YES
Keys To Ascension 2
1997 - Purple Pyramid
SANDRO NEMESI PISTOLESI
27/01/2016
Introduzione Recensione
La storica reunion dopo che ben 18 anni rivide insieme all'opera Jon Anderson, Chris Squire, Steve Howe, Rick Wakeman e Alan White, dopo che le loro strade si erano separate, oltre ad aver entusiasmato i fans di lunga data, aveva dato nuova linfa al moniker Yes. I nostri oltre a deliziare le platee di Freemont Theater di San Luis Obispo con tre memorabili date, dove i fortunati potettero assaporare le live version di alcuni brani che da anni non venivano riproposti in sede live dal combo albionico, avevano steso anche un discreta quantità di materiale inedito in studio, che per motivi logistici non era potuto finire tutto sul precedente "Keys To Ascension", la cui track list prevedeva sette tracce live e due brani inediti, che comunque se sommati insieme, sfioravano la mezz'ora di musica. In effetti, ascoltando la parte live del primo "Keys", si ha la sensazione che manchi qualcosa ad un live, che sotto il punto di vista qualitativo e di esecuzione era praticamente perfetto, ovvero mancano una manciata di vecchi classici a completare una set list vincente. Ecco che decisero di pubblicare un sequel dell'album precedente, che ne ricalcava la struttura, intitolato in maniera forse troppo ovvia e cinematografica "Keys To Ascension 2 (Chiavi Per L'ascensione 2)", in modo da completare il live set e deliziare i fans con ulteriori tracce inedite in studio, fra le quali si metteva in mostra la suite "Mind Drive", che si annunciava come una delle migliori composizioni del dopo "Drama". Con il senno di poi, come ho già sottolineato nella precedente recensione, se i nostri avessero pubblicato un solo "Keys" contenete tutte le tracce live e pubblicato successivamente un album che raccoglieva tutti gli inediti, saremmo stati di fronte a due pietre miliari della discografia degli Yes, a distanza di venti anni dai tempi d'oro. Parte di questa mia idea è stata sfruttata nel 2001, quando i nostri hanno pubblicato un inutile (per quanto mi riguarda) "Keystudio", un album che raccoglieva tutti i brani inediti in studio dei due "Keys", con l'unica leggera differenza di nuova introduzione realizzata da Rick Wakeman per il brano "Children of Light". Chi conosce la storia del gruppo, sa che nostri non sono mai andati oltre i due album con la medesima formazione, e anche in questo caso riuscirono a non smentirsi. La casa discografica era d'accordo sul fatto di pubblicare "Keys To Ascension 2 (Chiavi Per L'ascensione 2)", a patto che fosse supportato da un tour. Vincolo che fece riaffiorare i soliti atavici problemi che sin dagli esordi tormentano la band. Non so per quale assurdo motivo, ma Rick Wakeman non ne voleva sapere di andare in tour. Gli furono prospettate tre diverse opzioni per cercare inutilmente di convincerlo. La prima prevedeva un tour nei teatri, andando a rievocare i tempi d'oro della band, ma il talentuoso Tastierista di Perivale fu lapidario, rispondendo con un secco "Non ho proprio voglia di rivedere gli Yes nei teatri". Uno dei manager provò allora a persuaderlo, proponendo un tour negli anfiteatri, ma quando tutto sembrava andare per il meglio, Wakeman rifiutò anche questa pista alternativa. La terza ipotesi prevedeva un affascinante tour insieme agli Emerson, Lake & Palmer, ma in questo caso, i dubbi di Wakeman furono rafforzati dall'opposizione di Jon Anderson. E fu così che alla fin fine, il tour andò all'aria e i nostri videro sfumare tutti gli incassi previsti. Steve Howe non si dava pace, era convinto che la nuova reunion avrebbe dato una svolta significativa alla carriera degli Yes, una sorta di seconda giovinezza, ma l'instabilità di Rick Wakeman buttò nuovamente tutto all'aria. Ad ogni modo, "Keys To Ascension 2" venne pubblicato ugualmente, ma gli Yes si trovarono per l'ennesima volta a dover rimpiazzare un pilastro della formazione. Rick Wakeman era convinto di far più soldi e divertirsi con la sua carriera solista, e le strade si separarono per l'ennesima volta, disorientando nuovamente i fans, che videro svanire l'entusiasmo dimostrato di fronte alla sorprendente reunion. In attesa di un degno sostituto, gli Yes decisero di integrare ad interim Billy Sherwood, che nel frattempo aveva instaurato un solido rapporto con Chris Squire, iniziando a comporre del materiale per un progetto parallelo inizialmente denominato chiamato The Chris Squire Experiment, progetto che in futuro vedrà la luce con il nome Conspiracy, ma questa è un'altra storia. Ritorniamo al nostro "Keys To Ascension 2", il primo disco, che prevede solo tracce live, sin dalla prima occhiata appare meno fantasioso del suo predecessore, infatti, delle cinque tracce previste, ben quattro sono dei classici imprescindibili del combo albionico, mentre stavolta l'unica "chicca" è "Turn Of The Century", da "Going for the One" (1976), brano che non era mai stato pubblicato prima in una versione dal vivo. E' giunta l'ora di inserire il primo dei due CD nel nostro lettore, quello che prevede cinque tracce live, ed andare ad ascoltare quelle che fino ad oggi, sono le ultime testimonianze di Rick Wakeman insieme agli Yes.
