VOIVOD

Rrröööaaarrr

1986 - Noise Records

A CURA DI
LORENZO MORTAI
05/01/2016
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione Recensione

Dopo un esordio avvenuto nel 1984 davvero col botto grazie a War and Pain, i Voivod erano agli inizi degli anni 80 già sulla cresta dell'onda, pronti ad incendiare il mondo con la loro musica. Come ho ripetuto più volte nel corso di questi ultimi anni, il Canada non finirà mai di stupirmi; in parte perché è un paese pregno di cultura e dove si vive abbastanza bene, in parte invece non finirà mai di sorprendermi la positiva follia che aleggia nelle formazioni musicali che provengono da questo paese apparentemente così freddo ed inospitale (signori, i Rush sono canadesi, ed ho detto tutto).Le linee musicali di questo glaciale paese del nord mondiale continuano a stupire per genialità intrinseca e per capacità delle varie formazioni che si sono susseguite nel corso degli anni; da sempre infatti il pubblico del Canada è una mise esigente ed eterogenea di ascoltatori, anzi, di analizzatori musicali con i fiocchi, a cui dare in pasto cose che hanno sempre un sapore di epico. Qualsiasi band famosa o meno che si è ritrovata a suonare sui palchi canadesi, dalla garage band formata il giorno prima agli Iron Maiden, se leggete le loro interviste vi renderete conto da soli di quanto questo paese abbia tanto da offrire, e soprattutto rispetti la musica, in qualsiasi forma essa sia. Si passa dunque da formazioni che hanno preso di petto la musica sperimentale, come il gruppo autore di 2112 di cui parlavamo prima, e ha fatto del superamento di certi limiti imposti solo dalla fantasia il proprio cavallo di battaglia; abbiamo poi, scavando nell'adamantino mondo del metallo pesante, formazioni come i carismatici Annihilator, che da un esordio fra fuoco e fiamme con Alice in Hell, si sono man mano ritagliati un posto sempre più d'onore fra gli appassionati, seppur con alti e bassi durante gli anni di carriera. E poi, se andiamo a dissotterrare ancor di più l'ascia dell'underground, arriviamo a misconosciute formazioni come gli Entropy, di cui consiglio sempre un caldo ascolto; questi folli canadesi riescono sapientemente a mischiare fra loro un Technical Thrash con i fiocchi, marchiandolo a fuoco con linee di Death Metal, dato particolarmente da alcuni contralti di voce, e creando un sound devastante ed al contempo geniale e privo di qualsiasi logica strutturale. I Voivod si piazzano esattamente in mezzo a questi tre concetti appena espressi; negli anni la formazione di Bélanger e soci ha saputo costantemente rinnovarsi, partendo da esordi impregnati di metallo percosso fino nel midollo, ed improntando il proprio fare musica su ritmi serrati, taglienti ed ineccepibili, testi come sempre permeati di un meccanico mondo di fantasia a cui fare affidamento, ed una atmosfera di fondo degna del miglior incubo su gambe. Col passare del tempo, ed i fan di lunga data di questa formazione se ne sono certamente accorti, la band ha drasticamente cambiato il suo approccio alla musica, donando alle stampe album assai controversi (come il grande Angel Rat, di cui parleremo in seguito), ma che al contempo hanno funto da spartiacque e da barriera di collegamento fra i due lati del gruppo stesso, capaci comunque di sperimentare e spingersi sempre più in là, ma mai dimenticando le radici che li hanno generati. Come accennavo poco fa, l'esordio dei Voivod fu aspro e pesante come un mattone; War and Pain infatti racchiudeva in sé tutti quegli elementi di Speed, Thrash e Heavy che tanto sono cari al mio cuore (e anche ai vostri, spero);  era un sonoro calcio in bocca a suon di note, riff poderosi e la ormai famosa voce bassa e cavernosa di Bélanger, alias Snake. Dopo un inizio come questo dunque, il pubblico si aspettava già allora molto dalla formazione canadese, e le attese degli audiofili dell'epoca non vennero certamente deluse. Ciò che rende davvero importante in questo disco, è il significato che ha: rappresenta il punto di congiunzione fra la carriera degli anni successivi del gruppo, e tutto ciò che erano riusciti ad infilare nel primo disco; è un cardine di collegamento fra la loro voglia insana e inarrestabile di sfasciare tutto a colpi di Thrash, e la voglia invece di fare musica più eclettica e celebrale attraverso le note del Prog Metal. Rrröööaaarrr è una delle più meravigliose testimonianze che i Voivod ci abbiano lasciato, un disco capace di incantare ancora oggi dopo anni di concerti, tour e dischi nuovi pubblicati: chi segue la band dai suoi primi passi nel mondo musicale lo ritiene ancora oggi un capolavoro senza tempo, al pari di tanti altri must del Thrash, ma anche del metal in generale. Già a partire dal carismatico artwork, disegnato come sempre dal batterista Away, autore di molti artwork del gruppo; quel carrarmato sormontato da un mefitico teschio grigio, il tutto contornato da borchie, spine e spunzoni che escono dal suo metallico corpo, con in alto ed in bella vista il logo della band. Subito sotto al mezzo tecnologico, quasi da film post-apocalittico, troviamo il titolo dell'album scritto con caratteri grezzi e graffiati, come se le unghie fatte d'acciaio di questa creatura abbiano lasciato davvero il proprio segno sulla copertina del vinile, e volesse uscire da essa per ghermirci come prede. Un esempio di quello che i Voivod facevano nella prima parte di carriera, ed un enorme seguito di quell'esordio che portò vero e proprio scompiglio fra gli appassionati, ma alzando ancor di più l'asticella della difficoltà. I preamboli sono finiti, il mostro è pronto a mangiarci, e possiamo già sentire il suo ruggito non appena infiliamo il disco sul piatto e la puntina comincia a solcare quei neri cerchi.

