YES
Fly from here
2011 - Frontiers Records
SANDRO NEMESI PISTOLESI
02/04/2016
Introduzione Recensione
Mantenendo le aspettative del pretenzioso titolo, l'album "Magnification" è riuscito finalmente a riportare gli Yes al centro del villaggio di Proglandia, confermando quanto di buono si era sentito con l'ottimo "The Ladder" e cancellando definitivamente tutte le perplessità lasciate dal mediocre "Open Your Eyes" I nostri fanno un profondo esame di coscienza e vanno a riscoprire le loro origini, riportando alla luce quel progressive rock che li ha resi una delle band più significative ed influenti del genere. Ripercorrendo la strada di inizi carriera, trovandosi senza un tastierista di ruolo, i nostri decidono di affidarsi ad un'orchestra, andando a mischiare le trame orchestrali dirette da Larry Groupé con articolate composizioni che richiamano fortemente i grandi classici dei tempi d'oro. Il risultato è strabiliante e consacra l'album come fra i migliori del combo albionico. "Magnification" viene supportato dal suggestivo Yes Symphonic Tour, dove i nostri si affidano al giovane tastierista Tom Brislin, che ha il compito di fare da legante fra la band e le varie orchestre che si intercambiano durante il tour mondiale. Sull'onda del successo dell'album, i fans sono ulteriormente elettrizzati dal paventarsi di un clamoroso ritorno di Rick Wakeman, ormai ristabilito dai gravi problemi di salute. Nell'aprile 2002 Wakeman torna nuovamente in pianta stabile nel gruppo, ed esce "In a Word: Yes (1969-)", un cofanetto di 5 CD che ripercorre tutta la loro carriera artistica, contenente materiale live inedito, materiale inedito in studio e i grandi classici, compresi brani del controverso "Drama" e degli Anderson Bruford Wakeman Howe. Fra l'estate del 2002 e l'autunno del 2003 i nostri tornano sui palchi con Rick Wakeman alle tastiere per il "Full Circle", un tour mondiale che passa, dopo trent'anni di assenza, anche per l'Australia. Purtroppo il tour viene terminato anticipatamente a causa di un incidente occorso a Jon Anderson, che deve alzare bandiera bianca a causa di una frattura alla schiene, rimediata dopo una brutta caduta. Nel frattempo 18 marzo 2003 viene intitolato al gruppo l'asteroide "7707 Yes". Sia Wakeman che Anderson non sono convinti di entrare nuovamente in studio, e il 15 Aprile del 2004, i nostri ripartono alla conquista del Mondo con il 35th Anniversary Tour, seguito dall'ennesima raccolta dal titolo "The Ultimate Yes: 35th Anniversary Collection" e dal DVD live "Songs From Tsongas - Yes 35th Anniversary Concert". Di entrare in studio non se ne parla, ma i nostri sfruttano il momento e nel 2005 esce "The Word Is Live", un cofanetto di 3 CD contenente registrazioni live che ripercorrono la lunghissima carriera di Squire e compagnia cantante. Fra album solisti, raccolte e live si arriva al 2007. Rick Wakeman accusa nuovamente gravi problemi di salute, proprio quando i nostri stavano annunciando il "Close to the Edge and Back (40th Anniversary) Tour". Il Mago delle Tastiere viene sostituito dal figlio Oliver, ma il tour risulta maledetto e viene annullato a causa di una grave insufficienza respiratoria acuta che colpisce Jon Anderson. Con il Cantastorie di Accrington in infermeria che tarda e recuperare le forze, gli Yes si mettono clamorosamente alla ricerca di un sostituto. La scelta ricade sul carneade Benoît David, cantante della cover band degli Yes Close To The Edge e dei Mystery, una progressive rock band canadese con allora tre album all'attivo. Il nostro viene scovato da Chris Squire grazie ad un video di YouTube, mentre cantava alcune cover degli Yes. Ben presto si troverà a coronare il sogno di ogni fans, quello di incidere un disco e calcare i palchi del mondo assieme agli idoli di una vita, roba da darsi un pizzicotto per verificare se stiamo sognando o è tutto vero. Del quindicesimo membro ufficiale degli Yes non si hanno molte altre informazioni a riguardo, se non che è nato il 19 Aprile del 1966 a Montreal. Il precedente tour annullato viene ripristinato sotto il nome di "In the Present Tour", con il quale viene presentato al pubblico il nuovo cantante. L'imponente tour che vanta ben 140 date, ne vede annullate alcune a causa di un intervento alla gamba subito da Chris Squire, con una necessaria pausa fra il Febbraio 2009 ed il Giugno 2009 per permettere la convalescenza al medesimo. Dopo questa incredibile successione di eventi, con ritorni, dipartite e new entry, che ormai non sorprendono più i pazienti fans di lunga data, dopo un gap di ben 10 anni (mai ne erano passati così tanti fra un album e l'altro), nel 2010 i nostri paventano una sorprendente entrata in studio, annunciando un ennesimo suggestivo e clamoroso ritorno, quello di Trevor Horn, sotto le vesti di produttore. Ma le sorprese non finiscono qui, l'avvento dell'occhialuto produttore porta ad un altro clamoroso cambio di guardia, fuori Oliver Wakeman (che comunque contribuisce alla stesura dell'album, comparendo nei crediti e suonando tre pezzi) e dentro Geoff Downes, che a distanza di trent'anni, ritorna a troneggiare dietro al castello di tastiere. L'ingresso dei due "The Buggles", va rievocare le magiche atmosfere del capolavoro "Drama", che prima dell'avvento del nuovo Singer Canadese, era l'unico album in studio senza sua maestà Jon Anderson alla voce. Infatti i nostri si rinchiudono in studio e vanno a rispolverare alcune vecchie composizioni firmate Buggles rimaste fuori dall'album datato 1980, in particolare, il lavoro si incentra sulla rivisitazione di un vecchio brano intitolato "Fly From Here". Chi segue da sempre il mio fantastico viaggio attraverso l'imponente discografia degli Yes, ricorderà che sotto richiesta del comune produttore Brian Lane, i Buggles composero il suddetto brano per Squire, Howe e White, che rimasti senza tastierista e cantante, stavano attraversando un periodo nerissimo, alle prese con le defezioni di turno e con un clamoroso scioglimento che si stava paventando alle porte. Questo inizio di collaborazione, finirà poi con la fusione dei Buggles con quel che rimaneva degli Yes, che dette appunto vita all'insolita line-up che partorì il controverso "Drama", quello che per chi scrive è l'album preferito del combo albionico, in barba alla critica. Vengono rispolverate anche altre tracce firmate The Buggles, per la precisione si tratta "Ad Night at the Airfield" e "Life on a Film Set", tutti brani che insieme ad altri tre vanno a comporre l'imponente suite "Fly From Here", suddivisa in sei distinti movimenti, che insieme ad altre cinque tracce va a comporre l'album numero 20 in carriera (o 21 per chi come me considera ABWH un album degli Yes a tutti gli effetti), intitolato appunto "Fly From Here" album che ci riporta alle magiche e frizzanti sonorità degli anni ottanta e che ora ci andiamo ad ascoltare.
