YES
Keys to Ascension
1996 - Essential Records
SANDRO NEMESI PISTOLESI
19/01/2016
Introduzione Recensione
Non c'è pace per gli Yes, nel 1995, al termine del tour di "Talk" sono di nuovo sull'orlo del baratro, e come se non bastasse, in un periodo in cui il mercato non vedeva di buon occhio i vecchi dinosauri del progressive. Il grunge aveva fatto sfracelli dappertutto, in più dalla fredda Scandinavia stava arrivando una glaciale ondata di band che proponevano un orecchiabile gothic rock e del brutale death metal, due generi lontani anni luce dal progressive rock e che ottenevano consensi positivi sia dal pubblico che dalla critica. Anche delle icone del metal come i Metallica furono costrette ad addolcire il loro sound per stare a passo con i tempi. Con le defezioni di Trevor Rabin e Tony Kaye, Chris Squire e Alan White stavano rivivendo l'incubo di fine anni settanta, quando furono molto vicini a sciogliere la band a causa di una enorme difficolta a trovare i rimpiazzi. Stavolta però avevano un'arma in più, ovvero Jon Anderson, che vedeva un'unica strada da percorrere, quella di richiamare Rick Wakeman e Steve Howe, andando a riformare la formazione classica dopo ben diciotto lunghissimi anni. La missione non era delle più semplici, visto che gli YesWest, dopo il tour di "Union" dettero il benservito ai due virtuosi strumentisti, e nel caso l'affare fosse andato a buon fine, c'era da vedere come avrebbero potuto lavorare insieme, dopo così tanto tempo. In quel periodo, Jon Anderson, dopo aver cambiato una innumerevole serie di abitazioni sparse per tutto il globo, si era finalmente stabilito in California, dove era stato allestito anche uno studio personale della band, chiamato YesWorld. Partirono le telefonate. Steve Howe, aveva messo da parte il rancore verso il quartier generale californiano e accettò con molto entusiasmo la proposta del Santone di Accrington. Anche Rick Wakeman accettò, anche se meno calorosamente, mettendo subito le cose in chiaro: non voleva sentir neanche parlare degli affari burocratici e finanziari del gruppo, quella roba complicata gli faceva venire il mal di testa, lui voleva solo tornare a far buona musica. Finalmente Jon Anderson riuscì a combinare un incontro, dove i nostri misero nero su bianco le intenzioni ed i possibili progetti. La prima cosa era quella di sorprendere i fans ritornando a cavalcare i palchi con la storica formazione, poi fare una selezione dei brani e pubblicare un disco live, e magare, iniziare a dare vita a nuove composizioni, visto che di idee in cantiere ce ne erano abbastanza. A Febbraio del 1996 Wakeman e Howe volarono nuovamente in California, e gli Yes iniziarono a provare la scaletta in vista dei futuri concerti e delle registrazioni da effettuare. I concerti si tennero al Freemont Theater di San Luis Obispo, in California il 4,5, e 6 Marzo del 1996. Le registrati furono accuratamente controllate da una folta schiera di tecnici. Sotto il punto di vista tecnico, in pratica, era come se il concerto fosse stato fatto in uno studio di registrazione. Gli Yes cercarono inoltre di rendere più speciale la scaletta dei concerti, andando a pescare brani che raramente sono stati riproposti dal vivo e che per la prima volta compariranno su un live ufficiale, come l'interminabile "The Revealing Science of God", la chicca "America", "Onward" e "Awaken". Durante il tempo passato insieme, i nostri buttarono giù un sacco di materiale e così decisero di aggiungere al disco live un paio di brani inediti, per la gioia dei fans. Sia il materiale registrato dal vivo che i brani inediti registrarti in studio, raggiungevano un minutaggio troppo eccessivo per una singola pubblicazione, quindi i nostri programmarono di pubblicare un sequel che ne ricalcava la struttura, nel giro di un anno. "Keys to Ascension (Chiavi Per L'Ascensione)" fu distribuito dalla Essential Records, una piccola casa discografica che non aveva i mezzi per promuovere in pompa magna l'album, ed è anche per questo che l'album mantenne un profilo basso, venendo acquistato solamente dai fans di vecchia data. E' giunta l'ora di inserire il primo dei due CD nel nostro lettore, gustandoci alcuni classici del passato prima di assaporare le nuove tracce inedite.
Siberian Khatru
I nostri vanno sul sicuro e aprono le danze con un loro classico, "Siberian Khatru (Siberiano Come Desideri)" tratta dal capolavoro assoluto "Close To The Edge" (1972). Le grida e gli applausi del pubblico entusiasta anticipano il rockeggiante riff sparato da Steve Howe, poi una inconfondibile scala annuncia il tema portante del brano, dove emerge Rick Wakeman. Chris Squire macina un numero infinite note con il fragoroso Rickenbacker, Steve Howe tesse un a intricata trama di note. Alan White è senza ombra di dubbio un batterista meno tecnico e raffinato rispetto a Bill Bruford, ma compensa le lacune aggiungendo energia al sound degli Yes, trascinandoci verso la strofa, dove domina l'organo di Wakeman, che si intreccia a meraviglia con le trame del basso e della chitarra. Arriva l'immancabile armonia vocale trascinata dal bellissimo groove di basso. Andando avanti incontriamo un effimero bridge con la ritmica stoppata, e poi si cambia nuovamente atmosfera. Arriva l'inciso, la sezione ritmica riduce i BPM, e si fa più delicata, lasciando il campo ad un bellissimo gioco di armonie vocali. Una breve escursione solista di Steve Howe che ci ripropone il ridondante riff, e poi ritorna la strofa, seguita da bridge e ritornello, che emana sensazioni di galleggiamento, dove in conclusione un memorabile "dude'ndoodit, dah, d't-d't-dah", all'unisono con l'organo, apre i cancelli ad un bellissimo interludio strumentale. La granitica sezione ritmica apre la strada ad un effimero assolo di chitarra, che poi lascia il campo a Rick Wakeman, che fa centro con un suggestivo assolo di clavicembalo, portando una ventata di medioevo. Squire ricama con pungenti scale di basso che spalancano la via all'assolo di chitarra, che Steve Howe esegue con la suggestiva Fender lap steel guitar, ritornando poi alla chitarra elettrica, andando a concludere con una serie di funamboliche scale, accompagnate dal suo caratteristico movimento della testa a tempo di musica. Il nostro conclude riproponendo il rockeggiante riff iniziale. Al minuto 04:25 il Santone di Accrington ruba la scena recitando in maniera angelica alcuni versi, accompagnato da un ridondante arpeggio di basso e da delicati tocchi sui piatti da parte di Mr. White, mentre dal castello di tastiere di Sir Wakeman fuoriescono magici suoni. Lentamente inizia a prendere vita il ridondante tema di chitarra, aprendo le porte al ritorno della strofa. Le falangi di King Of The Keyboard volano sui denti d'avorio della tastiera. Si cambia nuovamente atmosfera, le suggestive tastiere di Wakeman accompagnano un'angelica armonia vocale. Squire si limita a potenti pennate, White prima accarezza delicatamente il ride, poi inizia una prolungata corsa sul rullante in crescendo che culmina con il ritorno del tema portante sentito ad inizio brano. Chris Squire ci massacra con un groove intricato, andando avanti incontriamo una serie di "da - doo - da - doo - da", ricamata da pregevoli escursioni sugli strumenti e poi si riparte con l'epica cavalcata. Inizia una battaglia fra Steve Howe e Rick Wakeman, che si alternano con riff ed assoli, non disdegnando momenti all'unisono. Anche Chris Squire si fa trascinare dal momento, deviando in una serie di pregevoli escursioni soliste, lasciando il compito di guida ad Alan