WIND ROSE

Stonehymn

2017 - Inner Wound Recordings

A CURA DI
ALISSA PRODI
27/07/2017
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione Recensione

 "So che dubiti di me. Lo so, lo so. Lo hai sempre fatto. E hai ragione: penso spesso a Casa Baggins. Mi mancano i miei libri. E la mia poltrona. E il mio giardino. Vedi... quello è il mio posto. È casa mia. Perciò sono tornato. Perché? voi non ce l'avete? una casa. Vi è stata portata via. E voglio aiutarvi a riprendervela, se posso"

Scomodiamo nientemeno che un personaggio cardine dell'universo tolkeniano, Bilbo Baggins (il perché, lo scoprirete alla fine di quest'intro), per narrarvi quest'oggi le gesta di una band tricolore assai vicina agli scritti ed al concept del ben noto Professore. Oggetto della narrazione odierna sono dunque i Wind Rose, giovane realtà italiana proveniente da Pisa, formatasi ufficialmente nel 2009. Quel che appare subito lampante, scorgendo velocemente i loro dati "anagrafici", è sicuramente la stabilità che sin dagli albori ha caratterizzato il progetto; non minato, dunque, da sospensioni improvvise o scivoloni dettati da una formazione claudicante od in continuo mutamento. Solamente una rifinitura, se così vogliamo definirla, un'unica sostituzione di fatto avvenuta in maniera rapida, per nulla "dolorosa". Nella fattispecie ed entrando nel dettaglio, fino al 2014, il bassista dei Wind Rose è stato Alessio Consani, dimissionario proprio alla vigilia della pubblicazione dell'album "Wardens of the West Wind". Da quel momento in poi, sino ad oggi, la loro line-up vanta la partecipazione dei seguenti membri: Daniele Visconti (Batteria, Cori), Claudio Falconcini (Chitarra Cori), Federico Meranda (Tastiera), Francesco Cavalieri (Voce) e Cristiano Bertocchi (Basso). Continuando con i consueti convenevoli, volendo ripercorrere velocemente la storia discografica dei Nostri, la band ha all'attivo una demo datata 2010 e ben tre full length: "Shadows over Lothadruin" (2012), il già citato "Wardens of the West Wind" (2015) e "Stonehymn" (2017), quest'ultimo oggetto della mia recensione, licenziato dalla label svedese "Inner Wound Recordings"; nella quale i Nostri sono, ad oggi, l'unica band italiana presente nel roster, decisamente ampio e comprendente nomi provenienti dai più disparati paesi. Pur essendo i Wind Rose (e ciò non è un mistero) amanti della lettura del Maestro Tolkien, topic oggettivamente comune all'interno della scena Metal internazionale, riescono ad elaborare questa passione in maniera del tutto particolare: fin dal primo impatto i Nostri riescono a catturare l'attenzione, anche mediante i diversi artwork presentati per i loro full-length: "Shadows over Lothadruin", che sembrava narrare sin dalla copertina il ritorno di Aragorn con l'esercito dei Morti al seguito; "Wardens of the West Wind", il quale di contro non rendeva chiara l'idea di ciò che i Nostri volessero affrontare, poiché l'artwork sembrava rifarsi a saghe fantasy abbastanza differenti, con delle figure incappucciate a metà fra Nazgul e cavalieri / maghi erranti. Un pizzico di "arturianità" in quel di Arda, insomma. "Stonehymn" invece, a differenza dei due lavori precedenti (dei quali il primo oggettivamente ben fatto, mentre  il secondo un po' più debole) si presenta immediatamente, anche visivamente, più maturo. La copertina d'impatto glaciale, raffigurante un totem immerso nella neve, ci fa immediatamente presagire un ulteriore viaggio tutto da vivere in compagnia dei Nostri, instancabili bardi e cantori di storie e terre lontane, forse dimorate solo nella collettiva fantasia; o forse più reali di quanto possiamo immaginare. Il full length "Stonehymn" contiene 9 tracce per un totale di circa 46 minuti di puro Power/Folk Metal  e verrà sviscerato ed analizzato in tutte le sue sfumature; ma non temete, per rendervi più scorrevole questa disamina vi lascio un paio d'incentivi, ricollegandomi alla cit. iniziale: i Wind Rose possono essere definiti come i fondatori del "Dwarven" Metal (definizione che già ci fa sorridere)... quindi, sia che siate oppure no fan del #TeamElfi, dovrete a priori proseguire con la lettura; perché si sa, i nani non sono poi così innocui, a meno che voi non abbiate in mente quelli di Biancaneve... beh, nemmeno quelli poi (se ci riflettete) sono del tutto inoffensivi!  Buon prosieguo di lettura, e mi raccomando, marciate compatti col nostro esercito di nani guerrieri: a meno che voi non vogliate scatenare la loro furia su di noi!

