, Jon Anderson illustra attraverso gli occhi impauriti dei bambini, la triste vita dei rifugiati, costretti a sopravvivere passando la notte al freddo ed in silenzio. Tutti sembravano essere d'accordo, disponibili ad aiutarli, impegnandosi a far risplendere nuovamente il sole nella terra dei Balcani, cercando di far funzionare nuovamente tutto al meglio, ma invece le grandi potenze hanno fatto finta di dimenticare, voltando le spalle alla povera gente che vedeva giorno per giorno decimare i propri cari dall'orribile conflitto bellico. Gli Yes hanno scritto questa canzone d'amore per quella povera gente, sperando che un giorno gli occhi dei bambini siano sgombri dalle lacrime e nuovamente illuminati di gioia. Bellissimo brano che alterna momenti melanconici a briosi incisi, enfatizzati da uno spettacolare lavoro da parte dell'orchestra, brano destinato ad entrare nel cuore dei fans per rimanerci a lungo.
Veniamo ora a Soft As a Dove
Veniamo ora a Soft As a Dove (Soffice Come una Colomba), uno dei brani più brevi del platter. Steve Howe ci porta ancora indietro nel tempo, pizzicando la sei corde acustica accompagnando in un suggestivo duetto con Jon Anderson, che per l'occasione inserisce la desueta modalità Beatles, come spesso faceva agli inizi della carriera. Chris Squire fa ruggire le quattro corde in sottofondo, un paradisiaco flauto traverso intreccia i fatati suoni con la dolce linea vocale di Anderson, il brano ci lascia respirare le spensierate atmosfere degli anni settanta. Un magico intreccio fra la chitarra acustica e le note dei flauti, ci porta all'interno di un affascinante maniero cinquecentesco. Uno struggente tema d'archi dona una nota nostalgica a questo suggestivo interludio strumentale dalle piacevoli atmosfere medievali. Squillanti percussioni annunciano un bellissimo intreccio fra flauti archi e la chitarra acustica. Ritorna la strofa, impreziosita da alcuni passaggi di arpa, poi i flauti dettano un importante cambio di tono, trasportando in alto il Menestrello di Accrington, che con brio va a chiudere questa piacevole ballata dal sapore medievale. Jon Anderson scrive alcuni versetti impenetrabili, dove si sprecano le licenze poetiche. Per il poco che lasciano trasparire, i pochi versi potrebbero essere una dichiarazione di un padre al figlio, che sta crescendo, passando da una colomba piccola ed indifesa, ad un uccello leggiadro che prima o poi spiccherà il volo, diventando adulto. Jon Anderson ha sempre avuto un rapporto particolare con i propri figli, con i quali spesso ha collaborato in campo musicale. Questi profondi versi potrebbero essere una dedica al figlio Damion, con particolari riferimenti ad alcuni aspetti del loro rapporto che solo i diretti interessati possono percepire. Piacevole breve interludio dove si respirano affascinanti atmosfere d'altri tempi.