White, che in questi frangenti non fa rimpiangere il batterista del Re Cremisi, trascinandoci fino al gran finale, con l'inevitabile esplosione del pubblico, che acclama il ritorno dei mostri sacri del progressive. L'origine del bizzarro titolo si perde nella notte dei tempi, Jon Anderson quando veniva interrogato a proposito, se la cavava brillantemente sostenendo che in siberiano "Khatru" significa "Come desideri", lanciando un messaggio che fra le righe recita "ognuno è libero di interpretare le liriche e titolo a proprio piacimento". Negli anni settanta, Anderson era convinto di interpretare la voce come un vero e proprio strumento musicale, era sempre alla ricerca di frasi e parole che suonassero come suoni puri. Come spesso accade si sprecano le licenze poetiche. Al centro di tutto vi sono i cambiamenti, spesso determinanti per il destino dell'uomo. Si fa riferimento ad un fantomatico anello che raccoglie segreti nelle mani di un freddo re, dove io scorgo un velato tributo alla letteratura Tolkienana. Viene scomodato addirittura Martin Lutero, colui che fu l'iniziatore della riforma protestante, rimarcando la tematica dei cambiamenti. In fondo, anche la fredda Siberia, "la terra che dorme" che sembra sempre avvolta dal gelo, è incline ai cambiamenti. Rispetto alla versione in studio, i nostri si dilungano leggermente nelle parti soliste, allungando ulteriormente il brano di circa un minuto.
The Revealing Science Of God (Dance of the Dawn)
I nostri sorprendono la platea, andando a pescare un brano dal controverso "Tales from Topographic Oceans" (1973), l'epica suite "The Revealing Science Of God (Dance of the Dawn) (La Scienza Rivelatrice Di Dio, La Danza Dell'Alba)", aperta da un suggestivo intreccio di tastiere e percussioni che accompagna il Santone di Accrington, che si presenta con una linea vocale dal forte sapore ecclesiastico. Il pubblico riconosce immediatamente il brano, esultando calorosamente. Squire e Howe si aggiungono ad Anderson andando a formare una disorientante babele vocale, accompagnata da arcane tastiere. Rispetto alla versione in studio, la prolungata marcia sul rullante di Alan White è molto più energica, poi una rullata annuncia il tema portante del brano, sparato dalle tastiere di Mr. Wakeman. Chris Squire imita il talentuoso Tastierista di Perivale con pungenti note, mentre Steve Howe ricama con pregiati intarsi di chitarra. Dopo un paio di colpi sui piatti, entra in scena Mr. White, che con un tempo blando ci porta verso la stralunato assolo di chitarra, a cui fa eco Rick Wakeman che poi va a riallacciarsi al teme portante. Un breve interludio strumentale e poi ritorna il Santone di Accrington, accompagnato dall'immancabile armonia vocale. Chris Squire emerge con una serie di graffianti scale che annunciano un nuovo cambio di atmosfera. Il brano indossa delle vesti vagamente beatlesiane, dopo di che arriva l'inciso, dove emerge ancora una volta l'armonia vocale. Nella successiva strofa domina il fragoroso basso di Squire, Wakeman aggiunge raffinati ricami di pianoforte. Improvvisamente un repentino cambio ritmico ci fa sussultare. Trascinato dalla ritmica irregolare, il Bassista di Londra ci avvolge con un complicato groove. Steve Howe tesse una vischiosa ragnatela di note che imprigiona Jon Anderson. Rallentano i BPM e l'intensità degli strumenti, mettendo in luce un tema di chitarra dai sentori paradisiaci, ricamato da energiche scale e glissati di basso. Un angelico coro segue all'unisono la melodia dettata dalla chitarra e dal pianoforte. Un breve break con il tema portante in evidenza e si cambia nuovamente. Uno spaziale pad di tastiera apre la strada ad un delicato assolo di chitarra, quasi sovrastato dai ruggiti del basso. Per qualche istante rimane la tastiera ad accompagnare il Cantastorie di Accrington, poi una breve rullata richiama tutti all'appello. Dal castello di tastiere fuoriescono squillanti fiammate, mentre la strofa scorre via agilmente. Altra brusca variazione ritmica, Wakeman ci sorprende con una serie di funamboliche scorribande sul pianoforte, che inevitabilmente rubano la scena, giustificando l'appellativo di "mago delle tastiere". Improvvisamente irrompe una trascinante cavalcata ritmica che accompagna l'assolo di chitarra. Nella seconda parte dell'assolo, la sezione ritmica cambia nuovamente il tempo obbligando Steve Howe a percorrere strade alternative sulla sei corde. Al minuto 12:50 rimane un oscuro pad ad accompagnare alcuni fraseggi di chitarra che poi lasciano il campo ad un sognante arpeggio dal sapore latino che si sposta sulle toniche, scandite da profonde pennate di basso, poi il Gigante Buono, con una serie di pungenti note eseguite sotto il dodicesimo capotasto, annuncia il ritorno di Jon Anderson. La delicata ritmica viene scandita dal basso, con una linea vocale dal sapore sibillino il Guro di Accrington ci porta verso l'ennesimo cambio. Una fugace apparizione del tema portante lascia il campo ad un ancestrale pad di tastiera, ricamato da preziosi intarsi degli strumenti a corda. Wakeman stende un prolungato tappeto di organo, scandito da una serie di colpi sui piatti, seguiti all'unisono dal basso, mentre Howe sembra suonare fuori dagli schemi. Una squillante fiammata di tastiera dà il via ad una trascinante cavalcata ritmica. Rick Wakeman lascia il pubblico a bocca aperta con un prolungato assolo di tastiera, ricco di spunti tecnici ed eseguito ad una velocità disarmane, concludendo con uno spaziale pad che accoglie nuovamente il Cantastorie di Accrington, che con una beata linea vocale ci porta verso il ritorno della strofa. Si chiude con il tema dell'introduzione ed un pubblico in visibilio per la straordinaria performance dei nostri, che hanno riproposto da vivo in maniera impeccabile un brano di oltre venti minuti. Nelle liriche, si mette in contrapposizione la scienza, da sempre nemica delle teorie che prevedono l'esistenza di un Dio superiore, con l'atavico e profondo mistero della fede. Ma in fondo, la fede stessa è una scienza, una scienza che ci rivela l'esistenza di Dio, partendo dall'alba della vita. Nella lunga strada temporale che è iniziata con la nascita del primo essere umano, i ricordi delle esperienze rimangono indelebili nella mente di chi li ha vissuti. Purtroppo, oltre la nostra mente, non esiste scienza in grado di poter rendere tangibili e tramandabili i ricordi di un tempo che fu, durante l'affascinante viaggio dell'uomo alla scoperta del Pianeta Terra, durante il quale l'essere umano ha sempre sentito un forte bisogno di un amore e dalla fede che lo lega ad un Dio superiore. Il Dio supremo, mentre osserva il flagello delle guerre, continua a mandare avanti il meraviglioso meccanismo dell'alternarsi delle stagioni, regolando con maestria l'influsso del Sole. L'unica cosa di cui ha bisogno l'uomo è l'affascinante incantesimo dell'amore, la sola cosa che permette all'essere umano di continuare il tortuoso cammino intrapreso tanto tempo fa. Nel finale, il Guru di Accrington, invita i cacciatori di verità ad accettare anche la scienza rivelatrice di Dio, iniziando a respirare, inseguire ed amare, per il bene dell'umanità. Andando avanti incontriamo una vera e propria chicca, una delle tante cover che riempivano il repertorio degli Yes agli albori della loro carriera, quando prendevano brani dei loro idoli e li rivoltavano come calzini, spesso rendendole irriconoscibili e molto vicine al loro stile, che già dai primi tempi aveva una forma ben delineata, caratterizzata dal fragoroso basso di Chris Squire.
