W.A.S.P.

The Headless Children

1989 - Capitol Records

A CURA DI
ANDREA CERASI
02/08/2014
TEMPO DI LETTURA:
8,8

Recensione

Gli anni 80 volgono al termine, chiudendo un ciclo e portando con sé strascichi di un'epoca d'oro che non si ripeterà più. Il clima di fine decennio è rovente, alcune cose stanno cambiando per non tornare più, altre per mutare forma e consistenza. La rivoluzione culturale, di portata immane, è in atto, e tutto sembra incerto e claudicante. Non vi sono certezze, figuriamoci nell'arte, figuriamoci nell'arte della musica, soggetta alle mode e ai gusti mutevoli di questo eterno divenire. Dopo "Inside The Electric Circus", un disco goliardico accolto freddamente non solo dalla critica ma anche dal pubblico, si chiude una fase selvaggia e primitiva, e gli W.A.S.P. devono dimostrare di essere maturati e di non aver terminato le cartucce. A questo punto il bisogno di chiudersi in se stessi, riflettendo sul nuovo percorso della band, (soprattutto alla luce degli accadimenti, non solo in ambito musicale, del particolare periodo) è alla base del nuovo progetto. "La stasi artistica corrode gli artisti", questo deve aver pensato Blackie Lawless quando il barlume di rinvigorita creatività lo travolge dopo una pausa di circa due anni. Ed ecco che nella sua mente scatta qualcosa, trattasi di roba più intimista, più matura rispetto alle prove precedenti, basate sulla rabbia giovanile, sulla voglia di libertà, sullo sfogo sessuale, preludio anagrafico di una vita vissuta al massimo e che è altro non è che la terra di mezzo, selvaggia e peccaminosa, dove gli istinti animali hanno la meglio su tutto. Si diventa grandi, questo è il punto, bisogna guardare in faccia la realtà e capirla, programmando il futuro ma partendo sempre dal passato, per capire dove la storia ha inizio. La chiamano "Evoluzione", un progredire sulla base dei ricordi e con un bagaglio di esperienze da cui prendere spunto. Nasce "The Headless Children", disco pubblicato nell'aprile del 1989, che fa dell'evoluzione il suo punto di partenza, e sin da subito si notano i cambiamenti, i tempi si fanno più dispersivi, il minutaggio si allunga, i toni trionfalistici degli esordi si affievoliscono per toccare una vena fino ad ora poco esplorata, la parte intima, la regione più remota dell'animo umano, e il suono assume un significato diverso. La parte selvaggia rimane, gli W.A.S.P. rimangono gli stessi, fortunatamente, senza perdere la propria essenza, ma esplorano nuovi territori, legati inevitabilmente all'età adulta, ed è qui che il genio compositivo di Lawless esplode, firmando un nuovo eccellente capitolo nel suo personale percorso artistico.

