VOIVOD
Nothingface
1989 - MCA Records
DAVIDE CILLO
17/10/2015
Introduzione Recensione
Abbiamo affrontato, nota dopo nota, tutto ciò che i Voivod sono stati dai loro esordi fino a Dimension Hatross: parlarne è fondamentale, e ci aiuterà a capire a che punto della loro carriera arrivano i canadesi nel lavoro che sarà protagonista della recensione odierna, Nothingface del 1989. Nei loro esordi, lo straordinario quartetto ci ha proposto un sound caotico e violento, rumoroso e avvolgente, ispirandosi molto alle grandi band dell'heavy metal che tanto, si sa, formano ogni musicista del genere. I Voivod però, mentre ci immergevano nelle fredde lande della terra di Morgoth, terra post-apocalittica criptica ed accattivante creata dal batterista Away, iniziavano ad inserire delle sperimentazioni all'interno dei brani: queste innovazioni, ispirate alle scuole di cui abbiamo abbondantemente parlato nella recensione del primo album, e su cui sarebbe pleonastico tornare, si sono con il tempo evolute e unite sempre più al sound della band, che durante la sua carriera ha acquisito sempre più sicurezze (ma anche competenze). Passando per Rrroooaaarrr, che possiamo a tutti gli effetti considerare una fase di transizione, la band con Killing Technology giunge al punto di assimilare completamente tali innovazioni, fondendole al sound furioso e violento che ha sempre contraddistinto i precedenti lavori dei ragazzi. E' con "Dimension Hatross" però che i ragazzi raggiungono, perdonate il gioco di parole, una nuova dimensione: questo avviene perché i nostri si staccano definitivamente da quello che era il sound delle origini, prendendo una strada più matura ed educata, ma sempre più stravagante e ugualmente coraggiosa, con uno Snake che riesce a dare il meglio abbandonando il graffiante scream che aveva sempre adottato durante i primi anni di carriera. Anche dal punto di vista musicale la band si propone di donarci delle canzoni "più nobili", dove le sperimentazioni introdotte nei primi anni divengono un autentico marchio di fabbrica, sostituendo sempre più la parte più caotica e strettamente metallara della propria musica. Immaginatevi quindi Nothingface come un ulteriore passo in tal senso, che estremizza ancor più quanto introdotto con lo storico precedente album: sentire rapide sfuriate in alternate picking ora non sarà più ciò per cui ascolterete i Voivod, e la voce di Snake si evolverà definitivamente tramite uno stile unicamente pulito, riuscendo ad assumere sempre più colori e sfaccettature fuori da ogni riga ed esterno a qualsiasi imposto schema di "matematica" musicale; questo è il primo passo: liberare la mente. Se avete voglia di ascoltare qualsiasi cosa di già sentito, è anche inutile avventurarsi in quest'ascolto, perché non vi entusiasmerebbe e terminereste con il criticarlo ingiustamente. Questa è oramai a tutti gli effetti la cosiddetta "musica colta", quindi di sponda progressive, questi sono lavori che vanno compresi e capiti con apertura mentale e senza pregiudizio alcuno. Anzi, per la verità, qui i Voivod si avvicinano particolarmente all'affacciarsi ad una realtà sonora a tratti quasi melodica e cantabile, quasi con potenzialità commerciali, se non fosse che questo viene poi amalgamato a tutta la stravagante follia per cui noi presenti ci troviamo ad ascoltare (ma soprattutto ad amare) i canadesi come abbiamo fatto con poche altre band nella storia. Per il rilascio di questo full-length la band riceve il budget più alto della propria carriera fino a quel momento, ottenendo dalla MCA Records la possibilità di lavorare all'album con ogni modo di esprimere tutte le proprie potenzialità. L'etichetta californiana, ben nota per aver rilasciato numerosi lavori dei Budgie (ricordate la storia della nascita dei Metallica?), Flotsam and Jetsam, Diamond Head, Keel, Tygers of Pan Tang e altri, fra cui lo storico "Eternal Nightmare" dei Vio-Lence, offre quindi prospettive ben maggiori rispetto a quanto fatto dalla Maze Music un solo anno addietro. E' così che si giunge a quello che è per i Voivod il periodo di maggiore notorietà in assoluto, il picco del percorso creativo e storico, con l'album che arriva addirittura ad occupare il 114° posto della classifica Billboard 200, proponendo spunti artistici unici ed ineguagliabili ancora ad oggi (ma si immagina per molto tempo) nella storia della musica. Se siete pronti ad ascoltare un lavoro che sia più bello piuttosto che "metallaro", più coraggioso piuttosto che già sentito, e più complesso piuttosto che di facile ascolto e apprezzamento, allora siete sul piede giusto: raggiunti i presupposti, ci si può allora immergere nei meandri di questi 44 minuti di ascolto per nove tracce, dove il nostro classico track by track potrà, simultaneamente alla musica (e certamente grazie a quest'ultima), lasciarvi con il fiato sospeso sin dal primo suono... che dire, buon ascolto allora!