America
I nostri sorprendono il pubblico attaccando con "America", brano che porta la firma del celeberrimo duo Simon & Garfunkel. In passato non è mai apparsa su un vero e proprio album, ma è stata inserita come inedito nella raccolta "Yesterdays", pubblicata nel 1975, con l'intendo di rivitalizzare i primi due album, dai quali erano state estrapolate quasi tutte le tracce, fatta eccezione di "Dear Father" (lato B del singolo "Sweet Dreams", (1970) e appunto la cover di "America", l'unico brano della raccolta suonato dalla storica formazione di "Close To The Edge" e pubblicato come singolo. I cinque virtuosi strumentisti albionici stravolgono completamente il brano, a partire dalla durata che dai 03:37 minuti arriva a 10:35, in pratica della la versione originale, una dolce ballata incentrata su chitarra e voce, rimangono inalterate solamente le liriche, che descrivono un utopico e metaforico viaggio di una coppia, alla ricerca del vero significato dell'America. Passando dal Michigan e raggiungendo con mezzi di fortuna il New Jersey la loro iniziale fiducia e l'entusiasmo, ben presto si trasformano gradualmente in un senso di frustrazione e tristezza, portandoli alla drastica conclusione che alla fine, come del resto l'El Dorado, l'America è un'illusione che tutti gli americani cercano invano. La significativa differenza del minutaggio è dovuta all'inserimento di alcune parti strumentali, come quella che apre il brano, caratterizzata da un botta e risposta fra chitarra e organo, scandito da potenti colpi inferti dalla sezione ritmica. Sin dalle prime note i nostri mandano in visibilio i pubblico. Dopo alcune battute all'unisono, rimane uno spaziale pad di tastiera. Alan White ritma con una micidiale serie di colpi di gran cassa, Steve Howe tesse una delle sue intricate trame di note, che si intrecciano magicamente con le funamboliche escursioni sulle quattro corde. Ritorna il tema iniziale, poi arriva un break con l'organo in evidenza e dopo una dimostrazione di tecnica complessiva, sotto i trascinanti colpi di gran cassa e basso entra finalmente in scena il Cantastorie di Accrington. La linea vocale non si discosta molto da quella originale, se non per la caratteristica timbrica del nostro. Lo strumming di chitarra viene rimpiazzato dal graffiante basso che segue come un ombra i passi della gran cassa, lasciando i compiti dell'accompagnamento alle tastiere e ad alcuni preziosi intarsi di chitarra. Jon Anderson interpreta magistralmente la strofa, e accompagnato in maniera impeccabile dai compagni ci porta verso l'inciso, dove rallentano i BPM, mettendo in luce una delle classiche armonie vocali che culmina con il titolo del brano. Dopo un breve interludio strumentale che mette in luci le doti tecniche di Steve Howe, ritorna la strofa, seguita nuovamente dall'inciso, che stavolta vien proposto due volte. Dopo quattro minuti, quando il brano sembra terminato, emerge un pad di tastiera. Ritorna Jon Anderson, ricamato da delicati tocchi sulla sei corde e da fragorosi fraseggi di basso. Un funambolico break chitarrista richiama all'appello Alan White, subito affiancato dal martellante Rickenbacker di Squire. I nostri ci propongono una versione alternativa di strofa e ritornello, rese molto più grintose dall'energico lavoro della sezione ritmica. Andando avanti incontriamo un nuovo prolungato interludio strumentale, che prima gira intorno ai temi portanti del brano, poi lascia il campo ad un pregevole assolo di chitarra dal sapore Old West. Nella seconda parte dell'assolo, la chitarra si intreccia meravigliosamente con le note sparate dal basso, riportandoci magicamente alle spensierate e solari sonorità di fine anni sessanta americane. Le atmosfere da saloon vengono rafforzate da pregevoli e velocissime corse sul pianoforte. Sulla briosa scia di questo prolungato interludio strumentale, dove si sperequano le escursioni soliste, ritornano strofa e ritornello. Quando il brano sembra finito, Steve Howe attacca un tema dal sapore texano, che richiama all'appello i virtuosi strumentisti albionici, che con una serie di veloci escursioni sui rispettivi strumenti, vanno a concludere il brano, lasciando il campo alle grida di soddisfazione del pubblico.