Fly From Here
A rompere la lunga ed interminabile attesa dei fans è la lunga suite divisa in più parti "Fly From Here" La sua prima parte si intitola Fly From Here- Overture (Vola Da Qui - Apertura)", una breve introduzione strumentale, aperta da Mr. Geoff Downes alle tastiere, che si ripresenta al popolo yessano a trent'anni di distanza. Dopo un paio di battute al synth, il riff viene imitato dal pianoforte, breve pausa e poi le trame pianistiche vengono scandite da potenti colpi stoppati all'unisono da Squire, Howe e White. Downes aggiunge un cinguettante tema di tastiera che richiama tutti a pieno regime. La sezione ritmica irrompe con un trascinante tempo sincopato, scandito dal fragoroso basso di Squire, seguita da un altro interludio stoppato, con un riff di pianoforte che grida spudoratamente Asia, sonorità che si manifestano anche nel successivo interludio, dove fra le avvolgenti trame delle tastiere tenta di farsi largo Steve Howe con uno dei suoi classici assoli, smorzato poi da potenti colpi all'unisono stoppati, che sanciscono la fine di questa suggestiva e piacevole introduzione firmata dai due ex Buggles. Senza un attimo di pausa arriva "Fly from Here, Part I: We Can Fly (Vola Da Qui, Parte I: Noi Possiamo Volare)", primo ed unico singolo estratto dall'album. Geoff Downes si conferma un fantastico dispensatore di atmosfere, dal castello di tastiere fuoriesce una densa nebbia in fader, formata da oscuri pad che si intrecciano con i gelidi sospiri del vento ed il magico canto notturno dei grilli. Il Biondo Tastierista di Stockport ci colpisce con un enigmatico intreccio di accordi al pianoforte, con arcane note gravi che annunciano l'ammaliante riff portante. Accompagnato da un alieno ed avvolgente pad di tastiera e da lamenti della sei corde, al minuto 00:29, una profonda pennata di basso annuncia il nuovo cantante Benoît David che da subito ricorda molto più Trevor Horn che Jon Anderson. Il nostro si attiene all'oscure atmosfere del brano, catturandoci con una enigmatica linea vocale che lascia un piacevole alone di mistero, ricamata da preziosi intarsi di chitarra e profonde pennate di basso. Un paio di colpi stoppati ed entra in scena Steve Howe, con un articolato fraseggio di chitarra, affiancato da una potente e ridondante cavalcata sulle quattro corde, seguita all'unisono da un martellante tappeto di gran cassa, che invita il carneade Vocalist Canadese ad invigorire la linea vocale, spinto anche da un bel crescendo delle tastiere. Arriva la strofa, il prepotente basso di Squire detta legge ed insieme ai pad di tastiera ed i fraseggi di chitarra, rievoca le magiche ed epiche sonorità di "Into the Lens", non a caso altro brano proveniente dal repertorio Buggles. Il nuovo arrivato se la cava egregiamente anche su questa trascinate strofa, impostando ancora la modalità "Horn". Nel bridge calano vistosamente i BPM, le danzanti tastiere ci portano verso l'inciso, dove la sognante linea vocale del Cantastorie di Montreal viene ricamata dalle immancabili armonie vocali. Una prolungata corsa sulle pelli porta ad un repentino aumento di velocità, con un Chris Squire in gran spolvero in questa parte finale del chorus, che apre le porte all'assolo di chitarra. Dopo alcuni caustici e funckeggianti fraseggi, Steve Howe inizia a tessere una delle sue intricate ed inconfondibili tramite, poi una rocambolesca rullata viene seguita all'unisono dagli strumenti a corda, portandoci ad un reprise del tema portante di pianoforte, rafforzati dai tappeti sparati dal Oliver Wakeman, che dà il suo sostanzioso contributo in questo brano. I nostri alternano rallentamenti a repentini aumenti di velocità, mettendo sempre in mostra l'ammaliante partitura di pianoforte. Steve Howe si sbizzarrisce con una serie di funambolici fraseggi che sapientemente ci portano di nuovo alla strofa, resa ancora più epica dal Chitarrista di Holloway, che pare in forma smagliante e trascina letteralmente Benoît David. Si respira frizzante aria anni ottanta in questa trascinante strofa, ad ogni frase cantata fanno eco intricati fraseggi di chitarra, poi si rallenta nuovamente con l'avvento del bridge, dove Steve Howe si mette a dialogare con le sognanti tastiere. Con una serie di "Lingering (Persistente)", Benoît David apre nuovamente le porte al ritornello, che stavolta parte subito in quarta. Le tastiere fanno volare in alto il Cantastorie di Montreal, spinto dal travolgente giro di basso. Sul finale dell'inciso rallentano i BPM, i nostri concludono con un'armonia vocale che sembra uscita da "Drama". Il brano sembra terminato, ma una prolungata corsa sulle pelli, seguita all'unisono dal basso e dall'organo dà vita ad una versione alternativa della strofa. Chris Squire spara una quantità innumerevole di note, le trame della chitarra si intrecciano al bellissimo tema pianistico di Geoff Downes, e gli spaziali pad di tastiera del Figliol Prodigo, dando vita ad un'epica conclusione, che purtroppo sfuma lentamente in fader. Nelle liriche, un personaggio solitario si mette a fantasticare, ammirando i vecchi aerei di linea abbandonati crudelmente lungo il bordo di un campo di aviazione. Riesce a salire a bordo, l'altimetro segna tristemente lo zero, mentre osserva il radar, viene magicamente catturato dal raggio del radar e risucchiato dallo schermo, iniziando un onirico viaggio in un bellissimo cielo azzurro sgombro da nuvole. Ora può coronare il sogno della vita, quello di volare lontano, lasciandosi alle spalle i problemi della vita terrena e impugnando saldamente una cloche ormai ferma da lustri. Volando lontano realizza che ogni giorno di vita che sprechiamo inutilmente è un giorno di vita perso, quindi prende coscienza di voler vivere ogni giorno di vita intensamente, assaporando tutte le essenze, prima di arrivare ad un irreversibile punto di non ritorno, dove sarà