"The Heretic (The Lost Child)" (L'Eretico, Il Ragazzo Perduto) è il brano che inaugura il nuovo capitolo targato W.A.S.P., e immediatamente salta all'orecchio un evidente cambiamento stilistico. La durata si dilata a dismisura e l'album si apre con la traccia più lunga, più di 7 minuti in cui succede di tutto, a cominciare dai cori, il rintocco di campane e Johnny Rod che crea un giro di basso oscuro, segno che la furia giovanile è lasciata alle spalle. Le chitarre ringhiano come se fossero tenute al guinzaglio prima di essere liberate, inizia così l'attacco e i riffs si fanno lineari nel momento in cui la voce del cantante esordisce. La batteria del nuovo innesto, Frank Banali (Quiet Riot), crea il terremoto durante le strofe, e poi un ritornello dal sapore amaro prende il sopravvento fino ad arrivare alla pausa centrale dal tempo sospeso. Blackie Lawless riprende a cantare ancora più acido nella seconda parte della canzone, e l'assolo di Holmes si scatena poco prima del secondo ritornello, alternandosi con questi per tre volte fino al termine di un brano semplicemente immenso. Il testo non si perde, come di consueto, nei deliri carnali, ma mette in chiaro le cose: questi sono i nuovi W.A.S.P., decisamente più maturi. Blackie parla di attacchi di depressione, una vera tortura, per aver vissuto una misera infanzia, e la follia che lo attanaglia da allora. L'odio è una macchina che uccide e mette contro tutti, bruciando il carburante di una vita in frantumi, che innesta nelle menti il seme del male. Lui è il bambino perduto, dimenticato da tutti, ma è anche l'eretico, trascinatore delle folle, profeta-cantore della miseria umana, difensore dei reietti della società. Nell notte buia egli intona una triste melodia che parla di ricordi portati via dal vento, e tutti i rinnegati sono figli delle tenebre, demoni sanguinosi che muoiono invano, sotto l'incantesimo dell'eresia. La canzone può essere letta anche come critica religiosa, la religione che scatena guerre per futili motivi e lascia orfani milioni di bambini, in nome di un credo inventato solo per avidità. "The Real Me" (Il Vero Me) è il primo singolo lanciato, in rotazione sui canali di musica con un frenetico videoclip in bianco e nero, sembra una traccia autobiografica, molto personale, ma in realtà è una cover prelevata direttamente dal repertorio di una band molto amata dal cantante, gli Who, che la incisero nel 1973 per il sesto album dal titolo "Quadrophenia". Blackie Lawless sceglie questo pezzo per cantare dei suoi problemi, delle sue fobie, dei suoi incubi giovanili, adesso è steso sul lettino dello strizzacervelli intento a raccontargli come ha trascorso l'ultimo week end. Ritorna a casa della madre per sfogarsi e chiedere il suo aiuto, perché è in preda alla pazzia, ed è come se la sua mente fosse rinchiusa in una stanza con le sbarre alle finestre, intrappolata nella dimora di un mostro possessivo, gli appare anche il fantasma della ex-fidanzata, intravisto nella finestra della casa di fronte, ma tutto appartiene al passato ormai. Il prete racconta solo menzogne e non gli è d'aiuto, la salvezza dell'anima non è cosa per quelli come lui. Ma lo psichiatra può davvero capire il suo vero Io, così bizzarro e particolare? C'è una cura per il povero disturbato? L'introspezione del testo però non si riflette nella musica. Infatti ci troviamo davanti a una cavalcata Hard Rock vecchio stile, che ci riporta immediatamente ai dischi precedenti, se non fosse per una sezione ritmica un po' atipica per lo standard della band, assumendo in alcuni frangenti (nella parte centrale) e in modo sommesso un qualcosa di tipicamente Jazz, come l'uso del basso e il ritmo sincopato della chitarra, per poi ritornare su lidi duri e crudi con la doppia cassa sparata in fase di chiusura. Molto simile all'originale. I cori tornano ancora una volta per introdurre la traccia che dà il titolo all'intero album, "The Headless Children" (I Bambini Senza Testa), un capolavoro dai toni solenni, a cominciare dal ritmo battagliero della batteria, la quale si ferma per poi riprendere la sua marcia accompagnata dalle tastiere di un ospite d'eccezione, il grandissimo Ken Hensley (Uriah Heep, Blackfoot, The Gods), che impreziosisce il tutto. Sembra di sentire echi dei primi Uriah