W.A.S.P.
Unholy Terror
2001 - is Records
ANDREA CERASI
27/10/2014
Recensione
Il nono album degli W.A.S.P. ha un unico obiettivo, riportare la band all'attenzione del pubblico, essendo stata bistrattata per quasi tutti gli anni 90, dopo la leggerezza di "Still Not Black Enough", le sperimentazione industrial di "K.F.D." e il primordiale rock 'n' roll di "Helldorado", tre dischi accolti freddamente dalla critica ma anche dai fans di vecchia data e che hanno fatto vacillare la fiducia nei confronti del gruppo americano. Perciò, l'unico modo per riconquistare il cuore del popolo metallico è quello di tornare sui propri passi e ricominciare a suonare puro e incontaminato hard 'n' heavy vecchia maniera, tralasciando suoni troppo moderni o marcatamente sperimentali e recuperando un passato mai rinnegato. "Unholy Terror" esce all'alba del nuovo millennio, presentando un progetto non solo furioso e animalesco (squisitamente W.A.S.P.), ma anche intimista e malinconico, creando una sorta di collegamento ideologico e recuperando quell'atmosfera emozionale appartenuta a uno dei loro album più riusciti e osannati, il grandioso "The Headless Children". Il tema di base che muove l'opera, intuibile dalla copertina che vede un crocifisso insanguinato contornato da fori di proiettili e gettato tra le fiamme, è la religione, dunque una specie di concept-abum, materializzata attraverso le diverse sfumature che prendono vita in dieci tracce dal suono grezzo e dirompente, ma anche toccante e struggente. Mentre molti altri gruppi storici, arrivati a questo punto, si sfaldano o semplicemente perdono la propria verve creativa, la band di Blackie Lawless dimostra invece la sua intelligenza, nonché una creatività ritrovata (che per me non hanno mai perduto), costruendo un disco ispirato e fresco, nonostante qualche inevitabile déjà vu. Tanto è che il successo economico è garantito e "Unholy Terror" conquista immediatamente tutti, mettendo in evidenza una band equilibrata, che sa scuotere grazie a una tecnica incendiaria e liriche raffinate.
L'apripista "Let It Roar" (Lascia che ruggisca) mette subito in chiaro le cose, gli W.A.S.P. sono tornati, potenti e letali come il veleno di un serpente. Chris Holmes incendia l'ascoltatore con un giro di chitarra prepotente, che si abbatte sulle casse come un fulmine fracassando i timpani, la batteria di Howland (che si alternerà con Banali in tutto l'album) irrompe assieme al basso di Duda e, insieme, danno inizio a una vera bomba sonora. Lawless esordisce dopo appena venti secondi, grezzo e avvelenato come suo solito, e si lancia nell'immediato in grida assurde, sovrastando gli strumenti. La canzone è velocissima e basata sul doppio pedale di Stet Howland, una speed-song in piena regola, che si velocizza ulteriormente nel corso dei minuti senza rallentare mai il passo ed esplodendo in un ritornello mirabile, perfettamente inquadrato nella tradizione W.A.S.P. ed è talmente incisivo che è impossibile rimanere fermi. Questa è pura foga musicale, un pugno allo stomaco che riporta ai primi dischi, il déjà vu è palese, la melodia ricorda molte altre tracce della band ma, davanti a un missile pronto a colpire il bersaglio, poco importa. L'heavy metal sporco dei californiani è così, diretto e feroce, così come testimonia l'assolo di Holmes in fase di chiusura, roccioso quanto basta per terminare il brano tra gli applausi. Il testo è incentrato sulla psicosi religiosa, vista come un'arma di cui si servono i potenti per schiavizzare il popolo. Blackie esorta ad alzarsi in piedi e svegliarsi, basta preghiere per un Dio assassino, basta rimanere in ginocchio aspettando ciò che non ci sarà mai. Bisogna