The Unknown Knows
Le danze sono aperte da The Unknown Knows, che gode di un cupo intro della durata di quasi un minuto: la parte comincia quasi impercettibile, per poi salire in un fade-in che ci imbocca bruscamente ai geniali riff di Piggy sin da subito affiancati al nostro Snake. La parte segue una ritmica altalenante e frammentata, mettendoci in mostra una serie di riff stravaganti ed imprevedibili. Il vocalist, con una voce che come detto nell'introduzione si rivela essere pulita al 100%, anima ogni singola nota di chitarra nella maniera che l'ascoltatore mai si aspetterebbe, rivelando un costante dinamismo che rende l'ascolto appetibile non a tutti, ma certamente tanto accattivante quanto spettacolare per chi è pronto ad un album di questo tipo. A metà del brano assistiamo alla scelta di inserire un bridge violento, che strizza l'occhio alle origini più thrash metal della band, al punto che anche la voce di Snake sceglie di divenire un parlato un po' graffiato. Non temete, terminato questo breve bridge la band tornerà alla sua spensierata follia, ed esemplari sono a tal proposito gli acuti accordi che conducono l'ascolto di questa traccia alla sua fase finale: quest'ultima avviene utilizzando la tecnica del fade-out, probabilmente per richiamare all'introduzione che aveva attinto alla medesima sfumatura, scelta opportuna e azzeccata, oltre che ben studiata in fase di produzione. Oltre che musicale, l'evoluzione della band è anche lirica, e questo emergerà tantissimo in questo full che abbiamo cominciato ad analizzare. Qui il testo, come moltissimi altri di cui vi parleremo, è fortemente astratto e dai mastodontici connotati filosofici, proprio come da scuola progressive. Nel racconto si parla dell'universo e della sua materia, della realtà che noi affrontiamo ogni giorno e ciò che ci circonda. In un'analisi più sincera che scientifica, il protagonista scava nel suo pensiero riguardante l'esistenza della materia: l'universo viene qui descritto come animato, in costante movimento, e gli avvenimenti del nostro mondo si rivelano per essere sorprendentemente aleatori nella loro interezza. Tuttavia, non viene escluso nulla dal punto di vista teologico, anzi ci si appella ad una coscienza superiore per ricevere un'illuminazione sulla reale entità della realtà, anche se a questo si affianca la simultanea consapevolezza che il nostro personale ruolo è rivestito di irrilevanza assoluta, constatata l'immensità delle leggi e degli schemi naturali.
Nothingface
Di stampo simile è la bellissima Nothingface, anche se l'argomento trattato è assolutamente differente. La canzone ci narra di un viaggio interiore alla propria personalità, affrontandone forze ma soprattutto limiti. La personalità è ciò che ci contraddistingue, e che ci porta a manifestare desideri e volontà. La mente, reale protagonista della traccia, è invece ciò che ci permette di manifestare il nostro essere deontico. La volontà è quella di raggiungere uno stato di isolamento totale, abbandonandosi ad una nuova dimensione immersa nel sogno, inteso come la manifestazione opposta del reale, con tutti i segreti e le misteriose emozioni che una cosa di questo tipo potrebbe trascinare. Questo utopistico intento è perlopiù irraggiungibile per ciò che è umano, dato che avrebbe come presupposto la sconnessione stessa della nostra materia grigia, che si impone come una schematica gabbia che tiene saldi il nostro essere e il nostro agire. Permane però l'intento, rimasto sospeso, di elevarsi ad una nuova realtà mai sperimentata prima. Il brano si apre con degli scanditi power chord di natura primo-avanguardistica (come era accaduto per War and Pain, di cui vi rimando a leggere la nostra analisi approfondita), supportati prontamente dalla folle linea vocale di Snake, che mantiene spesso e volentieri la stessa nota per donare compattezza e resistenza al brano dal punto di vista concettuale. Non mancano però le accelerazioni, con il brano che spesso e volentieri riesce ad irrompere nella breccia della sua lentezza riuscendo a mostrarsi efficace con un'anima che è allo stesso tempo " pungente" e "musicalmente godibile". La parte conclusiva invece è, con una parola, espressione autentica e sincera della pazzia di questi ragazzi nel più sincero momento di ispirazione compositiva. Più rapida e segmentata, più tecnica e articolata, la sezione che ascoltiamo mette in mostra i lati più progressive della band. Ultima constatazione necessaria: il ritornello, contraddistinto dall'arpeggio distorto e dalla più melodica linearità della voce di Snake, è semplicemente spettacolare, servendoci un piatto dall'immenso gusto che merita di dare il nome ad un album unico come questo.