Distant Battlefield

Apre le danze di questo "Stonehymn", "Distant Battlefield (Lontani campi di battaglia)"; la quale è una canzone totalmente strumentale che funge da introduzione alla successiva "Dance of Fire""Distant Battlefield" inizia con un ritmo di percussioni  ben scandite, supportate da archi, il tutto assume una cadenza abbastanza serrata e dinamica, creando una sezione musicale alquanto sognante, mistica e molto evocativa; la quale, di seguito, si sviluppa lungo lo snodarsi di cori spiccatamente epici. Un minuto e venti circa di pura magia e mistero, nel quale riecheggia in lontananza un probabile grido d'invito alla battaglia. Verso la fine del brano la canzone incalza leggermente il ritmo e senza un attimo di tregua "Dance of Fire" fa il suo ingresso senza troppi indugi. 

Dance of Fire

La voce possente di Francesco Cavalieri funge da ottima apripista per la seconda traccia di "Stonehymn". Fin dalle prime battute, a differenza dei due precedenti lavori, si percepisce tangibilmente la crescita compositiva dei Nostri, i quali sfoggiano un modus operandi sicuramente più sofisticato ed adatto alla loro tipologia di concept. A loro "discapito", c'è un solo elemento (se così si può dire!): il "ritardo" nell'essere arrivati dopo grandi band quali Ensiferum e Turisas, formazioni capisaldi, pilastri del genere proposto anche dai Wind Rose. In virtù di ciò, il combo toscano dovrà combattere con tutte le proprie forze per ottenere la una precisa identità, senza cadere nel cliché del "già sentito fin troppe volte". Questo è ciò che accade, la band riesce in questo intento: i Wind Rose ottengono la loro quadratura del cerchio, "Dance of Fire (La Danza del fuoco)" ne è un chiaro esempio. Pur mantenendosi abbastanza fedeli allo stile proposto dagli Ensiferum, il quintetto sprigiona la cosiddetta "furia nanica" fin dai primi secondi. Come già detto, alla voce di Francesco, si aggiungono gli altri altrettanti validissimi musicisti. I quali, con le loro composizioni riescono, in questi sei minuti, a ricreare l'atmosfera perfetta per quello che voglio narrarci: "La Danza del Fuoco" altro non è che un chiaro esempio di una visione a posteriori di una battaglia nella quale si scontrano presumibilmente nani e draghi, per la conquista dell'oro e della montagna. Questo, a mio avviso, è stato dedotto dalle seguenti frasi: per quanto riguarda la visione a posteriori, troviamo un verso assai eloquente, rimandante forse alla furia con la quale il drago Smaug scacciò i nani da Erebor, di fatto sconfiggendoli ("A flame will arise in time, And the way is clear to my tear-filled eyes" ("Una fiamma s'alzerà, prima o poi... ed i miei occhi, colmi di lacrime, hanno già visto tutto"). Mentre si evince chiaramente e definitivamente che si tratta di Nani quando viene menzionato l'oro in questo passaggio nel ritornello: "For the plundered fields/ may they never be healed/ From the curse of their gold" ("I loro campi saccheggiati/ mai guariranno / dalla maledizione del loro oro!"). Insomma, un'opera di chiara usurpazione portata avanti dal tirannico drago, il quale è riuscito a mettere in ginocchio i nani di Erebor, impossessandosi di tutto ciò che era loro. L'oro è la materia che il mostro predilige e custodisce con gelosa cura, non permettendo a nessuno di avvicinarsi al suo tesoro. Protetto a suon di fiamme, di violenti ruggiti. La canzone che si snoda tra inserti Folk e Power è una degna prima piccola vittoria per i Wind Rose, i quali amalgamano ottime cavalcate a dei cori di stampo femminile, rendendo il tutto ancora più evocativo.

