WARREL DANE
Disconnection System
2018 - Century Media Records
GIANCARLO PACELLI
19/07/2019
Introduzione recensione
Una delle prerogative di qualsiasi cantante è raggiungere lo stato di "icona timbrica", ossia giungere ad una tale singolarità tanto da costruire un unico ed inimitabile stile. Gli esempi nel mondo dell'heavy metal sono tantissimi: da Ronnie James Dio a Rob Halford fino a Geoff Tate, mentre per quando riguarda la frangia più estrema non si possono non considerare i vari Dani Filth o Shagrath, insomma, timbri indelebili e riconoscibili all'istante. In questa cerchia di nomi e di artisti, non si può non far riferimento a un performer che lungo gli anni ha sempre aumentato il livello della propria predisposizione vocale fino a diventare un faro per chiunque voglia approcciarsi al cantato heavy, ossia Warrel Dane. L'ex frontman di Nevermore e Santuary è uno di quei nomi che ha sempre cercato di perfezionare il proprio stile lungo il corso degli anni, traendo il buono anche da esperienze tutt'altro che positive. I demoni che rincorrevano l'artista di Seattle erano innumerevoli, e hanno esercitato una sorta di influenza anche nello stile lirico che permeava Warrel in ogni sua composizione, dalla più primordiale coi Sanctuary (forti di dischi espressivi come "Refuge Denied" e "Into the Mirror Black") fino ai Nevermore, forse l'apice in sede di scrittura di pezzi. Una carriera sempre piena di impegni, culminata proprio con i Nevermore, il vero progetto con cui il cantante ha raccolto più consensi e popolarità, grazie anche alle capacità chitarristiche del fido Jeff Loomis, un guitar-hero dalla grande visione artistica. Dopo il primo disco solista, "Praises to the War Machine" del 2008, con cui il singer di Seattle dava manforte anche ad una forte vena cantautorale, nascosta durante gli anni di tournée e di dischi, nel 2017 l'intenzione era di dare un seguito al disco citato, un seguito che - perché no - potesse essere anche superiore e in linea con la costruzione sonora che il cantante americano aveva realizzato negli anni. Ma il 2017 purtroppo è stato l'ultimo anno in vita di Warrel Dane: il cantante fu colpito da un infarto durante il sonno nel suo appartamento di San Paolo (Brasile), nel bel mezzo delle canoniche sessioni in studio che portavano al secondo suo capitolo discografico solista. La sua perdita non ha provocato solo dolore, ma anche una seria consapevolezza che una voce così non nascerà mai più, essendo le corde vocali di Dane uniche e sopraffine, capaci di estensioni pazzesche e mai banali, anzi perfettamente inserite con il gusto tematico che amava comporre. Il materiale che Warrel stava mettendo insieme fu raccolto dai componenti della band, e, grazie alla co-produzione della Century Media, si è potuto dare vita all'ultima opera di Warrel Dane: "Shadow Work". Questo disco è stato preceduto da ben due singoli, arricchiti da illustrazioni che ben calzano con il mood che si andrà a testare durante l'ascolto. Autore di questi artwork è Travis Smith, amico di Warrel Dane, che non ha esitato molto tempo al fine di porgere la sua arte grafica per la creazione di splendide opere che graficamente mettono in mostra i temi calcati dalle lyrics. Una sua dichiarazione riesce benissimo a spiegare i motivi che hanno spinto la creazione delle illustrazioni dei due singoli: "Disconnection System" (che ci apprestiamo a descrivere oggi) e "As fast as the Others": «I finished the additional artwork taking inspiration from old conversations, titles, absorbing passages from his notebooks, and some lyrics that he'd passed along earlier. ...Thank you for everything these past 20 years...It was an honor. You will be missed.» (trad. Ho terminato l'artwork aggiuntivo prendendo ispirazione da vecchie conversazioni, titoli, passaggi assorbiti dai suoi quaderni e alcuni testi che mi aveva passato in precedenza. ... Grazie per tutto quello che hai fatto negli ultimi 20 anni...è stato un onore. Ci mancherai "). Detto questo, procediamo con l'analisi del primo singolo di "Shadow Work"!