Astronomy Domine
Il terzo capitolo di questo lavoro è quello che forse non vi aspettereste, ma che finisce per stupirvi più di qualunque altra cosa. Qui i Voivod si cimentano in nientemeno che Astronomy Domine, uno degli immortali pezzi che ha scritto la storia della musica, pura espressione della genialità di un uomo di nome Syd Barrett e di una band, i Pink Floyd, alle loro origini. Se vi aspettate una di quelle cover senza personalità, cosa che escludo, vuol dire che non avete ben presente chi sono questi quattro ragazzi canadesi. Nel brano i nostri riescono perfettamente a carpire ogni segreto della storica band britannica, sapendo cosa riportare fedelmente e cosa invece stravolgere. I nostri fanno respirare musica vera, musica autentica, musica allo stato puro e senza confini. Se i frangenti più progressive rock, psichedelici e classici, sono riportati con valore assoluto, quelli più colorabili e personalizzati sono modificati al punto giusto, riuscendo a raggiungere un obiettivo impossibile: realizzare una cover che non viene sminuita, ma anzi, addirittura valorizzata, se affiancata alla canzone originale. L'autentica marcia in più di questa immensa gemma senza tempo risiede non solo negli strumenti, ma anche nella voce, con l'espressione di Snake che è irripetibile e indescrivibilmente indovinata: qui i meriti bisogna darli anche a chi ha lavorato a questo disco, svolgendo un lavoro fantastico in sede di produzione, riuscendo a dare un effetto stanza ed un effetto armonico difficilmente realizzabile. Meritano di essere ugualmente citate le liriche dei Pink Floyd, per il valore che esse assumono anche se intese come influenza e prima fra le ispirazioni al percorso musicale dei canadesi. Il testo, da intendere come totale immersone e condivisione del proprio essere con ciò che anima le forme circostanti, descrive le soggettive e particolari sensazioni sperimentate dal protagonista attraverso un viaggio che non conosce confini. Dalla bellezza estetica e simbolica del limpido verde, dell'immenso blu sconosciuto, e delle acque sotterranee che sono bloccate dal ghiaccio, si passa alla fine di ogni cosa: dalle falde acquifere e dalla straordinaria irripetibilità del miracolo naturale l'ascolto ci trasporta alla fine di ogni ciclo, quindi alla morte, intesa non come personale ma come macroscopico concetto che non conosce spazio e tempo. La canzone ci riserva però, nel finale, un qualcosa di unico: terminata la parte centrale, quella riguardante il frangente più temibile e macabro, si ritorna alla bellezza e all'inarrestabile immensità della natura, che ci eleva ad una dimensione di piacere e di accettazione che ogni cosa, compresi noi stessi, conosce un percorso compiuto da assimilare con la più sincera serenità e con la consapevolezza che, dopotutto, nulla si conclude per davvero.