Unity / Onward
Ma le sorprese non finiscono qui, i nostri vanno a pescare in uno degli album più controversi mai pubblicati, quel "Tormato", che a detta di Rick Wakeman aveva le potenzialità di diventare uno dei loro migliori lavori, ma che è stato rovinato da una produzione eccessiva ed a tratti esasperante. Il brano estratto è uno dei più dolci mai scritti dagli Yes, la bellissima "Onward (Dinanzi A Me)", per l'occasione impreziosita con una nuova e struggente introduzione con la chitarra acustica di Steve Howe dal titolo "Unity (Unità)". Le bellissime note del Maestro di Holloway ammutoliscono il pubblico, che si era eccitato alla vista del loro idolo con in braccio la chitarra acustica. Dopo alcune battute in solitario, la chitarra viene accompagnata da un emozionante pad di tastiera ed insieme iniziano ad intraprendere la struttura melodica portante del brano. L'arpeggio si fa più articolato andando a riproporre il ridondante tema di chitarra della versione originale, ma devo sottolineare che eseguito con la chitarra acustica ha veramente un suo perché, brividi. Arrivano anche le felpate note del basso, che insieme alla tastiera danno vita ad una avvolgente atmosfera di Twinpeaksiane memorie che accoglie il Santone di Accrington. L'interpretazione del nostro è da pelle d'oca, la melliflua linea vocale si intreccia magicamente con le preziose escursioni di Steve Howe con la chitarra acustica, che dolcemente ci portano verso il gradevole inciso, Alan White, per non rovinare l'emozionante atmosfera ricreata, si limita a ritmare accarezzando dolcemente il ride. Dopo un breve ed emozionante break strumentale, ritorna la strofa, seguita nuovamente dall'inciso. Stavolta il Gigante Buono affianca Jon Anderson rendendo ancora più emozionante il ritornello. Accompagnato dalla chitarra acustica, Rick Wakeman ci avvolge con un assolo di tastiera, un vero e proprio inno alla tranquillità che gira intorno alla melodia portante del brano, andando poi a riallacciarsi all'inciso. La strofa successiva viene rafforzata dalla limpida voce di Chris Squire, che emerge anche nell'inciso, dove i due esplodono spinti in alto dalle tastiere. Rick Wakeman ci ripropone il precedente assolo di tastiera, che nel successivo inciso trasportano in alto il Santone di Accrington. Nel finale ritorna il beatificante tema di tastiera, che intrecciandosi con le note della chitarra acustica va a concludere il brano, sottolineato da un fragoroso applauso di una folla sorpresa e soddisfatta da questa splendida rivisitazione in versione acustica di "Onward", brano firmato da Chris Squire, che nelle liriche omaggia con profondi versi la sua anima gemella. Ogni piccolo gesto che compie Chris Squire è legato all'amore verso la sua amata. All'interno della musica che compone, vi è sempre l'amore che lui prova per lei, la luce che arde nel buio della notte, rendendola luminosa come il giorno. L'amore che Chris Squire donato alla fortuna donna, è pienamente ripagato da quest'ultima, che risponde con dolci gesti e melliflue parole, illuminando come il sole l'oscurità delle notti.
Awaken
Siamo giunti all'ultima traccia del primo disco, che si conclude con quella che secondo Jon Anderson è il brano più bello in assoluto scritto dagli Yes, la mistica suite "Awaken (Il Risveglio)", da "Going for the One" (1977), aperta da Rick Wakeman con una splendida introduzione al piano dal sapore classicheggiante, che ammutolisce letteralmente il pubblico. Il saggio pianistico si conclude con accordi gravi, lasciando il campo ad un fatato pad di tastiera dai sentori new age, accoglendo l'angelica voce del Santone di Accrington, che incanta il pubblico con una interpretazione da brividi, trasportato dalle note della tastiera. Dopo circa due minuti, entra in scena Steve Howe, che ci colpisce sparando il riff portante del brano. Dopo la presentazione in solitario del riff, entra in scena la sezione ritmica. Alan White ritma con classe, i profondi glissati di basso sparati da Chris Squire ci raggiungono allo stomaco. Nel bridge, guidato dalle toniche del riff, Jon Anderson trascina il più possibile le vocali, recitando poi in maniera repentina l'effimero inciso. Di nuovo bridge e ritornello, poi andando avanti incontriamo un bellissimo interludio strumentale, dove Steve Howe incanta la platea con una serie di escursioni soliste. Una rullata sembra porre fine all'assolo, ma il Chitarrista di Holloway continua, incrementando notevolmente la velocità di esecuzione dello sciame di scale. Ritornano bridge e ritornello, che praticamente sono fusi in un'unica anima, poi altro interludio strumentale che gioca sulle note del riff portante, seguito da un assolo di tastiera di Mr. Wakeman. Un breve stacco di basso, sporcato dagli effetti e poi si cambia di nuovo, stavolta i nostri sparano un brioso unisono dal sapore medievale, sul quale il Cantastorie di Accrington recita alcuni versi, accompagnato dalla squillante voce di Squire. Un breve break strumentale con la tastiera in evidenza e ritorna la strofa, ancora cantata a due voci, trasportate dagli spaziali tappeti di tastiera e da un eccelso lavoro della sezione ritmica, che con un dolce intercalare ci porta in un nuovo interludio. Dalle urla del pubblico sbalordito, emerge una squillante tastiera, rafforzata dal suon metallico delle percussioni. Il Mago Delle Tastiere ci avvolge con una mistica atmosfera dai sentori new age, altri magici suoni fuoriescono dal castello delle tastiere, andando ad intrecciarsi con il ridondante riff iniziale. Jon Anderson diverte la platea mettendosi a suonare una vetusta arpa. Poi irrompe un maestoso assolo di organo dal sapore ecclesiastico, con la mente rivediamo l'inquietante figura dell'Abominevole Dr. Phibes che si dimena davanti al suo maestoso organo. Chris Squire stupisce tutti impugnando un gigantesco strumento da vero e proprio megalomane, che in un solo colpo comprende chitarra, basso e basso a sei corde. L'organo lascia il campo a celestiali tastiere che ricordano un coro di angeli, mentre il suono cristallino dell'arpa ricrea un'atmosfera magica. Brividi. Al minuto 12:11 si cambia nuovamente. Rimane un pad di tastiera che accoglie un delicato assolo di chitarra, scandito da colpi sui piatti e profonde pennate di basso. Ritorna il riff portante di tastiera, che in crescendo apre le porte al ritorno della strofa. L'organo accompagna il Santone Di Accrington, Alan White spreca le rullate, accompagnato da glissati e scale di basso. La cristallina voce di Anderson lascia trasparire felicità e soddisfazione, lasciando per qualche battuta il campo all'ennesimo assolo di chitarra. Ritorna la strofa, che stavolta concede le grazie ad un funambolico assolo di organo, seguito da un altro epico interludio strumentale. Gli accordi in decadenza sembrano indirizzare il brano verso l'epilogo, ma i nostri si dilungano in una serie di escursioni soliste, prima di lasciare il campo ad un oscuro pad di tastiera, che dopo poche battute viene sostituito da uno più solare, andando ad accogliere alcuni dolci fraseggi di chitarra, subito raggiunti dall'angelica voce di Jon Anderson. Le tastiere sembrano tenere sospeso in aria il Santone di Accrington, che ricamato da alcuni accordi di pianoforte e da graffianti note di basso va a concludere questo magnifico brano, mandando letteralmente in visibilio il pubblico. Per le profonde liriche, Jon Anderson è stato ispirato da due letture, una sulla vita del pittore olandese Rembrandt ed il libro "The Singer: A Classic Retelling of Cosmic Conflict" di Calvin Miller, una sorta di nuova versione della storia di Cristo, vista attraverso una narrazione allegorica e poetica di un cantante la cui canzone non poteva essere messa a tacere. Attraverso i sogni di due amanti si ripercorre la nascita dell'uomo, il risveglio della vita. Nel corso del tempo, le imprese dell'uomo hanno dimostrato come sia possibile modificare la storia ed il destino della razza umana, nel bene nel male. La seconda parte delle liriche prende una piega mistica assai più pronunciata, descrivendo la magia dell'amore in una maniera del tutto originale. Il Signore delle Immagini e dei Suoni proietta una luce sulla donna, indicando un tunnel che da una normale esistenza porta i due amanti verso una nuova sfida. Il Signore della Luce illumina un incrocio, dove le vite dei due amanti si intersecano fra loro, come se tutto facesse parte di un piano ben delineato, fino a che il Padrone delle Anime spinge i due ad entrare in contatto. Infine il Padrone del Tempo li accompagna nel proseguo della vita, dove insieme assaporeranno gioie ma anche dolori. Che dire, bisogna inginocchiarsi davanti ad una composizione del genere, che in questa splendida versione live supera abbondantemente i diciotto minuti, mettendo in evidenza un Rick Wakeman stratosferico.
