VOLA
Applause of a Distant Crowd
2018 - Mascot Label Group

ALESSANDRO GARGAGLIA
02/12/2021











Introduzione recensione
Il panorama Metal oggigiorno è saturo di proposte che a fatica si discostano dal già sentito, d'altra parte è saturo anche di crossover forzati tra generi distanti, soprattutto quando si scende nell'ambito del Progressive, nei molteplici casi in cui si vuole a tutti i costi accostare le ritmiche Metal a suoni Fusion e simili. Per questo credo sia giusto andare a premiare proposte veramente originali e uniche. Io personalmente, sono sempre in cerca di questo tipo di scelte stilistiche, e con i "VOLA", gruppo danese, formatosi a Copenaghen nel 2006, sono rimasto felicemente sorpreso e soddisfatto. Se già con il precedente "Inmazes" (2016), avevano stuzzicato il nostro interesse per un particolare sporgersi dall'ambito Metal, verso zone più inerenti alla Synthwave, e all'Elettronica, con "Applause Of A Distant Crowd" (2018), trafiggono di netto il genere madre, colpendolo trasversalmente con una corrente puramente Dream Pop, che si presta al servizio del gruppo in praticamente tutti gli aspetti dell'album; nello stile delle vocals, nelle strutture, nella scelta dei suoni e nella produzione. Una produzione soft, di cui parlerò molto, perché è una chiave di lettura vera e propria, che riesce a creare un'atmosfera unica e personale, sognante, estraniante, trovando anche però, i momenti più spigolosi e duri delle ritmiche "Meshugghiane" tipiche del Djent, punto di partenza del gruppo danese. L'album è pura magia, la formula non è poi chissà quanto astratta, le chitarre distorte con i loro "Palm mutes" sono quelle che tutti conosciamo, il basso, con il solito corpo di medi distorti e i bassi compressi, la batteria con ritmiche sincopate, il china e i fill potenti, ma c'è qualcosa di differente da tutto il resto, un'atmosfera, una malinconia, che dona unicità all'intero album. Un ingrediente segreto, che sta a metà tra la composizione e il sound generale, il risultato di una potente e ricercata alchimia che andremo a sviscerare più da vicino nel track by track. La formazione Danese vede Asger Mygind come frontman, chitarrista e voce, e che voce, probabilmente una delle più particolari del panorama; un timbro basso di un calore unico nel suo genere. Dopo vari cambi di formazione, quella definitiva vede al basso Nicolai Mogensen, Adam Janzi alla batteria e Martin Werner alla tastiera. "Inmazes" era stato un'ottima rampa di lancio per il gruppo, che erano riusciti ad impressionare con brani ben strutturati, che portavano una formula che già aveva un buon sapore, nonostante forse leggermente acerba, ancora vicina alle origini, ancorata a strutture derivative di un Metal progressivo abbastanza convenzionale, per quanto esso possa poi in realtà esserlo. Con questo album invece, la freschezza si riesce quasi a toccarla, il cerchio è già chiuso, la proposta è sensazionale, coinvolgente ed emozionante. Tuttavia migliorarsi dopo un'ottima uscita come "Inmazes", non era cosa scontata, e soprattutto, mantenere una propria identità stilistica scostandosi, e, si può dire, spingendosi in avanti con la propria ricerca musicale, non è cosa da tutti. Sono queste dinamiche e determinate scelte che distinguono e premiano un gruppo emergente, almeno nel 2018, come i "VOLA". Chi è familiare con "Inmazes" riconoscerà gli spigolosi ed energetici riff fondati su Groove massicci, e ritroverà, la particolare produzione di tali suoni piacevolmente sporcati, a metà tra Djent e Post Metal. È il momento di tuffarci, come la ragazza nell'artwork dell'album, nella tracklist, godendoci traccia per traccia, le perle di "Applause Of A Distant Crowd".