Missing Sequences
Il capolavoro prosegue con Missing Sequences, che tra l'altro ha l'onere di chiudere il side A di questa gemma. Mentre i primi secondi si mostrano calmi e quasi dolci, lasciando intravedere anche un senso di tenerezza dalla linea vocale e musicale, la canzone impenna pochi istanti dopo con la rocciosa distorsione di Piggy, a cui però non si affianca una voce violenta, ma anzi, sensata e avvolgente. La parte più diretta di questo pezzo è invece la seguente, autentico e primordiale esempio di progressive metal, dove i maggiori ritmi e la maggiore rapidità finiscono con il contorcere il nostro ascolto in una serie di colpi e battiti che ci condurranno alla comprensione di questo complesso, ma magnifico pezzo. Gli stravaganti power chord scoperti da Piggy sono perfetti nel loro essere alternati al più violento riff, che quasi strizza l'occhio ad un sound stoner, ed il tutto assume ancora più valore quando viene coraggiosamente affiancato alla più dolce voce di Snake. Gli altalenanti ritmi di questi (quasi) 6 minuti di ascolto non mostrano troppe variazioni rispetto a quanto ci si potrebbe aspettare, ma riescono a immedesimarci al meglio nei ragazzi e quindi farci carpire in ogni dettaglio quello che è il valore artistico di questo episodio. Come abbiamo ascoltato poc'anzi, l'unica vera parte in cui la band si "libera" e sfoga è quella conclusiva, dove vi sono convulsive e continue variazioni di puro stampo progressive che ci provocheranno brividi sinceri, quelli sperimentati quando ci si ritrova dinanzi ad un'opera artistica dal valore autentico ed incommensurabile. Le liriche di questo episodio sono altrettanto ingegnose e personali, se non addirittura più, se paragonate alla linea musicale. I nostri quattro qui scelgono di mantenersi fedeli alla più unica e comune a noi tutti delle tematiche, quella naturale: partendo da un'immagine, quella delle rocce, la band approfondisce sempre più i meccanismi fisici fino ad addentrarsi in un discorso che giunge ad un livello prima impensabile; così, come la locusta brulica e i ragni filano, la terra in profondità rimbomba e ogni cosa materiale vive uno stato di sospensione, pronta ad essere stravolta perennemente in qualsiasi istante, con una serie di azioni e reazioni che portano alla comprensione della dinamicità dell'entità naturale, descritta come permeabile frazione fra l'attuale e il prossimo, fra l'imminente e il successivo. Il meccanismo di cui la band riporta avviene a qualsiasi livello, modificando il minuscolo filo di una tela nello stesso identico modo con cui un pianeta si spegne e le sue profondità rimbombano. Dopo questo fantastico episodio, carichi di emozione e curiosità.
X-Ray Mirror
Ascoltiamo l'introduzione del Side B di questo full-length, con il quinto brano intitolato X-Ray Mirror: la canzone si mostra sin da subito per ciò che è, una violenta, libera e sincera ispirazione di carattere progressive metal, quello primordiale e genuino, della durata di quattro minuti e trenta secondi circa. Il pezzo si mostra sin da subito caratteristico per i suoi ritmi "spastici" e altalenanti, per una serie di variazioni impreviste e quasi epilettiche, ed anche per una evoluzione totalmente priva di ogni schema e matematica musicale, al punto che persino la strofa si rende difficile da assimilare. Al contrario di quanto ascoltato prima, qui le variazioni si fanno continue ed è impossibile definire un vero e proprio corpo del brano, anzi si assapora ogni frammento come se questo fosse totalmente differente da quello ascoltato subito prima. Il pezzo è esplosivo come un vulcano in piena attività, mai piatto e prevedibile, ma anzi, coraggiosamente rischioso e fiero per il modo in cui si affaccia agli ascoltatori più scettici e diffidenti, mettendogli di fronte un'opera che può essere definita come una "sana e incontestabile" ispirazione composta tutta di getto, visto che sarebbe impossibile mettere su un'opera di questo tipo sedendoci attorno ad un tavolino e analizzando ogni nota riff dopo riff. E' proprio in questa chiave che bisogna intendere la stravagante follia messa in mostra da questo brano, che non intende piacere se non a se stesso, riuscendo in questo modo ad incantare chiunque sappia comprendere la filosofia che ha portato alla sua composizione. Le liriche, ancora una volta fantastiche e streganti, mettono il protagonista dinanzi ad una situazione. Egli trova infatti, al termine di un tunnel (inteso come il tunnel del pensiero), uno specchio. Il tunnel sembra non finire mai, così come i nostri pensieri talvolta si dilungano senza trovare risposte. Ritrovatosi di fronte all'oggetto, l'uomo comincia a scrutare e ad analizzare la sua immagine riflessa, cercando di capire le ragioni che risiedono dietro il proprio volto e dietro la forma che esso possiede. Accettando il fatto che il nostro aspetto deriva da niente più che dai cromosomi di cui siamo composti, il protagonista si sente violato nella sua privacy e cade in preda ad un attacco d'ira, sentendo sminuito il suo valore umano ed esistenziale se rapportato ad un significato meramente genetico e scientifico, quindi simbolicamente realista, ma crudo, dove determinati aspetti vengono casualmente estratti da combinazioni di cromosomi X e Y, quasi come se ci trovassimo dinanzi a un terno a lotto dal valore perlopiù irrilevante.