Roundabout
Un rapido cambio del disco e dall'accordo di tastiera in fader, il pubblico capisce che saremo di fronte ad un classicissimo del combo albionico, "Roundabout (Il Punto di Svolta)", dal capolavoro "Fragile" (1971). L' oscuro pad lascia il campo ad alcuni enigmatici fraseggi di chitarra acustica, poi una scala dal sapore barocco chiama all'appello la sezione ritmica. Chris Squire abbatte le prime file con un travolgente giro di basso. Alan White in questa versione live alza l'asticella dei BPM. Steve Howe ricama con accordi pizzicati lo stupendo giro di basso, invitando Jon Anderson, che si presenta con una spensierata linea vocale. Arriva il bridge, facendoci presagire l'arrivo dell'inciso, ma non è così, dopo una squillante fiammata di tastiera ritorna nuovamente la strofa, con la micidiale raffica di note sparate dal Rickenbacker di Squire. Rispetto al collega proveniente dalla coorte del Re Cremisi, Alan White esegue una ritmica di stampo rock, tirando inevitabilmente in su il brano. Stavolta nel bridge, l'organo di Wakeman ci porta dritti verso il chorus, guidato da un serie di graffianti accordi di chitarra che accompagnano una gioiosa armonia vocale, dopo alcune battute Il Mago Delle Tastiere aggiunge un funambolico riff di organo, seguito dalla granitica sezione ritmica. Ritorna il bellissimo groove di basso, seguito prima da una fiammata di tastiera e poi da una veloce scorribanda sui denti d'avorio dell'organo che annunciano il ritorno della strofa. Ritorna il bridge, seguito dall'inciso, la ritmica trascinante invita il pubblico a battere le mani a tempo di musica. Una rullata invita Wakeman all'ennesima escursione solista con l'organo, seguito da un nuovo interludio dove emerge un enigmatico groove di basso. Dopo alcuni fraseggi di chitarra fa la comparsa una delle classiche armonie vocali, ricamate da fiammate di tastiera e fraseggi di chitarra. Il brano sembra essere terminato, dalla marea di appalusi emerge uno spaziale pad di tastiera, ritornano gli enigmatici fraseggi acustici dell'introduzione, poi una melliflua armonia vocale accompagnata dai flauti apre i cancelli ad un travolgente assolo di organo, che nella parte centrale viene seguito quasi all'unisono dagli strumenti a corda. Dopo una prolungata dimostrazione tecnica di Wakeman arriva un breve assolo di chitarra e poi via, di nuovo con la trascinante strofa, che tramite il bridge ci porta verso il ritornello finale, guarnito da funamboliche scale di basso e chitarra. Sul finale ruba la scena un bellissimo gioco a tre voci che ci accompagna verso il gran finale, messo nelle mani della chitarra acustica di Mr. Howe che infiamma la platea. Veniamo alle liriche, dove Jon Anderson sostiene di essere il punto di svolta per la sua amata. Una volta entrato nella sua vita, è riuscito a cambiarla, grazie al suo forte amore, amore che perdurerà per dieci estati, passate negli splendidi paesaggi offerti dalle montagne che si rispecchiano nell'azzurro lago, mentre le ali dell'aquila volteggiano, scandendo il passare del tempo come le lancette dell'orologio. Il tour mondiale allontana il romantico Jon dalla propria amata, l'amore tenta di colmare la distanza, ma il Poeta di Accrington non vede l'ora di finire l'estenuante tour per ritornare fra le braccia della propria amata, immersi nel magico paesaggio offerto dalla natura.
Starship Trooper
Riecheggiano ancora gli applausi e le urla relative al brano precedente, urla che diventano ancor più fragorose alle prime note di "Starship Trooper (Soldato Spaziale)", una bellissima suite divisa in tre sezioni ben distinte, che affronta l'affascinante tematica della ricerca di Dio, vista sotto gli occhi fantascientifici di un soldato spaziale, che a bordo del Bluebird solca i meandri del cielo verso una ignota destinazione. Durante il lungo cammino sicuramente ha potuto scoprire alcuni misteri della vita, ha potuto incontrare Dio, ma Jon Anderson lo supplica di non rivelare quel che ha visto, preferendo di rimanere con l'affascinante dubbio che solamente la fede può colmare. Il brano è estrapolato dal terzo lavoro in studio, "The Yes Album" (1971). Il primo movimento è intitolato "I. Life Seeker (I. Cercatore di vita)". Le dolci note della chitarra ed il pad di organo, vengono sovrastate dalle potenti pennate sul Rickenbacker. L'angelica performance di Anderson ipnotizza la platea. Breve bridge incentrato sulla voce e ritorna la strofa, seguita da un bellissimo assolo di basso, che con naturalezza si collega all'inciso. Trascinato dall'articolato giro di basso, Alan White aumenta i BPM, Jon Anderson viene accompagnato da un tappeto di tastiera e ricamato da preziosi intarsi sulla sei corde. Un breve break di organo e ritorna la strofa, una delle più articolate composte dal combo albionico. Al minuto 03:16 ha inizio la seconda parte della suite, "II. Disillusion (II. Disillusione)", aperta da un incredibile arpeggio dal sapore country con la chitarra acustica, eseguito con una velocità ed una naturalezza disarmanti da sua maestà Steve Howe. Il pubblico accompagna il Chitarrista di Holloway con il battito ritmato delle mani. Successivamente una bella armonia vocale si unisce al talentuoso arpeggio, intrecciandosi magistralmente con i funambolici fraseggi di chitarra. Un secondo di silenzio e ritorna l'arpeggio portante di chitarra, accompagnato da una melliflua armonia vocale. Rientra in gioco la sezione ritmica, l'intreccio fra i cori e la chitarra perdura fino al ritorno del brioso inciso, poi un break di organo annuncia la terza e conclusiva parte, intitolata "Würm (Verme)", che alla lettera significa verme, ma è anche un fiume della Germania, non che il nome che gli scienziati hanno dato all'ultima glaciazione. E' Steve Howe ad aprire le danze con una azzeccatissima progressione di accordi in strumming, ripresa da un suo vecchio brano intitolato "Nether Street", appartenente vecchio repertorio di fine anni sessanta, quando suonava nei Bodast. L'ammaliante giro di accordi viene ricamato dal devastante basso flangerato di Chris Squire. Il pubblico accompagna calorosamente battendo le mani a tempo, poi arriva uno spaziale pad di tastiera, che chiama in gioco Alan White, che inizia una prolungata corsa sulla pelle del rullante, che però è fine a se stessa. Squire disattiva l'effetto a pedale, con un paio di pennate richiama all'ordine il fido compagno di sezione ritmica. Il Gigante Buono tira su il brano con un trascinante giro di basso, prima di ipnotizzare il pubblico con un maestoso assolo di basso che parte sotto il dodicesimo capotasto. E' il turno di Rick Wakeman, che con un funambolico e prolungato assolo che giustifica il perché gli Yes lo scelsero come rimpiazzo dell'organista Tony Kaye ad inizi anni settanta. Una pungente scala di basso dice a Sir Wakeman che è l'ora di cedere lo scettro a Steve Howe, che fa centro con un rockeggiante assolo di chitarra, dove il nostro sfoggia tutta la sua tecnica. Dal castello di tastiere fuoriesce un secondo ed articolato assolo, seguito ancora una volta da l'ennesima dimostrazione tecnica di Steve Howe. I due instaurano un duello a suon di note alternandosi nelle parti soliste, poi improvvisamente Alan White aumenta vistosamente i BPM, Chris Squire ci tempesta con un'orda di sedicesime, ma i due virtuosi non si fanno spaventare e continuano imperterriti il loro duello, aumentando vertiginosamente la velocità di esecuzione. Davanti a cotanta tecnica strumentale, vorremmo che il brano continuasse all'infinito, ma purtroppo c'è una fine per tutto, anche per le cose belle. Nel gran finale si rallenta di nuovo, i nostri ci lasciano con una serie di escursioni soliste, accompagnate verso l'epilogo dalla rullata finale di Alan White. Il pubblico entusiasta acclama a gran voce i loro beniamini, ma questa bellissima versione live, che devo dire supera di gran lunga quella in studio, grazie alla strabiliante performance di Rick Wakeman, chiude questo bellissimo disco live.