I' Ve Seen All Good People
I nostri vanno a ritroso nel tempo, andando a pescare nel loro terzo album, il mitico "The Yes Album" (1971) che consacrò definitivamente la band nell'olimpo del progressive rock, aprendo le danze con uno dei brani più trascinanti in sede live del loro vasto repertorio, "I' Ve Seen All Good People (Ho Visto Solo Brava Gente)", una mini suite divisa in due movimenti. Si parte con "a- Your Move (La Tua Mossa)". L'armonia vocale per eccellenza del combo albionico infiamma ulteriormente il già per se caloroso pubblico. A gettare benzina sul fuoco, arriva Steve Howe con in mano la chitarra portoghese e si sprecano gli appalusi. L'arpeggio dall'aria barocca non riesce a placare l'entusiasmo, quando il Chitarrista di Holloway passa al solare strumming e irrompe sulla scena il Cantastorie di Accrington, il pubblico si ammutolisce come ipnotizzato dalla melliflua atmosfera e dalla mistica presenza di Jon Anderson. Alan White ritma con roboanti colpi sui timpani, seguito dopo alcune battute dai profondi ruggiti del Rickenbacker. Chris Squire e Steve Howe ricamano la linea vocale con avvolgenti cori, Rick Wakeman rende ancor più ancestrale l'atmosfera con dei flauti dai sentori celestiali. L'intreccio delle voci si fonde alla perfezione con i flauti, mettendo in secondo piano la partitura della chitarra portoghese. Una progressione di accordi accompagna una serie di ammalianti "Diddit Diddit Diddit", ricamata da un bellissimo lavoro corale. L'organo Hammond ci trasporta in crescendo verso l'ultima strofa, poi al minuto 03:52 parte una prolungata rullata che introduce la seconda parte del brano, intitolata "All Good People (Tutta La Brava Gente)". Si cambia completamente atmosfera, irrompe un potente riff di chitarra dai sentori country, rafforzato all'unisono dal basso e dalla tastiera. Dopo alcune battute strumentali, i tre moschettieri iniziano a cantare a squarciagola il ritornello, recitando fino alla noia i versi "I' ve seen all good people turn their heads each day so satisfied I'm on my way (Ho visto solo brava gente girare le loro teste ogni giorno e soddisfatto, me ne vado per la mia strada)", intervallati da brevi interludi strumentali e ricami di chitarra, fino a che Steve Howe decide che può bastare e inizia un funambolico assolo dal sapore Elvisiano, ricco di tecnica ed eseguito ad una velocità incredibile. Sul finire dell'assolo la sezione ritmica esegue qualche battuta con cassa, piatti e basso stoppati all'unisono, che richiamano all'appello il tedioso inciso. Sul finale, alcune battute del ritornello cantato a cappella coinvolgono il pubblico, che a squarcia gola canta il chorus insieme ai loro idoli. Alan White ritma con potenti colpi di gran cassa, poi con un trascinante "everybody", Jon Anderson invita il pubblico a cantare per l'ultima volta l'orecchiabile ritornello. Le liriche sono ispirate al libro "Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò", di Lewis Carroll. Il Poeta Di Accrington utilizza alcune allusioni inerenti al gioco degli scacchi, come metafora per illustrare il difficile e complicato rapporto fra uomo e donna, che spesso vedono il sesso forte far buon viso a cattivo gioco e soccombere alle decisioni della donna, sottolineando che in fondo gli uomini non sono che delle mere pedine all'interno di una scacchiera, dove ovviamente comanda la regina. Nella seconda parte invece viene ripetuta solamente la frase precedentemente citata, oserei dire fino alla noia, invitandoci a proseguire per la nostra strada e seguendo imperterriti le nostre idee, infischiandocene dei giudizi (e pregiudizi) della gente, che troppo spesso si fa trascinare dall'evidenza del momento, traendo avventate conclusioni che spesso non combaciano con la realtà. Il brano in questione penso non sia mai stato escluso dalle scalette live, dove raggiunge l'apice grazie al coinvolgimento del pubblico, che facilmente si fa trascinare dagli ammalianti cori.
Going For The One
Fra gli applausi emerge il charleston di Alan White, che detta il tempo per il brano successivo. Il pubblico si infiamma riconoscendo subito l'inconfondibile riff di chitarra dal sapore Presleyano, alternato ad un solare tema eseguito con la lap steel guitar. Si tratta di "Going For The One (Correre per Vincere)", la title track dell'ottavo album in studio del combo albionico, datato 1977. Dopo qualche battuta, rallentano i BPM e Jon Anderson cattura il pubblico con una delle sue migliori linee vocali mai partorite, emergendo prepotentemente fra le rullate di Mr. White e la ragnatela di note sparate dalle chitarre di Steve Howe, arricchita dal bellissimo controcanto di Chris Squire. Di pari bellezza è il bridge, dove su una bellissima ritmica stoppata e ricca di rullate è ancora Jon Anderson ad emergere, con l'ennesima linea vocale vincente, ricamata da preziosi intarsi di pedal steel guitar dal retrogusto hawaiano. Nell'inciso, Jon Anderson si limita a ripetere più volte il titolo del brano, rafforzato dai cori, a cui fa eco Rick Wakeman con squillanti riff di tastiera. Strofa bridge ed inciso si ripetono in perfetta successione, poi incontriamo una variazione, la linea vocale frammentata proposta da Jon Anderson viene ricamata da funamboliche tastiere e dalle chitarre di Steve Howe, che con estrema disinvoltura alterna temi eseguiti con chitarra elettrica e lap pedal steel guitar, con la quale poi intraprende un prolungato assolo duellando con il pianoforte di Sir. Wakeman. Un funambolico riff di tastiera annuncia il ritorno di strofa e bridge, che devo sottolineare sono particolarmente ammalianti, seguiti ovviamente dall'inciso, stavolta l'appendice dalla linea vocale frammentata viene prolungata. Chris Squire ricama con una serie infinita di scale, Steve Howe si avvia verso la chiusura con funambolici fraseggi, invitando la platea ad un caloroso applauso. Per le liriche, il Poeta di Accrington ha trovato ispirazione nelle corse dei cavalli e in un film che vedeva degli intrepidi avventurieri scendere le rapide del Grand Canyon a bordo di un gommone, condendo il tutto con le immancabili licenze poetiche dal sapore filosofico. John Anderson ci invita ad immaginare di risalire un fiume fino alla sorgente, compensando poi la fatica spesa con il paradisiaco scenario che troveremo, immersi nel verde a giacere stremati sull'erba, contemplando la bellezza offerta della natura. Parafrasando l'essenza dello sport, che vede premiate le fatiche con il culmine della vittoria. Non manca l'apertura di una finestra cosmica ed il riferimento all'amore, l'unica cosa che quanto a intensità è paragonabile allo sport; entrambi vivono sulla base di intensi momenti, di attimi pieni di gioia, che rimarranno per sempre impressi nella nostra mente.
Time And A Word
Il pubblico viene ammutolito da una introduzione classicheggiante di pianoforte, e pare essere disorientando, non riconoscendo il brano. Si aggiunge una sferragliante chitarra acustica in strumming che infiamma il pubblico, è l'indizio che stiamo per ascoltare una interessantissima nuova versione della title track del secondo album del combo albionico, datato 1970, vale a dirsi "Time And A Word (Tempo e una Parola)". Steve Howe inizia a ricamare con dolci temi di chitarra acustica, annunciando l'ingresso in scena del Santone di Accrington, che incanta la platea con le prime strofe, ricamato da un sinuoso serpente di note sparate dal pianoforte. Chris Squire ritma con profonde note di basso, seguito poi dal compagno di sezione ritmica, che andando un po'contro al suo stile, esegue una blanda ritmica con estrema dolcezza. Arriva il bridge, che con il suo crescendo sembra annunciare l'inciso, ma non è così, ritorna la strofa con il pianoforte protagonista. Stavolta il bridge, seguito da un delicato crescendo di chitarra e pianoforte apre le porte all'epico ritornello, molto melodico ed ammaliante, di quelli che inizi a canticchiare subito dopo il primo ascolto. Breve interludio pianoforte e voce e poi ritorna la strofa, seguita da bridge e dal ritornello, eseguito con molta più dolcezza rispetto alla versione originale in studio, grazie anche al pregevole lavoro di pianoforte di Sir. Wakeman. L'inciso viene ripetuto, con interessanti variazioni della line a vocale, Anderson vola in cielo e apre le porte ad un emozionante assolo di pianoforte, che poi cede il campo a quello di chitarra. I due virtuosi strumentisti danno vita ad un bellissimo intreccio di note che ci porta verso l'inciso finale, dove Jon Anderson inizia a gorgheggiare, circondato dai fraseggi di chitarra e pianoforte. Con dolcezza i nostri ci portano verso la conclusione del brano, suscitando un'enorme quantità di appalusi. Secondo il Poeta di Accrington, c'è una sola parola che non ha tempo, che da sempre ha aiutato l'essere umano ad andare avanti, superando ostacoli apparentemente insormontabili, questa parola è "amore". La mattina, quando ci svegliamo e pianifichiamo le nostre giornate, dobbiamo ritagliare del tempo necessario per diffondere il verbo dell'amore, aiutando così il Mondo a migliorare. Devo sottolineare che questa bellissima nuova veste del brano ha un suo perché, e merita veramente di essere ascoltata approfonditamente. La magia del pianoforte e la dolcezza con cui i nostri la reinterpretano, impreziosiscono una già di per se valida composizione.