inutile piangere sul latte versato e rimpiangere tutte le occasioni perse. Il brano è stato presentato in versione ridotta con un videoclip, rilasciato il 3 luglio 2011. Il filmato ritrae la storia di un passeggero in aeroporto in attesa del suo volo. Mentre legge il giornale, viene attratto da un articolo che parlava di un magnate di Hollywood (impersonato da un Trevor Horn ormai imbiancato dal tempo) che è morto in un incidente aereo a causa di un "errore del pilota", incidente accaduto nel 1940. L'uomo finisce di leggere, poi improvvisamente corre giù per una rampa di scale e si ritrova magicamente sullo stesso aereo dell'articolo, insieme al magnate e alle star della Hollywood anni 40. La hostess lo porta alla cabina di pilotaggio per pilotare l'aereo. Dopo aver volato ammirando il panorama, perde il controllo dell'aereo, e mentre sta per precipitare, si sveglia, in fondo ad una rampa di scale, stordito da una brutta caduta. Sono rimasto letteralmente ammaliato da questo trascinante brano, che si candida a migliore del platter e che inevitabilmente rievoca le epiche atmosfere di "Drama", brano destinato a diventare un nuovo classico degli Yes. Si cambia completamente atmosfera con la seconda parte, intitolata "Fly From Here, Part II: Sad Night At The Airfield (Notte Triste Nel Campo Di Aviazione)", aperta da Steve Howe con uno struggendo arpeggio con la chitarra acustica, ricamato da magici intarsi di tastiera. Le trame della chitarra ci avvolgono letteralmente, poi dirottano verso una solenne melodia, ripresa da Benoît David con una struggente linea vocale che si intreccia in maniera perfetta con i cristallini arpeggi della sei corde. Arriva l'inciso, Alan White ritma delicatamente, rafforzato dalle fragorose pennate di Chris Squire. Geoff Downes ci colpisce con una melliflua melodia di tastiera, ripresa molto da vicino dal Cantante di Montreal, ricamato da raffinati cori e controcanti. Sul finale del chorus il basso detta un importante cambio di tono, e l'ottimo Benoît David va a chiudere con una leggera dose di grinta, aiutato da acidi fraseggi di chitarra. Effimero break di tastiera e chitarra acustica, e ritorna la strofa, che forte del cullante arpeggio di chitarra e all'avvolgente voce del nuovo singer, ci trasporta magicamente verso il mellifluo ritornello. Geoff Downes stende un avvolgente tappeto di tastiera, che accoglie Chris Squire, il quale ci cattura con un ammaliante assolo di basso, andando a riprendere la melodia portante del brano. Il Gigante Buono ci cattura con sinuosi fraseggi che ci avvinghiano come le letali spire dell'anaconda. I nostri ci presentano una versione alternativa della strofa, resa affascinante dalle delicate percussioni offerte dall'ospite Luís Jardim, che molti di voi avranno conosciuto con gli Asia dell'era Payne, e che aveva collaborato con i Buggles nell'album "Adventures in Modern Recording". Dal castello di tastiere fuoriesce una magica nebbia di note che trasportano il Cantastorie Canadese, ricamato da magici fraseggi di basso, che in crescendo ci portano verso l'assolo di chitarra. Steve Howe si sistema dietro la Fender lap steel guitar e ci fa sognare con gli struggenti lamenti che si vanno ad intrecciare con le solenni note del pianoforte, che riprendono il tema portante dell'album. Una improvvisa serie di fiammate sparate dal synth apre le porte al ritorno dell'inciso, stavolta l'armonia vocale dà vita ad un suggestivo eco che ripete le strofe cantate da Benoît David. Nella seconda parte dell'inciso Steve Howe ritorna dietro la Fender lap steel guitar e ricama con struggenti lamenti, dando vita ad un suggestivo intreccio fra le armonie vocali e le trame di chitarra e pianoforte. Questa cullante babele musicala ci accompagna dolcemente verso il cadenzato finale. Nelle liriche continua l'avventura del nostro misterioso personaggio, che vaga in un aeroporto deserto in maniera inquietante, dove nessuno è sveglio e nessuno dorme. Gli piacerebbe rompere quell'assordante silenzio con l'affascinante rombo del motore di un aereo, che si scalda in procinto di chissà quale esotica destinazione. La notte è fredda, il respiro lascia trasparire piccole nuvole, è tardi per partire, bisogna aspettare le prime luci dell'alba e iniziare a volare. I corridoi dell'aeroporto sono popolate da silenziosi fantasmi, si tratta di fantasmi stranieri, di cui nessuno si è mai curato. Il nostro personaggio sembra riconoscerli, se li ricorda quando con loro volava in cielo, lasciando presagire che è successo qualcosa di brutto e aprendo inquietanti scenari sulla sua storia. Il brano è il seguito ideale del precedente, a cui si ricollega si liricamente che melodicamente. Il magico intreccio fra le voci e gli strumenti, che seguono la medesima strada melodica, riesce a cullarci in un immaginario volo senza meta. Delle tastiere in fader annunciano "Fly From Here, Part III: Madman At The Screens (Uomo Pazzo Agli Schermi)". Ritorna il tema di pianoforte dell'overture, poi Geoff Downes inizia a duettare in maniera brillante con Benoît David, che con una linea vocale frammentata segue le briose trame del pianoforte, rievocando le atmosfere di "White Car". Un potente unisono stoppato fra sezione ritmica e chitarra distorta scandisce le prime battute della strofa, poi Alan White parte con un veloce tempo sincopato. Chris Squire fa ruggire le quattro corde. Geoff Downes emerge con il riff portante, ricamato dagli inconfondibili fraseggi di Steve Howe. La melodia generata fra intreccio della voce con gli strumenti, si insinua prepotentemente nella nostra testa. Arriva uno stralunato bridge, dalla ritmica stoppata con il Singer Canadese che duetta con le allegre trame che fuoriescono dal castello di tastiere, ricamato dalle immancabili armonie vocali e dai controcanti. Dopo una repentina accelerazione ed un ritorno alla ritmica