Be The One
Felici e contenti siamo finalmente giunti alle attesissime nuove tracce in studio. La prima che incontriamo la suite "Be The One (Sii Il Numero Uno)", una suite divisa in tre movimenti ben distinti. Si parte con "The One (Il Numero Uno)", aperta da una serie di rulla te che annunciano una melliflua melodia dettata dalla chitarra, che va ad intrecciarsi con le sognanti tastiere. Uno alieno riff di tastiera anticipa un delicatissimo arpeggio stoppato, seguito da rilassanti accordi, che poi rimangono da soli ad accompagnare l'ingresso in scena di Jon Anderson, che fa centro con una delle sue ammalianti linee vocali. Una carezza sul chimes annuncia l'ingresso della sezione ritmica, che si limita a pochi delicati tocchi sui piatti e vellutate note di basso, mantenendo inalterata l'avvolgente atmosfera. Sul finale della strofa spicca un bel coro, poi si riparte. Alan White ritma sul charleston e con profondi colpi di gran cassa, resi corposi dalle pastose note del basso. Stavolta il coro lascia il campo al bridge, che mantiene le rilassanti atmosfere della strofa. Jon Anderson viene ricamato da alcuni fraseggi di chitarra, poi un coro paradisiaco annuncia il ritorno della strofa. Una corposa rullata annuncia l'arrivo del chorus. Aiutato da un bellissimo gioco di voci, il Cantastorie Di Accrington recita in maniera epica, giocando intorno al titolo del brano. Steve Howe ricama con struggenti fraseggi, poi un funambolico passaggio di tastiera ci riporta nel bridge. Alan White apre le porte al ritorno dell'inciso con una rullata. Stavolta il veloce passaggio di tastiera annuncia la seconda parte della suite, intitolata "Humankind (Razza Umana)". Le dolci atmosfere da ballata vengono abbandonate in virtù di un'epica cavalcata, dove emergono avvolgenti fraseggi di chitarra. Il basso e la tastiera confezionano un accompagnamento dai sentori misteriosi. Dopo alcune battute, la chitarra lascia il campo a Jon Anderson che ci conquista con un'epica linea vocale. I fraseggi di chitarra spingono in alto il Santone di Accrington, che sul finale della strofa viene aiutato da un coro, poi una rullata apre le porte all'assolo di chitarra. Alan White incrementa i colpi, poi ritorna sui suoi passi al ritorno della strofa. La bellissima linea vocale viene impreziosita da angelici cori, l'epica cavalcata vien ricamata da alcuni fraseggi di chitarra che esplodono poi in un nuovo assolo, che fa da bridge al ritorno della strofa. Un breve break strumentale, e poi una rullata spalanca le porte all'inciso. Rallentano vistosamente i BPM, la cristallina voce di Anderson si intreccia magicamente con i cori. Steve Howe tesse una intricata ragnatela di note, Rick Wakeman spara fiammate di tastiera. Al minuto 07:20, una corsa sui tom annuncia la terza e conclusiva parte, intitolata "Skates (Pattini)". Steve Howe parte con serie di melanconiche scale, poi trascinato dalla sezione ritmica esegue un bellissimo cambio di tonalità e ci colpisce con uno struggente tema, ricamato da un bellissimo coro. Si riparte con le scale, poi una rullata annuncia il ritorno dell'epico ritornello, seguito da un conclusivo assolo di chitarra, che insieme ai cadenzati colpi inferti sulla batteria ci trasporta verso l'epilogo. Ricompare l'enigmatica successione di accordi dell'introduzione, poi Anderson va a chiudere con due profondi e significativi "Never Underestimate The Power (Mai sottostimare il potere)", intervallati dal fatato suono del chimes. Le liriche sono incentrate sull'impegno, sull'abnegazione di raggiungere nuovi traguardi e riguardano molto da vicino la band, che si era impegnata a tornare di nuovo insieme, con la storica formazione. Ovviamente non mancano le licenze poetiche riferite al sentimento dell'amore. Il Poeta Di Accrington ci invita ad essere i numeri uno nell'amare, a sforzarci affinché il buono che alberga in noi no evapori e non lasciare che i pazzi infrangano i nostri sogni, che se privi dell'amore, si trasformano in mere illusioni. Nella seconda parte si passa ad analizzare il tortuoso e lungo percorso che ha fatto la razza umana, andando ad occupare prepotentemente i vertici più alti della piramide, troppo spesso andando contro la Natura e contro ogni principio, macchiando il lungo cammino con una serie di efferate quanto inutili uccisioni, e spargendo fiumi di bugie. Ma dando l'amore, l'umanità può ancora salvarsi e vedere dove si nasconde la verità. Il nostro Guru sostiene che non possiamo vivere senza l'amore e non bisogna assolutamente sottostimare il nostro potere. Nella vita bisogna essere sempre i numeri uno e raggiungere i nostri obbiettivi, anche quelli che all'apparenza sembrano irraggiungibili. "Be the One" che è anche stata scelta come singolo, è una composizione che mi ha ammaliato sin dal primo ascolto, finendo prepotentemente fra i miei brani preferiti del combo albionico. Il ritorno alla formazione classica (anche se la mia preferita in assoluto è quella con Bill Bruford NDR.) ha dimostrato che gli Yes non si sono dimenticati di come si compongono le suite. La bellissima prima parte incentrata sulla melodia viene magistralmente legata con l'epica seconda parte, dove emergono i magnifici fraseggi di chitarra di Steve Howe. Chapeau.