Korgull the Exterminator

Parlavamo nell'introduzione di quanto in questo secondo lavoro la band abbia improntato il suo comporre su linee complesse ed articolate, ma senza dimenticare la base da cui provengono, e già dalla prima traccia dell'album, Korgull the Exterminator (Korgull Lo Sterminatore), potete avere un'idea di cosa stia parlando. Si marcia fin da subito su un cacofonico mix di chitarra, basso e batteria in sottofondo, che man mano aumenta fino all'incedere totale del pezzo e del resto della strumentazione, seguito a ruota dalla voce rauca e gutturale di Snake, che inizia fin dal suo ingresso ad aggredirci con ritmi incalzanti e fuori di testa. Il brano procede con questa violenza ritmica ed al tempo stesso piena di rumore per quasi tutto l'ascolto, facendoci sanguinare le orecchie. La sperimentazione di fondo qui è riconoscibile nella completa destrutturazione che la band ha voluto fare del proprio brano, inserendo partiture e ritmi che presi singolarmente non c'entrano niente l'un con l'altro, ma messi insieme danno vita ad un caos ordinato e distruttivo all'ennesima potenza. Si passa da poderose rullate di batteria alle linee vocali che vengono accompagnate dagli intrecci di chitarra e dalle slappate di basso, le quali man mano che procediamo nell'ascolto diventano sempre più aggressive e pesanti, fin quasi a voler prendere vita nelle nostre orecchie. Verso la metà della traccia trova anche posto un meraviglioso solo di chitarra, eseguito su scale possenti e veloci, salendo e scendendo il manico con tutta la forza possibile. Dopo un brusco stop, in cui sembra quasi che il brano sia finito, i nostri canadesi ci concedono un piccolo silenzio prima di ricominciare a martellarci la testa con il loro ritmo preso direttamente dall'inferno; la cosa interessante è che dentro a questo pentolone di note ci sentiamo di tutto, dalle meccaniche quasi Prog, date da alcuni tempi dispari delle pelli, al metal classico di scuola americana, che possiamo apprezzare nei soli di chitarra ed in alcune linee di basso, ma anche, se vogliamo spingerci più in la, alcuni grezzi elementi presi dalla nascente ondata di Metal estremo, che di lì a poco avrebbe preso piede sempre più, sia in Sudamerica, che in Nord Europa ovviamente. Tutto questo però viene orchestrato in maniera egregia dai componenti, facendoci arrivare a fine brano con il fiatone ed il sudore sulla fronte, ma fieri di avercela fatta. Il pezzo in sé è un vero e proprio combattimento fra le nostre orecchie e gli strumenti dei Voivod; i ritmi cacofonici e claustrofobici che conosciamo, qui si esprimono in tutta la loro potenza, come se stessimo ascoltando la canzone in una stanza senza porte ne finestre, dalla quale non è possibile uscire; la musica di sottofondo ovviamente serve a dare ancora più potere al testo, un testo che ci parla di Korgull, un essere che vuole conquistare il mondo a colpi di sangue, violenza e distruzione, e ciò che risulta incredibile è che mentre ascoltiamo questi ritmi così assordanti, ci pare davvero di vedere questa creatura infernale marciare verso di noi con fare demoniaco, pronto ad eliminare chiunque tenti di fermarlo; lo sterminatore arriverà col suo carico di dolore, e morte e distruzione porterà la sua venuta. Nessuno si salverà dalla sua furia, egli è la creatura più pericolosa dell'universo, niente si può frapporre fra lui e la vittoria, come niente può impedirgli di fare quel che vuole. La musica che riescono a sfoderare i nostri sperimentatori, ben si fonde con l'argomento di base che sentiamo nelle liriche, quei ritmi così chiusi e ferrei, quasi da marcia militare, ci fanno subito pensare alla venuta di questo demonio, che con fare da conquistatore, anzi, da sterminatore, cammina sulla nostra terra completamente coperto del sangue che hanno spruzzato le sue vittime, noncurante di ciò che ha intorno. Nonostante però la canzone in sé sia pregna di violenza musicale, i canadesi riescono ugualmente ad inserire al suo interno riff complessi ed elaborati, facendoci oscillare come in un pendolo fra luce e buio. 

