VOIVOD
Killing Technology
1987 - Noise Records
DAVIDE CILLO
08/05/2015
Introduzione Recensione
Nelle recensioni dei primi due album dei Voivod vi abbiamo raccontato del valore di questa band, di quanto essa sia stata rivoluzionaria e precoce nella proposta di un sound proprio, e di come abbia nel corso della sua gloriosa carriera raccolto molto meno di quanto meritasse. Come avrete avuto l'opportunità di leggere, il periodo relativo ai loro primi due album "War and Pain" e "Rrröööaaarr" ci ha entusiasmato molto, grazie alla sua caoticità e al suo peculiare sound che ci ha calato alla perfezione nei grigi e apocalittici immaginari creati dal batterista Away, autentico membro in più per la band; tuttavia, siamo lieti di sostenere che il meglio dei Voivod doveva ancora arrivare: l'evoluzione del loro sound era infatti ancora tutta da scoprire, e dopo l'uscita del loro secondo lavoro discografico, intitolato per l'appunto "Rrröööaaarr", la band compì dei passi in avanti fino a quel momento inimmaginabili. Mentre il successo iniziava a prender forma, i ragazzi guardarono dentro la loro vera anima musicale e proposero un sound a cui fino a quel momento non ci avevano abituati, con una mutazione stilistica di qualità e originalità indiscussa. Il thrash più grezzo e diretto, e probabilmente meno originale, degli albori della loro carriera fece via via spazio ad un sound più progressivo e molto più maturo, dove la band rese sempre più evidenti le proprie influenze provenienti dal mondo della musica psichedelica e punk, oltre a tutte quelle particolarità e sfaccettature (l'impostazione "free" degli accordi ecc.) di cui vi abbiamo raccontato in proposito dei loro primi lavori, ma su cui comunque torneremo nel corso della recensione. La scena speed/thrash canadese ottenne molto più spazio nella seconda metà degli anni '80, e agli Exciter si affiancarono altri complessi di spicco come i Razor e più tardi gli Annihilator: questo periodo fu più roseo anche per i nostri Voivod che, dopo aver sostenuto la storica band Exciter in diverse date facendo da spalla, si misero "in proprio" come headliners in diversi show dove spettò a loro il compito di battezzare dal vivo le numerose nuove band che si affacciavano all'ondata canadese. Senza alcun dubbio, arrivò così per i Voivod il momento di vivere il periodo migliore della loro carriera, un periodo dove le loro qualità e particolarità diventarono più percepibili da tutti gli ascoltatori, cosa che portò al formarsi di una fitta cerchia di fans "fedelissimi", ovvero amanti di questa nuova e mai sperimentata tipologia di sound. La band, a partire da questa terza uscita intitolata "Killing Technology" non si superò dal solo punto di vista della maturazione musicale, ma in ogni aspetto relativo alla sua arte: basti solo pensare all'ambientazione dell'album, una grigia città soffocata dall'insostenibilità stessa del suo sviluppo tecnologico, devastata da una asfissiante corsa ad una modernizzazione senza fine, in uno scenario monocromatico e plumbeo. A tal proposito, è importante comprendere il periodo storico in cui questo immaginario è stato creato e questa musica è stata scritta, ovvero negli ultimi anni della Guerra fredda e nel pieno della terza rivoluzione industriale, periodo storico che vide una competizione fra le principali potenze mondiali basata, per l'appunto, su vari campi fra cui spicca quello del progresso tecnologico. Non da meno, non vi è niente di più calzante con l'ambientazione e la copertina di questo disco della tragedia nucleare di Chernobyl, avvenuta proprio un anno prima dell'uscita dell'album, periodo in cui i ragazzi erano al lavoro sui brani. Con una grande dimostrazione di acume e furbizia, i ragazzi si immedesimano quindi in una macabra realtà che di fantasioso non ha poi così tanto: l'ottimismo per il nuovo millennio, dopotutto, non avrebbe mai potuto essere alle stelle dopo i duri avvenimenti del 20° secolo. Se avete compreso quanto immensa sia l'evocatività di questo unico e stupendo full, è il momento di passare a goderci le canzoni con l'analisi dell'album track by track.