That, That Is
E siamo giunti all'ultima traccia, una maestosa suite di oltre diciannove minuti, intitolata "That, That Is (Questo, Questo è)" e divisa in sette movimenti. Si parte con "a. I. Togetherness (Tutti Insieme)", una bellissima escursione sulla chitarra acustica firmata Steve Howe. Sir Wakeman apre la traccia con un effimero pad dai sentori ambient, poi arriva il Chitarrista di Holloway, che con la sua chitarra acustica ci cattura con un bellissimo tema dal sapore latino. Poche battute ed inizia un ridondante arpeggio, sempre rigorosamente acustico, che va ad accompagnare una pregevole escursione solista. Andando avanti l'arpeggio d'accompagnamento viene sostituito da una bellissima progressioni di accordi in strumming, mentre le vellutate dita del Maestro continuano ad imperversare sul manico della chitarra. Dopo circa un minuto, sempre accompagnato dal melanconico strumming, le spagnoleggianti scale vengono sostituite da un malinconico tema di chitarra. Brividi. Si cambia ancora, irrompe un solare strumming, affiancato da un misterioso pad che imita un coro ancestrale. Si prosegue, il nostro fa nuovamente centro con uno struggente tema di chitarra, la tastiera scandisce le toniche dando vita ad un interludio da pelle d'oca. Riappare il ridondante arpeggio iniziale, stavolta enfatizzato dalla tastiere. Steve Howe continua con i suoi preziosi intarsi con la chitarra acustica, all'accompagnamento si aggiunge anche Chris Squire, con pungenti note sparate dal Rickenbacker, condito dagli effetti a pedale. Le tastiere spingono in alto, fino a che non ritorna il solare strumming, che ha lo stesso effetto di un raggio di sole nelle tenebre. Lentamente in fader si fa avanti una caotica babele vocale che sembra provenire da uno sperduto villaggio dell'Africa Centrale. Si aggiunge Alan White con una briosa ritmica tribale, poi una corsa sulla pelle del rullante spazza via lentamente le note della chitarra acustica, mentre l'intreccio babelico di voci prende il sopravvento, fino a che una rullata pone fine a questa bellissima prima parte. Al minuto 04:24 ha inizio il secondo movimento, intitolato "b. II. Crossfire (Fuoco incrociato)", aperto da un funambolico unisono degli strumenti a corda. White ritma con assestati colpi di gran cassa, mentre si aggiungono altre tracce di chitarra e alcune fiammate di tastiera. Arriva finalmente Jon Anderson. La linea vocale viene ricamata da motivi sparati dal castello di tastiere, in sottofondo il ridondante tema all'unisono ci martella. Una improvvisa rullata apre le porte al bridge. La ritmica spedita spinge il Cantastorie Di Accrington ad aggiungere un po' di salsa piccante alla linea vocale. Il fragoroso Rickenbacker detta legge ed emerge sulla ragnatela di note sparate dalla chitarra e sulle fiammate di tastiera. Il breve chorus si sviluppa sulla stessa linea musicale del bridge, dove Anderson si limita a cantare gli inquietanti versi che recitano "Who Shoots The Child? (Chi Ha Sparato Al Bambino)", ricamato da un misterioso coro. Breve break di chitarra e si riparte, trascinati da Mr. White. Nell'ultima strofa, i nostri salgono di un tono per lo sprint finale. Al minuto 07:04 ha inizio la terza parte, intitolata "c. The Giving Things (Le cose Regalate)", aperta da Rick Wakeman con un pad di tastiera che accompagna un triste tema di chitarra, seguito all'unisono da uno strumming acustico e dalla tastiera. Di tanto in tanto, Chris Squire fa ruggire le quattro corde. Arriva il Cantastorie di Accrington, ricamato dai paradisiaci cori dei colleghi e cullato dal ridondante tema all'unisono. Dopo alcune battute si cambia tonalità, il tema si fa più squillante e spinge in alto Jon Anderson che recita in maniera esemplare la strofa, sempre ricamato dai cori, stavolta dai sentori più oscuri. La cadenza degli strumenti, ci lascia presagire che siamo vicini al termine, infatti al minuto 08:42 ha inizio il quarto movimento, intitolato "d. That is (Questo è)", aperto da un tempo dispari che accompagna una misteriosa chitarra, affiancata da roboanti suoni di tastiera. Chris Squire e Jon Anderson danno vita ad un suggestivo intreccio di voci, poi arriva breve interludio strumentale guidato dal fragoroso Rickenbacker, seguito all'unisono dalla chitarra e ricamato dalle tastiera. Ritorna la strofa dalle arcane atmosfere, dove domina l'intreccio vocale. Arriva l'inciso, riconosciamo il tema sentito nel precedente interludio strumentale, la cristallina voce di Anderson spicca, ancora una volta ricamata dalle armonie vocali. Andando avanti incontriamo un breve break dai sentori funky, poi ritorna il tema portante del chorus, che con una delicata cadenza ci accompagna verso l'epilogo. Al minuto 11:16 ha inizio il quinto movimento, "e. All In All (Tutto In Tutto)". Si cambia completamente atmosfera, si parte dall'inciso, la melliflua voce di Jon Anderson viene accompagnata da un dolcissimo giro di pianoforte, che insieme ad una brillante trama di chitarra acustica va ad intrecciarsi magicamente alla fatata voce del Cantastorie Di Accrington. Arriva la brevissima strofa, trascinata dalla granitica sezione ritmica, poi ritorna l'inciso, stavolta suonato da tutti i componenti, la dolce melodia ci invita a ricanticchiarlo sin dai primi secondi di ascolto. Rick Wakeman ci delizia con un bellissimo assolo di pianoforte dai sentori classicheggianti, che fa da bridge al ritorno della strofa. Andando avanti si cambia nuovamente atmosfera. Steve Howe spara un enigmatico tema di chitarra, ricamato dal fragoroso basso di Squire. Wakeman stende un tappeto che lentamente va ad aprire le porte ad uno strano interludio strumentale, dove emerge un alieno riff di tastiera, seguito all'unisono dal basso, poi una rullata annuncia il ritorno dell'inciso, impreziosito nella parte centrale da un assolo di pianoforte che gira intorno alla melodia portante, gli strumenti sfumano lentamente, lasciando il campo al solare tema di chitarra acustica sentito nella bellissima introduzione ,che al minuto 14:37 apre la sesta parte della suite, "f. How Did Heaven Begin (Come è Iniziato Il Paradiso). Sulla onde della paradisiaca melodia della chitarra, Jon Anderson canta la strofa con dolcezza, diffondendo un senso di beatificazione. Lentamente si fa avanti Alan White, che poi per alcuni istanti rimane in solitario a martellarci con un tempo incentrato sulla gran cassa. In fader ricompare la caotica babele vocale dai sentori africani sentita nella prima parte del brano, che va a concludere la parte numero sei della suite. Al minuto 15:54 una prolungata rullata annuncia l'ultimo movimento, "g. Agree To Agree (Concordare Per