combattere per la propria vita, sentire il rombo di tuono della coscienza, pronto a creare turbolenze mentali, a scuotere il misero popolo dalla stasi soporifera in cui versa. La religione va combattuta, prima di morire in vano, perciò abbracciamo tutti i nuovi Dei del rumore, un rumore in grado di distrarci e di destarci dal torpore, e ascoltare il ruggito che proviene dalla regione più remota del nostro Io. La carica esplosiva innestata dalla prima traccia prosegue in "Hate To Love Me" (Odio Amarmi), potentissima canzone aperta da subdole tastiere dal sapore esoterico che si tramutano presto in riffs vorticosi di chitarra elettrica e una batteria (questa volta Banali) cavalleresca, ottimo inoltre il lavoro di Mike Duda al basso, che rifinisce con classe riempiendo gli spazi vuoti e dando la sensazione di una brano corposo e abbastanza articolato. Lawless fa il solito compito del leone, donando l'energia giusta per questo diamante grezzo, anche la voce è meno tirata di "Let It Roar", adagiandosi su altezze medie e restando nella stessa tonalità nell'ennesimo chorus da incorniciare, Chris Holmes dà anche qui una lezione di tenacia in un assolo brillante, evidenziando che, spesso, la tecnica da sola non basta, ma servono cuore e passione ancestrale per lasciarsi andare completamente in un rapporto sessuale con gli strumenti e, per chi non lo avesse capito, gli W.A.S.P. sono questo e tanto altro ancora. Quando c'è l'amore per il rock 'n' roll c'è poco da fare, tutto diventa magia in grado di emozionare. In questo caso Blackie Lawless interpreta un Dio che si rivolge ai sui devoti, schiavi della sua parola e dei suoi inganni. Dio sa di ingannare il credente e si nasconde dietro un tendone da teatro dove cela la verità, ed egli conosce le emozioni del popolo, perché ne possiede i segreti, ne stringe le vite, e sa che non è possibile scappare per uscire dalla sala fin quando lo spettacolo non sarà finito, ma la rappresentazione avviene di nascosto, dietro il tendone chiuso e le persone non possono vedere, dovendo dar fiducia alle parole che sentono e credendo a ciò che gli sembra di percepire. Dio infatti non ha volto ma ha mille nomi, riflettendo la sua immagine-illusoria negli occhi di guarda, e sa bene che nessuno uscirà indenne dal suo mondo fatto di bugie e di fantasie, perché egli può scrutare nell'amina di ognuno di noi e saprà sempre riconoscere le paure più segrete. Non importa ciò che facciamo, la società continuerà ad amare le religioni pur odiandole. Trovo enorme questa metafora col teatro e il caro vecchio Blackie si conferma uno dei più grandi eroi del rock. Il mio pezzo preferito arriva come una saetta e porta il nome di "Loco-motive Man" (Uomo Locomotiva), sei minuti in cui gli strumenti dialogano tra loro in una corsa furiosa che non accenna ad arrestarsi, le strofe infatti sono veloci e il pre-chorus è di una bellezza disarmante, Lawless è tanto sensuale quanto sporco e sembra riprendere la performance della mitica "Wild Child", Frank Banali è cauto dietro le pelli, la sua è una sfuriata controllata che entra nel cervello grazie al suono del piatto che sembra un sonaglio, un suono quasi ipnotico. Il break centrale fa respirare per pochi secondi, gli strumenti si quietano, poi parte l'assolo di Holmes e la corsa ricomincia. L'intero pezzo sembra appunto una locomotiva che va dritta per la propria strada e lo stesso riguarda la lirica, come al solito profonda, intimista, che parla di un uomo, un fedele (forse un terrorista?) colpito da un proiettile dopo un'irruzione a scuola dove ha ucciso molte persone, e che sente la vita defluire dal corpo. Nell'istante sospeso tra vita e morte egli prega perché