Killing Technology
Partiamo con nientemeno che la title track "Killing Technology": nei primi brevi istanti ci sembra di ascoltare il vento che soffia feroce sulle lande ghiacciate di cui i ragazzi ci hanno raccontato nel primo album, ma il "bip bip" di un elettrocardiogramma ci fa capire che quello che ascoltiamo è, invece, un respiro umano; dopo qualche momento, si aggiungono dei misteriosi rumori artificiali difficilmente qualificabili, che innalzano la nostra tensione al livello massimo: è proprio qui che, improvvisamente, una voce robotica recita "we are connected", facendoci capire che l'umano che stavamo ascoltando è stato probabilmente sostituito con un robot, o più probabilmente trasformato in un robot stesso. E' con questa introduzione macabra ed eccelsa che si apre il terzo album dei Voivod, che ci fa calare in men che non si dica nella oscura realtà in cui le nuove vicende si svolgono. I violentissimi power chord di chitarra scandiscono l'ingresso della linea vocale di Snake, logorante e fuori da ogni schema metrico prefissato. La caratteristica dell'impostazione degli accordi estremamente libera diviene qui più evidente che mai, lasciandoci comprendere che i Voivod sono finalmente diventati maturi al 100%, assimilando uno stile unico nella loro proposta musicale; mentre la voce di Snake si fa sempre più cattiva e lacerante, la linea chitarrista di Piggy ci cala in un'epoca triste, di morte, dove la nostra specie umana sta progressivamente diventando superflua, quasi vista di cattivo occhio, in quanto la tecnologia è diventata in grado di mettere a disposizione della società qualcosa di ben superiore: qualcosa che lavora senza stancarsi, che affronta le situazioni senza emozionarsi, che ha una soluzione programmata per ogni questione. Il brano, che è nella produzione e nell'impostazione più definito e pulito rispetto a quelli dei primi due lavori discografici, ci lascia una sensazione di "terrore" per quell'epoca che sarà, un futuro senza luce dove diverremo vittime del nostro stesso progresso. Pur trattandosi di un sound indubbiamente più progressive rispetto a quello degli esordi, la band conserva saldamente la sua essenza thrash metal, rendendola sotto una nuova chiave più ibrida e non solo non meno valida ma, al contrario, più interessante e propositiva rispetto a quanto ci saremmo mai potuti aspettare prima dell'uscita di questo terzo capitolo. Le liriche ci narrano dell'estinzione della razza umana, che sta venendo con il tempo sostituita dalle macchine. In un'epoca di guerre spaziali, dove nuove armi e mezzi di distruzione causeranno stragi e morti di massa, gli esseri viventi non avranno più nulla da offrire tanto da diventare obsoleti: così, paradossalmente, dall'essere i robot i nostri sostituti diverremo noi i loro, al punto che le nostre vite e i nostri destini saranno tenuti sotto scacco. Tuttavia, il nostro protagonista intende fare tutt'altro che arrendersi: i robot hanno bisogno delle loro pillole per l'energia, hanno dei limiti nella programmazione, mentre noi umani non conosciamo limite alcuno grazie alla nostra più naturale visione a 360°, cosa che ci permette di trovare il modo di progredire e sperare di scacciare i nemici una volta per tutte. La conclusione di racconta che una nuova era di guerre sta per cominciare, ed è ben giusto avere paura per ciò che ci offrirà l'indomani; tuttavia, è nostro compito scendere in campo e difendere ciò che la nostra razza rappresenta.