Dreamtime
Da un brano breve passiamo subito a quello più lungo, con i quasi undici minuti di Dreamtime (Tempo di Sognare), aperta dal Maestro Steve Howe con una serie di funambolici fraseggi con la chitarra acustica, eseguiti ad una velocità disarmante. Un paio di colpi stoppati all'unisono, poi Alan White entra in scena con un tempo sincopato, affiancato dal ruggente basso di Chris Squire, che va ad intrecciarsi con le struggenti trame dei violini. Steve Howe prende il sopravvento con la sei corde acustica, riallacciandosi poi al tema dell'introduzione, stavolta scandito all'unisono da orchestra e sezione ritmica. Gli ottoni emergono prepotentemente, poi un bellissimo intreccio fra chitarra e archi, supportati da una serie di rullate, ci porta verso la fine di questo epico interludio strumentale. Breve pausa e Jon Anderson recita le prime strofe, accompagnato dalle suggestive melodie degli archi e dei sognanti aliti dei flauti. Alan White inizia una interminabile corsa sulle pelli che col tempo assume sentori tribali, grazie all'ingresso delle percussioni etniche. Chitarra e basso viaggiano all'unisono con un enigmatico riff dal sapore orientale, ricamato da fiammate di ottoni e violini. Ritorna il Santone di Accrington, con una linea vocale ritmata che segue la strada aperta da Mr. White. Andando avanti incontriamo un interludio strumentale, dove emerge un botta e risposta fra l'orchestra e gli strumenti a corda che all'unisono ripropongono il tema portante. Ritorna la strofa, con le sue ritmiche tribali e le fiammate sparate dell'orchestra, con l'aggiunta di inquietanti controcanti. Breve pausa e si riparte con una versione alternativa della strofa, cantata in stile scioglilingua dal frontman, accompagnato dagli elementi diretti da Larry Groupé. Ritorna l'interludio strumentale sentito in precedenza, poi Alan White decide di ingranare la quarta, coadiuvato da Chris Squire. Su questa epica e trascinante cavalcata, Steve Howe ripropone il tema portante dai sentori orientali, ricamato sapientemente dall'orchestra, passando poi a fraseggi dal sapore hawaiano, trascinato dal martellante tappeto di basso e ricamato dai violini. Breve break con un caustico assolo di basso e poi si passa ad un interludio con la chitarra acustica in evidenza, con suggestivi fraseggi spagnoleggianti. Ritorna il Cantastorie di Accrington, con una solare linea vocale che ci riporta ai fasti dei tempi d'oro, per poi lasciare nuovamente il campo all'epica cavalcata che supporta il botta e risposta fra la chitarra e gli archi. Sempre sulla scia della cavalcata, ritorna Jon Anderson a recitare alcune strofe, intervallandosi con il tema portante. Queste strofe ci ricordano molto da vicino le epiche cavalcate di Tempus Fugit. Altro break con il basso in evidenza, e poi è il turno dell'assolo di chitarra. Le intricate trame sparate da Steve Howe duettano a lungo con l'orchestra, che poi prende il sopravvento, dando vita ad una magnifica babele sonora, a cui pone fine Chris Squire con una serie di caustici fraseggi di basso. Quando il brano sembra terminare, oscure trame emergono dall'orchestra. Larry Groupé si ricorda del suo passato e dà vita ad un bellissimo interludio strumentale dove si passa da atmosfere gotiche a atmosfere disneyane, passando poi a momenti briosi che ricordano i vecchi film di avventura e a struggenti lamenti dei violini che ci rammentano ricordi di vecchi film in bianco e nero, concludendo infine con paradisiache atmosfere dal sapore romantico. Jon Anderson sostiene che la musica è il miglior viatico per iniziare a sognare. Trasportati dalle liriche del brano, ci addormentiamo iniziando un bellissimo viaggio onirico, in un magico luogo dove l'unica parola conosciuta è "libertà". In questo magico mondo, i cinque sensi vengono ampliati ed entrano in sintonia con l'anima. Possiamo volare, ammirando il mare, i monti, le stelle, la Luna, il Sole. Non abbiamo nulla da perdere e nulla da dover dimostrare, abbiamo solo le ali dorate che seguono la strada della libertà e della sincerità, lontani dai mali della vita terrena, che quotidianamente avvelenano la nostra anima. I sogni sono una sorta di purificazione per il nostro animo interiore, dove cerchiamo di liberarci dalle scorie radioattive accumulate durante il giorno, i sogni sono uno dei misteri più belli con cui per nostra fortuna, abbiamo quotidianamente a che fare. Questo è il brano che maggiormente mette in mostra l'orchestra diretta da Mr. Larry Groupé, che nel finale ci delizia con un bellissimo collage di musica da original soundtrack.