è pronto ad incontrare Dio ma, allo stesso, si rammarica per non aver vissuto come avrebbe voluto, infatti nella sua breve vita l'uomo ha sguazzato nelle sue paure, nelle fantasie che gli hanno insegnato e ha causato dolore, non solo agli altri, ma anche a se stesso. La locomotiva è uno stato d'animo, una visione del mondo bugiardo, corrotto, violento, che non segue binari precisi e che spesso va fuori controllo. Il fedele voleva solo amore e invece non ha mai avuto nulla, adesso il suo corpo è adagiato a terra e il suo sangue è sparso sulla parete e sente che sta per tornare a casa dove conoscerà il suo creatore. Ecco che arriva la morte e la domanda finale è, Perché tutto ciò? Cosa è andato storto?, Ma le risposte non esistono. È la volta della title-track, stranamente la traccia più breve in assoluto, soltando due minuti di profonda atmosfera. "Unholy Terror" (Terrore Sconsacrato) non è altro che un intermezzo introspettivo che vede protagonista il vocalist, davvero ispirato, il quale, mascherandosi da profeta, recita una sorta di omelia sorretta su un semplice arpeggio purificatorio di chitarra e basata su celebri frasi che rimandano a Cristo, all'inquisizione spagnola, ai nazisti e Hitler, all'assassino di Lennon, a Marx e in fine alla guerra fredda. Due minuti di solenne preghiera in cui Blackie si trasforma in Dio e in tutto ciò che Dio rappresenta attraverso le parole dei personaggi storici. Infatti afferma di essere al mondo dalla notte dei tempi, di vivere e respirare in tutti noi, e ci schiavizza per farsi adorare, Lui è tutti i re e le regine del mondo ed è quel qualcosa di invisibile che solo i profeti e i maghi riescono a percepire. Egli è una bomba atomica pronta ad accecare l'universo intero. Egli è ogni cosa esistente. Un attacco ben preciso alle contraddizioni delle religioni. "Charisma" (Carisma) è la prosecuzione della title-track, basata anch'essa su frasi riprese da discorsi popolari. Lawless infatti cita Napoleone, il Klu Klux Klan, Charles Manson, il massacro dei pellerossa da parte dei binachi, il papa del Vaticano, il presidente U.S.A. Nixon, il Satana della bibbia. Egli afferma di riempire le menti del popolo di bugie, perché lui può tutto, è l'Alfa e l'Omega, è il peccato insito nell'uomo, Egli predica paura e usa la religione con la Bibbia e il Corano per sedurre le menti spaventate e ignoranti. Egli è un razzista con una bandiera sventolante in cielo ed è un soggetto molto pericoloso ma l'idolatria è obbligatoria per la salvezza dell'anima. Il carisma è ciò che conta, il singer parla all'ascoltatore come un leader politico o religioso potrebbe parlare ai propri seguaci, incutendo appunto terrore nelle menti confuse. Dal punto di vista musicale il brano è grandioso, cinque minuti di musica eccelsa portate avanti da una batteria cadenzata e nobile. Lawless utilizza toni medio-bassi per dare solennità al pezzo e la sua profondità vocale è contornata da cori. La canzone è un mid-tempo graffiante e cattivo, il basso di Duda è efficace e pompato e la chitarra di Holmes, appena accennata perché sovrastata dalla batteria, rimane sul fondo per poi intervenire in un brevissimo solo acuto e metallico trasmettendo freddezza. Attraverso le note si percepisce il disgusto per la religione o, più che altro, per come viene usata nei confronti delle popolazioni. Il brano suscita odio e paura, davvero affascinante. La seguente traccia ha un titolo imponente, "Who Slayed Baby Jane?" (Chi Ha Assassinato La Piccola Jane?) è infatti un omaggio al romanzo "Che fine ha fatto Baby Jane?" di Henry Farrell e trasfomato nel film capolavoro di Robert Aldrich nel 1962 e interpretato dalle grandi Bette Davis