Heep, oscuri, solenni ed esoterici, omaggiati già in "Inside The Electric Circus" con la cover di "Easy Living". Blackie Lawless fa un'interpretazione importante, in tonalità altissime, e sovrastando praticamente tutti gli strumenti e, nel pre-chorus, lasciato solo con la cadenza controllata della batteria di Banali, in modo tale da creare atmosfera e preparare l'uditore al magnifico ritornello. Le chitarre di Holmes e dello stesso Lawless hanno un sapore settantiano, sporco e granitico, infine l'assolo del primo si impossessa della scena e si scatena in un vortice di maestria e gusto melodico fuori dal comune. Ancora un pezzo basato sulla follia della popolazione, un popolo perduto e lasciato allo sbando, "Siamo ciechi?" Si chiede la gente nell'invocare Dio per la salvezza dal culto delle armi e dalla dedizione alla violenza. La terra è un essere vivente, un mostro che sta sanguinando per via degli insegnamenti malsani che traviano le menti dei giovani, di questi "bambini senza testa", non in grado di pensare da soli e plagiati da uomini perversi. Le urla di queste anime indifese riempiono la notte e le bombe illuminano il cielo al posto delle stelle. I quattro cavalieri dell'apocalisse solcano i cieli e attendono il momento propizio per cavalcare la scia di sangue che tanti innocenti lasciano a terra. Gli incubi cullano i loro pargoli e alla fine il reverendo Lawless si chiede cosa si sta insegnando alle generazioni future. Si prosegue il percorso tra i sentieri delle tenebre con un pianoforte che esordisce dalle nebbie, il singer sussurra qualcosa contornato da cori (tra i quali è presente anche Lita Ford), trattasi di una breve introduzione per la furiosa "Thunderhead" (Testa Di Tuono), costruita su strofe dirompenti e ruvide in cui i musicisti danno il massimo districandosi in diversi cambi di tempo al cardiopalma, il ritornello rappresenta l'esaltazione dell'umana essenza, i cori fomentano l'ascoltatore e Holmes fa l'amore con la sua chitarra per due minuti in un solo sensuale, accompagnato dai versi sexy e strazianti del compagno d'asce e da una voce metallica. In una parola: Heavy Metal classico suonato con passione e professionalità, insomma un'altra perla per un lavoro che si candida sin da qui come la prova migliore del combo, e che unisce irriverenza sonora con il talento nel saper toccare le corde del cuore attraverso testi maturi e dalla spiccata critica sociale. Questo splendido brano parla di un uomo divorato dall'eroina, che non riesce a rompere con le vecchie abitudini, che convive con l'ombra della morte. Il veleno, peggiore di quello dei serpenti, lo sta uccidendo, costringendolo in agonia sul letto, in preda al sudore e ai buchi sulle braccia che sputano sangue. L'epitaffio di un uomo, semplice e fulmineo come un tuono, e la droga è il killer in questione che non fa sconti di pena a nessuno. Attacco deciso, in un momento particolare come quello degli anni 80 e primi 90, nel quale l'eroina è la droga delle rockstar ma non solo, Blackie Lawless, uno che di eccessi se ne intende, non si crea il problema nel maledire quella porcheria che ha reso un incubo la vita di molti. Lo stesso tema, quello dell'uomo dannato in eterno e maledetto dalla sorte, lo si ritrova nella cavalcata "Mean Man" (Uomo Meschino), prosecuzione logica di "Thunderhead" e fulcro centrale dell'album che ci riporta indietro negli anni, ai lavori precedenti sia per testo che per stile musicale. L'uomo medio ma che trasuda virilità allo stato puro è Chris Holmes, figlio del vento e del fuoco, spirito libero cresciuto dai lupi nelle terre selvagge perché abbandonato in fasce tra i campi, poi diventato impavido e dal cuore cannibale, sempre bisognoso di carne femminile e sempre in giro con la sua moto per mietere vittime. Interessante notare che nella lirica lo si paragona al marchese De Sade (libertino, filosofo e autore erotico del XVIII secolo), già citato nella canzone "Ballcrusher", presente in "The Last Command". Lawless omaggia il compagno dedicandogli la traccia in questione. Come accennavo prima, si tratta di una bomba sonora dal piglio classico, dove Blacky canta velocissimo i versi e in uno stile che ricorda molto il rock 'n' roll del passato, facendo il verso a Elvis, per poi raggiungere l'apice nel