Close To The Edge
Il Pubblico è soddisfatto, dalla marea di applausi emerge uno spaziale pad di tastiera, che accoglie il cinguettio di uno stormo di uccelli di vare specie ed il rilassante rumore di un ruscello che scorre in mezzo alla natura. I fans di vecchia data riconosceranno sicuramente l'introduzione ambient della title track di uno degli album più importanti e significativi del progressive rock, datato 1972, ovvero la monumentale suite "Close To The Edge (Vicino Al Bordo)". Il primo dei quattro movimenti che compongono il brano è intitolato "a. The Solid Time Of Change (I. Il Duro Periodo Dei Cambiamenti)". Dopo poco più di un minuto, Alan White detta il tempo sul charleston, annunciando l'inquietante tema di chitarra, imitato dall'organo e ricamato dal potente Rickenbacker. Lo squillante "ride" detta il tempo, poi Rick Wakeman e Steve Howe iniziano un epico duello a colpi di funambolici fraseggi, seguiti da Chris Squire che spara micidiali raffiche di note. Per due volte irrompe un improvviso breve coro a tre voci, e poi i nostri riprendono l'epica battaglia dove si sprecano gli autocelebratismi. Una rullata seguita all'unisono dal basso annuncia un cambio di atmosfera. Dal castello delle tastiere fuoriesce una paradisiaco coro al quale si unisce la voce celestiale di Anderson. Alan White abbassa l'asticella dei BPM, l'assolo di Steve Howe si fa molto più melodico e rilassante, ricamato dal potente basso di Chris Squire. Un funambolico passaggio di tastiera apre i cancelli alla strofa. Finalmente entra in scena Jon Anderson, il quale si presenta con una linea vocale dal sapore epico. Chris Squire spadroneggia con un bel groove misto di scale e profondi glissati, impreziosendo il lavoro del compagno di sezione ritmica. Un breve break di tastiera con gli schiamazzi dei rondoni che si librano in volo e poi si riparte con la strofa. Arriva l'inciso, dove emerge una ammaliante armonia a tre voci che si intreccia meravigliosamente con l'angelica voce del Santone di Accrington. Un breve interludio con la chitarra in evidenza, anticipa la seconda strofa, stavolta servita in una salsa diversa. L'andatura allegra porta Jon Anderson ad affrontare la strofa con una spensierata linea vocale dal sapore Beatlesiano. E' di nuovo il turno dell'inciso, stavolta dotato di un'appendice dove spadroneggiano le armonie vocali, ormai consolidato marchio di fabbrica degli Yes. Ritorna la strofa nella sue vesti originali, un breve stacco di tastiera annuncia il ritorno del chorus. Poi al minuto 08:06 un breve interludio di tastiera annuncia la seconda parte intitolata "b. Total Mass Retain (II. Contenimento Del Blocco Totale)", ritorna strofa dal sapore Beatlesiano, seguita dal ritornello, che va a terminare con una armonia vocale che annuncia l'ennesimo cambio. Un accompagnamento dai sentori arcani guida l'assolo di tastiere di Sir Wakeman, che al minuto 09:40 apre il terzo capitolo, "c. I Get Up, I Get Down (III. Mi Alzo, Mi Deprimo)" con un rilassante pad di tastiera. La distensiva atmosfera ricreata da Rick Wakeman ci trasporta con la mente in un immaginario rilassante tempio immerso nel verde di una sperduta località dell' Asia. Un' armonia vocale si alterna all'angelica voce di Jon Anderson, che nuovamente strizza l'occhio a Mr. Lennon. Il celestiale intreccio di voci perdura a lungo, supportato dalle rilassanti tastiere del Mago Delle Tastiere. Jon Anderson va a chiudere in maniera ancestrale, poi Rick Wakeman sembra essere impossessato dallo spirito dell'abominevole Dottor Phibes e ipnotizza la platea con un tetro assolo di organo. A sorpresa ritorna il paradisiaco interludio, che però lascia ben presto il campo al ritorno dell'organo. Alan White massacra il set di piatti, Squire ingigantisce l'atmosfera con profonde pennate di basso. Sul finale l'organo lascia il campo ad un oscuro pad di tastiera, che accoglie una serie di funambolici e pomposi riff di tastiera, indelebile marchio di fabbrica di Sir Wakeman. Improvvisamente al minuto 15:20 irrompe il quarto e conclusivo capitolo intitolato "d. Seasons Of Man (IV. Stagioni Dell'Uomo)". Una trascinante cavalcata ritmica supporta uno squillante unisono di tastiera chitarra e il devastante basso di Squire, carico di effetti a pedale. Dopo qualche battuta irrompe Rick Wakeman, con un funambolico e prolungato assolo di organo, supportato da una ritmica ossessiva dove emergono i profondi glissati di basso. Dopo questo prolungato interludio strumentale dai sentori psichedelici, ritroviamo la strofa che abbiamo incontrato all'inizio di questa epica suite, seguita poi da un breve bridge dall'aria Beatlesiana che precede l'inciso, per l'occasione prolungato e modificato con l'aggiunta di splendide armonie vocali ricamate splendidamente da Rick Wakeman, mentre gradualmente calano i BPM. Il brano si conclude nella stessa identica maniera di come era iniziato, e cioè con il rilassante interludio dal forte sapore ambient - new age, stavolta ricamato da pungenti scale di basso. Le grida e gli applausi del pubblico entusiasta quasi oscurano il finale di questa epica suite, dove i più attenti avranno riscontrato numerose e sostanziali variazioni strutturali rispetto alla versione in studio. Le liriche sono ispirate al romanzo "Siddharta" dello scrittore tedesco Hermann Hesse, pubblicato nel 1922, romanzo che unisce la poesia lirica alla narrazione epica, ispirato alle vicende biografiche del Buddha, anche se è doveroso sottolineare che il Siddharta protagonista nel romanzo in questione non è il Buddha storico (che pur compare nelle vesti di protagonista secondario), ma si tratta di un personaggio di fantasia che rappresenta uno dei tanti Buddha potenziali. Nelle impenetrabili liriche, Jon Anderson descrive il risveglio spirituale del protagonista del romanzo, avvenuto proprio nei pressi di un fiume, appunto "accanto al bordo", fiume che rappresenta simbolicamente le vite del suo spirito. Questo risveglio spirituale in riva al fiume viene usato dal Poeta di Accrington come metafora della vita, dove i meandri del fiume rappresentano il tortuoso percorso che deve affrontare un essere umano sin dai primi giorni di vita, un lungo tragitto pieno di insidie e trabocchetti, percorso che comunque offre sempre una seconda scelta e anche molte soddisfazioni se si è scaltri e pronti a cogliere la giusta occasione. Fra i fragorosi applausi si fa largo Steve Howe che ci colpisce al cuore con uno struggente ed articolato arpeggio eseguito con la chitarra acustica, aprendo uno dei brani cosiddetti "minori" che i fans apprezzano sempre in maniera particolare quando vengono a sorpresa riproposti in sede live.