e Joan Crowford, anche se poi il testo non ricorda la trama del libro. Nella canzone infatti la piccola Baby Jane, bambina prodigio e star televisiva, è stata decapitata da una rivale perversa che si diverte e giocare con la sua testa e a scuotere la sua fossa. E sorride nel dirle addio. Le liriche, questa volta, sono semplici così come semplici sono le linee melodiche che rendono il brano, musicalmente, un cavallo di battaglia, grazie a strofe veloci costruite su una solida sezione ritmica portata avanti dalla solita chitarra in primo piano e sparata a mille. E' il fuoco del rock 'n' roll quello che esce fuori, impossibile ignorarlo e non farsi contagiare, probabilmente la traccia più classica del lotto che ricorda qualcosa di "Inside The Electric Circus" e diverte, prima di togliere il ghigno dal volto dell'ascoltatore e sprofondarlo nel mare introspettivo e riflessivo della strumentale "Euphoria" (Euforia), adagio atmosferico dal sapore orientale scandito dal giro di chitarra acustica e da tamburi tribali che si protraggono per tre minuti intensi e intrisi di malinconia. Il suono riprodotto è semplice e ipnotico e prepara psicologicamente alla sfuriata successiva, dal nome di "Raven Heart" (Cuore Corvino), hard rock sanguinolento nella più classica tradizione W.A.S.P. e dalla melodia sublime, con un ritornello bello da togliere il fiato nel quale Blackie Lawless esalta se stesso e l'animale che lo rappresenta, ossia il corvo, rapace omaggiato anche nel disco "Still Not Black Enough" e figura allegorica carica di significati mistici e oscuri, così come le religioni. Il gigante californiano si traveste da corvo e mette ali, sorvola i cieli delle città con gli occhi di un demone e porta con sé la notte eterna e racconti terribili. Il suo cuore da corvo sta sanguinando, un rosso cremisi, per il dolore del mondo, le religioni hanno distrutto tutto, affogando l'universo nella menzogna e nell'avidità. La religione, il potere, e tutto ciò che è schiavitù psicologica, schiaccia i popoli, incapaci di aprire le ali (della libertà mentale) e librarsi in volo come uccelli migratori alla volta dell'ignoto. Il corvo è l'animale che rappresenta la rabbia, la ribellione, l'individualità, l'intelligenza e la consapevolezza intellettuale. La libertà corvina è evidenziata da una sezione ritmica ariosa, come se il gruppo volasse per la città e scrutasse tutto dall'alto, il rock scaturito dagli strumenti è genuino e con un sapore retrò, molto anni 70, nonostante la potenza tipicamente metallica di epoca moderna, meno di quattro minuti in cui tutto è portato all'ennesima potenza e concretizzato in un solo di chitarra fugace ma intenso. Sicuramente una delle hit del disco. "Evermore" (Perpetuamente) rappresenta l'idea di reincarnazione e di esperienza ultraterrena, ispirata durante una gita nel deserto dell'Arizona e del New Mexico. E' un'idea in cui credere. Il pezzo in questione era stato scritto per l'album "The Headless Children" col titolo provvisorio di "Circle Of Legend", in seguito scartato perché non terminato in tempo. È un pezzo molto oscuro e dal testo aspro, che riflette l'atmosfera libera è un po' solitaria del deserto, visto come una valle di lacrime e per cuori solitari, un posto magico sito tra ombra e luce, ad espressione del nostro animo. E una volta morti torneremo spiegando le ali e volando portatati indietro dal vento. Blackie Lawless spera che un giorno tornerà vivere. Nel brano sono presenti delle tastiere leggere, appena accennate ma che decorano in maniera efficace, mentre il giro di chitarra acustica che apre il tutto ricorda la toccante "Forever Free", non a caso Lawless le aveva concepite come ballad