We Are Thin Air
Un dolce, ma frastagliato groove, con gli hats della batteria che tessono un complesso pattern che tuttavia ci muove a tempo per il suo essere strutturato e ripetitivo, aprono le danze di "Applause Of A Distant Crowd". "We Are Thin Air" (siamo aria sottile), è il primo brano dell'album, e si presenta subito come una sorta di marchio di fabbrica targato "VOLA"; brano di lunghezza media, quattro minuti pieni, strutturato, con strofe e un ritornello decisamente orecchiabile, un tessuto interessante di synth, tra arpeggiatori quasi Dance, e distesi pad che intagliano l'aspetto Ambient e Dream della formula compositiva dei danesi. Il brano presenta ritmiche intricate, caratterizzate da tempi dispari che ci lasciano sospesi, soprattutto nel riff iniziale, che accompagna anche l'andatura scorrevole delle strofe, in contrasto con il sognante ritornello che ci fa scivolare in ambienti più distesi, seppur ancora meno lineari. Oggettivamente un brano carino, un ascolto abbastanza leggero, con dinamiche Prog, nonostante la struttura definibile standard, ma effettivamente non è un brano pensato per lasciarci a bocca aperta, promosso il ritornello per il bel gioco della tastiera riverberata che segue la melodia della voce, trovando un piacevole senso di voci che s'inseguono all'unisono. Promossi anche i riff delle strofe, in cui le chitarre segnano una ritmica decisa, seguendo l'interessante pattern salterino di batteria. Insomma un brano introduttivo che non stupisce più di tanto ma ci presenta una formula fresca, come già accennato nell'introduzione, e porta in tavola gli elementi fondanti di ciò che troveremo in questo album, ma certamente, le vere sorprese devono ancora avvenire, e arriveranno. il testo del brano tratta di una coppia prossima alla rottura, un grande divario sta nascendo tra i due, tuttavia essi tentano di mascherarlo all'esterno, creando qualcosa che non esiste, per apparire perfetti da fuori, ma è solo una fragile costruzione di qualcosa che invece si sta deteriorando da dentro. Una finzione e un camuffamento così fragile, da essere in realtà "sottile" ed evanescente come l'aria.

Ghosts
"Ghosts" (fantasmi), rappresenta quella che potrebbe definirsi la svolta "soft" dei VOLA. Il brano assume dei suoni orecchiabili, effettivamente Pop, con un bellissimo synth arpeggiato che crea un motivo molto interessante, sul quale si appoggia l'intero brano. Anche questo trova una struttura molto lineare, con un ritornello molto marcato, e molto bello. Il brano trova una particolare alchimia con la voce di Asger Mygind, che si prende il brano sotto braccio e lo eleva con il suo timbro inimitabile. L'idea del synth è freschissima, soprattutto all'interno di questo determinato contesto, e riesce a reggere un brano, insieme alla prestazione di Asger, e a un'ottimo ritornello, supportanto anch'esso dal synth, che si fa ascoltare piscevolmente, ma anche in questo caso, non gridiamo al miracolo. Tuttavia il brano si distingue per le melodie molto piacevoli, e per questa attitudine Pop, che comunque si afferma come esperimento riuscito dalla band danese, esperimento che, in forme e sfumature diverse, caratterizzerà l'album nella sua interezza, impreziosendo l'ambiziosa proposta. L'idea e la paura della morte rappresenta un tassello fisso nella mente di ognuno di noi, il brano affronta questo tema; il tentativo di scacciare questa paura e la depressione scaturita da radicamento di queste angosce nella nostra mente. È difficile avvalersi delle indicazioni di Epicuro per evitare la paura della morte; egli afferma che è inutile tale paura, perché quando si è vivi, la morte non esiste, e quando siamo morti, non siamo vivi per poter provare l'esistenza della morte.
Tuttavia l'angoscia della morte è difficile da scacciare, soprattutto se ci si perde nei pensieri labirintici di tale argomento.