Turn of the Century
Appena entra in scena Jon Anderson con la melliflua linea vocale, che va ad intersecarsi perfettamente con le note della chitarra, il pubblico riconosce ed apprezza "Turn of the Century (Il Mutare del Tempo)", da "Going For The One" (1977). Rick Wakeman accompagna con uno struggente pad di tastiera il duetto fra voce e chitarra acustica, Chris Squire ricama l'arpeggio con una serie di scale vellutate. Andando avanti, Steve Howe delizia la platea con un emozionante assolo con la chitarra acustica, accompagnato dalle tastiere e da delicati tocchi sui piatti da parte di Alan White, che paradossalmente recita un ruolo di second'ordine in uno dei pochi brani che portano la sua firma. Ritorna la strofa, poi quando il brano sembra volgere al termine, Rick Wakeman lo rivitalizza ipnotizzando il pubblico con un prolungato ed emozionante assolo di pianoforte, ricamato da raffinati ricami di basso e chitarra. Il tema di chitarra si fa più pronunciato, Steve Howe abbandona la chitarra acustica, tessendo una bellissima ragnatela di funamboliche scale con quella elettrica. Alan White tiene il tempo percuotendo delicatamente il "china", poi le tastiere di Sir Wakeman annunciano il ritorno della strofa, servita in una salsa leggermente più piccante. I compiti del finale vengono affidati a Steve Howe che delizia il pubblico con altre pregevoli escursioni con la chitarra acustica, affiancato nel finale da Rick Wakeman che lo imita dolcemente con il pianoforte. Il pubblico apprezza particolarmente questa lieta sorpresa, che vede il suo lato migliore nelle struggenti liriche. Sposandosi perfettamente con le malinconiche ed incantevoli atmosfere, Il Poeta Di Accrington sottolinea l'inossidabile potere dell'amore, narrandoci la triste storia di Roan, che si è visto portare via la moglie da una incurabile malattia, in una profonda notte di un freddissimo Inverno. Spirata come la luce immobile del tramonto, la donna se n'è andata mostrando un'anima indifesa, davanti allo sguardo impotente del marito. Ma durante questi tragici momenti i due scoprono un segreto: l'Inverno fa morire ogni cosa, tutto tranne la pietra. Una volta finite le lacrime, il povero Roan si mette a modellare una pietra, dandole le sembianze della amata moglie, che quel maledetto inverno si è portato via per tutte le stagioni future. Lui la immagina che pian piano prende vita ed inizia a danzare e cantare, invitandola a stare ferma ed immobile per far sì che possa terminare il lavoro. Se solo lei potesse vederlo mentre cerca di riportarla in vita modellando una fredda pietra. Roan passa intere giornate a scolpire la pietra, rivivendo i magici momenti passati insieme alla moglie. Una volta ultimata la scultura, il nostro sfortunato protagonista attende paziente il mutare del tempo ed il prossimo Inverno, sperando che stavolta si porti via lui e lo faccia ricongiungere alla propria amata, in modo da rivivere gli splendidi momenti passati assieme nella vita terrena.
And You And I
Dopo questa chicca, i nostri vanno a pescare nuovamente dal loro capolavoro assoluto datato 1972, tirando fuori dal cilindro l'intramontabile "And You And I (E tu, ed Io)", altra suite divisa in quattro parti. Il primo capitolo è intitolato "a. Cord Of Life (I. Il Legame Della Vita)", la cui introduzione è stata partorita quasi per caso da Steve Howe durante le operazioni di accordatura della chitarra. I delicati tocchi sulla sei corde sono accompagnati da un quasi impercettibile tappeto di tastiera, poi una manciata di fragorose note fuoriuscite dal basso di Chris Squire danno il via al solare strumming di chitarra di Mr. Howe, che infiamma il pubblico. Rick Wakeman spara un effimero assolo con il sintetizzatore ed apre le porte all'ingresso di Jon Anderson, il quale si presenta con una ammaliante linea vocale dolce e raggiante. Alan White si limita a ritmare con terzine di gran cassa, seguite come un'ombra dal collega di sezione ritmica, che poi passa ad alcuni fraseggi di basso, sporcato da flanger e distorsore. Dopo quasi tre minuti si cambia. Una ritmica andante trascina il resto della band in un bridge dalle forti sonorità beatlesiane, dove spadroneggia il basso. Nel celestiale inciso rimane solamente Steve Howe con un articolato arpeggio acustico ad accompagnare Jon Anderson, con una delle sue linee vocali più angeliche e dolci mai partorite, ricamato dall'immancabili cori di Squire e Howe che vanno a chiudere la prima parte. Al minuto 03:48 incontriamo la seconda parte, "b. Eclipse (II. Eclissi)", il momento più bello del brano, epiche tastiere guidano il resto della band in un interludio pieno di emozioni, la ritmica delicata lascia il campo a Rick Wakeman, successivamente affiancato dall'amico Howe con uno stralunato assolo di chitarra. Stiamo ascoltando uno dei più belli ed emozionanti interludi strumentali del progressive rock, da subito diventato leggenda. Sulla note di questo bellissimo wall of sound, Jon Anderson canta la strofa volando il più in alto possibile, poi torna a spadroneggiare nuovamente Rick Wakeman con il riff portante del brano. Il brano sembra volgere al termine, fra gli applausi emerge Steve Howe che ci ripropone il mitico tema dell'introduzione, poi al minuto 06:36 riparte con un solare strumming, stavolta servito in una piccante salsa texana, aprendo la terza parte della suite, "c. The Preacher, The Teacher (III. Il Predicatore Ed Il Professore)". Dal castello di tastiere emerge un funambolico tema di synth che annuncia il ritorno Jon Anderson, accompagnato dalla chitarra e da Chris Squire con una suggestiva armonica a bocca. Una pungente scala di basso annunciano il nuovo cambio, dove ancora una volta spadroneggia il fragoroso Rickenbacker di Squire. La linea vocale è solare e sprizza gioia da tutti i pori, ricamata da preziosi intarsi di chitarra. Altra pregevole escursione solista di Sir Wakeman con uno spaziale sintetizzatore, poi un crescendo della batteria accompagna una emozionante strofa cantata a tre voci. Rallentano i BPM, nel bridge Jon Anderson accenna la linea vocale dell'inciso, poi Rick Wakeman ci ripropone il tema portante, quando il brano sembra evaporare, al minuto 09:58, come una fenice risorge il ritornello finale, Jon Anderson lo esegue in una tonalità maggiore in modo da renderlo ancora più solare ed ammaliante, accompagnato dallo strumming di Mr. Howe, inciso che caratterizza la conclusiva ed effimera "d. Apocalypse (IV. Apocalisse)", che come suggerisce il titolo va a concludere fra gli applausi questa epica e melliflua suite ed anche il primo CD. Il Poeta di Accrington, nelle liriche, sottolinea l'importanza del legame fra uomo e donna nel corso della vita, sposando in pieno la teoria della legge della conservazione della massa di Lavoisier, la quale sostiene che nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Tutto quello seminato da una coppia è il perfetto coronamento delle esperienze maturate insieme. Fra un triste predicatore schiavo del tempo ed un professore schiavo della rima, i termini politici moriranno come le foglie sotto i freddi colpi inferti dall'inverno, e non ci sarà un nemico mutante da combattere.