Fuck off and Die

Di guerra e morte si parla anche nella traccia successiva, Fuck off and Die (Fottiti e Muori), un altro brano al vetriolo in cui le mani del compianto Piggy (per l'anagrafe Denis D'amour, scomparso nel 2005, e vera icona del metal per la sua perseveranza nel portare avanti il progetto Voivod fino alla fine) si muovono forsennatamente sulla scala della chitarra, regalandoci riff acidi e grezzi, ma anche scale di toni complesse ed elaborate, in puro stile Prog. L'intro del brano è affidato ad un altro ritmo martellante di chitarra e batteria, a cui poco dopo si aggiunge la voce, grezza e vetrosa, che ci colpisce dritto in faccia. L'assestamento del brano continua su questo andante per i primi minuti, con la sei corde che, dal ritmo iniziale, inanella alcune combo di power chords qui e là, e la batteria che passa da un ritmo ossessivo ad alcuni controtempi, battendo sulle pelli come un matto. La voce è in perfetto sincro con il resto della strumentazione, donando all'intero brano ancora più energia da spendere e spararci in faccia. Nel secondo blocco del brano, quasi sul finale, segnalato da un brusco cambio di tempo delle pelli, la chitarra ci delizia con un assolo in tapping e saliscendi sul proprio manico, con in contralto la batteria che, pestando duro sull'acceleratore, da linfa alla durezza di questo momento. Un altro cambio di tempo che arriva senza avvertire, e di nuovo ci troviamo nella mischia del suono udito nell'incipit di canzone, un ritmo da marcia guerrigliero e costante che ci fa scoppiare i timpani. Questo ultimo cambio di intrecci ci accompagna per gli ultimi secondi di canzone, in cui Bélanger sfoga le ultime risorse rimaste abbassando leggermente il tono della propria ugola, e donandoci un comparto vocale da inferno dantesco. Gli intrecci che si creano durante l'ascolto di questa traccia sono assai ramificati, e vanno ad attingere a quella capacità che questo gruppo ha sempre avuto (compreso nei dischi successivi al cambio di sound) di andare letteralmente a scavare fra le pieghe della musica, ricercando, analizzando e proponendo al pubblico meccaniche sempre diverse. Una delle peculiarità più importanti di questa band infatti, è proprio la sua capacità di riuscire senza problemi ad accostare il testo della canzone alla musica di sottofondo, dando letteralmente vita alle parole del cantante, e facendoci viaggiare con la mente attraverso campi di battaglia, vicoli insanguinati, abissi infernali e quant'altro. Le liriche, così come la musica che sentiamo, sono impregnate di corse folli ai limiti della velocità che un veicolo può sostenere; ci sentiamo a bordo di una fiammante hot rod completa di teschi, ossa rotte sul parabrezza e fiamme ai lati, pronti a mangiare l'asfalto sotto di noi. Premiamo il pedale dell'acceleratore in maniera ossessiva, le marce scalano, si alzano, il motore ruggisce, e chiunque si troverà sulla nostra strada dovrà fottersi e morire, questo è il monito. Siamo guerrieri di questa highway infernale, niente può frapporsi fra noi ed il nostro obbiettivo. Il testo tuttavia è anche permeato di una folta analisi sociale da parte della band, in cui si additano come "fifoni" o privi di coscienza tutte quelle persone che pensano soltanto a ciò che hanno nel loro portafoglio, e mai agli altri; il loro sentirsi superiori a tutti quanti sarà la loro rovina alla fine, incontreranno un muro che non sapranno come valicare, oppure incontreranno noi a bordo della fiammante macchina infernale, pronti ad investirli con tutta la nostra forza bruta.

Slaughter in a Grave

Non dimentichiamoci però che fra le influenze di questo gruppo vi è anche una buona dose di Punk settantino, e lo vediamo abbastanza bene nella terza traccia, Slaughter in a Grave (Strage in una Tomba): il brano in sé è quasi simile agli altri, ma contiene al suo interno una robusta dose di Punk inglese del tipo più cattivo e marcio che possiate immaginare; lo si può evincere dalla voce di Bélanger, che in questa traccia in particolare si fa ancora più urlata e graffiante, ma anche dalla batteria di Away, che viene brutalmente deflorata a colpi di tom e grancassa , mentre la chitarra di Piggy sale e scende le scale di note con una brutalità disarmante, rendendo l'intero pezzo quasi assordante in alcuni punti. Fin dai primi minuti di ascolto infatti, l'intero comparto strumentale si assesta su un ritmo cadenzato e sincopato, con la batteria che, abbandonati per un attimo i ritmi sentiti nel precedente pezzo, preferisce colpire con il doppio pedale l'enorme cassa di fronte a lui, così come i tom, ma invece che donarci un andante aggressivo e ricolmo di marciume, come era accaduto per lo slot appena finito, ci regala un ritmo cattivo e diretto, ma al contempo ritmico e pulito. La voce di Denis qui, come abbiamo detto, si fa più urlata, ma abbandona anche essa i canoni che abbiamo udito in Fuck Off; il suo stile qui risulta essere dinamico e poliedrico, rendendo omaggio, con un cantato quasi recitato più che ritmato, ai grandi frontman che hanno dominato la scena Punk fino agli inizi degli anni '80; ci sentiamo Rotten, ci sentiamo Buchan e tutti gli altri, folte schiere di creste e borchie si formano nella nostra mente, li vediamo tutti lì, pronti a colpirci. Nonostante l'omaggio al Punk '77 comunque, il brano conserva la sua attitudine Thrash alla base, lo evinciamo da alcuni tempi dispari che ogni tanto compaiono da parte delle pelli, ma soprattutto dalla sei corde suonata dal grande Piggy; i saliscendi quasi cacofonici di cui parlavamo prima, appaiono agli inizi come un enorme pentolone di suoni indistinguibili, ma al secondo ascolto già capiamo che cosa il nostro compianto axeman voleva fare quando compose le linee di questo pezzo. Omaggiare in parte come già detto la scena inglese di metà anni '70, ma allo stesso tempo donare all'intera traccia un sapore di moderno, come per comunicare al pubblico "sappiamo quali sono le nostre radici di ascolto, ma sentite qua che cosa sappiamo fare adesso!". Anche qui ottimo connubio fra musica e testo della canzone: liricamente il brano si assesta sul delirio di un pazzo senza scrupoli. Ci viene descritta la sanguinaria voglia di vittime di un efferato assassino, soprattutto riusciamo a carpire la follia che aleggia nella sua malata mente. La prossima vittima gli darà nuova linfa da far scorrere nelle vene, la fisserà negli occhi, ed ella vedrà il male reincarnato in un uomo. La sua voglia di uccidere non ha eguali, egli, come un famelico lupo della fredda steppa, si aggira furtivo e scaltro fra i vicoli, in attesa di una succulenta preda da ghermire; quando l'ha trovata, squarcia la sua candida pelle, il sangue macchierà il suo viso, ma la sua opera sarà compiuta. Gli occhi dell'odio di questo ferale killer sono ricolmi di rabbia e dolore, nessuno sa esattamente come mai egli faccia certe cose, ma i crani che troviamo nel cimitero, accanto alle lacrime versate da chi le vittime le conosceva, sono lì' a ricordarci quanto questa bestia assetata sia senza remore.  La venatura di Punk che i Voivod hanno inserito nel brano, conferisce quel tocco di sadismo musicale (positivo, s'intende), che amplifica il tema del pezzo. Non è un disco facile da capire questo, tutt'altro, occorre avere un buon orecchio e un buon numero di ascolti per non fermarsi al semplicistico "che casino di suoni diversi qui!"; io stesso, negli anni, prima di apprezzarlo appieno ho dovuto riascoltarlo reiterate volte, per poterne carpire ogni più piccola sfumatura. Ciò che frega molti infatti (e questo vale anche per i dischi successivi dei Voivod), e che forse non ha mai fatto entrare questa formazione appieno nell'olimpo del Thrash e del metal in generale, è proprio l'insana e malsana (anche se in senso) dose di influenze che essi riescono a mettere insieme ad ogni disco.