Smartfriend
Con "Smartfriend" (amico intelligente) si fa sul serio. Il brano si apre con suoni distorti, con quello che sembra un effetto di bitcrusher, sostenuti da un groove di batteria frenetico e sospeso, accoppiata che crea un clima di tensione altissima. L'intro esplode in un riff Djent/groove Metal potentissimo, con un basso massiccio, devastante nella distorsione dei medi che fuoriesce dal mix in modo eclatante, un godimento assoluto. Una strofa che ritorna con i suoni distorti e sospesi dell'intro, con un cantato veloce quasi sussurrato e quasi in stile Rap, con parole veloci, che si alterna al riff Metal descritto prima. La struttura sfocia dirompente nel miglior ritornello sentito finora. Coinvolgente e fluido. Dopo il ritornello si apre una sezione da sballo, una serie di riff da headbanging puro, con tanto di breakdown, con una batteria impazzita che sembra voler rompere qualunque piatto, e il basso e le chitarre che si sovrappongono alla perfezione in un groove al limite tra il Djent e Nu Metal, tra "Meshuggah" e "Rage Against The Machine", tutto ovviamente in chiave "VOLA". Un tripudio strumentale di un'aggressività esplosiva, che poi risfocia nel ritornello finale, con tanto di harsh vocals di Asger, come ciliegina sulla torta, masterpiece. il testo si sposa perfettamente allo stile Nu del brano, con l'avanzamento tecnologico che si ribella al padrone, un po' alla Frankenstein, con l'innesto chirurgico di installazioni digitali, per la creazione di soggetti più produttivi, per una società basata sulla forza lavoro. "sono più alto dell'uomo che mi sono lasciato alle spalle"? "sono stato creato per ogni fase di lavoro nell'età dell'oro, di sposare tecnologia e mente" questi sono alcuni estratti del brano in cui vediamo il punto di vista di colui che viene creato in laboratorio per il raggiungimento della perfezione, e non posso non citare anche il ritornello, che trova un ottimo equilibrio tra testo e melodia: "questo è quello che hai fatto di me, un grosso errore, questo è quello che hai dato a me, un altro traditore" e il gran finale: "Un altro traditore, un creatore fallito". Chi gioca ad essere Dio finisce per essere sconfitto e "tradito", citando il brano stesso, dal proprio creato. Forse certe ambizioni e certi obbiettivi devono rimanere un sogno lontano, affinché non diventino un incubo.

Ruby Pool
"Ruby Pool" (piscina di rubini), è il quarto brano dell'album. In seguito alla pesantezza e l'aggressività dell'episodio precedente, dei suoni delicati, affiancati dal solito groove sincopato di batteria, con dei bellissimi accenti sullo stack, aprono il brano. Delle note di piano molto soffuse si trovano immerse in un ovattato e lontano pad, rendendo l'atmosfera molto "dreamy". Il tutto sostenuto da un interessante riff di basso, che mantiene una calda e soffice distorsione, che accompagna il brano dall'inizio alla fine. "Ruby Pool" è secondo me uno dei brani più identificativi dell'album, in quanto inquadra perfettamente la formula Dream Pop di "Applause Of A Distant Crowd", tra i suoi delicati passaggi di Synth, le comode ma complesse fondamenta ritmiche, e ultime ma non meno importanti, le solide melodie, che hanno una magia propria, totalmente alienante. Il ritornello è scalda l'atmosfera, con una progressione melodica molto coinvolgente. il testo, tra concetti astratti e visioni metaforiche, vede un gruppo di ragazzi che tentano, tramite un utilizzo eccessivo dei social media, di trovare un contatto quasi fisico tra di loro, creandosi però invece, un vuoto insostenibile intorno. "siamo i bambini soli", in inglese la frase ha sicuramente una musicalità migliore, nel brano è l'attacco del ritornello, "che cadono da questo noioso sciame di beatitudine che abbiamo dentro", potrebbe far riferimento all'allontanamento dalla noia della quotidianità, e l'utilizzo del social media potrebbe essere una sorta di via di fuga, per trovare uno spazio e un nuovo mondo all'interno del digitale. La strofa vi è un'angosciante ripetizione della frase; "voglio abbassare/chinare la mia testa ora", che potrebbe riferirsi al movimento di guardare il telefono, chinando il capo verso il basso.