Inner Combustion
Dopo una brevissima pausa, parte pungente più che mai il capitolo successivo, intitolato Inner Combustion: subito protagonista con una serie di stop and go di pura scuola progressive metal, il pezzo accelera bruscamente amalgamando l'artistica linea chitarristica di Piggy al cantato di Snake, che qui copre talmente tante sfaccettature differenti da risultare totalmente fuori di testa. Il pezzo, a differenza di altri, ci causerà l'effetto "headbanging" perché, in soli tre minuti e trenta, quindi la durata minore dell'intero full, contiene diverse accelerazioni e mantiene una velocità superiore a quella ascoltata fino a poc'anzi. Questo stravagante brano è un capolavoro assoluto, perché riesce ad addossare all'ascoltatore migliaia di percezioni differenti, una più valida dell'altra, calandolo in un'ondata di note a cavallo fra il metallaro e il melodico, fra lo stravagante e il geniale. Il brano ha la caratteristica di sapersi rendere allo stesso tempo anche cantabile e musicale, grazie alla vocalità di Snake che qui si fa a tratti più facilmente appetibile e apprezzabile, ma certo non di minor valore (anzi). Immacolata invece la parte più sperimentale della band, che ha modo di esprimere tutto il suo essere spontanea e fuori dalle righe in una serie di variazioni da brividi, dove Piggy con la sua sei corde si preoccupa di lavorare ai ricami di chitarra solista affidandogli un valore di enorme importanza, e facendogli assumere un rilievo almeno pari ai lati più ritmici del pezzo. In un'altalena da capogiro, che ci darà la sensazione di trovarci attraverso una tortuosa ed imprevedibile strada di cui non conosciamo la conclusione, il pezzo parlerà del principio della combustione vissuto con accenti molto particolari. Il tema verrà infatti affrontato in una maniera propria ed originale, come solo la band è in grado di fare, e durante il processo descrittivo apprenderemo che il protagonista della canzone ne è direttamente coinvolto. In una serie di processi che appaiono astrattamente misteriosi, avremo infatti la possibilità di comprendere che il processo sta in qualche modo avvenendo all'interno dell'uomo, che avverte dentro di sé l'esplosività e la dinamicità del processo chimico. Il protagonista si sente quindi un tutt'uno con le leggi della scienza, che avvenendo al suo interno lo abbandonano ad un catartico stato di consapevolezza, dove il proprio corpo non è altro che parte di un sistema molto più grande e complesso, e la trasmutazione sembra elevare piuttosto che degradare il personaggio.
Pre-Ignition
Pre-Ignition, la traccia successiva, parte con la robusta doppia cassa di Away coadiuvata dalla voce di Snake e dallo stravagante e stoppato riff di Piggy. Il cantato resta però l'elemento suscitante di maggiore attenzione, sviluppandosi in maniera convulsa ed esterna ad ogni stereotipo musicale. Il vocalist pare a tratti quasi lamentarsi, e la sua incredibile performance canora di stampo old school è l'ingrediente speciale per valorizzare brani come i seguenti. Mentre la prima metà della traccia è incentrata sull'alternarsi di due riff, quello iniziale più stoppato e l'altro più musicale, nella seconda i canadesi ci lasciano incredibilmente stregati: una serie continua di variazioni, una più imprevedibile dell'altra, travolgeranno il nostro ascolto attraverso percezioni difficilmente sperimentabili, come se il nostro cranio divenisse vittima di criptiche bordate sonore provenienti da un altro pianeta. Innumerevoli le variazioni di tempo, su cui la band si gestisce con maestria assoluta, contribuendo ad aggiungere alle nostre emozioni quel pizzico di violenza e dinamicità che sono ingrediente secondario (a differenza di quasi tutte le band che ne fanno, incolpevolmente, il primo ingrediente), ma allo stesso tempo principale, rendendo i canadesi una band atipica ed esplosiva. Durante la canzone viene ripetutamente riproposta la rocciosa linea batteristica di Away, che si mostra dura e compatta, ma allo stesso tempo altalenante nell'andatura, assumendo un ruolo ancora più di spicco rispetto a quello a cui siamo abituati da un fenomeno delle pelli come lui. Spettacolare infine la scelta di chiudere la traccia con la voce pienamente pulita che si spegne come un lamento, assumendo le sembianze di una preghiera che si rivolge al proprio stesso e folle ego. Le liriche della