stoppata, un irridente tema decrescente scandito dalla tastiera apre le porte all'inciso. I tappeti stesi da Geoff Downes accolgono una oscura armonia vocale, basso e gran cassa tengono alto il ritmo, mentre ad intervalli regolari, Alan White spara alcune raffiche di gran classe sul rullante che ricordano una marcia. Un classicheggiante finale porta verso un acido interludio, dove dei taglienti fraseggi di chitarra si intrecciano con il tema portante di tastiere e i caustici accordi distorti di una seconda traccia di chitarra. Anche in questi frangenti si respirano atmosfere alla Asia. Ritorna la strofa, con la ridondante melodia che ormai è entrata in pianta stabile nella nostra mente, seguita dallo stralunato bridge e dall'avvolgente inciso, stavolta proposta in una tetra versione con il solo Geoff Downes ad accompagnare l'armonia vocale. Chris Squire ricama con taglienti fraseggi di basso, Luís Jardim tiene il ritmo con uno squillante piattello. Dopo alcune battute, basso e gran cassa iniziano ad incalzare fino ad arrivare ad un nuovo interludio strumentale. Stavolta è Chris Squire a sparare taglienti fraseggi che duellano con gli acidi accordi della chitarra ritmica, affiancato poi da funamboliche scale sparate dalla sei corde di Steve Howe, seguito all'unisono da un ispiratissimo Geoff Downes. Per alcune battute ritorna la ridondante melodia della strofa, poi il Biondo Tastierista inizia un prolungato assolo di organo, che successivamente si intreccia con le linee vocali della strofa ed i funambolici fraseggi di chitarra. Una serie di colpi stoppati spezzano le trame dell'organo, seguito all'unisono dal possente basso di Squire. Quando il brano sembra finito, dalle tastiere in fader emerge un oscuro pianoforte, che accompagna Benoît David, il quale va a concludere il brano in modalità "Drama". Le liriche, molto ripetitive, escono leggermente dal filo conduttore che legava i due precedenti brani. Siamo in una notte, dove il riflesso della Luna rende il mare di color argento. Sul litorale, il vento si sta alzando di nuovo, portando minacciosi sentori di tempesta. I marinai che sono in mare devono fare attenzione, o rischieranno di naufragare. Nella torre di controllo, i ventilatori portano via lentamente le ore della notte, dietro gli schermi è seduto un uomo folle, che gioca a fare Dio con la vita degli altri. Per come ho interpretato io le liriche, il personaggio misterioso che ammira con tristezza i vecchi aerei abbandonati, è il fantasma di un pilota, morto in un incidente aereo, assieme a tutto l'equipaggio ed i passeggeri, i cui fantasmi vagano ancora nei corridoi dell'aeroporto. Ma l'incidente non è colpa del pilota, ma di un uomo folle che dirigeva i voli dalla torre di controllo e ha sulla coscienza tutte le vittime dell'incidente. Questo brano, musicalmente si discosta dal filo conduttore melodico che legava il primo trittico di brani, ma è quello che maggiormente mette in mostra la vena progressive del gruppo, evidenziando raffinati ricami da parte di tutti gli strumentisti, che spesso rievocano passaggi che ricordano molto da vicino i tempi d'oro. "Fly From Here, Part IV: Bumpy Ride (Giro irregolare)" è un irridente intermezzo, quasi completamente strumentale, che specie nella prima parte ricorda molto qualcosa dei primi Goblin, mixato ad una colonna sonora di un cartone animato degli anni settanta. Si parte con un giulivo unisono supportato da una ritmica frammentata ed irregolare, per qualche battuta il brano si fa più lineare, mettendo in evidenza una scorribanda cadenzata in crescendo dove emerge il synth di Mr. Downes. Ritorna la trama dell'inizio, poi per qualche battuta accelerano i BPM e Steve Howe accenna alcuni fraseggi dalle sonorità spurie. Questa dissennata alternanza fra il tema portante e folleggianti brevi interludi di protrae fino al minuto 01:20, dove l'effimero brano cambia completamente atmosfera. Dalle tastiere in fader emerge un basso che pompa come un cuore, rafforzato da un raffinato accompagnamento di gran cassa. Geoff Downes effettua raffinati ricami con i synth il Cantante Canadese recita in maniera solenne i versi con cui aveva chiuso il brano precedente, poi a rompere questa profonda ed avvolgente atmosfera, torna il festosa alternanza di interludi della prima parte del brano che ci accompagna verso un rocambolesco finale. Brano firmato Howe, che sinceramente stona con il resto della suite "Fly From Here", brano che serve solo a mettere in mostra in maniera autocelebrativa e doti tecniche del combo capitanato da Squire. A chiudere la suite è "Fly From Here, Part V: We Can Fly Reprise (Possiamo Volare)", aperta da Geoff Downes con pompose ed epiche tastiere made in Asia. La sezione ritmica accompagna con un lento 4/4, le trame vocali dell'inciso di "We Can Fly" si vanno ad intrecciare con le evocative tastiere di Downes e Oliver Wakeman. Improvvisamente Alan White accelera vistosamente i BPM, Squire macina una serie incredibile di note, trascinando tutti in una versione speed dell'inciso, che di colpo rallenta di nuovo, lasciando che il dolce coro che recita "We Can Fly" sfumi in fader verso l'epilogo. Una rocambolesca scorsa sulle pelli, seguita all'unisono da tutti gli strumenti dà vita nuovamente al tema portante del brano, che sotto il trascinate ritmo invita Steve Howe a riprendere l'assolo del singolo per alcune battute, poi uno rocambolesco gran finale, lascia il campo alle spaziali tastiere di Geoff Downes, che sfumano lentamente assieme ai gracchianti messaggi di una torre di controllo. Le brevi liriche, riprendono i versi dell'inciso della seconda traccia, dove si vola nel cielo limpido, guardando indietro ed asciugandosi le lacrime. Degno finale di questa maestosa suite che va oltre i ventiquattro minuti e che vede il suo unico punto debole nello stralunato quanto inutile quarto movimento.