Mind Drive
Rapido cambio di CD ed andiamo a scoprire le cinque tracce inedite. I nostri partono subito forte, presentando "Mind Drive (Guida la mente)", una epica traccia di oltre diciotto minuti che porta la firma di tutti e cinque i componenti e che ha tutte le carte in regola per tenere testa alle interminabili sinfonie dei tempi d'oro, senza ombra di dubbio fra le migliori composizioni del dopo "Drama". Il brano nasce dalle ceneri di una vecchia composizione strumentale degli XYZ, risalente al 1981. Gli XYZ erano un progetto che vedeva coinvolta la sezione ritmica degli Yes, durante uno dei tanti momenti vicini ad un clamoroso scioglimento, insieme alle colonne portanti dei Led Zeppelin Jimmy Page e Robert Plant che, scossi dalla recente morte del batterista John Bonham erano provvisoriamente fermi. L'acronimo sta appunto per ex Yes e Zeppelin. I nostri registrarono otto brani in studio, ma quando arrivarono ad incidere le linee vocali, Robert Plant, forse ancora scosso dalla perdita dell'amico, disse che i brani erano troppo complicati e non se ne fece di nulla. Chris Squire e Alan White, (che ha sempre sostenuto che le otto tracce registrate erano di altissima qualità), hanno ben pensato di rielaborare il brano insieme a due virtuosi strumentisti come Steve Howe e Rick Wakeman, andando a confezionare un prodotto ad hoc per la cristallina voce di Jon Anderson. Dal castello di tastiere fuoriesce un arcano pad di tastiera, subito raggiunto da un suggestiva escursione sulla chitarra acustica di Sir Howe. I fraseggi da brividi della chitarra, vengono poi imitati in maniera magistrale da Chris Squire. Le partiture dei due strumenti a corda danno vita ad un emozionante intreccio, al quale si unisce un epico riff di tastiera. Dopo circa due minuti il Rickenbacker inizia a sparare una micidiale raffica di terzine, enfatizzate da un pad di organo in crescendo. Chris Squire sposta il riff sulle note più gravi, seguito all'unisono da una potente corsa sul rullante di Mr. White. Dopo un paio di battute Rick Wakeman spara taglienti fiammate di tastiera, Steve Howe inizia a tessere una serie di pungenti ricami con la chitarra elettrica. Sull'estenuante ritmica, i due virtuosi musicisti danno vita ad un epico duello, fino a che un rocambolesco unisono al minuto 04:00 apre i cancelli alla strofa. Il basso di Squire ruggisce, indicando la strada al Santone di Accrington. L'ammonente linea vocale viene ricamata da fraseggi di chitarra e dalle sibilline tastiere di Sir Wakeman. Un breve assolo di chitarra fa da bridge allo stralunato inciso, cantato a tre voci. Un funambolico unisono di basso e organo pone fine a questa prima parte. Al minuto 05:17 rimangano solo le tastiere, poi entra in scena il Santone Di Accrington con una linea vocale dai sentori Beatlesiani, accompagnato da un solare arpeggio di chitarra acustica. Un glissato di basso annuncia l'ennesimo cambio, che rievoca le acide sonorità dei primi anni settanta, anche in questo lisergico inciso riusciamo a percepire un forte riferimento ai quattro di Liverpool. Ritorna la strofa, stavolta accompagnata dal fragoroso Rickenbacker che quasi copre tutti gli altri, seguito dal bridge, che apre le porte ad un effimero assolo di chitarra. Breve pausa e ritorna la solare strofa. Al minuto 08:25 Steve Howe fa centro con un bellissimo arpeggio con la chitarra acustica, passando poi alla portoghese. Le struggenti trame di chitarra sono accompagnate da un avvolgente pad di tastiera e da sinuosi fraseggi di basso. Il fatato suono del "chimes" annuncia il Cantastorie di Accrington, che riprende le struggenti atmosfere con una melanconica linea vocale, ricamata dai preziosi intarsi della chitarra acustica e del basso. Le tastiere enfatizzano il tutto ricreando un atmosfera da brividi. Un ridondante fraseggio di basso pone fine a questo emozionante interludio e al minuto 10:58 si cambia nuovamente. Accompagnato da una frenetica corsa sul "charleston", Steve Howe esegue una serie di fraseggi dai sentori fusion, poi improvvisamente irrompe un funambolico assolo di tastiera, accompagnato da una complicata ritmica, dove, come spesso accade, emerge il fragoroso basso di Squire. Dopo alcune battute, la tastiera si fa meno invadente e lascia il campo Mr. Howe, che si prodiga in un tortuoso e nostalgico assolo con la chitarra elettrica. I fraseggi della chitarra si intrecciano con le funamboliche corse di Rick Wakeman sui denti d'avorio della tastiera, poi una rullata infinita apre i cancelli al ritorno dell'inciso dai sentori Beatlesiani. Un breve e pomposo passaggio di tastiera annuncia il ritorno della solare strofa sentita nei primi cinque minuti del brano. Ritorna l'inciso, stavolta servito con una dolce salsa melliflua. Rick Wakeman ricama la solare linea vocale del Cantastorie Di Accrington con il pianoforte, aiutato da uno strumming di chitarra acustica. Al minuto 13:45 irrompe un graffiante groove di basso che con la mente ci riporta ai fasti di "Drama". Dopo alcune battute Alan White lo accompagna con una marcia dai sentori militari. Steve Howe spara dei complicati fraseggi di chitarra, seguendo la scia delle epiche tastiere. Arriva anche Jon Anderson, la frammentata linea vocale riprende le cadenze ritmiche della marcia, intanto le tastiere si fanno più presenti e in crescendo ci portano verso un nuovo interludio strumentale. Una rocambolesca scala all'unisono dai sentori Maideniani annuncia un epico duello fra basso e tastiera, ai quali poi si aggiunge Steve Howe, con un intricato assolo di chitarra, che alterna fraseggi melodici a funamboliche scale. Ritorna l'unisono Maideniano, seguito da una interminabile corsa sui tom, a sua volta seguita all'unisono dal basso e dalla tastiera, che va ad annunciare un assolo di tastiera che sprizza tecnica da tutti i pori, consacrando Sir Wakeman