Concordare)", dove ritroviamo il tema portante di "Crossfire". Alan White parte spedito, l'intricato groove di basso, eseguito ad una velocità disarmante da Chris Squire, si trascina dietro gli altri due virtuosi strumentisti, che danno vita ad un memorabile alternarsi ed intreccio di parti soliste. Steve Howe alterna temi melodici ad intricate trame, Rick Wakeman, stende un tappeto, non disdegnando sporadiche fiammate di tastiera e funamboliche escursioni soliste. Dopo circa due minuti di puro autocelebratismo, arriva il Santone Di Accrington, che va a concludere il brano riallacciandosi alle prime strofe del brano, ricamato da pregevoli intarsi di chitarra e tastiera. Veniamo alle liriche, Jon Anderson affronta duramente il lato oscuro della mondo della droga, tralasciando i già fin troppo battuti territori dello spaccio e dei viaggi lisergici, il Santone Di Accrington si sofferma sulla triste vita che devono condurre i poveri bambini nati per puro caso da una mamma tossicodipendente che non ha mai conosciuto l'amore. Senza conoscere mai la vera identità del loro padre, si ritrovano ad essere cresciuti in malo modo dalla mamma tossicodipendente, che si procura le dosi prostituendosi, magari facendosi aiutare a cambiare il pannolino dalla collega di turno, anch'essa fatta di crack. Spesso queste tristi storie si consumano in quartieri malfamati, dove la droga è l'unica soluzione temporanea alla miriade di problemi, dove le risse e le sparatorie sono all'ordine del giorno. Julie è una delle tante ragazze finite nella spirale della droga, che si ritrova per puro caso un bambino da dover crescere in un mondo pieno di violenza e pericolo, aiutata dalla compagna Shirley. Una mattina, decide di portare a fare una passeggiata il bambino, alle prime luci del mattino. La fatalità vuole che proprio in quel momento, una lotta fra gang sfocia in una violenta sparatoria, ed un proiettile vagante va a spengere per sempre la vita appena sbocciata del povero fanciullo. E' fin troppo facile incolpare Dio per l'accaduto. Ma forse questo tragico evento è un segnale che è il momento di cambiare regime di vita, di provare a rinascere ed uscire definitivamente dall'Inferno. Quel nuovo angelo che si è aggiunto al Paradiso è la ragione per cambiare e trovare l'amore e la libertà. Penso che questa lunghissima suite troverà consensi positivi nei fans di vecchia data, per quanto mi riguarda, la bellissima introduzione è la più bella escursione sulla chitarra acustica da parte di Steve Howe, che stavolta mette vie le classicheggianti atmosfere dall'aria barocca in virtù di struggenti melodie da pelle d'oca.
Conclusioni
Con il senno di poi, visto che il nostro "Keys To Ascension" ha avuto un sequel, sarebbe stato meglio raccogliere i brani live in un unico CD, e quelli inediti in un altro. Infatti, ascoltando il live, quando arriviamo al termine, sia ha la sensazione che manchi ancora qualcosa, un'altra manciata di classici che renderebbe il tutto un piccolo gioiello. Bisogna però rendere atto ai nostri di aver buttato giù una scaletta di tutto rispetto durante i tre concerti tenuti al Freemont Theater di San Luis Obispo, aggiungendo ai classici di sempre alcune chicche che raramente ci capita di ascoltare dal vivo, come ad esempio la bellissima "Onward", resa ancor più convincente dal restyling acustico e la chicca "America", che torna sui palchi dopo essere stata messa a lungo sotto naftalina. Ha un suo perché anche il classico "Starship Trooper", con un Rick Wakeman ispiratissimo che rende ancor più epico il finale. Se qualcuno aveva dei dubbi sul funzionamento della nuova reunion, penso che i due inediti gli abbiano sciolti ampiamente. "Be the One" è un gioiello, una composizione intelligente e raffinata, con uno Steve Howe ineguagliabile in quanto a gusto nella prima parte e stratosferico nell'esecuzione nella seconda. Anche la lunga suite "That, That Is" ha alcuni momenti memorabili che non la fanno assolutamente sfigurare di fronte alle epiche suite degli anni settanta. Da brividi la prima parte con la chitarra acustica. A completare il dream team, i nostri hanno richiamato ai pennelli sua maestà Roger Dean, che con il suo tocco magico riesce sempre a sfornare degli artwork che ispirano all'acquisto immediato a scatola chiusa. Su un paradisiaco sfondo dove predomina il celeste in tutte le sue sfumature, troviamo una delle bizzarre isole dai sentori alieni a cui ci ha abituato il Pittore di Ashford. Un ponte ad arco la collega ad una seconda, dove spicca uno dei classici alberi. Nelle limpide acque possiamo notare il riflesso delle due imponenti strutture rocciose. Questa opera è stata denominata "Arches Mist". In alto, con un'ammaliante carattere troviamo il titolo del platter, subito sotto giganteggia il classico logo a bolla, in un be rosso che sfuma verso colorazioni più scure, variegato in verde. In basso fa la sua comparsa anche il logo alternativo del gruppo, che Roger Dean aveva ideato in occasione di "Union". "Keys To Ascension" è venuto alla luce il 28 Ottobre del 1996, distribuito dalla label Essential Records. Per la produzione, i nostri si sono avvalsi della collaborazione di Tom Fletcher, valente e navigato produttore che ama spaziare per vari generi, metal compreso. Le tracce live sono state registrate fra il 4,5 e 6 Marzo del 1996 a presso il Freemont Theater di San Luis Obispo, in California e mixate da Tom Fletcher, Bill Smith e Kevin Dickey, che insieme a Zang Angelfire si è occupato anche della cura del suono. Le due tracce in studio sono state registrate fra l'Autunno del 1995 e la Primavera del 1996 presso gli Yesworld Studio, siti in San Luis Obispo, California. Del mixaggio se ne è occupato Billy Sherwood, che di qui a breve avrà un ruolo ben più importante negli Yes. Di sicuro questo "Keys To Ascension" non scontenterà i fans di vecchia data, sempre diffidenti difronte ai precedenti lavori firmati Trevor Rabin. La storica formazione di "Going For the One" è tornata a sorpresa a calpestare i palchi, più in forma che mai, proponendo addirittura due nuove suite che possono considerarsi la naturale evoluzione in chiave moderna dei classici del passato. Il platter in questione non deve assolutamente mancare nella discografia di chi come me ama il combo albionico ed il progressive rock in generale. In conclusione, siamo di fronte a due ottimi "mezzi" lavori, che messi assieme danno comunque vita ad un signor prodotto che merita una altissima valutazione.
2) The Revealing Science Of God (Dance of the Dawn)
3) America
4) Unity / Onward
5) Awaken
6) Roundabout
7) Starship Trooper
8) Be The One
9) That, That Is