The Man You Always Wanted To Be
Veniamo ora alle singole canzoni, iniziando da "The Man You Always Wanted To Be (L'Uomo Che Avresti Sempre Voluto Essere)", brano scritto da Simon Sessler, Chris Squire ed un amico di vecchia data, con cui aveva collaborato agli inizia della carriera, nei Syn, Gerard Johnson, che troviamo anche come ospite nelle vesti di pianista. Steve Howe inizia con un solare strumming di chitarra, subito imitato dal pianoforte e ricamato da una melliflua seconda traccia di chitarra. Nelle vesti di voce solista troviamo Chris Squire, il quale entra con estrema dolcezza, come del resto la preziosa sezione ritmica. La strofa scorre via piacevolmente, con qualche gracchiante accordo di chitarra a ravvivare l'atmosfera. Nel bridge, la sezione ritmica aumenta leggermente l'intensità, il basso pompa portandoci dritti verso l'inciso, dove emerge una briosa armonia vocale dal piacevole retrogusto ottantiano. Breve stacco strumentale che ripropone il tema di apertura con il pianoforte in evidenza e ritorna la strofa, che ad un secondo ascolto ci ricorda molto da vicino gli ultimi Mike And The Mechanics. La chitarra di Steve Howe detta la melodia nel trascinante bridge ed un dolce coro apre le porte al ritorno dell'inciso, dove l'armonia vocale si va ad intrecciare con le inconfondibili trame della chitarra rievocando i momenti migliori degli Alan Parsons. Il coro finale dell'inciso annuncia un interludio strumentale, dove Chris Squire ci avvolge con un graffiante groove di basso, che poi va ad intrecciarsi con un simpatico coretto di Andersoniane memorie. Arriva l'assolo di chitarra, che si alterna con una gioiosa armonia vocale che grida anni ottanta. Nel trascinate finale, a guidare è il basso di Squire, mentre le trame della chitarra ci accompagnano insieme al piacevole coro ottantiano verso una gradevole conclusione, dove un avvolgente tappeto di tastiera vien affiancato da Luís Jardim con un raffinato lavoro di percussioni. Nelle liriche, per ottemperare ad una forte crisi amorosa, Trevor Horn compie un profondo esame di coscienza, ritornando sui suoi passi, fino quasi a non riconoscersi. Per riconquistare l'anima gemella, è uscito da una profonda crisi, cambiando il suo punto di vista ed il modo di pensare, sforzandosi per riuscire ad essere nuovamente l'uomo che lei avrebbe voluto sempre di fianco a sé, quello dei primi tempi, quando l'amore era sbocciato in maniera prepotente. Una volta ritrovato lo splendore dei primi tempi, la coppia è pronta ad un secondo emozionante viaggio, sulla scia del loro amore. Piacevole brano easy listening, che suona molto anni ottanta senza far gridare allo scandalo.
Life On A Film Set
La successiva "Life On A Film Set (La Vita Sul Set Di Un Film)" è la rivisitazione di un vecchio brano dei Buggles, ovviamente firmato dal duo Horn -Downes, brano che in origine si intitolava "Riding A Tide (Riding Tiger) (Cavalcando La Marea - In Sella Ad Una Tigre)" e che rimase fuori dalla track list definitiva del secondo album del brillante duo, intitolato "Adventures in Modern Recording", uscito nel 1981. Il brano fu comunque inserito fra le numerose bonus track presenti nella versione ristampata nel 2010. I nostri mantengono inalterata la struttura, ma lo struggente arpeggio di chitarra acustica di Steve Howe è di un altro pianeta rispetto all'originale, all'epoca suonata da Trevor Horn. Il nostro, come sempre lascia trasparire tutto l'amore che riversa sulla sei corde durante l'interpretazione di un brano, riuscendo a rendere speciali le medesime note suonate da un diverso interprete. La melanconica linea vocale rimane inalterata ed anche la timbrica del Cantante di Montreal si avvicina molto a quella dell'Occhialuto Produttore. Ritornano anche i suggestivi flauti di Mr. Downes, pressoché inalterati rispetto all'originale, se non resi più squillanti inevitabilmente dal progresso tecnologico. Profonde pennate di basso annunciano l'inciso, che rimane inalterato anche nelle liriche, Benoît David ripercorre i passi del suo predecessore, recitando in maniera esemplare i versi "Riding Tiger (In Sella Ad Una Tigre)", ma è Geoff Downes a superarsi, facendo uscire una avvolgente nebbia di trame orchestrali dal castello di tastiere, scandita dalle felpate note del basso. La successiva strofa è da brividi, entra in scena la sezione ritmica, con un cadenzato 4/4, Chris Squire lega le profonde note di basso con sinuose scale, mentre le trame della chitarra sono affiancate da uno spaziale pad di tastiera, che valorizza sia lo struggente arpeggio che la linea vocale di Mr. David. Graffianti accordi distorti in sottofondo annunciano l'inciso, ravvivato dalla sezione ritmica e con un suggestivo botta e risposta fra le epiche tastiere di Downes e le strofe recitate da Benoît David. Sul finale del chorus una celestiale armonia vocale pone fine alla prima parte del brano, annunciando la seconda, che come nella versione originale si discosta molto dalle atmosfere avvolgenti dei primi centoventi secondi. Steve Howe attacca un solare strumming con la chitarra acustica. Dopo qualche fraseggio in