Recensione

Se la precedente "Dance of Fire" vi ha stimolato, incuriosito, e l'ho definita un'ottima apripista... era (lo ammetto!) per spingervi nel prosieguo della lettura, poiché "Under The Stone (Sotto la pietra)" non solo è una traccia degna in linea di successione, ma è anche un ulteriore esempio del fatto che i Nostri (passo dopo passo) stanno raggiungendo la vetta.  "Under The Stone" si apre dunque innalzando un muro sonoro pressoché devastante, per un breve istante mi è parso di percepire una vaghissima somiglianza con la potenza altrove sprigionata dai Mechina. E voi chiederete, giustamente, perché mai io stia menzionando i Mechina, che in questo contesto ai più potrebbero risultare fuori luogo? La mia risposta è: "perché non farlo?". Provare per credere! Io stessa sono rimasta basita e positivamente stupida dai rimandi quasi "industrial" (rendendo il tutto con le pinze) presenti in questa traccia. Se volete farvi un'idea a priori di ciò che il brano propone musicalmente, vi consiglio caldamente di ascoltare il singolo "Atonement", il quale è stato un tributo dei Nostri alla band rumena Goodbye To Gravity, scioltasi definitivamente nel 2015 a causa di un incendio che ha cagionato la morte di 64 persone tra cui 4 membri della band. Tornando a "Under The Stone", il combo toscano in questi sei minuti (è circa la durata media di ciascun brano, salvo per le due strumentali) unisce quindi determinate cadenze al loro tipico sound Power Folk; la traccia continua il racconto della storia della precedente canzone sotto un altro punto di vista, chiaramente esposto nella prima strofa: "When the night raises the dire banner/The barren flesh lies on the floor /And they fall, never to awaken again/ Heroes of our kind /Brothers left behind/ People of our own" (Quando la notte indossa il suo oscuro manto/i cadaveri giacciono al suolo/Sono caduti per non rialzarsi più. /Eroi come noi /fratelli dimenticati/ gente come noi). E' chiaro il fatto che i nani, probabilmente sempre loro, stiano celebrando i propri caduti. Guerrieri forti e valorosi, purtroppo venuti a mancare nel mentre di furiose guerre, scatenate per proteggere le dimore dei loro fratelli e sorelle. Nulla è più fiero ed inscalfibile dell'orgoglio di un nano. Ricordare un grande condottiero è dunque motivo di forza d'animo, ricordare un esempio in grado di smuovere le coscienze della collettività. Solo tenendo bene a mente chi si è sacrificato per la propria patria, si potrà un giorno sperare di riconquistarla. L'unica pecca in questa traccia si trova verso la fine, precisamente verso il minuto 6.22, quando cambi di tempo ben eseguiti vanno a formare un dinamismo troppo saturo di sonorità le quali creano una percezione distorta all'ascolto, facendo percepire una lieve confusione, la quale poteva essere evitata rendendo così il brano a dir poco magistrale; questione di pochissimo conto, tuttavia: nonostante questo piccolo neo, "Under the Stone" è un'ottima canzone. 