Ripping Headaches

Colmo di misantropia ed odio è il quarto brano, Ripping Headaches (Mal di Testa che Seppelliscono), in cui la violenza e la denuncia al mondo si fanno sentire in tutta la loro interezza; sembra quasi infatti di assistere al delirio di uno psicopatico, la cui mente si sta pian piano avvicinando all'esplosione e alla fine, e l'unica cosa che può salvare quest'uomo, è rifugiarsi nel delirio più assoluto, cercando di trascinare anche noi assieme a lui. Fin dai primi battiti il brano è una iniezione di Thrash tecnico ed al contempo grezzo, con di nuovo un mid time di batteria e chitarra che si intersecano fra loro, come era accaduto per la traccia numero due. Questa volta però, invece che assestarsi su un andante continuo per la maggior parte del brano, la chitarra inizia a ricamare fin dai primissimi accordi, ed anche la batteria, dopo circa un minuto, da prova del suo estro producendo un ritmo tecnico e viscerale. La voce di Denis qui riprende saldamente le redini dei toni che lo hanno reso famoso; voce al vetriolo e diretta come un pugno in faccia, con un cantato che, in questo frangente, non va a ritmo con la musica per creare ancor più dinamismo. Fondamentalmente la canzone è formata da cerchi musicali che si ripetono fino alla fine, ed i nostri canadesi non aspettano altro che quello specifico cambio di tempo per spararci in faccia tutta la loro violenza. Piggy, dopo i ricami sentiti inizialmente, martella le corde fino a farle diventare incandescenti, e ci riesce in alcuni punti, dando vita ad una cacofonia assordante, esattamente come un mal di testa, picchia duro senza lasciarti andare. In tutto questo però non possiamo assolutamente dimenticarci del basso, che in questa parte di disco si sente assai, andando ad accostarsi alle pelli della batteria, donando corpo e ritmo all'intero pezzo. Prima di lasciarci completamente andare, i Voivod trovano lo spazio all'interno dell'ascolto per infilare un breve e conciso assolo di Piggy, tecnico ed aggressivo, un veloce saliscendi sul manico ed è già finito, ma anche per inserire un ultimo e devastante tempo di batteria, che ci accompagna fino alla fine dell'ascolto, in cui gli strumenti man mano iniziano a tacere, e poi il silenzio assoluto. Titolo che da fede senza dubbio all'argomento trattato; lo abbiamo già accennato all'inizio della nostra analisi di questo brano in particolare, siamo in un delirio mentre leggiamo queste liriche. I mal di testa che seppelliscono, altri non sono che le folli architettate di un pazzo senza ritegno, ed ormai senza mente, i cui pensieri vagano con il freno libero, e con la forza distruttiva di un uragano. Il nostro malcapitato delira, si dimena e fa di tutto per attirare la nostra attenzione, ma ormai è tardi, nessuno più riesce a dargli retta. La schiuma sulla sua bocca, gli occhi vitrei e lo sguardo fisso parlano chiaro; egli è pazzo, e niente può curarlo. Si sente elettricità nell'aria mentre lui si dimena, si sente la sua follia aleggiare e permeare tutto ciò su cui si poggia. Se riuscisse a liberarsi da tutte le catene che ha intorno, per non sarebbe la fine; ci salterebbe addosso senza la minima esitazione, ed altrettanto sbranerebbe la nostra carne per il puro gusto di farlo, perché la sua mente ormai è ossessionata dal mal di testa che uccide, il cervello pulsa e si dimena esattamente come lui, finché ad un certo punto non esploderà letteralmente dal suo cranio, uccidendolo all'istante. 