come uno dei migliori tastieristi del Pianeta. Un epico stacco all'unisono con le tastiere ancora in evidenza sembra porre fine a questo prolungato interludio autocelebrativo, ma non è così. Rimane per alcuni istanti un acido riff di chitarra, seguito poi da una complicata babele sonora. Guidato da una ritmica dispari, l'avvolgente groove di basso si intreccia con un funambolico riff di tastiera e con i lisergici accordi di chitarra, poi una improvvisa rullata dice stop. Rimane un oscuro pad di tastiera, poi Rick Wakeman va a concludere con un irridente riff, ricamato da altri inquietanti effetti, che lentamente evaporano verso la conclusione. Con oltre diciotto minuti di musica, le liriche non potevano che essere prolisse, anche se spesso si ripetono i medesimi versi. Come sempre facendo uso di profonde licenze poetiche, il Guru di Accrington butta giù un vero e proprio mantra che ci invita a prendere il pieno controllo della nostra mente, quel meraviglioso marchingegno che influisce in maniera negativa o positiva sul nostro stato psicofisico. Se scappiamo da una situazione difficile, prima di prendere decisioni avventate, sulle quali poi difficilmente potremmo ritornare indietro, è fondamentale avere il pieno controllo della mente e stilare un'analisi approfondita della situazione. Le azioni sono più potenti delle parole, e ad ogni azione corrisponde una conseguenza. Una volta in piena sintonia con la mente, quello che prima si prospettava un Inferno, può magicamente trasformarsi nel nostro Paradiso. Dentro di noi teniamo sempre nascoste le chiavi del potere per ottenere un successo, basta saperle trovare al momento giusto ed essere creativi. Se manteniamo il controllo, lentamente i nostri desideri si avvicineranno, fino al punto di diventare realtà. L'altra chiave fondamentale assieme al controllo della mente è l'amore, bisogna amare ed essere amati, una volta in pace con se stessi ed in sintonia con il resto del Mondo, sarà molto più facile risolvere i nostri problemi e realizzare i nostri sogni. Composizioni come quella appena ascoltata, non fanno che rafforzare le nostre perplessità sul perché troppo spesso i nostri hanno imboccato dubbi sentieri musicali. La magia e le atmosfere degli interludi più melodici, mixate a momenti ultra tecnici di vero e proprio autocelebratismo, fanno sì che "Mind Drive" si candidi prepotentemente come nuovo classico della band, che riesce a tener testa ai capolavori degli anni settanta. Brano che da solo vale il prezzo del disco.
Foot prints
Passiamo ora ad una traccia firmata Anderson/Squire/Howe/White, intitolata "Foot prints (impronte)" che inizia curiosamente con una brillante armonia vocale eseguita a cappella dai nostri paladini rievocando nei fans più attenti le orecchiabili sonorità di "The Calling". Successivamente viene accompagnata dagli strumenti, dove domina un enigmatico groove di basso e una ritmica ricca di corse sui tom, dal castello di tastiere fuoriescono suoni fatati. Arriva la strofa, il fragoroso basso di Chris Squire detta sempre legge, la strofa viene interpretata con un suggestivo intreccio a tre voci. Il bridge si fa più brioso, la cristallina voce di Anderson si sposa a meraviglia con il brioso riff di tastiera. Ritorna la strofa, seguita da un interludio dove emergono il Cantastorie di Accrington e l'organo di Sir. Wakeman. Un ridondante riff di basso annuncia l'inciso che mette in mostra una brillante armonia vocale, trasportata dalle epiche tastiere. Un breve stacco con la strofa, dove Chris Squire fa da eco a Jon Anderson, poi un assaggio di ritornello apre le porte ad un lancinante assolo di chitarra, seguito da una funambolica e squillante corsa sui denti d'avorio della tastiera. Breve interludio strumentale dai sentori enigmatici, con solari accordi di chitarra acustici che emergono, e poi Steve Howe ci delizia con un assolo di chitarra molto melodico, ricco di tecnica e passione. Ritorna l'inciso, seguito dal precedente interludio, dove stavolta però Jon Anderson canta. Una serie di rocamboleschi colpi all'unisono lascia presagire la fine del brano, ma su questo insolito accompagnamento emerge Jon Anderson che annuncia il ritorno della strofa, Chris Squire continua a martellarci con il ridondante giro di basso. Si cambia tonalità, il brano si fa più brioso e ritroviamo l'armonia vocale dell'introduzione, ricamata da velocissime escursioni sulla tastiera. Rick Wakeman spara suoni spaziali che poi si tramutano in un breve assolo che dice stop. Dal silenzio emerge un ammaliante arpeggio con la chitarra elettrica, ricamato dal basso. Steve Howe fa quasi piangere la chitarra con un breve assolo che poi lascia il campo ad una trascinate armonia vocale, accompagnata da un vetusto organo Hammond. Pausa e poi Steve Howe attacca un articolato arpeggio dal sapore country, ricamato dall'armonica a bocca, che insieme ad una ulteriore traccia di chitarra acustica e delle squillanti tastiere dona un'anima old Texas che lentamente ci accompagna verso l'epilogo. Le liriche sposano in pieno le atmosfere positive della musica. Quando i nostri occhi intravedono una rivoluzione in arrivo che porterà la gloria del Mondo, bisogna intraprendere la nostra strada, non dimenticandoci di lasciare in evidenza le nostre impronte, in modo che altri possano seguirci verso il sogno universale, ovvero un Mondo dove l'amore ed i principi dominano sull'odio e le bugie. Bisogna intraprendere al via giusta, alla ricerca di un mondo migliore, popolato da una razza umana migliore che segue i consigli del maestro. Questa simpatica "Foot prints (impronte)" sprizza gioia da tutti i pori, un brano che punta molto su un classico del combo albionico, ossia le ammalianti armonie vocale. Paradossalmente a tratti ci ricorda alcuni passaggi di "Talk", l'ultima fatica di Trevor Rabin assieme agli Yes.