Alien Shivers
In "Alien Shivers" (Brividi Alieni), tornano i potenti riff di chitarre, dopo un'intro di arpeggiatori digitali e percussioni elettroniche. Un paio di battute con un duro groove Djent, e si ritorna sui suoni elettronici, con una magica interpretazione di Asger, per sfociare in un altro ritornello che è un gioiello. Potente, sia a livello di melodia, sia a livello di intensità, con suoni coinvolgenti al massimo. Interessante l'utilizzo dell'elettronica all'interno del brano, in questo caso potremmo dire che si avvicina ad uno stile che ha i suoi rimandi all'Electro Pop. Interessante la scelta dei suoni, che si mantiene sul Dreamy anche per quanto riguarda le percussioni, effettate con riverberi ed equalizzate in modo leggermente ovattato, per mantenere questo misticismo come fossimo chiusi in una bolla d'acqua. Apprezzabile ancora una volta il particolare lavoro fatto a livello di missaggio, per non ricercare la massima pulizia dei suoni, soprattutto a livello di frequenze tagliate, nonostante ciò, il bilanciamento dei vari strumenti risulta sempre molto piacevole ed equilibrato. Il brano, a detta della band, è il primo scritto per questo album, e vuole in qualche modo essere un ponte, tra il vecchio e il nuovo, si trovano di fatto tracce del passato, e visioni del futuro. Il testo vede una relazione di amicizia, minata da "un'atrocità" commessa da uno dei due, non è dato sapere con precisione i dettagli dell'accaduto, Asger addirittura utilizza il termine "attacco terroristico" da parte di un personaggio nei confronti dell'altro. Si parla di distruzione di un rapporto, di un confronto che ha ucciso la "perfezione". Il punto di vista, dovrebbe essere quello di colui che è sopravvissuto dopo tale attacco, e cerca in qualche modo di rimettere insieme i pezzi per capire cosa non andava, e per cercare di dare un senso alle sue azioni.

Vertigo
Un suono ancestrale, profondo, ci colpisce lentamente, ci prende e ci accoglie, trascinandoci in un abisso pressante di tristezza solida e materica, tangibile. L'atmosfera si addensa improvvisamente, e si concentra stringendosi addosso a noi, l'ascoltatore d'un tratto, si trova immerso in un mantello avvolgente di nostalgia e depressione, un peso si genera nel petto. Qui la voce di Asger è uno spettro, che ci comunica sensazioni da un altro universo, eppure è così vicina, e in qualche modo così distante. Posso provare a descrivervi cosa si prova quando le gelide note di piano cadono come massi, come grandine sulla nostra fragile pelle, sovrapponendosi all'arpeggio Ambient di chitarra, ma non credo sia necessario, l'esperienza è totalmente uditiva, ma si fa quasi sinestetica. "Vertigo" (vertigine), sesto brano dell'album, è un autentico capolavoro, un buco nero che risucchia le emozioni e lascia un vuoto incolmabile dentro di noi. La bellezza e la pesantezza emotiva del brano è praticamente impareggiabile, mai un brano privo di percussioni è riuscito a colpirmi e travolgermi in questo modo, il raggiungimento massimo comunicativo dei "VOLA", è riscontrabile in "Vertigo". L'apice, il momento in cui la melodia diventa polifonia, con circa 5 voci sovrapposte, che si armonizzano in tempi diversi, creando un tessuto melodico che fa venire i brividi. La prestazione di "Asger" in questo brano raggiunge un valore interpretativo senza precedenti all'interno dell'album, e probabilmente, della sua intera carriera. "non aver paura di questo ricordo", il brano tratta il breakdown psicologico dovuto ad una rottura, sensazione perfettamente disegnata anche solo dalla strumentale. I pensieri del soggetto ricorrono verso il vuoto lasciato da tale rottura e sul ricordo del partner che ritorna continuamente. "il tuo ritratto è una linea retta verso la vertigine". Bellissimo l'utilizzo della sensazione delle vertigini, e la memoria del volto dell'individuo come un ritratto, una poetica metaforica che rispecchia e ritrae una condizione psicologica distrutta da tale rottura.