To Erebor

La seguente traccia può essere definita come l'inno di "Stonehymn"; sin dai primi secondi veniamo catapultati all'interno di una melodia folk in stile Ensiferum, la quale però mantiene sempre chiara l'impronta dei Nostri, facendo in modo che essa non si perda in alcunché di "già sentito" o "copiato".  Melodia, questa dell'intro, che si prodiga in modo abbastanza monotono e scadenzato per circa trenta secondi, per poi aprirsi verso un pomposo muro sonoro. "To Erebor (Verso Erebor)" si presenta all'ascolto come un brano con intermezzi epici capitani sia dalle maestose tastiere sia dalla potente voce di Francesco; il quale, assieme agli altri componenti, rende il ritornello (dopo qualche ascolto) incitante, orecchiabile e molto "diretto", facilmente diffondibile e trasmissibile. Poiché questa specifica parte, a differenza degli altri brani, riesce a rimanere impressa nella mente con facilità. Pur non essendo, come detto pocanzi, d'immediata assimilazione di primo acchito. Una bella rivelazione, insomma! La seguente canzone narra anch'essa di nani, i quali questa volta sono alle prese con la (ri)conquista di Erebor, nome che nella nostra lingua può essere inteso nel significato di "montagna solitaria". Uno dei passaggi chiave è racchiuso nelle seguenti righe: "Baruk Khazâd! Sigin-tarag / Gimli Khazad /Khazâd ai-menu" ovvero "Per le asce dei Nani! Lunga barba/ Gimli il nano/ I Nani vi assaltano!!"; orgogliose grida di guerra lanciate da un esercito di creature pronto a battersi sino alla morte per riprendersi ciò che gli è stato tolto così ingiustamente. Non che ci volesse molto, a capire il tema di questo pezzo: di fatti, se siete appassionati di Tolkien, il brain storming è presto collegato e chiaro. Nel prosieguo della canzone è presente un altro riferimento chiave: l'arkengemma, ovvero il tesoro più prezioso in possesso  del drago Smaug. In origine, la splendida pietra brillante di luce propria fu il simbolo stesso di Erebor, la più bella pietra mai estratta dalla montagna, definita appunto il suo "cuore". Simbolo di potere, inoltre, della famiglia Durin, la quale conservava la gemma a mo' di cimelio. Dopo l'avvento di Smaug, tutto cambiò. La pietra finì nelle mani del drago, il quale ha provveduto a procacciare la refurtiva derubando non solo tutto l'oro dei nani (del quale erano avidi accumulatori) ma anche, per l'appunto, il suddetto tesoro. I Nani quindi, in questa canzone, cercano di riconquistare Erebor cercando di uccidere Smaug, volendo anche riprendersi il loro simbolo; il tutto viene egregiamente narrato attraverso melodie e testi curati in maniera quasi maniacale. 

The Returning Race

Se nella precendente traccia i Nani andavano alla (ri)conquista di Erebor, in questa canzone i nostri protagonisti proseguono il viaggio all'insegna dei pericoli e della perdizione verso la montagna solitaria, attraverso il Bosco Atro ovvero Mirkwood nel testo dei Wind Rose. Facendo una breve digressione circa i racconti Tolkeniani, si narra che il Bosco Atro, durante la Terza Era, rappresentasse la foresta più estesa della terra di Mezzo, rigogliosa e piena di ricchezze; purtroppo però, anche tutto ciò che è bello è destinato a vedere presto o tardi la sua fine. Questa meravigliosa ed enorme area venne infatti infestata da orchi, lupi mannari ed altre malvagie creature, le quali fecero progressivamente cadere in disuso l'Antica Via Silvana presente all'interno della foresta. La leggenda narra che la compagnia di Thorin Scudodiquercia riuscì ad attraversarla da sola, a prezzo di grandi sacrifici. Ciò che narrano i Wind Rose viene ripreso da "Lo Hobbit" poiché Thorin e la sua compagnia di Nani, assieme a Bilbo Baggings, s'inoltrarono nella foresta di Mirkwood cercando di raggiungere Erebor per riconquistarla e liberarla da Smaug. A livello musicale, la traccia si sviluppa anch'essa sui classici stilemi Folk/Power senza null'altro aggiungere a quanto detto nelle precedenti analisi; "The Returning Race (La razza che ritorna)" pur essendo la traccia più lunga del platter (7.22 minuti) non pecca affatto di ripetitività e men che meno si presenta come "noiosa" o "troppa". Al contrario, quel che ci si pare dinnanzi è un pezzo incalzante e decisamente coinvolgente, in grado di farci serrare i ranghi quasi fossimo davvero in compagnia dei nani, pronti per partire all'assalto. Un brano che inizialmente si presenta con un'intro narrata su base di chitarra acustica e percussioni, per poi svilupparsi in modo molto marcato e deciso mantenendosi costantemente su toni epici ed evocativi. Epicità, capacita d'evocare: termini perfetti per descrivere un brano del genere, capace davvero di farci viaggiare verso terre mai viste prima d'ora. Tutto è studiato alla perfezione ed il suono dei nostri arriva deciso e diretto, senza stancare mai, senza incappare in niente che possa essere considerato un "punto debole". Solo tanta maestosità e maestria, per un brano potente e travolgente, sotto molti aspetti.