Bring Me To The Power
Andando avanti incontriamo "Bring Me To The Power (Portami Al Potere)", aperta da sibillini tocchi sulla sei corde, poi una corsa sui tom apre le porte ad un graffiante riff di basso, supportato da una ritmica dispari e da un pad di tastiere, mentre la chitarra insiste con il ridondante tema di apertura. Nella strofa, è sempre il fragoroso basso di Chris Squire ad emergere su un brioso unisono di chitarra e organo. Arriva anche il Cantastorie di Accrington, che canta un felice paio di strofe, ritornando poi dopo alcune battute strumentali dai sentori funckeggianti. Un vorticoso riff di basso annuncia il bridge, che ha l'aria di essere sospeso in un limbo, poi si cambia decisamente atmosfera. Un paio magici di accordi in strumming anticipano Jon Anderson, che con la sua consueta beatitudine canta un paio di strofe. I BPM sono calati vistosamente, ma il basso continua a graffiare con pungenti ed articolati passaggi. Arriva l'inciso, le fatate tastiere di Sir Wakeman diffondono un'atmosfera paradisiaca, con estrema dolcezza, il Santone Di Accrington recita il titolo del brano, Steve Howe esegue preziosi intarsi di chitarra che vanno a ricamare la melliflua linea vocale. Qualche battuta strumentale, dove la chitarra e la tastiera si mettono a dialogare pacificamente, e poi ritorna il dolcissimo ritornello. Al minuto 03:05 si cambia decisamente registro. Irrompe un acido riff di chitarra. Alan White ritma con pochi colpi, seguito all'unisono dal potente Rickenbacker. Dal castello delle tastiere fuoriescono suoni alieni, poi la chitarra spara un riff settantiano, successivamente imitata dal basso sporcato dagli effetti a pedale. Andando avanti le tastiere si fanno più pompose, intrecciandosi con la ragnatela di note sparata dalla chitarra. Ritorna Jon Anderson, la sua cristallina ed inconfondibile voce spicca in questa strofa alternativa che va ad annunciare il vorticoso assolo di chitarra, che sul finale si va a fondere magicamente per alcune battute con il ritornello. Nela parte finale il solo si fa più melodico e viene enfatizzato da un grande lavoro da parte del Mago Delle Tastiere, che poi con una fiammata dice stop. Si cambia nuovamente, il Cantastorie di Accrington viene accompagnato da un sognante arpeggio di chitarra acustica, dando vita ad un interludio dai sentori fiabeschi al quale in fader si fonde il tema iniziale, dove torna a spadroneggiare il basso. Dopo un breve break dai sentori funky, irrompe Rick Wakeman con uno spaziale assolo di tastiera, seguito da un breve interludio strumentale che suona un po' fusion, dove Steve Howe improvvisa un assolo. Alcune funamboliche escursioni sulla tastiera vanno a concludere bruscamente il brano. Le liriche del brano sono molto scarne e giocano spesso sulla ripetizione dei soliti versi. Siamo a bordo di un treno, diretto verso il futuro, con l'intenzione di portare cambiamenti. Abbiamo le chiavi per poter andare al potere, basta volerlo e saper cogliere l'attimo propizio. Le chiavi sono quelle che servono ad aprire il nostro cuore e far sì che il potere dell'amore si diffonda nel Mondo, oscurando tutte le malvagità, per consegnare un futuro migliore alle generazioni future. Brano solare, firmato Anderson e Howe, che alterna momenti dolcissimi a funambolici interludi strumentali, dove emerge il fragoroso basso di Chris Squire, che come ai vecchi tempio domina per tutto il brano.
Children Of Light
La successiva "Children Of Light (Bambini Della Luce)" è una mini suite divisa in due movimenti. Il primo, semplicemente intitolato "A. Children Of The Light (Bambini Della Luce)", nei crediti oltre che ai nomi di Anderson e Squire, vanta anche l'illustre firma di Jon Vangelis. Si parte con enigmatici colpi di gran cassa e basso che annunciano una ridondante armonia vocale in stile "It Can Happen". Lo sferragliante "charleston" detta il tempo. Dopo la prima parte a cappella, Rick Wakeman ricama con pregiati accordi di pianoforte, Howe accompagna con uno strumming quasi impercettibile che quasi si fonde con il "charleston". Alan White arricchisce la ritmica con alcune corse sui tom, seguite da pungenti note di basso. Dopo circa un minuto e mezzo arriva il chorus, sempre accompagnato dall'estenuante ritmica stoppata. La linea vocale di Jon Anderson viene impreziosita da un'avvolgente armonia vocale e da una intricata trama di chitarra. Qualche battuta strumentale e poi ritorna la strofa. La ridondante melodia riesce ad incunearsi nella nostra mente con estrema facilità. Andando avanti incontriamo un breve bridge strumentale con un lancinante tema di chitarra in evidenza. Ritorna il chorus, che lentamente va a concludere la prima parte della suite, che Rick Wakeman lega con un virtuoso saggio di pianoforte alla seconda, intitolata "B - Lifeline (Ancora Di Salvataggio)", totalmente strumentale e che porta la firma dei due virtuosi Wakeman e Howe, che per tutto il brano duellano a colpi di note. Al minuto 03:04, il Mago delle Tastiere ci ipnotizza con un avvolgente pad dai sentori floydiani. Steve Howe fa letteralmente piangere la sua Fender lap steel guitar, confezionando un atmosfera da brividi. Questo meraviglioso intreccio fra le tastiere e la chitarra ci accompagna fino alla fine, inondandoci di emozioni. Nelle liriche, il Poeta Di Accrington affronta una battaglia persa in partenza, quella dell'uguaglianza, facendo leva sulla triste situazione dei paesi del Terzo Mondo, dove i potenti vanno a fare razzia di diamanti e oro, non curandosi delle pessime condizioni di vita in cui sono costretti a vivere i bambini, definiti appunto i bambini della luce, che si domandano se un domani ci sarà un futuro roseo anche per loro, magari in un mondo dove dominerà una sacra uguaglianza nel nome dell'amore. Brano dalla struttura atipica, la ridondante armonia vocale punta a lanciare profondi messaggi, mentre seconda parte è semplicemente da brividi. Una piccola curiosità: nell'album "Keystudio", uscito nel 2001 e che raccoglie le tracce inedite dei due "Keys", il brano è intitolato "Children of The Light" (con un "the" aggiuntivo che non ne cambia il senso) ed è diviso in tre movimenti, infatti ad aprile le danze troviamo una pomposa introduzione di tastiera intitolata "Lightning (Fulmine)", ovviamente firmata Rick Wakeman.