Overreaction
Il secondo brano si intitola "Overreaction", e si apre con una potente e caotica sezione di chitarra che si mantiene a lungo inalterata del brano. Questa marcia sonora si mostra malvagia e criptica in alcune sue linee, e rievoca al meglio l'apocalisse che verrà nei tempi futuri di cui l'album narra. Per essere più precisi, questo brano non racconta di qualche pianeta o regione inventati, ma è proprio ambientato nel nostro mondo, con tutte le conseguenze che ciò comporta. Le liriche ripetono in maniera nauseante le parole "The China Syndrome", che vogliono lasciarci intendere quanto sia pericoloso il modello nucleare cinese e il modo in cui stanno perseguendo la rapida e progressiva industrializzazione della loro società, causando danni irreparabili al clima e non rispettando (o più spesso, non firmando) i trattati internazionali per preservare la Terra; mentre il ritmo batteristico di Away si fa sempre più rapido e ossessivo, la (positivamente) straziante voce di Snake ci narra di come il rapido progresso stia distruggendo la vasta zona che circonda una centrale nucleare, in un disastro che ricorda moltissimo quello di Fukushima dei tempi nostri. L'impianto industriale, nella canzone, assume un colore fosforescente (che paradosso rock 'n roll!), i sistemi si sovraccaricano non attivando le spie d'allarme, e nessuno è cosciente del disastro che si sta per verificare. Purtroppo, le tracce di un disastro nucleare rimangono nell'ambiente per anni, decenni e addirittura secoli, portando conseguenze disastrose e spesso sottovalutate dall'opinione pubblica. Così, mentre la calamità atomica colpisce, gli strumenti tecnologici si rivelano mal funzionanti e gli operai cercano di fare tutto il possibile per porre rimedio alla critica situazione, consapevoli del fatto che le colpe non sono le loro. Nell'aria emerge un pessimo odore e diventa possibile percepire quanto essa sia contaminata dalle radiazioni nucleari, e per i poveri ingegneri che cercano di risolvere il problema resta solo, in realtà, la consapevolezza che il proprio destino è già segnato. Oltre le particolari ritmiche e linee di cui si è detto, questa spettacolare canzone ha tantissimo da offrire, come l'anarchico assolo di Piggy che sfocia all'infuori di ogni papabile schema musicale pre-impostato sottoscrivendo ancora una volta l'evidentissimo sviluppo del quartetto; meritano inoltre un cenno speciale i progressi di Snake dietro al microfono, con il vocalist che sembra essere migliorato in maniera evidente rispetto ai già alti standard del periodo degli esordi. Se l'intenzione di questa traccia era quella di calarci nel disastro di cui parlano le liriche, i ragazzi sono riusciti alla grande in tale obiettivo: bastano il titolo "Overreaction" e le caotiche linee musicali, qui molto "slang" e fuori di testa, per farci capire che quello che si sta vivendo è un autentico incubo atomico.
Tornado
Dopo il precedente brano abbiamo tutto il diritto di tirare un profondo respiro di sollievo visto che tali eventi non hanno ancora, almeno per il momento, toccato casa nostra, prima di procedere alla terza stupenda traccia, intitolata "Tornado": come avrete già capito, il nostro sospiro di sollievo era solamente momentaneo, perché ci stiamo per catapultare in una nuova importante tematica di disastri terrestri. La band qui parte in quinta con una introduzione breve e concisa che porta in men che non si dica al riproporre degli accordi free e avanguardistici a cui ci ha abituato. Mentre il rapido e cupo alternate picking di Piggy incalza e la soffocante voce di Snake colora la più grigia linea musicale, ho la sensazione di rivivere il grigio del tempo che preannuncia l'arrivo della catastrofe. Ve lo assicuro, mi sono trovato in presenza di simili disastri climatici e il tempo subisce una incredibile e quasi paradossale mutazione, il colore del cielo si fa plumbeo colorandosi di uno strano colore tra il grigio e l'azzurrino sbiadito: è esattamente questa la sensazione che ci lascia questa traccia, che è nell'impatto più buia e soffocante delle precedenti, ed è proprio in questa caratteristica di unicità che risiede una delle più grandi qualità del genio dei Voivod, specie nel periodo del loro picco creativo. Lo stop and go in cui si interrompono tutti gli strumenti tranne la batteria di Away merita elogi