Disconnection System
"Disconnection system takes control"
Desidero iniziare l'analisi del primo singolo con questa frase che battezza una delle strofe finali: "il sistema di disconnessione prende il controllo". Di certo tale frammento lirico non lascia sperare a ottime intenzioni da parte di Warrel, il cui intento è quello di sputare in faccia la verità, esattamente come ha sempre fatto. Un sistema fortemente disconnesso in cui ognuno di noi è immerso ed è impotente nei confronti di esso. Viene costruita quindi simbolicamente una società che non concede gli stessi diritti a tutti, e che non presenta quell'ideale di fondo che mira a soddisfare le richieste di ognuno. Il sistema vagheggiato da Dane è negativamente impostato su una sordità di fondo del sistema stesso, che mira solo ad adempiere agli interessi di pochi adepti. Ecco che alcuni rimasugli lirici dei Nevermore riescono a essere ancora influenti: proprio quella verve dissacratoria nei confronti del potere che, invece di fare le veci dei più deboli, riesce soltanto ad allargare lo spessore della propria ingordigia. L'attacco iniziale di "Disconnection System" non poteva non essere potente e meditativo, le due chitarre infatti si adoperano al fine di costruire una trama che farà da linea guida a tutto il corollario del riffing del brano. Dopo ben trentasette secondi di pura suspense cinematografica, il corredo di riffs iniziale viene stoppato e subito ripreso dall'ottimo lavoro delle corde della lead guitar, in grado di rimembrare i Nevemore più violenti di "Enemies Of Reality". Ma senza fare troppi paragoni, questa scelta stilistica si rivela azzeccata, soprattutto una volta che l'andazzo del brano prende sempre più forza e grinta. Il drumming mira a scolpire un ritmo violento ma al contempo emozionante, in particolar modo quando finalmente Dane irrompe in quel mare di note che sembrano essere costruite appositamente per destreggiarsi tra le sue importanti vocals. Il cantante, con il suo caratteristico e notissimo saliscendi vocale, si immerge alla grande nel singolo proposto, anzi più si procede col minutaggio e più le scelte vocali del singer di Seattle si rivelano diaboliche e, al contempo, estremamente levigate. La produzione valorizza gli spunti chitarristici e i giochi da funambolo dei pattern di batteria, oscuri e pachidermici, in quando devono correre dietro a una sezione ritmica in grande spolvero esecutivo, composta dalle due chitarre e del basso di Fabio Carito. Alcune reminiscenze groove e progressive si mostrano alla luce del sole nel gusto delle due chitarre che non perdono tempo a mostrare tecnicismi notevoli ma non solo: riescono anche ad adattarsi a molti cambi di tempo, come accade per esempio alle soglie della metà del primo minuto, in cui un breve interludio riesce a far cambiare la tempistica di azione del duo brasiliano alle chitarre. Dopo questa breve parentesi, la torrenziale prova dei primi secondi riesce di nuovo a prendere vita, ma questo per pochissimi istanti in quanto le chitarre, prima serrate e matematiche, ora cambiano pelle lasciandosi andare con poche ed essenziali note, creando il giusto tappeto al fine che la vena malinconica di Warrel riesca a prendere la padronanza assoluta. Il combo di voci demoniache poste in background e un Warrel estremamente autodistruttivo e disperato, accerchia le attenzioni dell'ascoltatore e, col procedere del brano, prima della riproposizione del chorus, questi elementi si assemblano all'improvviso, senza una logica precisa. Il brano si presenta ricco di sorprese e frammentato in vari brandelli che si posizionano creando subbuglio e caos, due elementi che la voce di Warrel Dane riusciva a creare e a modellare a proprio piacere. I sei minuti proposti si chiudono con il groove iniziale che, con potenza e perizia esecutiva, riesce a decretare la giusta fine a un brano dalle potenzialità incredibili.
Conclusioni
Un primo singolo fortemente indicativo sull'atmosfera che calzerà a pennello nell'ascolto totale di quest'ultima testimonianza in vita di Warrel Dane. Questo primo singolo esula dalle ipotetiche comparazioni con le precedenti band del cantante (anche se alcune scelte stilistiche ricordano l'approccio dei Nevermore), è una composizione a sé, che ha visto la luce in un momento di buio: le liriche da questo punto di vista risultano impregnate di una salsa veritiera, di un'opaca e amara riflessione su un sistema disconnesso, non coerente. Da qui ben si capisce la caratura con cui il disco è stato ideato. Il processo di realizzazione del platter è stato sicuramente travagliato, è stato messo in piedi - quasi miracolosamente - grazie all'accuratezza con cui sono stati arrangiati i pezzi. Infatti, i pericoli nel non dare giustizia al materiale registrato in vita da Dane erano tantissimi, ma da questo punto di vista bisogna fare un plauso alla Century Media e alla band, entrambi attori principali nella gestione della situazione "tecnica", poiché. con molta tranquillità e precisione, hanno compiuto un egregio lavoro. Musicalmente, Disconnection Sistem (Sistema di disconnessione), con il suo minutaggio bello corposo e la sua venatura heavy fino al midollo, non permette un secondo di distaccamento e di disattenzione dall'ascolto, tanto è prorompente la fulgida capacità vocale di Warrel nel catturare l'uditore nel suo universo "multi-sfaccettato"; un universo inquieto e disordinato, ma al contempo contornato da una freschezza baritonale unica ed irripetibile. Dane dà il meglio, soprattutto dal punto di vista concettuale ricalcando tematiche gustose e assai familiari al suo estro compositivo, che, a sua volta, sembra essere stato cristallizzato durante gli anni. Quell'inquietudine che magicamente viene riproposta dallo stupendo artwork di Travis Smith, sembra volteggiare e andare in picchiata in una manciata di secondi, provocando un tripudio di emozioni e di forti scosse interiori. Tutto il brano ruggisce, tutta la sezione ritmica è delineata dalla possente presenza vocale del singer, il quale cerca di rendere le due chitarre estremamente levigate e arricchite da fraseggi dal profumo power e dall'attitudine heavy metal. Un coagulo di frammenti sonori che ricordano il passato coi Sanctuary e Nevermore, rileggendolo in un'età più matura, in cui quelle sensazioni e quei demoni interiori sono stati messi in rassegna con ancora più destrezza. Punti deboli non ce ne sono, anzi questo brano potrebbe uscito da un disco dei Nevermore, tanto è grande la parsimonia con cui è stato concepito e ideato da Warrel, forse, in un certo senso, anche consapevole di dare una delle sue ultime memorabili prove dietro un microfono. Proprio quel senso di malinconia pervade ogni minimo secondo proposto. riuscendone a valorizzare quei lievissimi cali che, in un modo o nell'altro, possono aver preso parte durante la costruzione del pezzo. Un pezzo che ha avuto qualche problema di costruzione di fondo, proprio perché l'opera di arrangiamento richiedeva i suoi tempi di attuazione. Ciò nonostante, il risultato da questa prospettiva può essere considerato dannatamente riuscito. Infine, è bene premere il tasto "play" più di una volta poiché, per assaporare corredi musicali del genere, è funzionale avere la testa giusta, il mood giusto. Un piccolo/grande tassello di ciò che Warrel Dane riuscirà a dare nel suo ultimo e definitivo "Shadow Work".