solitario, le energiche pennate sulla sei corde vengono affiancate da un giulivo tema di tastiera, ben presto seguito quasi all'unisono dal basso e dalla voce. Dopo una gioiosa strofa, i nostri ostentano la loro tecnica con un virtuoso unisono strumentale, dimostrando che il progressive rock scorre ancora nelle loro vene. Steve Howe sfrutta questo breve interludio che sembra uscito dal Teatro Dei Sogni, per disegnare una breve trama solista, poi una corsa sulle pelli viene accompagnata da oscuri accordi di chitarra, seguiti all'unisono dal basso, facendo da bridge al ritorno del Cantante Canadese, il quale segue le orme del giulivo riff di tastiera, che ricorda molto da vicino i memorabili passaggi di tastiera dei primissimi Marillion. Dietro la ritmica dispari di Mr. White, i nostri continuano ad intrecciare la linea vocale con il bellissimo unisono degli strumenti, che ora mette in evidenza il basso, ora la chitarra. Ritorna l'oscuro bridge strumentale, che stavolta annuncia una versione alternativa dell'inciso. In un oscuro calderone musicale generato da un ispiratissimo Geoff Downes, stavolta i versi "Riding Tiger" sono recitati in maniera assai più energica, ricamati dagli inconfondibili fraseggi di Steve Howe, fino al brusco finale. Veniamo ora alle liriche di questo ottimo brano, firmato dal duo Horn-Downes. Le trame dell'inciso prendono spunto dal libro "Ride the Tiger: A Survival Manual For The Aristocrats Of The Soul (Cavalcare La Tigre: Un manuale Di Sopravvivenza Per Gli Aristocratici Dell'Anima", dello scrittore italiano Giulio Cesare Andrea Evola, aka Julius Evola. Il filosofo italiano sostiene che il mondo moderno è stato totalmente invaso dalla corruzione, che ha in un solo colpo è riuscita a cancellare tutti i valori che hanno permesso all'uomo di ritrovare se stesso. Chi ancora crede in questi valori, deve appunto "cavalcare la tigre" per riuscire a districarsi dalla ragnatela della corruzione. E' su questa significativa metafora che si incentrano le liriche. Tutti i valori tramandati di padre in figlio riescono a sopravvivere allo scempio delle guerre, grazie a coraggiosi uomini che cavalcando la tigre, riescono a far rimanere intatti i loro ideali, questo è un film che si ripete dalla notte dei tempi e che accompagnerà anche in futuro il cammino dell'uomo. I nostri con la loro classe e la tecnica sopraffina, sono riusciti a fare di un brano scartato dai Buggles, una canzone di puro progressive rock vincente e densa di atmosfera, e questo non è poco.
"Hour of Need
Andando avanti troviamo "Hour of Need (Tempo del bisogno)", brano firmato da Steve Howe, aperto dal medesimo con un solare arpeggio con la chitarra acustica. Dopo alcuni fraseggi in solitario, con grazia entra la sezione ritmica, il delicato ma trascinante incedere del duo Squire-White, invita l'ingresso in scena di Benoît David, che si ricorda del suo passato nei Close To The Edge e cerca di avvicinarsi il più possibile all'inconfondibile cristallina timbrica di Jon Anderson, affiancato all'unisono da Steve Howe, che stavolta ricopre anche il ruolo di co-lead vocals. La solare armonia vocale si sposa a meraviglia con le squillanti trame del pianoforte e della sei corde acustica, che con un importante cambio di tono annuncia il breve inciso. A fare da bridge è un effimero e funambolico assolo di tastiera di Oliver Wakeman, che sembra aver preso dal padre tutti i geni musicali, replicando in maniera quasi inquietante i suoi classici passaggi dei tempi d'oro. Ritorna la solare strofa, che riesce ad emanare un piacevole senso di allegria e positività, seguita da un breve interludio strumentale, dove Steve Howe riversa tutta la tecnica e la passione che ha nei confronti della chitarra acustica, tessendo un intricata e raffinata trama di note eseguita con una velocità e una limpidezza disarmanti, andando poi a ricollegarsi al mellifluo ritornello, che nel finale con un gradevole cambio di tono va a fondersi con i sinuosi passaggi di tastiera sparati da Oliver Wakeman. Breve stacco con la chitarra portoghese, ricamata dai avvolgenti fraseggi di basso e arriva lo special finale, sempre cantato dall'insolito duo, con le due dolci voci incatenate che vanno ad intrigarsi con le trame della chitarra e delle tastiere. Ad impreziosire l'interludio ritorna il Percussionista Portoghese che con i sui tocchi di classe abbellisce ancora di più questo mellifluo momento, che con dolcezza ci accompagna verso l'epilogo. Le brevi liriche ci invitano a farci forza nel momento del bisogno, in modo da poter uscire dalle situazioni più buie. Per trovare le forze, bisogna pensare a quanto di buono siamo riusciti a costruire in passato, andando a trovare gli stimoli per superare gli ostacoli apparentemente insormontabili. Fra le tante licenze poetiche, spicca la significativa "Perché l'acqua è di tutti. Sia che ci anneghiamo che ci nuotiamo", che va a sottolineare l'importanza del conforto umano nel momento del bisogno. Trovo piacevolissima questa breve e solare ballata da spiaggia, vero e proprio inno alla positività, che a tratti ci ricorda i migliori momenti di "Talk".