tanto grandi da meritare ben più che semplici parole, in quanto ha il merito di rievocare in modo encomiabile la tematica delle liriche, producendo nell'ascoltatore una inconscia reazione di ripensamento alle tematiche del brano. Per quanto riguarda la parte finale della canzone, il termine giusto da utilizzare è "cattiva": questa, infatti, presenta l'immensa chiave di creatività e libertà assoluta con cui i Voivod riescono a tirar fuori la parte più metal della loro anima, con tanto di feroce voce di Snake che interpreta il disperato urlo "Tornado! Tornado!! Tornado!!!"; sebbene la band sia del Quebec, una zona del Canada notoriamente non colpita dalle trombe d'aria, a differenza di altre più occidentali e meridionali (per non parlare di quelle degli USA), i ragazzi scelgono qui di parlare di un fenomeno che non li riguarda direttamente affrontandone ogni aspetto, e descrivendone alla perfezione fenomenologia e caratteristiche. Le liriche, oltre che descrivere per l'appunto come avviene il disastro, propongono interessanti metafore come quella della "ribellione della natura" e della sua imprevedibilità: nel brano, infatti, il protagonista non riesce a capire se la tempesta che ha colpito casa sua si sia placata o se stia per tornare, e cerca di superare la sfida che lo vede contro questo autentico mostro della natura spostandosi sapientemente e affrontandolo in astuzia, sebbene in una vicenda del genere anche la fortuna riveste certamente un ruolo fondamentale, cosa che la band ci tiene a ribadire. Da un punto di vista strettamente musicale, la vera abilità che i ragazzi mostrano di possedere in questa terza traccia è quella di creare un brano ben sviluppato e di senso compiuto in più di ben 6 minuti di durata, cosa che molti musicisti non riescono a realizzare. E' estremamente importante, specie quando c'è la parola progressive di mezzo, non cadere nel proporre brani lunghi ma con centinaia di cambiamenti, che alla fine non conducono l'ascolto da alcuna parte. Al contrario, "Tornado" è sì un brano di buona lunghezza, ma esprime un tema ben definito dalla sua apertura alla sua conclusione, volando via alle nostre orecchie come se la sua durata fosse stata solo metà: davvero, tanto di cappello ai Voivod per questo!
Too Scared To Scream
Il Lato A di questo full length si chiude con una traccia intitolata "Too Scared To Scream": introdotta da una violenta e scandita apertura di Away sul suo rullante, la canzone prosegue immediatamente con una nuova proposta stilistica nella vocalità di Snake, che si fa qui molto più sprezzante e punkettona nell'attitudine, come a farci comprendere che molte delle infinite sfaccettature che la band possiede a disposizione dobbiamo ancora godercele. Se dovessimo definire questa spettacolare traccia in due parole, queste sarebbero "paranoia totale". La band si lancia qui nella sua più profonda attitudine avanguardistica da psicosi mentale, narrando della mente umana come nessuno meglio di loro saprebbe fare: a mia opinione, è proprio su argomentazioni come queste che il gruppo è in grado di tirar fuori il meglio di sé. Nella canzone ritorna anche una nostra vecchia compagnia, ovvero Morgoth, la terra ghiacciata e apocalittica creata da Away, e lo stato psichico del protagonista è espresso dalla musica ancor prima che dalle parole. Immaginate di vivere un incubo, di ritrovarvi in una regione devastata dalla guerra nel suo lato più disumano e selvaggio, con misteriosi soldati che senza un buon motivo attentano alla vostra vita. E' proprio questo che prova il nostro protagonista, appena tornato da Morgoth, che si ritrova a dover scappare dai suoi misteriosi attentatori. La canzone mette in mostra, nella sua seconda parte, una brusca accelerazione e una conseguente variazione nello stile, che sfocia qui nella psichedelia nella sezione finale. Come è possibile ascoltare nella traccia, emerge qui in maniera molto evidente un'altra grande qualità della band, ovvero quella di saper "rendere propria" ogni sfumatura stilistica e differente sfaccettatura della loro arte. Il disagio del nostro povero uomo lo porta nel testo a chiedere di tornare a casa, inteso come posto nel quale è nato, del quale non ricorda nulla, nemmeno il nome. Il protagonista è cosciente di soffrire di numerose malattie mentali (una non ne sarebbe mai bastata) dovute