Still
Un netto cambiamento segna il passaggio dalla precedente "Vertigo", a "Still" (Ancora), un pattern metrico vocale molto particolare, a cappella ma solo per pochi secondi; subito dopo una chitarra inaspettatamente aggressiva, effettata in modo da sembrare distante, accompagna la solitaria voce di Asger, per esplodere in una strofa carica di energia, con l'aggiungersi degli altri strumenti, si torna dunque, su ritmi intensi e dinamici. Il brano ha numerose variazioni al suo interno, tra cui un bel ritornello accompagnato da un synth che parte dalla stessa idea di "Ghosts", secondo brano dell'album, un po' alla "Bring Me The Horizon", paragone decisamente azzardato, o alla "Architects" degli ultimissimi periodi, per quanto riguarda il lavoro di alcuni particolari "lead synth", il paragone è accettabile, almeno per come la vedo io, poi ovviamente il resto del sound e dello stile centra poco o niente con i due gruppi citati. Un sognante, ma allo stesso tempo potente bridge, ci lascia un po'sospesi, con accordi di attesa, e subito dopo ci catapultiamo nell'ultimo ritornello, con un magnifico attacco di solo voce, e come per l'inizio del brano, l'entrata netta, a valanga, di tutti gli strumenti a guidare la cavalcata del carico ritornello finale. Il brano affronta la paura di attacchi terroristici mentre si è in una grande città, la paura di trovarsi in certe posizioni e località importanti che potrebbero essere soggette a questo tipo di attacchi. "Still" è un brano che si ascolta senza particolare sbalordimento, un ritornello come al solito molto piacevole, una strumentale in pieno stile "VOLA", forse qui quello che manca, è un pizzico di quell'ingrediente segreto, quelo velo di Dream Pop, quelle atmosfere rarefatte e sognanti, che portano altri brani dell'album ad un livello nettamente superiore.

Applause of a Distant Crowd
Dopo un brano che forse non ci convince a pieno, dalla title track dell'album ci si aspetta molto. "Applause Of A Distant Crowd" (Applausi da una folla lontana), è uno di quei brani, uno di quelli che prende le redini dell'intero album e lo porta in alto, nell'olimpo di quegli album belli, da ascoltare e riascoltare, questo brano, è un capolavoro, sicuramente, tra i migliori dell'album. Un riff di chitarra effettato; sembra di stare sottacqua e sentire qualche rumore provenire da fuori, distante, oltre la superfice dell'acqua. Il riff si avvicina e improvvisamente, le chitarre diventano vivide, ci esplodono in faccia portando movimento ed energia. Bellissimo il dinamismo ritmico e melodico del primo riff del brano. Bellissimo anche l'attacco della strofa, in cui il riff ritorna effettato come all'inizio, e la voce di Asger interpreta la migliore strofa dell'album. I suoni sono a tratti caldi, ma l'atmosfera è gelida, una contraddizione musicale che fa venire i brividi, le sensazioni e i pensieri attraversano la nostra esistenza in un'esperienza magnifica. Siamo all'apice del brano, quando delle note di piano tessono una melodia che potremmo volentieri ascoltare a ripetizione, anticipando la parte principale del brano, che permette anche una struttura più azzardata e interessante, come "Smartfriend", di fatto, altro ottimo brano dell'album. Come se non bastasse, la melodia viene doppiata all'unisono da Asger, armonizzata sia con il suo solito caldo timbro dalle frequenze bassissime, sia con una traccia vocale di un paio di ottave più alta. Si crea una sezione armonica pazzesca, potenziata da una sorta di polifonia vocale, con frasi che si sovrappongono e s'intrecciano l'un l'altra andando a tessere la melodia, con le note di piano incastonate come gioielli all'interno di questo tunnel di voci.
La sezione esplode sfociando nella versione potente della melodia di piano, con chitarre batteria e basso, con una carica travolgente, consegnandoci la coda del brano, con una ritmica super coinvolgente guidata da focosi palm mute di chitarra, e dalla voce di Asger, che stavolta, carico al massimo, ripropone la stessa melodia, ancora in una salsa differente. Tre minuti conclusivi di puro splendore. Il testo riaffronta i temi di una rottura, già trattati nella profonda "Vertigo". L'assenza lascia un vuoto che sembra incolmabile, riprendendo gli argomenti di "Ruby Pool", il brano riaffronta i social media, come apparente soluzione al vuoto causato dalla rottura. Il brano sembra voler in qualche modo, passare un po' per tutti i temi trattati dagli altri, tentando di creare una sorta di filo conduttore, forse in qualità di title track dell'album. Il ricordo della persona persa, si scontra assiduamente con la ricerca di una distrazione, attraverso il mezzo fornito dal social. "Guardami ora sto svanendo nella luce, ho fotografato il mio ultimo pasto in bianco e nero" interessantissimo il contrasto tra l'etereo astrattismo, svanire nella luce, e il realismo quotidiano, descritto con un post su Instagram o su un social in generale. Nel testo troviamo numerosi riferimenti alle inutili informazioni e distrazioni che utilizziamo come intrattenimento nei social, ad esempio, "filmare un mattino azzurro con cura e attenzione", oppure vedere video di "gatti con le scarpe". Tutto ciò per cercare di colmare, probabilmente inutilmente, l'assenza della persona con cui si condivideva ogni cosa.