canzone qua si fanno relativamente meno astratte, calandoci in un futuristico racconto che tanto profuma di Voivod delle origini. Una razza cibernetica è stata creata per servire il proprio padrone in maniera fedele e inumana, e svolge il suo compito senza porgersi quesito alcuno: questi misteriosi esseri lavorano in diverse e ricche miniere notte e giorno, dopo essere stati originati da strani macchinari e tubi che vomitano strane sostanze difficilmente descrivibili. Il fine di tutto ciò è quello di saziare l'avido e assetato padrone, bramoso di potere e denaro, al punto che lo sfruttamento del lavoro umano diviene del tutto obsoleto. Ad una prima occhiata il racconto del brano potrà sembrarvi lontano anni luce da quelli precedenti, ma in realtà la storia ci ha donato numerose opere di filosofia in cui sono altrettanto presenti situazioni distopiche e terrificanti, senza nemmeno distanziarsi troppo da quella che effettivamente è la realtà in cui viviamo, quella dell'era dell'"iper capitalismo", dove al valore della vita umana vengono anteposti guadagno e potere senza scrupolo alcuno.
Into My Hypercube
Il penultimo episodio, Into My Hypercube, si mostra sin dai primi istanti ancora differente dai precedenti e catalizza ogni attenzione dell'ascoltatore come meglio non si potrebbe fare. Dopo diversi minuti di violenza sonora, i ragazzi infatti scelgono saggiamente di "spezzare" l'ascolto facendo partire il brano con un più pacifico arpeggio, senza però alterare quella frazione più sfacciata e irriverente della loro opera musicale. Qui è finalmente protagonista Blacky con il suo basso, che riveste un ruolo fondamentale in tutto il brano, ma in particolar modo nella sua introduzione, sostenendo la linea musicale in maniera solida ed efficace. Il brano molto probabilmente non è definibile con la parola "metal" per ciò che spesso con essa si intende, ma mostra talmente tante qualità da aggiudicarsi lo scettro di essere una delle migliori tracce di questo già fantastico full length. La traccia di voce ideata dal vocalist Snake è l'epicentro di questo brano, e attorno ad essa si evolvono gli strumenti e i colori, le energie e le particolarità. Nel brano non sono però assenti brevi frangenti più duri e rocciosi, con tanto di doppia cassa di Away a fare da tappeto, sebbene molto spesso si prenda le distanze da ritmi elevati e asfissianti. Fra i migliori pregi di questo brano ci sono la capacità di strutturare una linea vocale e musicale sia melodica e accattivante, sia stravagante e tortuosa. Un altro incredibile aspetto di questi minuti di ascolto è quello riguardante la maturazione artistica e la capacità di inserire frangenti più liberi e sperimentali senza mai staccarsi dal bellissimo tema portante e fare alterazioni da esso. Nella parte conclusiva del brano, i nostri scelgono di riproporre ancora una volta (cosa più che apprezzata) la linea iniziale e centrale della traccia, ma stavolta con velocità più elevate e ritmi batteristici di maggiore intensità. Il brano trascina con sé una fortissima ed emozionante sensazione di auto-conversazione, come se il nostro vocalist stesse riflettendo con il proprio essere e i propri pensieri, rimanendone emotivamente coinvolto. La band qui tira dentro tutto ciò che ha sinceramente, senza preoccuparsi di voler apparire per forza violenta e, ancor più importante, senza voler rientrare in un canone musicale alcuno onde suscitare maggiore interesse e riconoscimenti da una ben definita frangia di ascoltatori. Il brano narra della condizione del protagonista, un uomo rinchiuso in una cella da manicomio in preda ai suoi stati, pensieri ed emozioni. Lo spazio chiuso e stretto soffoca i pensieri, trascina un angosciante senso di solitudine e lascia trasparire sofferenze e difficoltà. Le memorie del protagonista sono spente, come se appartenenti ad una differente vita, e ci si distacca giorno dopo giorno da quello che è stato in un passato più o meno lontano. L'uomo si sente come cucito e soffocato nel totale buio, vivendo la tortura ad occhi aperti, chiedendosi quando terminerà questa tremenda esperienza che sembra durare da un'eternità. In un suo ultimo stato di coscienza, lo sfortunato personaggio è cosciente dell'inefficacia delle cure che sta ricevendo, definendo la sua cella come "difettosa" e non ponendosi un ultimo quesito: sta venendo curato per davvero?