alle tremende esperienze che ha vissuto, ed è qui che la voce di Snake si fa più logorante che mai, come ad esempio quando urla "Leave me to Rot!" (lasciatemi marcire) alle ombre dei nemici che, nel buio della città, lo inseguono per assassinarlo. Nella mente dell'uomo non vi è nulla se non il massimo del turbamento e del pessimismo (come non averne), tanto da avere un certo desiderio di morte, nella coscienza che il futuro non ha nulla da riservare se non il terrore. Questa bellissima traccia mi lascia la sensazione di ritrovarmi a Morgoth, dopo aver vissuto tali esperienze da aver reso la mia esistenza quasi un miracolo. Dopo aver avuto dinanzi avvenimenti talmente tremendi, ed essersi visti la morte in faccia, è difficile se non impossibile che tutto ciò non porti un qualche squilibrio nella mente umana, specie se tutto ciò viene condito come in questo caso da bombe chimiche, laser futuristici e armi di distruzioni di massa. Una probabile reazione è quella di avere lo stesso comportamento che ha il protagonista nella conclusione del brano, dove schernisce i suoi esecutori rinfacciandogli che, nella loro vita, non proveranno mai emozioni diverse dal sottrarre la vita alla gente innocente. "That's the game they play!" (questo è il gioco a cui giocano), è la frase che ribadisce continuamente l'uomo prima di abbandonarsi al suo destino. Dopo questo romantico ritorno a Morgoth che lenisce la nostra nostalgia e conclude il Side A (Lato A) dell'album.
Forgotten In Space
E' il momento di dedicarci alla quinta traccia di questo full, la prima del lato B, intitolata "Forgotten In Space": aperta magistralmente da una serie di accordi ripetuti da Piggy, la canzone viene poi introdotta da una breve sezione di violentissimi power chord, cui segue un originalissimo riff di fattura progressive e dal groove estremamente cupo e cadenzato. La voce di Snake ci immergerà subito in una realtà fra il nero dello spazio e le luci dei sistemi che lo circondano, dove si fluttua senza meta precisa e senza speranza alcuna. Il brano, tuttavia, possiede un che di più abbordabile e musicale rispetto ai precedenti, tanto da essere quasi accessibile e facile come ascolto ai più nella sua prima metà; per carità, intendiamoci, qui ci troviamo lontani anni luce (per restare in tema) da qualsiasi cosa che sia anche vagamente semplice e commerciale, ma alla particolarità di questo brano non si affianca un tema logorante come spesso è accaduto nei precedenti. In questa meravigliosa canzone torna a farsi sentire la squillante sei corde di Piggy, che ci delizia con un assolo rapido e calzante alle atmosfere spaziali in cui siamo immersi, prima di avviare la seconda parte del brano che è più sperimentale e complessa rispetto a quella iniziale. Pregevole dalla prima all'ultima nota, questa traccia si mostra aggressiva e varia al punto giusto, aprendo la seconda metà dell'album nel migliore dei modi. Una domanda, siete mai andati ad un osservatorio astronomico? Seriamente, se dovete farlo fatelo con questo brano nelle orecchie, perché vi calerà in un immaginario unico ma feroce, quindi estendo l'invito solo per gli amanti dell'heavy metal (ovviamente)! E' proprio dal motto di questa canzone, ovvero la frase ripetutamente citata nelle liriche "All systems go!" (tutti i sistemi vanno!), che vorrei iniziare nel descrivere questo bellissimo testo fantascientifico. Nella canzone, degli uomini hanno compiuto gravi delitti tanto da essere stati condannati ad una punizione definitiva, esemplare: essi sono stati rinchiusi in una misteriosa nave spaziale e sono destinati ad una fine dove, nell'immensità dello spazio, nessuno può soccorrerli. "Hanno compiuto azioni contrarie a ciò che la gente crede", recita Snake, "per loro serve una sentenza senza limite". Il brano si incentra molto sulla disumanità che potrebbe possedere una tale sentenza, in quanto nessun reato per quanto terribile meriterebbe di essere pagato in tal modo. I ragazzi, disperati, sono obbligati a sottomettersi, mentre gli strani macchinari li trasformano in qualcosa di strano chiamato "sub-rat humans" (umani sotto-ratti); e se, invece, qualcuno di loro tentasse di opporre resistenza? Verrebbe sganciato nello spazio e la sua esistenza verrebbe dimenticata per sempre da tutti, insomma, abbastanza da far desistere i prigionieri da tal proposito.