Whaler
"Whaler" (Baleniera) si apre con uno dei riff più pesanti dell'album. Le chitarre creano un pattern di palm mute in stile Djent, sorrette da batteria e basso, quest'ultimo, caratterizzato dal solito suono sporco e aggressivo che gli da una definizione incredibile all'interno del mix. Il brano ha un sapore decisamente Metal, con qualche sfumatura Prog, soprattutto nei riff della strofa. Un bel ritornello sognante, accompagnato da potenti accordi di chitarra, sfocia in un riff ancora più pesante, con dei fraseggi e un groove ritmico molto interessanti, sicuramente tra i migliori riff dell'album. Il carico riff sfocia in un "bridge" mozzafiato, con le atmosfere che si distendono solo per un attimo, e le vocals raggiungono un timbro talmente basso da darci una sensazione di vibrazione. Una melodia coinvolgente di "Asger", seguita da un silenzio vertiginoso, e poi si esplode insieme a un riff che inizia a prenderci a mazzate facendo di noi la sua bambola voodoo. Dinamicità, aggressività, e melodia ci trasportano nel vivo del brano, per riconsegnarci un ultimo ritornello e un'ultima scarica di riff, gli stessi con il quale il brano era cominciato. Il brano è sicuramente uno dei più aggressivi e movimentati dell'album, e i "VOLA" dimostrano ancora una volta, di essere ferrati su tali dinamiche, dopotutto, è la loro terra natia. Il brano sembra trattare di come verremo ricordati dopo la morte, in modo ansioso, sembra essere più che altro una paura. L'angoscia di ciò che si lascia di se, e ciò che verrà recepito. Colpiscono molto le frasi del "bridge", che sembrano riferisci alla consapevolezza dell'avvicinamento della morte: "questo è il gran confine, sto perdendo la presa, ogni volta".

Green Screen Mother
Profondissime note di piano accarezzano la nostra percezione, ma si fanno subito affilati pugnali di tristezza e di vuoto una volta familiarizzata la melodia. Solo tastiera e voce, per un'intimità e un silenzio disarmante. Ai livelli di "Vertigo", "Green Screen Mother" (verde schermo madre), riesce a creare un vuoto incolmabile, attraverso le melodie e l'atmosfera, la tristezza diventa nebbia umida che ci avvolge e si attacca alla nostra pelle. Poco più di due minuti per chiudere magistralmente un album particolare, che trova esperienze musicali emotivamente potenti e piacevoli, come questo episodio. Il testo rappresenta un elemento molto criptico, Asger parla in prima persona, riferendosi a questo misterioso "schermo verde", che sinceramente mi fa pensare alla superfice dell'acqua magari di un fiume o di un lago. Gli chiede se ha più visto suo fratello, il suo "immacolato altro", chiede anche se potranno raggiungersi, nella sua (della madre) soffocante paura. Nella sua astrazione questo è probabilmente uno dei testi più interessanti e belli, poeticamente parlando, non dobbiamo per forza capirne il significato nei suoi dettagli, basta godere delle sue metafore e allegorie.