In Presence Of
I nostri rafforzano la loro voglia di tornare alle sinfoniche sonorità del passato, proponendoci In Presence Of (In Presenza Di), una suite divisa in quattro movimenti. Ad aprire le danze è I-Deeper (In Profondità), aperta da Alan White che torna a sedersi di fronte al pianoforte. Questa parte introduttiva, un semplice ed elegante accompagnamento di piano, venne messa in circolazione dagli Yes via Internet, in formato mp3, qualche mese prima dell'uscita dell'album. La dolce melodia generata dal pianoforte, viene ripresa all'unisono prima da Jon Anderson e poi dal fragoroso basso di Chris Squire. Arriva l'inciso, Jon Anderson viene accompagnato da cori celestiali e suggestivi fraseggi con il mandolino. Un breve passaggio orchestrale ci riporta alla strofa, la sezione ritmica trascina tutti con un incisivo 4/4 a BPM ridotti, ora la melodia comandata dal pianoforte viene seguita anche dalla chitarra e ricamata in maniera esemplare dall'orchestra. Si risale con il ritornello, la cristallina voce di Jon Anderson ci trasporta dolcemente, facendoci sognare ad occhi aperti. Nella successiva strofa, il Cantastorie di Accrington viene raggiunto da dolcissimi controcanti, poi l'orchestra va ad annunciare l'assolo di chitarra. Le pregevoli trame di Steve Howe si intrecciano magicamente con l'orchestra, che con una melliflua miscela di archi e flauti dal sapore fiabesco, va a concludere questo primo movimento, lasciando il campo al minuto 03:39 a II-Death Of Ego (La Morte Dell' Ego). Steve Howe accompagna in strumming il Santone di Accrington, che come sempre dà il meglio di se in queste situazioni, sciorinando linee vocali ammalianti. Steve Howe fa lamentare la sei corde, una delicata e prolungata corsa sul rullante rimette in gioco la sezione ritmica, che trascina dietro tutta l'orchestra fino ad arrivare ad un nuovo assolo di chitarra. Gli struggenti fraseggi della lap steel guitar vengono enfatizzati dai violini, che in crescendo annunciano il ritorno della strofa, dove fra la babele orchestrale si fa largo una bella trama di chitarra acustica. Steve Howe va a concludere con gli struggenti lamenti della Fender lap steel guitar che si attorcigliano alle trame orchestrali, andando ad estinguersi sotto i colpi sulle pelli di Mr. White. Al minuto 05:52 ha inizio il terzo movimento, intitolato III-True Beginner (Vero Principiante). Una brillante armonia vocale si alterna ad un unisono totale stoppato che sa un po' di Abba. Alan White inizia a battere il tempo, ma per pochi secondi, ritornando poi all'unisono stoppato. Alan White ci riprova, e stavolta con successo. La ritmica cadenzata si trasporta dietro le sognanti trame orchestrali, che insieme alla melliflua voce di Jon Anderson genera una paradisiaca atmosfera dal piacevole retrogusto vintage che lentamente sfuma in fader. Al minuto 07:01 ha inizio la parte conclusiva della suite, IV-Turn Around And Remember (Torna Indietro e ricorda). Dalle oscure trame orchestrali emerge il fragoroso basso di Chris Squire, con una serie di pennate che vanno in crescendo. I lamenti della Fender lap steel guitar richiamano gli archi che entrano in maniera definitiva nella ritornello finale, dove emerge un'ammaliante armonia vocale che segue la ritmica cadenzata, insinuandosi subito nel nostro cervello. La nostra testa ondeggia a tempo di musica, seguendo i cadenzati colpi della sezione ritmica e la cantilenante melodia dell'inciso, ricamata da disneyane fiammate degli archi. Annunciato da un breve passaggio di percussioni, in sordina Steve Howe inizia un assolo con la Fender lap steel guitar, le cui trame poi vanno a fondersi con una seconda traccia di chitarra, rimandandoci inevitabilmente ai tempi d'oro del