Horror

Continuano i Voivod con la protesta al mondo anche nel brano successivo, Horror (Orrore), che riprende quasi i ritmi sentiti in War and Pain; uno Speed/Thrash cattivo come pochi, in cui la voce non canta, ma urla al mondo il proprio disappunto e disgusto verso ciò che egli vede tutti i giorni ; è una canzone di denuncia verso gli orrori della società, verso la corruzione che sembra aleggiare costantemente sulle nostre teste,  ed è anche uno dei miei brani preferiti di tutto l'album. Si inizia con una distorta chitarra in lontananza che, man mano che procediamo verso il vero incipit del pezzo, si fa più forte ed aggressiva, fino ad entrare in scena in tutta la sua interezza. Interezza che viene resa ancora più corposa dalla batteria, che incede dopo i primi secondi insieme al basso, e poco dopo il tutto viene completato dalla voce. Il ritmo, fino dai primi vagiti, è serrato e chiuso, Speed Metal senza troppi compromessi, ma soprattutto senza freno e remore per noi ascoltatori. Ci ritroviamo a correre come disperati, mentre la doppia cassa delle pelli viene stuprata ad ogni piè sospinto che il nostro Langevin trova per donarci altra violenza. Denis, dal canto suo, assesta la propria ugola su quel tipo di vocalizzo che ormai abbiamo imparato a conoscere ed amare, puro dolore e rabbia che scaturisce dalle sue corde vocali e si riversa su di noi che, sotto al palco, andiamo in estasi per ogni nota cantata. Piggy invece, dopo essere stato l'ufficiale inizio di questo brano, percuote la sua chitarra con un ossessivo ritmo veloce e rabbioso, schiumando dalla bocca quasi mentre sta suonando. Ciò che rende, sia questo intero disco, ma in particolare questo pezzo, è anche la registrazione effettuata; non propriamente al top del livello di missaggio che si poteva ottenere nel 1986, questa registrazione così gutturale e "da garage" è in realtà una delle armi vincenti di Rrrooarrr. Ogni brano infatti, grazie a questo tappeto così grezzo di sottofondo, acquisisce una vincente arma di distruzione, rendendo l'ascolto e la riproduzione ancora più malvagi; in questa Horror, nella quale già i ritmi scelti sono decisamente fuori dagli schemi ed invasi dal male, tutto questo non fa altro che essere più accentuato, rendendolo un brano di cui non ci si può non innamorare al primo ascolto. Da sottolineare anche l'esplosione gargantuesca che abbiamo nell'ultima parte di pezzo, prima del blocco che ci porta al finale; con un cambio della batteria, la chitarra implode e tira fuori un veloce e sporco assolo, aiutata dalle pelli. Solo che dura nuovamente una manciata di secondi, ma che da una scudisciata netta e dolorosa alla nostra schiena; veniamo poi traghettati al finale dal ritmo che conosciamo bene dall'inizio dell'ascolto, dissolvenza, poi il silenzio. Si parla di orrore si, ma quale? Quello che, come abbiamo accennato all'inizio, vediamo ogni giorno che apriamo gli occhi. Morte, violenza, distruzione ed accaparramento di tutto ciò che possiamo prendere, sono ormai i fili che tengono insieme questo mondo; i Voivod, stanchi di tutto questo, decidono di tornare nella loro fredda e meccanica Morgoth, dove, nonostante la desolazione che si ritrovano intorno, l'orrore non c'è. Qualcuno citerebbe Apocalypse Now, anzi, Cuore di Tenebra (facendo riferimento al libro originale) per questo pezzo, e non è un accostamento sbagliato; la nostra mente, i nostri occhi, le nostre mani, sono tutte, indistintamente, macchiate di sangue umano. Vuoi per la nostra negligenza, vuoi per essere divenuti ignavi a qualsiasi scelta da operare, o vuoi semplicemente perché nonostante tutto ancora quando chiudiamo la porta di casa ci sentiamo tranquilli senza pensare a cosa abbiamo intorno, ma rimane il fatto che tutti noi abbiamo in testa un pezzettino di orrore, e soprattutto la responsabilità di quanto esso sia ormai il manto che avvolge il mondo.

Thrashing Rage

Ritorniamo invece al tema della violenza e del sangue con Thrashing Rage (Rabbia Thrash) , pezzo che inizia con una batteria che pare letteralmente una mitragliatrice da guerra, accompagnata da una scala di chitarra semplice , ma efficace. Dopo i primi secondi di mitragliata batteristica, il pezzo esplode letteralmente nelle nostre orecchie con innata cattiveria; si assesta su un ritmo Thrash, diretto ed incisivo, e la voce per una volta non entra subito, ma dopo un po', per darci il tempo di gustarci tutto ciò che sentiamo da parte degli strumenti. Piggy ritorna sulle sue scale aggressive e rabbiose di chitarra, dando vita ad un sound che letteralmente ci prende a calci nei denti. Della batteria, beh, poco da dire; come nei primi due slot di questo brano, rullante e doppio pedale la fanno da padrone, pestando duro su ogni nota che ci viene propinata, e noi non possiamo fare altro che stare lì a prendere botte per tutto l'ascolto. Bélanger invece sceglie nuovamente una impronta vocale dinamica e rocciosa, assestandosi sul filo della violenza più pregna e devastante. Procediamo così nell'ascolto alternando il leitmotiv che fa da colonna portante al brano, questo sapiente connubio di chitarra e batteria, ad alcuni sprazzi di assolo della sei corde, specialmente nella seconda parte, ed anche alcuni cambi di tempo delle pelli, che danno gusto e verve in più a tutta la traccia. Un brano che, con i suoi quasi cinque minuti di durate, spreme fino all'ultima goccia l'attitudine di questo ragazzi nel fare Thrash Metal; sentiamo qui prevalentemente la scuola europea più che americana, specialmente nei tempi della batteria. In più, lo stesso discorso che abbiamo fatto per il precedente slot riguardo la registrazione, anche qui si ripete. Il ritmo ossessivo unito al missaggio grezzo e con pochi fronzoli, danno assolutamente fede al titolo, la rabbia, la rabbia è il valore portante di questo parte d'album, e ci viene propinata senza troppi indugi. Le liriche invece, come la musica del resto, si palesano di fronte ai nostri parlandoci di vendetta, desiderio di uccidere, e del vero inferno che tutti noi vediamo ogniqualvolta apriamo gli occhi, il mondo. Ci viene descritto il caos che ogni giorno vediamo, come nel pezzo appena finito, ma stavolta, invece che voler fuggire nella fredda e steampunk Morgoth, ci arrabbiamo; sentiamo il sangue che pulsa letteralmente nelle vene, facendo montare il desiderio di vendetta e rabbia nei confronti di coloro che hanno causato tanto male al mondo. Ci sentiamo come guerrieri in forze ad un esercito di cani famelici, pronti a sottomettere tutti quelli che vessano il mondo con la propria tirannia. E' interessante vedere come, alla fine dei discorsi, le liriche di questo abum ruotino sempre attorno ai soliti argomenti; sarà stata probabilmente la giovane età dei componenti a causare questa ripetizione, ma io ritengo personalmente che fosse più la rabbiosità giovanile a parlare per loro. Del resto, se si va ad osservare, qualsiasi, o quasi, disco Thrash degli esordi di una qualsiasi band, ha le proprie liriche letteralmente colanti di tutto quello che un ragazzo di neanche vent'anni odia, e cioè tutto (basti pensare ad un Kill'Em All o a un Fistful of Metal). La giovane età fa si che si riescano a produrre testi come questi, in cui il concetto di pudore o vergogna viene messo in secondo piano, anzi, letteralmente accantonato, per fare spazio e dare voce all'analisi fredda e scanzonata che può dare un ragazzo in età post-adolescenziale. 