Ravenous Medicine
Continuiamo il racconto dell'album con la sesta immensa traccia, forse la mia preferita all'interno dell'intero full, intitolata "Ravenous Medicine": aperta in grande stile dagli scanditi power chord di Piggy intervallati dai giochi batteristici di Away, la band ci lascia già capire che qui ha in serbo per noi qualcosa di speciale. Così, secondo dopo secondo, ci avviciniamo allo spettacolare riff portante, travolgente sin dal primo istante. La voce di Snake possiede qui un'enfasi tutta magica, che arricchisce la musica con perfezione assoluta valorizzando la traccia come meglio non si potrebbe. Altro elemento in più che rende unica questa traccia risiede nei "giochi di voce", con sovrapposizioni e arrangiamenti ben studiati che rendono onore non solo alla band, ma anche a coloro che hanno eventualmente collaborato in fase di produzione; mentre la traccia si accinge a mettere in mostra anche la sua anima più sperimentale, il frontman ci racconta nelle liriche di come, un uomo malato soccorso dall'ambulanza, venga in realtà utilizzato per i peggiori esperimenti scientifici: una pratica disumana, sadica, che viene tenuta all'oscuro di tutti. La musica ci trasmette a sprazzi uno status di angoscia, panico, oltre a divertirci come poche tramite la sua maggiore componente "metal" e l'utilizzo tutto nuovo dei frangenti più sperimentali della band, prima vocali ma soprattutto musicali, adesso invece vocali prima di ogni altra cosa. Nel racconto la vittima non ha idea di cosa gli stia per capitare, e si affida ai dottori convinta di ricevere delle buone cure. Il dottore, da parte sua, lo rassicura: "You did very well, you'll feel better soon" (sei andato molto bene, ti rimetterai presto) mentre, in realtà, per il povero protagonista sta arrivando il momento della fine. Mentre in un primo momento, infatti, utilizzano il suo corpo per esperimenti malsani ma ad ogni modo non mortali, la vittima nella parte finale del brano viene sottoposta alla più tremenda delle torture, vedendosi sottratta degli organi, schiavizzata dalle droghe e infine uccisa, perché è quello ciò che prevede la parte finale dell'esperimento. Questa canzone è spettacolare non solo per le tante qualità già accennate, ma perché mostra per la prima volta quanto i Voivod in quanto gruppo siano cresciuti. Qui è possibile trovare di tutto: la voce di Snake ai suoi livelli migliori, non solo tecnici ma anche interpretativi, la follia di Piggy dietro la sua sei corde, la maniacalità di Away nello studio dei lanci di batteria anche a livello di percezione psico-acustica, il supporto concreto e puntuale del basso di Blacky che non fa mai una nota sbagliata rispetto a quella che dovrebbe. Infine, vi consiglio caldamente di dare un'occhiata al video di questo brano, che troverete nella nostra pagina in fondo alla recensione: l'originalità con cui è stato realizzato è un qualcosa di grandioso, e oltre a possedere un grande impatto sia dal punto di vista musicale che dal punto di vista visivo, riflette alla perfezione la grande attitudine dei componenti della band. I ragazzi hanno infatti creato un immaginario parallelo unicamente loro, a tratti futuristico a tratti reale perché, ricordiamocelo, è sempre dalla realtà e dalla storia che provengono gli spunti di questo gruppo. Un consiglio finale: prima di rivolgervi al Morgoth Science Hospital, pensateci bene sopra, vi suggerirei di rivolgervi a qualcun altro se avete bisogno di una qualche cura.