The Animist

A differenza della prima traccia, "Distance Battlefields", la  sesta canzone "The Animist (L'Animista)" si staglia inizialmente su lidi mistici condotti da strumenti a fiato, i quali ci portano la mente a volare come un'aquila verso l'infinità del cielo. "The Animist" funge anch'essa da intro al successivo brano "The Wolves' Call". Tendenzialmente, le tracce strumentali sono le più brevi e forse anche le più semplici da affrontare; ma non è questo il caso, semplicemente perché all'interno di questo minuto sono celati alcuni significati nascosti che racchiudono l'essenza dei Wind Rose. Dicevamo: "The Animist" è strettamente correlata a "The Wolves' Call", questo perché non è solo la sua introduzione in senso musicale, ma anche in senso letterale, poiché i due concetti di animismo e tribalità risultano strettamente connessi; uno dei simboli delle religioni animiste, poi, sono i Totem, ed uno di essi è rappresentato nella copertina di "Stonehymn". I Nostri, quindi, come vi ho fatto credere sin dall'inizio, non trattano solo di tematiche tanto care al Maestro Tolkien, ma uniscono nel loro concept anche una parentesi legata ad aspetti più intimi e tribali; ed è ciò, che la band toscana narra in queste due canzoni. Si ha quindi un aspetto dicotomico all'interno di quest'ultimo full length dei nostri: da un lato troviamo una perfetta simbiosi con le tematiche di Tolkien, dall'altro con queste tematiche viene creato un legame ad hoc unito da un filo sottile ma forte. Tematiche, le due, anche connesse all'interno dell'artwork: nello sfondo troviamo le montagne degnamente narrate nelle prime tracce, il totem nel quale sono raffigurati i lupi dei quali si narrerà nella successiva traccia ed infine le aquile (di cui il collegamento è presto fatto, col il parallelismo scritto poc'anzi).  Non è immediato il collegamento, la mia è una semplice riflessione alla quale però voglio fornire una motivazione d'essere un minimo fondata: nel corso delle canzoni abbiamo sentito un susseguirsi di cori i quali non sono solo cori di battaglia, ma cori che possono essere evocativi non meramente relegati al fine ultimo della guerra, ma bensì ad qualcosa che va oltre la sfera del semplice atto bellico: andare oltre, verso una dimensione sovra umana, toccando così i lati più intimi della nostra anima; "The Animist" quindi è il fulcro, il bosone di Higgs, l'antimateria di "Stonehymn". In ultimo, è bene fare un'ulteriore e breve disamina: se avete avuto modo di leggere alcune mie recensioni presenti su questo portale, ho spesso trattato in modo comunque sufficientemente approfondito la tematica sul Folk Metal; come detto nelle righe d'introduzione, i Nostri sono dediti ad un Folk/Power Metal ed in questo contesto il Folk ri-arrangiato in chiave Metal non è dato solo da sonorità tipiche, tribali e folkloristiche, ma è dato anche dal modo in cui i Wind Rose hanno rielaborato e riadattato le storie di Tolkien amalgamandole ad altre tematiche, facendo sì che la parola Folk non fosse meramente autoriferita alla musica. Chiusa questa disamina sociologica (termine usato con cognizione di causa) possiamo tornare sui nostri passi e proseguire la recensione, passando così alla settima traccia "The Wolves' Call". 