ritornello arioso, e il bello è che per quasi 5 minuti sembra impossibile respirare e riposarsi, tanto il brano è trascinante. Insomma una furia in perfetto stile W.A.S.P. suggellata da un paio di assoli di Holmes che incorniciano il tutto nel nome dell'hard and roll più intransigente. Non è ancora giunto il momento di prendere fiato, perciò la sesta traccia è ancora più dinamica. Le sonorità lugubri della title-track sono riprese nella post-apocalittica "The Neutron Bomber" (Il Bombardiere Di Neutroni), dedicata al 40° presidente degli U.S.A. Ronald Regan (In carica dal 1981 al 1989), figura non molto amata dal gruppo, e che vede ancora una volta un'interpretazione ineccepibile e molto sentita da parte del mastermind. Il basso di Rod è protagonista assoluto, dirige questa orchestra di pazzi musicisti e pulsa che è una bellezza, assomigliando a una marcia che si fa strada nei meandri degli inferi, mentre la batteria di Banali è di una pesantezza unica, esibendosi in parti da applauso e la voce del cantante è acida quanto basta, sputando parole su versi più cadenzati rispetto alle sfuriate precedenti ma dal sapore tenebroso che fanno tanto "belli e dannati". Tra il primo e il secondo solo di chitarra si sente una voce (di un politico) in sottofondo e le sirene della polizia in lontananza, il che dice tutto sulle tematiche affrontate nel brano. Ronnie (Regan) è il protagonista della vicenda, visto come un terribile capobanda venuto dall'est (Illinois), soprannominato appunto "Neutron Bomber" per la sua pericolosità e violenza, che semina il panico in ogni città che visita innescando bombe. Ronnie è l'incarnazione di Lucifero, un uomo nato per governare e dichiarare guerra, il cui unico obiettivo è quello di distruggere il mondo. Nel leggere il testo mi tornano in mente le scene di molti film, come prima accennavo, post-apocalittici, nei quali bande di delinquenti girano in moto per un'America ridotta in macerie, uccidendo, violentando e rubando, sempre con la polizia alle calcagna, potrei citare "Mad Max" (George Miller - 1979) oppure, dello stesso periodo, ma meno famoso, "I gladiatori dell'anno 3000" (Allan Arkush - 1978). Il personaggio del fuorilegge è tanto caro agli W.A.S.P., già presente in altre canzoni come "Jack Action", "Widowmaker", "Shoot From The Hip", "Wasted White Boys" e "Blind In Texas", incarnazione assoluta dello spirito ribelle e libero da ogni vincolo, come la musica di questa grande band. Terminata la critica sociale, dopo una serie di brani terremotanti, è tempo di una breve pausa, utile per riordinare le idee, dal nome di "Mephisto Waltz" (Il Valzer Di Mefisto), un minuto di arpeggio acustico, etereo e liberatorio che fa da ponte per l'unica ballata del disco e secondo singolo estratto, la popolare "Forever Free" (Per Sempre Libero), che prosegue con l'arpeggio di chitarra iniziato dalla precedente traccia. Blackie Lawless è struggente nella sua sofferenza e la sua voce fa centro nel cuore di milioni di fans. La melodia che ne esce è meravigliosa, morbida, delicata, che mette in risalto il gusto melodico dell'autore. Il brano prosegue su queste coordinate per quasi metà durata, dunque il coro, rifinito da voci all'unisono, alza il tiro cambiando totalmente la linea melodica e risultando più duro, inoltre Holmes completa la prima parte con uno splendido assolo. La seconda metà vede ancora l'arpeggio delicato dell'inizio, e la canzone, a questo punto, sembra ricominciare, invece riprende subito col chorus che si scontra più volte con gli assoli di chitarra protraendosi a lungo. Anche Blacky fa un ottimo lavoro, non solo creando il giusto pathos con urla e falsetti, ma anche per quanto riguarda la sezione ritmica. Come si può osservare nel bel videoclip (che vede i nostri suonare, come al solito nel deserto e con le moto parcheggiate), parla di un amore stroncato troppo presto. Due ragazzi in moto, per le strade della California, prima del crepuscolo, poi l'incidente che uccide lui. Lei piange e le sue lacrime sono portate via del vento, "lontano dalla luce dei cieli", e adesso è sola, col suo angelo caduto e dalle ali spezzate che invoca il suo nome nel cuore della notte. Adesso lui è finalmente libero e la morte gli ha donato la libertà. Canzone d'amore nichilista, struggente