Solitaire
Anche la successiva "Solitaire (Solitario)" è opera di Steve Howe, che va a continuare la tradizione del brano acustico iniziata nel lontano 1970 con "Clap". Come si evince dal titolo, si tratta di un brano strumentale, che vede come protagonista il Chitarrista Di Holloway e la sua amata sei corde acustica. Si parte con un fraseggio che lascia dietro di se un alone di mistero, fino all'arrivo di un solare tema dal sapore texano che si sposta sulle toniche. Il saggio con la chitarra acustica prosegue, Steve Howe inizia a formare un bellissimo collage di brevi parti, legandole sapientemente fra di loro. Ora si passa a funambolici fraseggi dai sentori latini, che dopo circa trenta secondi lascino il campo ad un triste strumming che sembra andare verso la conclusione, ma non è così, il nostro riparte con preziosi fraseggi dall'aria barocca, seguiti da una serie di funambolici passaggi che rievocano i solari stornelli italiani. Le profonde pennate vanno ad alternarsi con le cristalline trame di note, che con una naturalezza disarmante vanno ad amalgamarsi con una cullante melodia che ricorda una dolce ninna nanna. Il nostro va a rievocare le sue prime escursioni con la chitarra acustica, con nostalgici fraseggi, andando poi a concludere con le arcane trame iniziali, eseguite con note più gravi. Bellissimo puzzle di preziose tessere acustiche, che vanno a rafforzare la mia idea, Steve Howe è in assoluto il mio chitarrista preferito, ovviamente se parliamo di chitarra elettrica, la mia teoria è assolutamente sindacabile, è chiaro che il fatto è soggettivo a seconda dei gusti, ma per quanto riguarda la sei corde acustica, è assolutamente il numero uno, e qui non si transige.
Into The Storm
E siamo arrivati all'ultima traccia del platter "Into The Storm (Nella Tormenta)", aperta da una serie di potenti colpi all'unisono, mentre Alan White batte il tempo sul campanaccio come se dovesse abbattere un muro, prima di lanciare un bel crescendo sulla pelle del rullante, che apre le porte ad un intreccio di basso e chitarra che imitano il giulivo riff di tastiera che predomina. Dopo alcune battute inizia un dialogo fra Steve Howe, che ripropone il tema portante e Geoff Downes, che risponde con spaziali pad di tastiera. Seguendo il brioso tempo dettato da Alan White, Chris Squire preme qualche effetto a pedale, rievocando i travolgenti groove di "Drama". Una seconda squillante chitarra arpeggiata si aggiunge al meraviglioso intreccio fra le trame di basso e chitarra, Alan White fa una cadenzata corsa sulle pelli dei tom, che lascia presagire la fine di questo brioso interludio strumentale, ma invece i nostri ripartono con la strofa, che mantiene il brioso intreccio di trame dell'introduzione. Rievocando "Tempus Fugit", la strofa viene affrontata con una solare armonia vocale. Nel bridge veniamo catturati da un cambio di tono, enfatizzato da una bellissima partitura di pianoforte, che termina con un conciso "Into The Storm (Nella Tormenta)". Ritorna il giulivo unisono dell'introduzione, seguito dalla strofa, con il basso carico di effetti che detta legge, e poi di nuovo bridge che stavolta apre finalmente le porte all'inciso. Le pompose tastiere di Downes dettano la melodia portante, seguite dal fragoroso basso di Squire, e ricamate da taglienti fiammate degli archi. Arriva, Benoît David, che stavolta si sforza di somigliare il più possibile a Jon Anderson, con una linea vocale vincente che termina con una serie di ammalianti "Take Me Away (Portami Via)". Breve pausa, poi Alan White urla "four" e si riparte con il brioso tema dell'introduzione, seguito dalla trascinate strofa, una vera e propria tormenta di suoni, come dice il titolo. Arriva il bridge, e di nuovo l'inciso, senza ombra di dubbio fra i migliori momenti dell'intero platter. Stavolta l'ammaliante serie di "Take Me Away" annuncia l'assolo di chitarra. Inizialmente Steve Howe la butta sul melodico, con struggenti trame, ricamate da una suggestiva partitura di pianoforte. Nella seconda parte, la melodia viene enfatizzata dalle spaziali tastiere, momento epico. Il talentuoso Chitarrista di Holloway si lascia prendere la mano e si fa trasportare dai tappeti di tastiera, dando vita ad un meraviglioso sciame di note che ci avvolgono e ci fanno sognare. Nel finale, tastiera e sezione ritmica calano di intensità mettendo ancora di più in evidenza la trame di chitarra, ricamate da raffinati cori celestiali che come fantasmi si lamentano, con inquietanti "Fly From Here". Suggestive trame di archi e un solenne strumming di chitarra si aggiungono a questa epica tormenta di suoni che vorremmo non finisse mai. E' una fantastica babele di spettrali cori e fantastici suoni, che lentamente sfuma verso l'epilogo, concludendo degnamente uno dei migliori album degli ultimi Yes. Curiosamente, questo brano porta la firma di Oliver Wakeman e del nuovo acquisto Benoît David, oltre a Squire, White, Howe e Horn. La tempesta in questione è quella che trasporta l'atavica lotta fra il bene ed il male. Il Demonio sembra aver infestato il Mondo con una tempesta di odio, attraverso menzogne e tentazioni, spremendo le vite degli uomini, i quali si sentono stupidi come in passato, quando combattevano inutili guerre a sfondo religioso. Ora è il momento di riparare. Illuminati dalle prime luci dell'alba, eserciti di angeli piovono dal cielo, cercando di strappare più anime possibile dalla tormenta invasa dall'odio e dall'ottusità. Proprio nel finale, i nostri ci stupiscono, sorprendendoci con un pezzo di vero e puro progressive, ricco di cambi di tempo e complicati fraseggi, con una seconda parte da brividi, che vagamente va a rievocare il finale di "Into The Lens".