The Wolves' Call

Siamo quasi giunti alla fine di "Stonehymn", ma le sorprese non sono di certo finite: sia nella precedente traccia, sia in questa (come anticipatamente detto) che nella successiva, le tematiche affrontate non vengono troppo riprese dalle Opere di Tolkien. Il focus folkloristico viene, in questo caso, spostato: i Nostri narrano in questo trittico di storie e leggende certo di stampo fantasy, ma anche in qualche modo vicine al mondo dei Nativi Americani; In "Stonehymn" si ha quindi un doppio concept strettamente connesso: da un lato troviamo i la compagnia dei nani che cercano di riconquistare Erebor attraverso mille peripezie, da un lato abbiamo i Nativi Americani che con la loro forza fisica e morale cercano di riscattarsi dalle ingiustizie subite dagli invasori europei. Di  conseguenza, il legame tra Nani ed Indiani, paradossalmente seppur inimmaginabile ed irrealistico, in quest'album diventa realtà. La traccia anch'essa si presenta estremamente standard senza incorrere in chissà quali innovazioni, rimanendo sempre fedele al sound tipico della band; la monotonia proposta non è necessariamente un difetto, anzi: come detto nell'introduzione, i Wind Rose riescono a trovare la propria dimensione facendo sì che il loro stile sia diventato perfettamente riconoscibile, in grado di esprimere sempre e comunque, in maniera vibrante, il concetto posto alla base d'una musica trionfale, eroica, sentita. "The Wolves' Call (La chiamata dei lupi)" viene ampiamente introdotta con "The Animist" e nello scorrere della canzone possiamo udire marginalmente la sezione di fiati ripresa dal precedente brano; di certo, anche in questo contesto l'epicità e l'evocatività non sono per nulla messi in secondo piano: cori, blast beat e tastiere fungono da muro portante a tutto il platter. Forse ora, a questo punto, vi sarà chiara la citazione all'inizio: così come i Nani volevano riconquistare Erebor, i Nativi americani hanno lottato con tutte le loro forze per riappropriarsi della loro terra; I Wind Rose assumono per un breve attimo la valenza che ha Bilbo per i Nani e lo Spirito per i Nativi: una guida attraverso le intemperie per riavere ciò che gli è stato tolto... ed i Nostri lo fanno attraverso la musica, testi e la loro personalissima interpretazione.

Fallen Timbers

Ritagliamoci ora il giusto tempo per imparare un po' di quella storia che troppo spesso, per colpa della fedeltà assoluta ai cosiddetti "programmi ministeriali" non viene raccontata tra i banchi di scuola. La seguente traccia, "Fallen Timbers", riprende quasi in toto da fatti realmente accaduti nel lontano 1794, narrandoci appunto della guerra combattuta presso Fallen Timbers, descrivendo la sconfitta dei nativi americani contro le truppe statunitensi, le quali ottennero quel giorno una vittoria pressappoco decisiva ai fini del conflitto instauratosi. Il periodo in cui gli americani intrapresero una delle prime campagne di "pulizia etnica" nei confronti degli Indiani D'America, meglio noti come i Nativi Americani, veri abitanti della terra loro usurpata dagli Europei. Avvenimenti che in pochi, purtroppo, ricordano. In questa canzone i Nostri si sono degnamente prodigati nello scrivere un testo quasi di denuncia nei riguardi di quanto accaduto; anche la narrazione musicale assume un tono più severo. Fin da subito udiamo chiari cori simili a quelli utilizzati dai Nativi durante i rituali; la traccia man mano assume un'andatura sempre più marcata e decisa, seguendo esattamente le dinamiche del testo: vi sono parti più  incisive, soprattutto il riferimento allo sparare ("Fire"/ "Fire"), e momenti più lievi verso fine quando la canzone si fa leggermente più delicata poiché i Wind Rose cercano (riuscendoci) di riprodurre fedelmente la drammaticità del momento, ricordando i Nativi caduti in battaglia. Nel corso della narrazione verrà spesso menzionato il termine Kiche Manetoa che altro non è uno dei tanti nomi assunti per indicare il "grande spirito", inteso come una sorta di Divinità che infonde la forza ai combattenti indiani e dona loro protezione per l'eternità; per avere più chiara una visione d'insieme a questo concetto, vi riporto un passaggio del ritornello: "Kiche Manetoa, guida i miei fratelli al mio fianco... nel cuore della notte. Kiche Manitoa, benedici il fiume, la nostra lotta...è lì che moriremo" ; I Wind Rose riescono quindi ad amalgamare tematiche comunque complicate rendendole più facili da assimilare, soprattutto donandoci un ottimo spaccato storico, andando a trattare esplicitamente temi che solo gruppi come i Running Wild avevano saputo ben congegnare alla propria musica. Si pensi infatti a "Little Big Horn", presente su "Blazon Stone". In quel caso, i ritmi descrivevano al meglio una schiacciante vittoria, uno spirito d'esaltazione notevole. Nel caso di "Fallen Timbers" accade lo stesso... amalgamando però il suono ad un cupo spirito di lotta disperata, nelle quale le probabilità di salvezza sono quasi nulle. Eppure, si continua a combattere.