gemelle da inserire nel capolavoro del 1989. "Evermore" però esterna ancor di più l'atmosfera cupa appartenente praticamente a tutte le ballate targate W.A.S.P. e, allo stesso tempo, trasmette una sensazione pacifica, come se gli spazi aperti del deserto facessero trovare al passante la pace dei sensi, quella sorta di atarassia, tanto cara ai poeti latini, e inseguita in modo costante dal cantante californiano. L'opera è terminata da un'ultima cavalcata, un inno alla notte e alla ribellione religiosa, "Wasted White Boys" (Ragazzi Bianchi Sprecati) infatti è espressione di odio nei confronti dei limiti imposti dalle religioni, a causa dei quali i ragazzi (bianchi e cristiani come i membri della band, tutti ex chierichetti) sfogano la propria irruenza, liberando l'animale che è in loro. La notte è il momento per trasformarsi in demoni e servire il diavolo, incarnazione (non in senso religioso) di libertà e di istinto sensoriale e carnale. L'uomo è peccatore di natura ed è giusto che ascolti i propri istinti, meglio vivere da ribelli, meglio morire che civilizzarsi e adeguarsi al volere dei potenti che cercano di rispettare e imporre le parole di un libro (la bibbia) controverso e bugiardo. Il giro di chitarra riporta a "Let It Roar" tanto è violento e mostra un lavoro dal climax circolare, l'atmosfera è sfrenata e trasmette carica e adrenalina attraverso imponenti versi di foga creativa per arrivare a un chorus forse un po' troppo anonimo ma che si inserisce perfettamente nella tradizione rock 'n' rock, non a caso la traccia è stata scritta durante le registrazioni del precedente "Helldorado" e sono innegabili le influenze di un album del genere, sia per quanto riguarda il ritornello che i grandiosi assoli di Holmes disseminati in tutti e sette i minuti che compongono il brano più lungo della track-list. La batteria di Banali è irruente, sembra un cavallo che scalcia nervoso disarcionando il fantino, per poi innescare, nella seconda parte, una corsa sfrenata con la chitarra elettrica fino all'ultimo respiro, chiudendo così un lavoro adrenalinico e incendiario.
Gli W.A.S.P., dopo svariati anni e grazie a un disco come "Unholy Terror", tornano sui propri binari, quelli selvaggi ma comunque intelligenti, e il risultato è, come al solito, ottimo. Le grandi liriche ad opera di Blackie Lawless, accompagnate dal suono primordiale e rabbioso degli strumenti di tutta la band, rappresentano il meglio dell'hard 'n' heavy. Strano che l'album sia uno dei meno conosciuti, nonostante la scaletta presenti dieci tracce spaccaossa che faranno la felicità degli amanti delle sonorità classiche e dei puristi del genere. Da questo momento Chris Holmes abbandonerà il gruppo per la seconda volta ma la storia degli W.A.S.P. continuerà imperterrita e senza più cambi di direzione. Del resto, è impossibile non lodare l'imperterrita tenacia di un frontman come Blackie Lawless, vero e proprio collante capace di tenere ben salda una band che in fin dei conti è sempre stata sua, sin dal principio. Ben pochi musicisti sono riusciti, come lui, ad arrivare sino a questo punto, a determinati livelli, per giunta. Da "Unholy Terror" in poi, il nostro senza regole proseguirà veloce e letale come una lancia, pronta a spazzare via tutto ciò che si troverà sul suo cammino. Gli W.A.S.P. sono risorti come l'araba fenice, hanno abbandonato un periodo non propriamente felicissimo, le critiche e le polemiche sono ormai lasciate alle spalle. La loro motosega è ancora affamata di successi!
1) Let It Roar
2) Hate To Love Me
3) Loco-motive Man
4) Unholy Terror
5) Charisma
6) Who Slayed Baby Jane?
7) Euphoria
8) Raven Heart
9) Evermore
10) Wasted White Boys