combo albionico. L'orchestra ricama magicamente, dando vita ad un wall of sound da brividi. Nell'epico finale ritorna la cadenzata armonia vocale, che va ad intrecciarsi con le trame delle due chitarre e con gli struggenti violini, alternandosi con il mellifluo ritornello fino ad una graduale estinzione in fader, mentre nella nostra mente riecheggia ancora l'ammaliante linea vocale del ritornello. Una sinfonia del genere con forti richiami al passato, non poteva che essere accompagnata dalle classiche profonde liriche spirituali Andersoniane, piene di licenze poetiche e profondi messaggi. Dall'alto dei cieli, l'Onnipotente ci osserva e ci ascolta, ammirando tutte le bellezze della Natura, che ha messo a contorno dell'essere umano, per rendergli la vita più piacevole, sperando che tutti potessero entrare in sintonia con la magia dei quattro elementi e vivere in armonia nel segno della pace, come un tempo era nel Paradiso Terrestre. Seduto sul suo trono di diamanti, desidererebbe di venirci a far visita, di materializzarsi sulla Terra ed essere circondato dall'amore degli uomini. Sembra che tutta l'esistenza sia un grande sogno, uno sogno che poi è sfuggito di mano, quando l'uomo ha visto sfumare il proprio ego, quell'ego che lo faceva vivere in piena sintonia con le bellezze della natura. Quell'ego che dà vita alla consapevolezza, il gestore centrale di tutte le attività psichiche, che rivolge verso sé stesso e verso l'ambiente esterno, generando appunto la consapevolezza propria e della realtà. L'onnipotente rimane stupito come un principiante qualsiasi, nel vedere l'uomo che si manda in rovina con le proprie mani, e allora ci invita a guardarsi indietro e ricordare cosa eravamo, in modo da rialzarsi da una caduta che ci ha fatto piombare il più in basso possibile, una rovinosa caduta che ci ha fatto toccare il suolo. Sin dai primi ascolti in sede live In the Presence Of è entrata subito nel cuore dei fans, finendo prepotentemente ad occupare una dignitosa posizione fra i grandi classici del passato, ai quali non è per niente inferiore, una bellissima sinfonia, enfatizzata dall'orchestra diretta da Larry Groupé, che nell'occasione non risulta mai invadente, amalgamandosi perfettamente con le trame degli strumenti. Chapeau.
Time Is Time
Dopo due lunghe composizioni che superano abbondantemente i dieci minuti ciascuna, i nostri ci salutano con Time Is Time (Il Tempo è Tempo), che con i suoi appena 02:09 minuti, è il brano più breve del platter. Una breve corsa sulle pelli annuncia un wall of sound tipicamente beatlesiano, interpretato dolcemente dal Cantastorie di Accrington, ricamato da cori celestiali. La blanda ritmica di Mr. White viene impreziosita da profondi glissati di basso, i due si trascinano lentamente dietro le trame dell'orchestra e i preziosi fraseggi di chitarra, mentre Jon Anderson recita i pochi versi con una linea vocale che emana forti sentori di nostalgia, come se questo breve e mellifluo brano fosse una splendida sigla conclusiva, che va a chiudere un album magistrale, lasciando ovviamente il compito nelle sapienti mani di Larry Groupé, che con maestria dirige l'orchestra per un gran finale strappalacrime. I pochi versi partoriti dalla penna del Poeta Di Accrington somigliano più ad una profonda poesia, dove si esalta l'importanza del tempo, della fede e dell'amore nella vita di un essere umano, quasi a concludere le liriche del brano precedente. Ogni giorno che passa, l'uomo si deve sentire un privilegiato che è ancora in vita e può ammirare l'ennesimo celo stellato che gli brilla sopra. Nascosto dietro la Luna, c'è sempre il Creatore Onnipotente, che ci guarda dall'alto, lanciandoci profondi messaggi e nutrendosi del nostro amore.