The Eyes of the Mountain

L'Ultima traccia di "Stonehymn" è "The Eyes of the Mountain (Gli Occhi della Montagna)", nella quale vengono ripresi ed uniti i due concept principali che abbiamo avuto modo di vedere precedentemente. Il sound si erge sin dai primi secondi su di un grandioso e possente pilastro Power/Epic per poi scendere leggermente di pomposità e senza troppi indugi risalire nuovamente sulle vette: questo climax si manterrà per tutta la durata della canzone. Andatura che si rivelerà funzionale e maestosa, donando una più che degna conclusione a questo platter; i cori, anche qui accompagnati dalle tastiere e da inserti femminili (che spesso si sentiranno anche nelle precedenti tracce), renderanno il brano energico e vigoroso.  Una lieve melodia sarà la dolce nostra compagna per il finale: momento anch'esso intimo e privato che ci lascia positivamente estasiati; un breve tocco di tastiera sancirà la definitiva chiusura di "Stonehymn". Un disco che, in ultimo, ci lascia dunque con una speranza viva e pulsante. Chi ha perso la propria casa non potrà certo rassegnarsi all'idea d'averla solo momentaneamente perduta. Per cosa, dobbiamo lottare? Per la patria, per chi siamo, per noi stessi. I Nani, fieri ed orgogliosi come poche altre stirpi della terra di Arda, sono il più fulgido esempio di fierezza e coraggio. Non importa quanto il nemico sia enorme, feroce, potente, ansioso di volerci schiacciare come tanti moscerini: non importa neanche quanto esso sia infinitamente più forte di noi, quanto la nostra debolezza sia palese dinnanzi a lui. Se non impugneremo ora l'ascia, potremmo rimpiangere a vita il fatto di non averci almeno provato. Si ripensa ai bei tempi, a quando Erebor ed a quando l'America erano un paradiso di valli incontaminate, in cui gli abitanti vivevano felici. Potrà mai tornare, la beltà di un tempo? Forse sì, forse no. Impossibile a dirsi. Sta di fatto, però, che se non proviamo ora a riconquistare ciò che ci appartiene, allora vorrà forse dire che non ne siamo mai stati degni. Asce, Tomahawk e tanto coraggio. Gli ingredienti per guardare al futuro con ottimismo, cercando di scorgere nei ricordi di vette incontaminate, cime innevate e fresche brezze il senso della vita.