Conclusioni
Siamo giunti alle conclusioni. Ci sono alcuni aspetti da trattare ad ascolto finito, perché un album che aspira ad un azzardato esperimento come questo, da una band più o meno appena avviata, almeno a livello di popolarità, è un fenomeno che non può non presentare svariate sfumature, positive o negative che siano. Sicuramente le note positive superano di gran lunga quelle negative, questo è un dato di fatto, ma ci sono anche piccoli aspetti che potevano essere trattati in modo differente, e ora ci arriviamo. Intanto c'è da dire sicuramente che l'esperimento, per quanto riguarda la formula del sound generale dell'album, come dicevo anche nell'introduzione è chiaramente riuscito. Abbiamo scoperto che nel mondo "VOLA", Progressive Metal e Dream Pop si sposano in modo decisamente particolare, ma è un accostamento interessantissimo, e possiamo affermare che funziona. Questo è un aspetto da non sottovalutare, perché ripeto, di Djent misto a Jazz, Fusion e simili ne abbiamo visti e sentiti in tutte le salse, avere invece proposte originali e interessanti è una gioia per le orecchie, quindi complimenti "VOLA". Quindi musicalmente, il risultato è raggiunto a pieni voti, strumentali interessanti da tutti i punti di vista, sia quando siamo nella fase più sognante e Elettronica, sia quando ci troviamo nelle spigolose ritmiche Metal, con riff mai banali e mai scontati. Molto belli i groove di batteria, con ritmiche complesse, l'utilizzo di tempi dispari, e un gusto particolare per l'uso dello "stack", il piccolo piatto di batteria tipicamente "stoppato"; chiuso di fatto, da un altro piatto posto sopra di esso. Il basso si è rivelato un protagonista assoluto dell'album, con i suoi medi distorti, aggressivi, che ben riescono ad uscire dal mix, in ogni passaggio, permettendo al basso di essere uno strumento ben definito e riconoscibile. Il vero protagonista forse, è proprio la voce, con un timbro particolarissimo, che si trova un posto comodissimo all'interno del sound generale. Ma è forse la particolare atmosfera, data in parte dalle melodie, in parte dalla varietà di suoni, di arpeggiatori, e synth, a fare la differenza, e a caratterizzare l'album, un album che musicalmente, ben rispecchia, secondo la mia personale visione, la sua copertina, mi suona decisamente blu, e la scelta della donna appena tuffata che infrange la superfice dell'acqua mi sembra appropriata, e molto bella. Purtroppo c'è una piccola nota negativa in "Applause Of A Distant Crowd", ovvero non sembra avere, apparentemente, un concept definito, per quanto riguarda i temi trattati e i testi. Alcuni brani hanno si, dei piccoli richiami a livello tematico, ma sembrano più che altro sensazione e riflessioni, buttate un po' li per avere qualcosa di cui scrivere. Poi in realtà i testi in sé, presi singolarmente, li trovo molto belli, poeticamente presentano belle parole, e belle metafore, ma sono alcuni temi trattati a darmi un leggero senso di superficialità. Una sottile banalità, per dei temi parecchio trattati, o comunque non affrontati in modo e profondo, avendo la durata di un solo brano per poter essere approfonditi. In un brano da quattro o cinque minuti di media, non puoi secondo me esprimere un tema, a meno che non utilizzi stratagemmi come l'astrattismo e il metaforico, intendo il riuscire a creare un'immagine, che raffiguri in qualche modo il tema trattato, anche se non comprensibile dall'ascoltatore. Il fatto dei temi non è tanto una nota negativa, o un errore, quanto un valore in più mancato, avrei decisamente gradito un bel concept, descritto dalla musica, che invece ho trovato molto coerente e omogenea nell'album, originale e riconoscibile, aiutata anche da un suono e un mixaggio personale e degno di nota. Un concept unico, anche se astratto e metaforico, avrebbe secondo me valorizzato il lavoro fatto a livello strettamente musicale, rendendo "Applause Of A Distant Crowd" dei danesi "VOLA", un album effettivamente perfetto. Nonostante questa mancanza, che potrebbe tranquillamente essere semplicemente un mio personale chiodo fisso, l'album si guadagna comunque la votazione di otto e mezzo su dieci, per tutti i motivi che ho già spiegato. Sicuramente la musica ha un'importanza maggiore dei testi, soprattutto in questo caso, in cui è protagonista di un'interessantissima sperimentazione di miscuglio di generi. In generale gradisco maggiormente un'opera che sia strutturata con un'idea unica, che non per forza segua una linearità, ma che segua un concetto logico, nonostante un album, sia un contenitore di più brani musicali, dunque strutturato in più parti.

2) Ghosts
3) Smartfriend
4) Ruby Pool
5) Alien Shivers
6) Vertigo
7) Still
8) Applause of a Distant Crowd
9) Whaler
10) Green Screen Mother