The Helldriver

Motori e potenza invece albergano nella settima traccia, The Helldriver (Il Guidatore Infernale), un mix di Speed, Thrash e qualche venatura di Prog qua e là che ci fa letteralmente correre con la mente, come se fossimo alla guida di una Dodge Challengher lanciati a velocità folle su una autostrada dritta come un fuso, macinando chilometri e fondendo il contagiri dell'auto. Il pezzo infatti inizia con la chitarra che letteralmente simula l'accensione di un motore, seguita poi a ruota da batteria e voce, che entrano quasi subito sulla scena, ed iniziano a martellare. Il brano prende una piega sperimentale fin dai primi accordi, donandoci uno Speed/Prog, se lo possiamo definire così, che ci suona apparentemente strano e senza senso in testa, ma che risulta invece essere accattivante e totalmente fuori di testa. Tempi dispari, chitarre distorte, batteria aggressiva e momenti di pura cattiveria sono l'arma vincente di Helldriver, in cui si cerca, dopo diversi brani che avevano la violenza senza quartiere come colonna, di tornare agli esordi dell'album, inserendo partiture e momenti di pura estasi sonora, nel più lineare e controverso stile dei Voivod. Anche la voce di Denis qui, pur conservando la propria matrice oscura, si fa leggermente più tecnica, dando il ritmo ed accostandosi agli strumenti, a differenza di quanto fatto fino ad ora. Piggy invece abbandona per un attimo le proprie radici Thrash, per assestarsi su un Heavy/Speed venato di Progressive, tecnica sopraffina, dita veloci ed assoli che, rispetto a tanti altri brani, risultano essere articolati e nettamente più lunghi, specialmente nella parte centrale del brano. Il pezzo ci trasborda alla propria fine con questo ossessivo ritmo che ci percuote la scatola cranica, inframezzato dagli sprazzi compositivi di matrice sperimentale che abbiamo accennato prima; è un pezzo che, come il proprio titolo, ti fa correre e vedere le fiamme muoversi attorno a te, avvolgere il tuo corpo e farti bruciare nell'aria come un tizzone ardente, senza freno e senza remore. Liricamente infatti, come era accaduto per Fuck Off and Die, ci troviamo nuovamente a bordo di un fiammante veicolo cromato, ma stavolta non siamo noi a guidare, è l'autista infernale che spinge il pedale del gas. Ci ritroviamo a correre sulla strada del male, il nostro coiffeur si fa sempre più ricolmo di odio, la sua faccia non ha occhi, solo saettanti bande di fiamme che sprizzano da quel vacuo sguardo, eppure egli continua a fissarci come se ci conoscesse e sapesse cosa vogliamo. La corsa prosegue senza sosta, andiamo avanti, e più proseguiamo, più la paura che ci attanagliava all'inizio man mano va scemando, lasciando il posto alla fetida ed accomodante adrenalina. E sentiamo che il nostro sangue sta venendo sostituito man mano da olio e carburante, sentiamo il nostro corpo che chiede ancora più velocità, ed alla fine ci accorgiamo che il guidatore infernale non è nessun altro se non noi; un volta appresa questa scioccante verità, non ci resta che mandare tutto al diavolo, dare ancora più gas fino quasi a sfondarsi la gamba, e proseguire sciogliendo l'asfalto con la nostra macchina, direzione libertà più assoluta. 