Sign Language
La traccia che va a chiudere il platter è "Sign Language (Il Linguaggio Dei segni)" un breve brano strumentale firmato Wakeman e Howe. Dopo un intreccio di note di pianoforte, siamo avvolti da un melanconico pad di tastiera, poi improvvisamente si manifesta un funambolico riff di tastiera che sarà il tema portante del brano. Steve Howe inizia a tessere una struggente trama con la chitarra, mentre il tema di tastiera inizia a manifestarsi con regolarità, intrecciandosi con gli emozionati fraseggi di chitarra. Steve Howe riprende con la chitarra il tema portante, continuando poi a tessere malinconiche trame, accompagnata dall'avvolgente pad di tastiera. Wakeman torna a sparare il riff portante del brano, che va ad enfatizzare la partitura della chitarra con un bellissimo crescendo. Breve pausa, poi Steve Howe riparte con l'ammaliante quanto semplice riff, andando poi a riprendere le struggenti trame con cui ci ha accompagnato per tutto il brano, che lentamente vanno via evaporando. Vi assicuro che una volta finito il brano, vi ritroverete a fischiettare le ammalianti quattro note che compongono il riff portante, e che per tutto il brano vanno ad intrecciarsi con le melanconiche trame della chitarra.
Conclusioni
Bene, questo "Keys To Ascension 2" è il tassello mancante che serve a completare una scaletta live con i fiocchi iniziata dal suo predecessore, dove possiamo trovare dei classici intramontabili, spesso impreziositi dalla presenza di Rick Wakeman rispetto alle versioni originali, ed alcune chicche che raramente ci capita di apprezzare in sede live. La qualità del suono dei brani live è pressoché perfetta, se non fosse per il pubblico che grida e applaude fra un brano e l'altro, ci sembrerebbe di ascoltare un album in studio. Soddisfacenti anche i cinque brani inediti, dove emerge prepotentemente la mastodontica suite "Mind Drive", senza ombra di dubbio fra le migliori composizioni yessane degli anni 80/90. Brani che con una dovuta modernizzazione dei suoni, riescono a mantenere inalterata la vena progressive degli anni settanta, senza cadere nel banale, andando a recuperare gran parte dei fans più esigenti, persi durante l'era Rabin. Chris Squire dimostra di essere molto più a suo agio a suonare progressive rock anzichenò del banale AOR, il compianto Gigante Buono tornato a massacrarci con articolati groove, pungenti scale e orde di sedicesime, stesso discorso per il compagno di sezione ritmica Alan White, che insieme al nostro va a formare una granitica sezione ritmica che non disdegna pregevoli escursioni soliste e ritmiche ricercate e raffinate. L'aura di Jon Anderson brilla come il sole quando si trova a diffondere i suoi profondi messaggi tramite articolate composizioni sinfoniche. Steve Howe è come un ottimo rum, più invecchia e più migliora, il suo stile inconfondibile fa sì che lo si possa distinguere fra mille chitarre che suonano insieme, confermandosi come uno dei migliori interpreti della sei corde acustica e della steel lap guitar, due "specializzazioni" che non tutti i chitarristi possono sfoggiare nel loro curriculum vitae. Infine Rick Wakeman, croce e delizia di questa storica reunion, con la sua classe sopraffina ed il suo estro è riuscito a dare nuova vita a composizioni che in origine non appartenevano al suo repertorio, la bellissima versione di "Time And A Word" ne è un esempio lampante. Peccato, che come sovente accade, genio ed affidabilità non vadano di pari passo, infatti quasi in contemporanea con l'uscita di "Keys To Ascension 2" il Mago Delle Tastiere abbandonerà gli Yes per l'ennesima volta, purtroppo stavolta in maniera definitiva, perlomeno sino ai giorni nostri, fatta eccezione di una fugace rimpatriata nel 2001, in occasione dell'uscita dell'album "Keystudio". Ma chi come me segue il combo albionico dalla notte dei tempi, sa che le sorprese sono sempre dietro l'angolo, anzi, è una notizia fresca fresca che il nostro sia in procinto di avviare un progetto insieme a Jon Anderson e Trevor Rabin, manca il moniker "Yes", ma di certo l'idea stuzzica e non poco i fans. Ovviamente l'artwork è stato affidato nuovamente al maestro Roger Dean, che va a riprendere la precedente opera denominata "Arches Mist", continuando il paesaggio alieno a tematica azzurra. In primo piano troviamo quattro formazioni rocciose di diverse dimensioni, le due centrali, le più grandi, sono collegate da alcune strutture ad arco, sulla più grande troviamo il classico alberello deaniano. Sullo sfondo, come celata da una misteriosa foschia, compare una mastodontica struttura aliena con archi e sagome fungiformi. In alto, appena sotto il titolo del platter, giganteggia il classico logo a bolla, che parte da un azzurro più scuro fino ad arrivare al verde, il tutto variegato da marcate venature di un rosso brillante. In basso ritroviamo anche il logo alternativo del gruppo, che Roger Dean aveva ideato in occasione di "Union". Una curiosità, la copertina cartonata che accoglie il CD, presenta il medesimo disegno, ma a differenza dell'illustrazione del libretto interno, dove predominano le sfumature azzurre, qui sono rimpiazzate da un ammaliante magenta, in tutte le sue sfumature. "Keys To Ascension 2" è venuto alla luce il 3 Novembre del 1997, esattamente un anno e una settimana dopo il suo predecessore, sempre distribuito dalla label Essential Records. Per la produzione, i nostri si sono avvalsi della collaborazione di Tom Fletcher e Billy Sherwood. I due si sono occupati anche del mixaggio e insieme a Mr. Bill Smith hanno curato i suoni. Le tracce live sono state registrate fra il 4,5 e 6 Marzo del 1996 a presso il Freemont Theater di San Luis Obispo, in California e mixate da Tom Fletcher, Bill Smith e Kevin Dickey, che insieme a Zang Angelfire si è occupato anche della cura del suono, aggiungerei con risultati soddisfacenti. Le cinque tracce in studio sono state registrate fra Marzo e Novembre del 1996 presso gli Yesworld Studio, siti in San Luis Obispo. Mi pare scontato aggiungere che chi fosse in possesso del precedente "Keys To Ascension", deve assolutamente avere anche questo degno sequel nella propria discografia. Nonostante i due album fratelli si equivalgano in linea di massima, vuoi per la scelta dei brani live, o vuoi per la bellissima "Be The One" che mi ha ammaliato sin dai primi ascolti, trovo questo "Keys To Ascension 2" un gradino appena sotto al suo predecessore, meritando comunque un'altissima valutazione di tutto rispetto.
2) Going For The One
3) Time And A Word
4) Close To The Edge
5) Turn of the Century
6) And You And I
7) Mind Drive
8) Foot prints
9) Bring Me To The Power
10) Children Of Light
11) Sign Language