Order of the Blackguards
Carichi al massimo per quanto trasmesso dalla precedente traccia, ci apprestiamo ad ascoltare la successiva, intitolata "Order of the Blackguards"; sin dal primo momento, la canzone ci sorprende per la sua enorme attitudine punk, maggiore rispetto a quanto mai ascoltato in questo full: è incredibile come la band riesca a fondere così bene gli aspetti più sprezzanti e critici della società tipici della musica punk e la parte più studiata e artistica tipica del loro sound, in un'anima ibrida unica che possiede tutto ciò che un bel disco può richiedere. Detto questo, il brano è valido ma in mia opinione è forse quello meno forte all'interno di quest'album, sia dal punto di vista musicale che dal punto di vista lirico. Personalmente, dal punto di vista musicale non mi colpisce come i precedenti perché molto più "classico" e prevedibile, il che potrebbe anche starci, ma probabilmente non in un disco spettacolare, dinamico e sorprendente come questo, dove ogni canzone ha qualcosa di diverso e aggiuntivo rispetto alla precedente, specie nel modo in cui si caratterizza. Dal punto di vista lirico, sebbene ci tengo a dirlo questa è una mia visione estremamente personale, in quanto i testi delle canzoni rappresentano un qualcosa di estremamente soggettivo e che varia a seconda dell'individuo e quindi non giudicabile con un criterio oggettivo, trovo che le liriche di questo brano siano meno artistiche e caratterizzate delle precedenti e quindi più banali. Qui c'è la critica alla religione, descritta nelle sue caratteristiche più classiche e stereotipate, come quelle della chiusura mentale e del potere politico detenuto dalla chiesa. La mia opinione è che sia riduttivo giudicare la religione, un concetto estremamente vasto e profondo, dal ben più specifico caso del Vaticano e di come, tutt'ora ma soprattutto nel passato, abbia uno spessore politico che talvolta eccede da quelle che dovrebbero essere le sue cariche strettamente religiose. Tolti questi dettagli, forse futili forse no, il brano potrebbe essere il pezzo forte di tante band che non si chiamano Voivod, ed è certamente interessante e coinvolgente, ma semplicemente non all'altezza dei tantissimi capolavori presenti in Killing Technology. In questa canzone, la band si riaffaccia anche ai suoi lati più classici del thrash metal visto nel loro periodo degli esordi, ponendo un accento particolare sulle origini della band e la provenienza della loro passione musicale. Piggy, inoltre, ci regala dei riff certamente validi e adrenalinici, e il brano mostra nella parte finale le sue migliori qualità, dove in seguito al breve assolo dell'axeman non mancano spunti degni di nota, specie dal punto di vista vocale.
This is Not An Exercise
Tutto un altro paio di maniche comunque "This is Not An Exercise", brano distruttivo e stupefacente sin dalla sua introduzione. L'avvio, ancora abbastanza classico, ci dona un gustoso assolo di Piggy, prima di assumere un'atmosfera più grigia e di condurci su un ascolto più misterioso e imprevedibile: è proprio qui che la voce di Snake sale in cattedra, uscendo fuori dagli schemi metrici e svariando a suon di urla di angoscia e di panico. Se esistesse la perfezione, questo brano sarebbe perfetto, perché svolge un lavoro egregio nel modo in cui avvolge e soffoca la mente di chi ascolta, proprio come farebbe un predatore con la sua preda. Stavolta, però, ad essere preda è il nostro cervello, che viene lanciato in un muro sonoro di pregevole fattura e di maligna atmosfera, con connotati apocalittici e a sprazzi molto caotici. L'utilizzo di un tema grave e cupo è alla base di questo immenso lavoro di scrittura, dove i quattro con il loro genio artistico superano se stessi. Nello stacco lento, dove viviamo la "calma" dopo il massacro, la nostra mente sarà già completamente persa, e andrà in estasi pura assaporando il livello di questa musica, assimilabile ai Pink Floyd nel loro periodo di picco creativo per qualità e, soprattutto, capacità di alterare la nostra realtà: è proprio questa la parola magica, "alterazione", che utilizzerei per descrivere questa stupenda penultima