Conclusioni
Il titolo Magnification poteva sembrare presuntuoso, ma invece i nostri hanno dato vita ad un album che richiama fortemente i capolavori del passato, gioia per le orecchie dei fans di lunga data. Nonostante avessi preferito un tastierista di ruolo al posto dell'orchestra, il risultato finale è originale e soddisfacente. Larry Groupé,è riuscito ad amalgamare alla perfezione le nuove sinfonie del quartetto albionico, con le pompose trame dell'orchestra, rubando talvolta la scena ai nostri, in alcuni interludi che suonano molto come una vera e propria colonna sonora cinematografica. Steve Howe ritorna ad essere ispirato come agli esordi, quasi irriconoscibile rispetto al recente "Open Your Eyes", dove pareva essere a disagio, di fronte a banali composizioni, delle quali non aveva partecipato alla stesura. Come negli anni settanta, sovente ricorre alla chitarra acustica, della quale a mio avviso è il miglior interprete del Pianeta, non disdegnando suggestivi passaggio con la lap steel guitar e simpatiche escursioni con il mandolino, rimandandoci inevitabilmente indietro nel tempo. Jon Anderson è come il rum, più invecchia e più migliora, riuscendo incredibilmente a mantenere invariata la sua inconfondibile timbrica cristallina, sciorinando sempre linee vocali vincenti e liriche intelligenti. In netta crescita anche Alan White, che ci sorprende con un paio di interessanti escursioni al pianoforte e che conferma di avere un innato senso nel trovare la giusta soluzione ritmica al momento giusto, forte della compagnia di Chris Squire, che come sempre mette in evidenza la sua classe e il suo inconfondibile stile di interpretare le quattro corde, non limitandosi ai soli canonici compiti ritmici. L'album scorre via veloce, mostrando momenti memorabili e mettendo in mostra almeno un paio di brani destinati a far parte dei grandi classici. Album senza momenti piatti, dove anche le due canzoni più brevi hanno il suo perché. Spesso i nostri, come già era successo sul precedente "The Ladder" si divertono a rievocare memorabili refrain dei tempi d'oro, ma è tutto l'album, che se ascoltato a fondo, inevitabilmente si ricollega alle epiche sinfonie di "Close To The Edge", "The Yes album" e "Fragile". Come detto in fase di track by track, il nostro "Magnification" è stato distribuito dalla Eagle Records, in anteprima nel Regno Unito l'11 Settembre del 2011, mentre nel resto dell'Europa è stato distribuito il 20 Settembre. Gli Stati Uniti invece hanno dovuto aspettare sino al 4 Dicembre la distribuzione da parte della Beyond Music. Le registrazioni sono state effettuate tra la primavera e l'estate del 2001 presso i Sound Design Studios di Santa Barbara, in California. La produzione è opera degli Yes e Tim Weidner, produttore suggerito da Steve Howe, con il quale aveva collaborato durante la stesura dell'album "Turbolence". Il nostro ha saputo dare un suggestivo suono "live" all'album, che mixato alle trame dell'orchestra da un ulteriore tocco di classe a un giù ottimo prodotto. L'artwork è opera di Bob Cesca, che sfrutta il logo originale edito da Roger Dean e una gigantesca scritta "Magnification", poste al centro dell'universo. Nel 2002 è stata messa in circolazione una lussuosa edizione limitata a due CD che vi consiglio vivamente (io ho la n° 09361 NDR), che sfoggia un ammaliante case in viola scuro trasparente, con il logo Yes in argento. Il bonus disc prevede le bellissime versioni live con orchestra e Tom Brislin, dietro al castello di tastiere presente in "Deeper (In the Presence Of)", "Gates of Delirium" e "Magnification". Inoltre troviamo una CD-Rom Track, contenente una video intervista di Jon Anderson, il video di "Don't Go" e il video di una splendida versione live con orchestra di "Gates Of Delirium", con una "Soon" da brividi. Il bonus CD è stato prodotto da Perry Joseph. Disco consigliatissimo ai fans di vecchia data, che davano gli Yes per dispersi e a tutti coloro che sono curiosi di sentire come suona l'abbinamento della musica degli Yes con una intera orchestra a supporto.
2) Spirit Of Survival
3) Don't Go
4) Give Love Each Day
5) Can You Imagine
6) We Agree
7) Veniamo ora a Soft As a Dove
8) Dreamtime
9) In Presence Of
10) Time Is Time