Sub-Effect
Siamo purtroppo giunti all'episodio finale di questo straordinario capolavoro. Il brano si intitola Sub-Effect, e si contraddistingue sin da subito per le sue ritmiche spezzate e violentemente robuste, anche se questa maggiore potenza non è la prima cosa che catalizza la nostra attenzione. Nel brano infatti ci sorprendono i continui cambi stilistici e di tempo, che nella seconda metà della canzone si fanno follemente costanti mostrando una maniacalità assoluta. La traccia si palesa come una delle più particolari e imprevedibili fra tutte quelle di questo già spettacolare e coraggioso full-length, e Snake, con la sua vocalità, riesce a coprire al meglio tantissime sfaccettature differenti. Merita una citazione speciale qui però Away, che ancora una volta dimostra di essere un leader dettando tempi e ritmi con una genialità indescrivibile: a sprazzi ascoltiamo sontuosi tappeti di doppia cassa, mentre in altri frangenti dimostra di avere una conoscenza della musica variegata e totale, tanto da poter raccogliere in ogni istante la conoscenza per fare ciò che è più giusto. Nella parte conclusiva del brano è meritevole di citazione la parte in cui il parlato di Snake subentra ad una serie di suoni ed effettistiche fuori di testa, per poi ripartire con l'ingresso di chitarra distorto e impetuoso. Questo è un brano che metterebbe a dura prova anche il più scettico degli ascoltatori, che faticherebbe a trovare motivazioni per sminuire il valore di questa e delle altre tracce. In crescita comunque anche l'importanza del ruolo di Blacky, che ottiene più volume e spazi in questa canzone e nelle altre conclusive di questo capitolo discografico. Le tematiche di questa canzone sono certamente accostabili a quelle che sono state quelle subito precedenti, trattando infatti similmente di una introspezione nella psicosi del personaggio protagonista. La canzone descrive per l'appunto il progressivo processo di follia che si evolve nell'uomo, tramite continue metafore con il mare e la natura subacquea in generale. L'uomo, in uno stato di panico, sprofonda sempre più nei fondali rendendosi conto di essere distante dalla riva, intesa come figura di salvezza e quindi solidità mentale. Sfortunatamente, il brano si svilupperà con un progressivo fenomeno di annegamento, affiancato alla consapevolezza del protagonista che l'ultimo spiraglio di sanità mentale sta sparendo per l'eternità. Durante la conclusione della canzone il nostro uomo capirà, ahimè, che per lui è oramai troppo tardi, ritrovandosi come se fosse arenato su un'isola abbandonata con nessuno disposto ad accorrere in suo aiuto.
Conclusioni
Questo spettacolare full, bisogna dirlo, parte da un'ottima produzione. Se i Voivod erano spesso stati costretti a lavorare con un basso budget, si nota subito la differenza del prodotto sonoro a livello qualitativo, ma anche a livello di competenze di coloro che hanno lavorato: ogni dettaglio, arrangiamento e soprattutto effetto è stato curato nei minimi dettagli, con un'attenzione maniacale, e questo certamente a qualsiasi livello aiuta la riuscita di un disco. La cosa che personalmente mi fa soffrire un sacco, è vedere che i Voivod, seppure nel periodo migliore della loro carriera, non hanno mai ottenuto ciò che meritavano. Come accennai nella prima recensione, purtroppo gli ascoltatori di musica anche di un certo standard qualitativo portano un sacco di pregiudizi se nel genere di una band è presente la parola "metal", io sono convinto che moltissima gente avrebbe apprezzato un lavoro come questo che, purtroppo, è rimasto invece sconosciuto a tantissimi potenziali sostenitori della band. A livello musicale, qui i ragazzi mostrano una maturità assoluta, estremizzando ancor più i passi compiuti con il precedente full, cosa che personalmente apprezzo in particolar modo. Personalmente, darò un voto molto alto a questo lavoro che è forse il mio preferito in assoluto della loro carriera, ma sono sicuro che molti di voi, pur apprezzando moltissimo questo, potrebbero avere Dimension Hatross come prediletto: entrambi i punti di vista sono certamente