Conclusioni
Con gli Yes che venivano da due ottimi album, come "The Ladder" e "Magnification", l'ennesimo cambio di formazione, aveva destato la solita marea di dubbi e perplessità nel popolo Yessano, in special modo l'assenza del guru Jon Anderson, sostituito con un carneade qualunque. Ed invece i nostri ci sorprendono con questo ottimo "Fly From Here", successore naturale del capolavoro (perlomeno per chi scrive) "Drama". L'avvento di Trevor Horn nelle vesti di produttore, (che in maniera emblematica compare nella foto di gruppo all'interno booklet), porta ad un inevitabile accantonamento del talentuoso Oliver Wakeman, in virtù del vecchio amico Geoff Downes, con l'intenzione di riformare in parte la formazione vincente di "Drama", con l'innesto della nuova pantera Benoît David, al quale viene affidato l'incombente compito già affibbiato in passato a Trevor Horn, ovvero di non far rimpiangere il Santone Di Accrington. I nostri rispolverano vecchio materiale risalente agli anni 80, e con una frizzante modernizzazione, mixandolo poi a nuove composizioni, danno vita ad uno dei migliori album degli ultimi due decenni, per la gioia delle vecchie "panthers" che rivivono forti attimi di de-javù. Anche i molti brani "easy listening" risultano vincenti, su tutti il singolo "We Can Fly", ma la vera perla la troviamo in conclusione, con la sorprendente "Into The Storm", quasi sette minuti di puro e travolgente progressive rock di gran classe. Ben conscio che gli inconfondibili registri del Santone Di Accrington sono lontani da raggiungere, il nuovo acquisto Benoît David si dimostra intelligente, e dimentica il suo passato di imitatore di Jon Anderson, interpretando in maniera impeccabile ogni brano, con un suo personalissimo stile, ripercorrendo un po' le gesta di Trevor Horn, quando nel 1980, improvvisamente si ritrovò a dover rimpiazzare il suo idolo. Il nostro mette la firma sui crediti della traccia conclusiva, confermando di essersi integrato al meglio nella band. Sta a lui ora, confermarsi in sede live, ma questa è un argomento che affronteremo nella prossima recensione. L'avvento di Trevor Horn nelle vesti di produttore ha scaturito il sorprendente ritorno di Geoff Downes dietro al castello di tastiere, togliendo lo scettro al neo arrivato figliol prodigo Oliver Wakeman, che comunque compare nei crediti dell'ultima traccia e suona su tre brani, mettendo su calce l'inconfondibile marchio di casa Wakeman. Ritornando al Biondo Tastierista Di Stockport, pur avendo una minore esuberanza rispetto ai suoi predecessori, dimostra di avere un gusto ed un feeling incredibili, che si sposano alla perfezione con la linea musicale dell'album, come già in passato fece con "Drama". Chris Squire macina orde di note, come sempre non limitandosi ai soli compiti ritmici. Il basso suonato dal Gigante Buono, ha la stessa importanza della tastiera e della chitarra. Di conseguenza anche Alan White torna ad essere incisivo come ai vecchi tempi. Steve Howe sembra trarre beneficio dalla presenza dell'Occhialuto Produttore, il quale sembra in gradi di valorizzare al meglio le splendide trame del Chitarrista di Holloway, che oltre a tessere ammalianti trame soliste, nostalgicamente torna a deliziarci con l'ennesima escursione sulla sei corde acustica. A completare la formazione vincente, ritorna anche Roger Dean, e lo fa nei migliore dei modi, dando vita ad una delle copertine più belle (se non la più bella) per quanto riguarda sua lunga collaborazione con gli Yes. Il nostro va a completare un'opera iniziata nel lontano 1970, rimasta per ragioni ignote incompiuta. Giocando sulle magiche sfumature del verde, il nostro disegna una bellissimo ambiente, formato dalle inconfondibili rocce Deaniane e una rigogliosa flora. In primo piano, una possente aquila dallo sguardo minaccioso, insegue un esotico pappagallo azzurro, che ricorda il simpatico Rio della Blue Sky Studios. I più attenti, fra la vegetazione, scorgeranno una pantera nera che si muove silenziosamente tra la vegetazione, andando a rievocare l'album "Drama". Il classico logo "a bolla" viene presentato in un ammaliante azzurro, con squame e ali, come se si trattasse di un enorme serpente alato, che assumendo una posizione innaturale, va a formare la scritta "Yes". Più in alto, il tiolo dell'album, in una vistosa sfumatura del colore arancione. Il tutto, confezionato in una bellissima confezione in digipack che esalta il valore dell'opera. Ma la sorpresa più bella l'ho trovata sul retro, quando con enorme soddisfazione ho trovato il marchio della label italiana Frontiers Records, che è riuscita a mettere sotto contratto dei veri e propri dinosauri del rock come gli Yes. La label napoletana ha fatto uscire il nostro "Fly From Here" il 22 Giugno del 2011, che ha preso vita fra l'Ottobre del 2010 ed il febbraio del 2011 presso i SARM West Coast Studios, siti in Los Angeles, California, sotto la preziosa supervisione di Trevor Horn, che è anche il fautore di tutte le liriche. Il mixaggio è opera di Mr. Tim Weidner. Nel solo Giappone l'album però è stato distribuito dalla label Avalon. Come sempre, per pochi Euro di differenza, vi consiglio la versione con il bonus DVD, che contiene il making of dell'album ed un interessante documentario, entrambi ricchi di filmati esclusivi ed interessanti interviste. Veniamo alle dovute conclusioni, essendo io un cosiddetto "phanter", ovvero un amante del capolavoro "Drama", non posso che essere soddisfatto di questo "Fly From Here", il naturale successore del controverso album datato 1980. Ma penso che tutti i fans degli Yes, siano onesti nel riconoscere l'ottima prova dei nostri, alle prese con l'ennesimo cambio di formazione. Un album fresco, frizzante, nostalgico e moderno allo stesso tempo, mai banale, e prodotto in maniera impeccabile. Questi inossidabili vecchietti del rock hanno ancora voglia di fare buona musica e lo stanno confermando con le ultime uscite, il deludente "Open Our Eyes" sembra lontano anni luce. Quindi il consueto consiglio, è rivolto ad un'ampia parte di pubblico, che va dai nostalgici progrer incalliti attaccati al cordone ombelicale di "Close To The Edge", agli amanti del neo progressive, ai curiosi e ovviamente a chi come me, ama qualsiasi prodotto che porta il moniker Yes, vi assicuro che non rimarrete delusi. Per un momento, dimenticatevi dell'assenza di Jon Anderson ed assaporatevi questo magnifico album in tutte le sue sfaccettature, la sola title track vale il prezzo del biglietto.
2) The Man You Always Wanted To Be
3) Life On A Film Set
4) "Hour of Need
5) Solitaire
6) Into The Storm