Conclusioni

Traiamo quindi le convenevoli conclusioni circa questo "Stonehymn", un disco che in sostanza ha mostrato il lato più maturo e decisamente più "sicuro" dei Wind Rose, i quali sembrano aver trovato (con la pubblicazione di questo disco) la cosiddetta "quadratura del cerchio". In effetti, tutto sembra combaciare alla perfezione: dai suoni all'amalgama dei vari strumenti, all'uso dei cori, passando per la voce, palese elemento di spicco in più di una traccia. Si evince in maniera pressoché subitanea come l'ugola di Francesco sia decisamente più matura rispetto ai due precedenti full e di riflesso anche i restanti musicisti risultano anch'essi più ispirati e "risoluti", nel loro districarsi lungo imponenti cavalcate epiche e trionfali, unite sempre a quel quid di intimistico e particolarmente "totemico" già mostrato lungo l'analisi della sesta traccia. Letteratura e concetti altrettanto profondi, benché lontani dal topic principe della narrazione, vanno dunque a braccetto, mostrando come il gruppo riesca a snodarsi in maniera incredibilmente efficace lungo questo complesso concept, studiato nei minimi dettagli e reso in maniera a dir poco ottimale. Ottima anche la produzione, mixing e mastering ad opera di Simone Mularoni. Tutti elementi che, di fatto e sommati, rendono"Stonehymn" un album interessante, complesso e completo, nel quale sono racchiusi non solo leggende ma anche riferimenti alla storia umana; questa, forse, è il suo definitivo pregio. L'essere riuscito a rendere gli scritti di Tolkien non per forza "solo di fantasia", come dicevo nell'intro. Mondi che dimorano nella mente di chi li crea... i quali, però, possono trovare strettissime connessioni con la realtà che tutti noi conosciamo e vediamo. Che molto spesso, pensate, ignoriamo! Un plauso, dunque, all'abilità di questo gruppo. Encomiabile la loro volontà di narrarci un qualcosa di così complicato, rendendolo praticamente alla portata di chiunque voglia sapere, conoscere e scoprire. Di chi si ritroverà ad imparare addirittura "suo malgrado", pensando di divertirsi ascoltando dell'ottimo Power/Folk. Di chi, leggendo ed informandosi successivamente, spinto da latente curiosità, scoprirà un gran bel mondo dinnanzi ai suoi occhi. L'artwork, come detto poc'anzi, racchiude in toto l'essenza dei Nostri, quell'essenza che i Wind Rose riescono a trasportare in ottima musica. Nonostante la vicinanza al sound di Ensiferum e Turisas, dunque, i nostri toscani risultano in ultimo una di quelle realtà Folk/Power che nel panorama italiano risulteranno facilmente riconoscibili, riuscendo ad a trovare la propria identità in una moltitudine di band fin troppo fotocopia l'una dell'altra. Il gioco del "io copio te, tu copi me" viene dunque definitivamente spezzato, portando alla ribalta originalità e marcata espressività, capacità di spiccare in un contesto, rendendo la propria proposta pressoché unica. Riuscendo nell'intento anche grazie, e non mi stancherò mai di dirlo, allo spessore culturale del concept presentato. Ogni traccia di "Stonehymn", se presa singolarmente, narra una storia a sé: ma come abbiamo avuto modo di leggere, tutte sono collegate da un filo sì sottile ma robusto ed indissolubile. Questo è uno dei tanti pregi del album in questione, il Pregio principe. Tirando le somme, senza essere troppo ridondante o ripetitiva, se siete giunti fino a queste righe... la furia nanica non si scaglierà su di voi; avete servito in maniera egregia l'esercito più sprezzante e coraggioso di Arda. Che sia il grande spirito a guidarci, che sia la voglia di riconquistare Erebor, questo poi non conta granché. Quel che veramente ha significato, è non perdere mai di vista il motivo per il quale vivere. Le montagne ci guardano, il sole tramonta dietro di loro, imbrunendo il panorama. Si spegne il falò, una folata di vento calma le scoppiettanti fiamme... è giunto il tempo di salutarvi, cari amici. Ma non temete, qualcosa mi dice che un altro viaggio , in compagnia dei Wind Rose?, ci attende! 

1) Distant Battlefield
2) Dance of Fire
3)
4) To Erebor
5) The Returning Race
6) The Animist
7) The Wolves' Call
8) Fallen Timbers
9) The Eyes of the Mountain