e ricca di metafore, con "sorella Morte" sempre protagonista. Gli W.A.S.P. recuperano energie e irruenza nella seguente "Maneater" (Cannibale), titolo dal significato lapalissiano, che descrive un Blackie Lawless in versione cavaliere dell'apocalisse, nato da un lampo e che respira fuoco, che si aggira per il deserto sotto il sole cocente tutt'uno con la sua Harley, come se i suoi muscoli fossero il prolungamento delle parti metalliche della moto. E guida libero in autostrada facendo mangiare la polvere agli altri, con la testa tra le nuvole, finché il più forte sopravviverà e continuerà a correre. La canzone in questione è anche un omaggio all'heavy metal. Insomma musica dura, moto da corsa, vento sulla faccia: 100% W.A.S.P.. L'attacco di chitarra e batteria sembra riprodurre il motore della motocicletta che scalpita prima di impennare, Lawless esordisce con voce sgraziata, tra gorgheggi e versi gutturali, le strofe sono brevi dando spazio quasi subito a un bel ritornello che porta il sapore della libertà. La struttura del brano è semplice, basata su versi brevi e veloci, e reggendosi su una bella linea di basso e una melodia azzeccata. La vena rock 'n' roll si impossessa dei nostri ancora una volta, la si può notare nel break centrale nel quale emergono le chitarre zanzarose che si accendono in violenti assoli fino all'urlo disumano lanciato dal singer che chiude nel migliore dei modi accompagnato dall'ennesima scossa della sei corde. "Rebel In The F.D.G." (Ribelle Nella Fottuta Generazione Decadente) è l'ultimo pezzo dell'album, si apre così come termina "Maneater", ossia con un acuti e urla graffianti che spaccano i timpani e che ci ricordano che la band è ancora viva e vegeta dopo dieci tracce, pronta, per l'ultima volta, a scuotere le nostre teste. L'andamento è pura adrenalina, la sezione ritmica crea il panico per 7 minuti e il ritornello è, per l'ennesima volta, di una bellezza disarmante, roba da cantare fino a perdere la voce e candidandosi, probabilmente, come il  migliore della track-list. La pausa che subentra a metà, sorretta completamente dal basso di Rod e la batteria sommessa di Banali, alza il pathos, nella quale Blackie, in veste di sciamano onnisciente mormora qualcosa, prima di ricominciare a cantare come un demonio rincorrendo e divincolandosi tra un assolo e l'altro nel quale spicca il solito Holmes super-ispirato e incisivo come non mai. Trattasi ancora una volta di un testo incentrato sulla libertà, tema portante del lavoro, laddove il prescelto non è atro che un uomo medio che coltiva un sogno di gloria, che "vive la vita come un colpo di vento", che ama sedurre donne e combinare guai. La sigla, rigorosamente puntata in perfetto stile W.A.S.P., sta per "Fucking Decadent Generation", a simboleggiare una nuova generazione di metallari (ma non solo) ribelli al sistema e con un futuro senza speranza perché distrutto dai potenti di turno. Questa presa di coscienza mette il punto su questo grandissimo lavoro, il quale si chiude così come è iniziato, ovvero con una nota di amarezza e disillusione.

"The Headless Children", senza girarci troppo intorno, è un capolavoro, a tratti furioso e a tratti intimista, ma la cosa che si nota di più è una spiccata critica sociale che è presente in tutta la durata dell'album. Da questo momento in poi gli W.A.S.P. si evolvono e si induriscono, passando da un Hard Rock più lineare a un Hard 'n' Heavy più ragionato. Interessante, a tal proposito, è la stramba copertina, che vede sullo sfondo un teschio (simbolo di capitalismo scellerato), avvolto tra le fiamme, che vomita una fila lunghissima di persone, personaggi malvagi appartenuti alla storia recente, dove appaiono, in primo piano, Josef Stalin, Benito Mussolini, Adolf Hitler, Charles Manson, Al Capone, degli appartenenti al Ku Klux Klan e molti altri ancora. Da qui comincia il cambiamento della band e questo "The Headless Children" rappresenta il preludio al Magnum Opus "The Crimson Idol", che li renderà immortali nella scena Metal.

1)The Heretic (The Lost Child)
2) The Real Me (The Who cover)
3) The Headless Children
4) Thunderhead
5) Mean Man
6) The Neutron Bomber
7) Mephisto Waltz
8) Forever Free
9) Maneater
10) Rebel in the F.D.G

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