validi. Se a livello musicale questo lavoro mi fa utilizzare il termine "capolavoro", la cosa non è da meno anche dal punto di vista lirico. I ragazzi, ispirandosi probabilmente ai grandi maestri della musica psichedelica e progressive, riescono ad affrontare con successo liriche impegnative e difficili, compiendo il passo fondamentale per diventare musicisti adulti a tutti gli effetti. Se nella parte finale di questo Nothingface si torna forse ad affrontare tematiche già affrontate dagli stessi ragazzi, durante il corpo e l'inizio del full i nostri ci abbandonano a tematiche naturali e filosofiche, intriganti ed emozionanti, autentico ingrediente in più che ad una grande band non può e non deve mancare. Questo disco, pur non essendo puramente metal, è stato apprezzato da praticamente tutta l'audience del settore, e già questo dovrebbe far capire quante potenzialità abbia un ascolto di questo tipo. Se Snake, Piggy e Away erano delle sicurezze, anche Blacky compie passi da gigante formando con gli altri ragazzi un autentico quartetto di "colossi", oramai compiuti e senza nulla di troppo importante ancora da imparare. Certamente da annoverare nella top 3 dei migliori artisti canadesi di sempre, i Voivod restano tuttavia una delle band che hanno raccolto meno proporzionalmente a ciò che hanno seminato, come purtroppo sappiamo. Un grande lavoro, però, lo si riconosce in ogni suo aspetto, ed è proprio a questo che mirano i nostri lavoro dopo lavoro, come possiamo vedere anche nelle magnifiche copertine. Lo spazio finale di questa recensione merita infatti di essere dedicato all'artwork, realizzato come sempre dall'immenso Away. Il batterista ha scelto qui di rappresentare diversi degli elementi presenti nelle tracce, rimettendo qui quei caratteri più criptici e terrificanti di cui le liriche dei canadesi spesso trattano. Elemento protagonista del disegno è una testa di forma umana, dall'aspetto cibernetico e di natura certamente artificiale. Questa testa, che manca di naso e bocca, è molto probabilmente ancora incompiuta e sta venendo creata durante il processo di cui i ragazzi ci illustrano i dettagli. Attraverso il cranio, si diramano numerosi tubi e strane apparecchiature, che si vanno a collegare a degli oggetti come la figura in alto a sinistra, che certamente non potrà non richiamare a quella di un uomo durante un'impiccagione. Mentre sullo sfondo celeste chiaro si intravedono una serie di volti dipinti come fantasmi e anime rimaste bloccate, nell'angolo in alto a destra si intravede un altro personaggio di assoluto rilievo. Sembrerebbe proprio un uomo dalle strane fatture, forse ridotto in quelle condizioni da qualche macabra pratica Voivodiana, ma il suo essere rovesciato a testa in giù e piegato certamente ci ricorda il testo di Into My Hypercube, dove il protagonista era rinchiuso in uno spazio che può ricordare l'artwork per alcuni dei suoi inquietanti aspetti. Rimane da me incompresa invece la natura dell'oggetto in basso a destra, lascio quindi a voi la libertà di interpretare tale oggetto (nel caso, fatemi pure sapere la vostra!). Sempre sulla destra, invece, vediamo delle sbarre di una cella, certamente per fornire a noi ascoltatori un ulteriore richiamo alle ultime tracce che abbiamo analizzato in questo disco, la suddetta in particolare. Questo album è una pietra miliare preziosa e indimenticabile per noi fortunati che la conosciamo, uno di quei lavori da ascoltare e riascoltare a ripetizione perché difficilmente ripetibile. In effetti basta pensarci, quante sono effettivamente le opportunità di assistere a lavori talmente unici? Personalmente, credo che di lavori di questo livello e di questa fattura ne escono davvero pochi, specie purtroppo negli ultimi tempi dove il mondo musicale conosce sempre meno gente coraggiosa come i Voivod, e sempre più gente che purtroppo si allinea alle tendenze con l'obiettivo di raggiungere la fama nella maniera più rapida e semplice possibile.
2) Nothingface
3) Astronomy Domine
4) Missing Sequences
5) X-Ray Mirror
6) Inner Combustion
7) Pre-Ignition
8) Into My Hypercube
9) Sub-Effect