Build Your Weapons

 Si ritorna nuovamente al tema della guerra , della violenza e delle armi , con la traccia seguente, Build Your Weapons (Costruisci le tue Armi) (il tema della guerra come avete potuto vedere, è molto frequente nei testi dei Voivod, basti solo guardare la copertina stessa di Rrroooaarr, un carroarmato in stile quasi da graphic novel, che minaccioso avanza sul terreno); anche qui ritornano a farsi sentire le influenze Punk, quasi a voler sottolineare la drammaticità e l'orrore di ciò che viene raccontato nella canzone. Un annuncio gutturale ed infernale da parte di Denis fa partire il brano, semplicemente ripetendo il titolo del pezzo; ad esso si aggiunge, in concomitanza con una fragorosa risata, la batteria e la chitarra. Le pelli si impostano su di un andante cadenzato e devastante, andando sempre di controtempi ed improvvisazione radicale, mentre la chitarra di Piggy squilla e scalpita come una dannata, le corde si infuocano e le note che escono risultano essere fin da subito incisive e devastanti. Non perde tempo a palesarsi anche il basso, che in concomitanza con la batteria fa il suo ingresso sulla scena, percuotendo le corde spesse del proprio strumento e dando il tempo agli altri membri. Dopo un incipit così acido e splendente al tempo stesso, lo slot si continua a gonfiare finché c'è energia da spendere, ed ogni singola nota che viene prodotta diventa un distillato di violenza e dissacrazione senza scampo né tantomeno limite; ogni membro picchia il proprio strumento con tutta la forza che ha, e in questa apparente dose di rumore nero, bianco e claustrofobico, riusciamo a distinguere i ricami da parte di Piggy, che quando meno ce lo aspettiamo inserisce nel suo braccio dita veloci e scale altezzose, e mai banali al tempo stesso, come per segnalare che questi ragazzi non sanno solo produrre un rumore assordante. Nuovamente troviamo svariate influenze anche in questa penultima traccia: passiamo come se fossimo in un viaggio immaginario dalle grezze ed acide note del Punk anni '70 (voce e chitarra base) ad alcune venature Prog, date dalle percussioni, a qualche elemento di Heavy classico che troviamo negli intrecci della sei corde, pronta a sfogarsi su di noi. Trova spazio anche, nel blocco centrale, un assolo di stampo quasi Noise/Heavy, con le note a pioggia che cadono sull'ascoltatore, supportate dalla rauca voce di Bélanger; si ha quasi la sensazione di trovarsi all'interno di un epico scontro a fuoco mentre udiamo questa traccia, con Denis in primo piano che, come un ferreo sergente, impartisce gli ordini alle proprie truppe della morte. Tempo di altrettante rullate di batteria ed altri sprazzi folli da parte della chitarra, ed una lunga dissolvenza piano piano fa morire il brano, lasciando solo in sottofondo il rumore degli amplificatori accesi con lo strumento vicino, quasi una tecnica anni '60, estrapolata dai primordi dell'Hard Rock. Si parla ovviamente, come detto molte righe fa, di guerra, ma in questo caso viene vista più come un invito a scendere nella mischia e sporcarsi le mani; dato che il conflitto mondiale in corso non è auspicabile possa fermarsi da solo, i Voivod ci invitano ad assemblare la nostra arma perfetta, scendere in campo e combattere fino alla morte. Strapperemo le viscere di Dio dal cielo e le faremo cadere sulla terra, armati fino ai denti e senza paura; morte, sangue, distruzione e caos sono ciò che vediamo ogni giorno, ma adesso che ci siamo armati anche noi, sappiamo bene che cosa fare. E di colpo ci ritroviamo su un gassoso e mefitico campo di battaglia, la nostra lucente creazione letale fra le mani, pronti a far esplodere il mondo per salvarlo da lui stesso. Finché ci sarà respiro dentro il nostro petto incroceremo le armi, finché la speranza invaderà il nostro cuore, noi continueremo ad imbracciare l'arma ed andare avanti con fare da conquistatori, perché è questa la cosa giusta da fare. Possiamo anche collegare "l'arma" del titolo alla musica, volendo, cercando di vedere il punto di vista attraverso il quale "costruire la propria arma", potrebbe significare mettere in piedi la migliore musica che ci sia, al fine di spaccare i timpani e far sanguinare le teste di chi ci viene ad ascoltare, uccidendo gli stessi dei del Thrash che dall'alto del loro ossuto e corpulento trono ci guardano fieri, chiedendo altro sangue. 

To the Death!

I canadesi decidono di concludere il disco con un brano quasi evocativo ed esotericoTo the Death! (Fino Alla Morte); col suo intro lento e al tempo stesso dal sapore metallico ed acido, il brano poi è un martellante connubio di batteria dura come un sasso, una chitarra che viene letteralmente distrutta dalla sapiente mano di Piggy, e la particolare voce di Snake che, dal suo pulpito infernale, ci massacra le orecchie con frasi ingiuriose e temi scottanti. L'intro lemme e possente è affidato alla chitarra, che man mano incede con un ritmo sempre più assordante, note grezze e registrate in maniera volutamente fuori dagli schemi classici di un "bel sound" aumentano l'hype per questo intro, a cui, dopo alcuni secondi, vanno ad aggiungersi grosse parti di piatti dalle pelli ed il basso, che in questo frangente, data l'assenza per il momento della voce, si distingue bene nel fragoroso scoppiettare della parte strumentale. Denis però non si fa attendere molto, ed incede con un cantato basso e vocalizzi pieni, niente urli o strepiti in questa prima parte, solo infernali liriche che escono dalla sua bocca. Non appena il brano inizia a prendere corpo, anche la voce muta di conseguenza, tornando a quei timbri che tanto sono cari ai fan della prima parte di carriera dei Voivod, con la loro grezza resa generale; il brano muta, gonfia e scalpita man mano che i secondi procedono, ed essendo il pezzo più lungo di tutto il disco, c'è spazio per dare un ultimo colpo a noi ascoltatori le cui cuffie ormai sono in fiamme alla fine di questo disco. Trovano il giusto spazio infatti durante l'esecuzione alcuni repentini cambi da parte della batteria, che passa dalla marcia militare veloce ad un controtempo con serpentine passate sui tom e sui piatti, coadiuvate dal basso che la segue a ruota. Trovano terreno fertile  però anche alcuni passaggi interessanti di chitarra, che anche se viene relegata spesso a produrre lo stesso, devastante, ritmo, cerca sempre di distinguersi infiorettando il sound con alcune note di stampo Speed/Thrash di grande effetto, e di grande tecnica soprattutto. Trovare una definizione totale, ed in questo pezzo si evince bene, della musica prodotta da questo gruppo è compito arduo e rischioso; non è solo Thrash, non è solo Speed, e neanche solo Prog o Heavy, semplicemente, è Voivod; e come tale i  nostri canadesi, forti del successo (anche se nel 1986 ancora di nicchia) che avevano avuto con il primo album, alzano l'asticella e si permettono di produrre ritmi strani ed apparentemente senza senso. Visti così, ad un occhio inesperto o ad un orecchio non allenato, paiono solo ragazzi che vogliono fare un gran casino, ed invece è un caos controllato e tecnico fino al midollo, è questo che lo rende speciale. Per l'ultimo brano i canadesi scelgono di tornare nuovamente sul tema della guerra, ma stavolta si affronta da un'altra rifrazione, quella del "dopo"; lo scenario che ci si palesa davanti è quello del miglior film post- apocalittico. La morte aleggia ad ogni angolo che traversiamo, sentiamo ancora il sangue caldo sotto gli stivali, e le urla di migliaia di uomini morti poche ore prima, molti dei quali per una causa in cui non credevano neanche fino in fondo. Eppure, nonostante tutto questo, alziamo i calici al cielo per celebrare la loro morte, morte che prima o poi prenderà anche noi, ne siamo certi, ma fino ad allora, alzeremo le mani al cielo nel tentativo di salvare qualcosa o qualcuno. Il sangue che abbiamo strappato alle nostre vittime ci da nuova energia, ed i compagni persi durante la giornata diventeranno migliaia di scuse per vendicarsi di qualcosa che ci ha fatto male. Poco importa se non crediamo fino in fondo alla causa per cui imbracciamo il fucile, ciò che conta è sopravvivere fino alla morte del nostro corpo, solo allora potremmo arrenderci; serpeggia fra le liriche ovviamente una feroce critica al sistema militarista, quei lavaggi del cervello a cui vengono sottoposti i poveri giovani, strappati alle proprie famiglie e messi a morire per qualcosa che non ha alcun senso, ma per il quale tutti pagheranno il prezzo, prima o poi.

Conclusioni

Come ho già detto diverse righe fa, questo disco (come quasi tutta la musica dei Voivod), seppur strabordante di violenza e cacofonia musicale, non è una produzione per gente che si ferma alle apparenze, è un LP invece per palati molto fini, per coloro che sanno varcare direttamente il muro dei suoni, e carpire la vera essenza di ogni singola nota scritta da questa formazione. E' un disco che non va ascoltato una volta, e soprattutto in maniera distratta, anzi, Rrröööaaarrr è un album che va ascoltato in religioso silenzio, testi alla mano e cercando di udire ogni nota suonata. Non è il solito album Thrash Metal (come quasi nessuno del resto nella collezione dei canadesi), ma non è neanche un semplice album di musica sperimentale: si piazza esattamente in mezzo a questi due concetti, oscillando perennemente, come un antico orologio, fra ciò che i Voivod avevano fatto nell'album precedente, e quel che invece ora li guiderà sulla strada della gloria. Tutto questo poi sarà ancora più amplificato nel prossimo lavoro, ma non è questa la sede in cui parlarne. L'album dimostra senza troppi dubbi quanto i Voivod fossero seriali ascoltatori, ma soprattutto selezionatori, della musica che avevano intorno; da una terra come quella da cui provengono non ci si poteva aspettare niente di molto diverso, ed infatti fra le mani ci troviamo un disco che, per quanto non con una registrazione davvero degna di questo nome (che però aiuta il sound, come detto durante il track by track) risulta essere accattivante e soprattutto particolare, per palati decisamente esigenti e fini. Sicuramente molti storceranno il naso non appena lo sentiranno (come già molti lo avevano storto in passato quando lo sentirono), additandolo semplicemente come una accozzaglia, e neanche venuta tanto bene, di suoni così diversi fra loro che tendono ad essere stancanti dopo un po'. Un giudizio così prese molti dei ragazzi che ascoltarono l'album nel 1986, eppure, nel corso del tempo, questo, come tanti altri dischi firmati dai Voivod, è divenuto un vero e proprio culto; vuoi perché forse i nostri abitanti della terra degli aceri erano nettamente avanti con i tempi, vuoi perché certa musica ha bisogno del suo balzo temporale per essere apprezzata a dovere, vuoi tutto questo e molto di più, sta di fatto che, ad oggi, questo album viene idolatrato da folte schiere di fan. E' tecnico ed al contempo grezzo, marcio e cattivo, al suo interno trovano spazio sessioni di pura cacofonia spicciola, così come partiture e ricami estrapolate dalla musica sperimentale, fuse insieme in un unico e demoniaco ibrido musicale. Ciò che vi dico io invece è, e credetemi vi prego, che questa produzione è da tenere in larga considerazione quando ci si inizia a fare una cultura di Metal e musica alternativa in generale; moltissimi gruppi che circolano oggi si sono ispirati alle note scritte dai Voivod , ed è giusto che essi, per la genialità e l'inusualità del loro fare Metal, abbiano il giusto riconoscimento e rispetto.

1) Korgull the Exterminator
2) Fuck off and Die
3) Slaughter in a Grave
4) Ripping Headaches
5) Horror
6) Thrashing Rage
7) The Helldriver
8) Build Your Weapons
9) To the Death!
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