traccia. Chiunque ascolti questo brano avrà la sensazione di ritrovarsi perso, in preda alla follia, mentre il genere umano sta venendo sterminato e qualsiasi senso di ragione e coscienza che ci appartiene si sta smarrendo nel percorso. Le liriche non solo non si discostano dalla composizione, ma ancora una volta mostrano un racconto assolutamente parallelo a quello musicale. Il protagonista della canzone, un ragazzo, si sveglia nella mattina e nota che c'è nell'aria un qualcosa di diverso: per le strade regna il caos, le automobili sono distrutte e il traffico è bloccato, qualcosa di grave sta succedendo. Così, mentre la nostra mente viene schiantata dalle avvolgenti note di questo brano, il racconto ci spiega come avverrà l'apocalisse. A quanto pare, noi esseri umani saremo "sostituiti" da delle strane creature che assumeranno le nostre sembianze, visto che il brano presenta queste emblematiche frasi: "Now I change my opinion about you, I can't trust you, not even my friends" (ora cambio la mia opinione su di te, non posso fidarmi di te, e nemmeno dei miei amici) che ci riportano a qualche racconto cinematografico d'altri tempi, manco ci trovassimo ne "L'Invasione degli Ultracorpi", capolavoro del 1956 che narrava di una situazione davvero analoga. Nella canzone, il protagonista cerca di convincersi di trovarsi solamente in un brutto sogno, ma si rende presto conto che tutto ciò che lo circonda è estremamente reale. Osservando i nostri oggetti sbattuti e distrutti, come ad esempio i giocattoli dei bambini, il protagonista si rende conto della futilità della nostra esistenza e del fatto che, dopotutto, il pianeta Terra potrebbe benissimo andare avanti senza di noi. In una riflessione, il ragazzo si convince quindi che è arrivata la fine per ogni uomo sulla Terra ma, preso dalla sua determinazione, sceglie di cercare la sopravvivenza e di resistere all'imminente minaccia che incombe.
Cockroaches
L'ultimo brano, intitolato "Cockroaches", ci viene introdotto da uno spettacolare assolo di batteria di Away; subito dopo è Piggy, con la sua chitarra, ad enfatizzare il tutto con un breve assolo e aprire il riff della strofa, dove la voce di Snake colora a ritmi irregolari la martellante linea musicale. Questo brano ci riporta in men che non si dica nel pieno della guerra, con ritmi molto più intensi e la totale riscoperta dell'attitudine metallara della band; non manca affatto, tuttavia, quella percentuale di sperimentazione che contraddistingue l'intero full: la voce di Snake non si limita qui al solo canto, ma offre anche delle urla di disprezzo e, talvolta, di profondo disgusto. La canzone, che racconta in maniera coinvolgente e surreale dell'invasione subita da milioni di scarafaggi, catapulta il nostro ascolto in una serie di bordate sonore potenti e disturbanti, con gli accordi di Piggy che fanno tutto fuorché seguire un qualsiasi schema di matematica musicale prevedibile e immaginabile dalla nostra fantasia. Questo brano, man mano che proseguo con l'ascolto, immerge il mio cervello in una totale sensazione di caos, caoticità, come se tutta l'energia che lo trascorre non conoscesse un limite; d'altra parte, la band ha il merito di riuscire a realizzare tutto questo in una maniera propria ed innovativa, infondendo la giusta scarica adrenalinica tramite una serie di "invenzioni" mai ascoltate prima, e quindi senza ricorrere neanche per una volta ai lati più classici del genere. Le liriche, che personalmente mi divertono molto, narrano di come un esercito di insetti invada all'improvviso, in maniera assolutamente imprevedibile ed inattesa, una grande città. Queste fastidiose creature conquistano ogni quartiere, soddisfacendo la loro dieta che si basa su piccoli vegetali, piccoli insetti, sostanze zuccherine, grandi vegetali, grandi insetti, vestiti, stivali e cervelli umani (okay, questa era mia, spero vi abbia almeno fatto ridere). L'unico modo per fermarli è l'utilizzo del fuoco, loro unica grande paura; più precisamente, però, è necessario bruciare l'intera città, perché la sopravvivenza di uno solo degli scarafaggi porterà un nuovo esercito a devastare e a distruggere. La conclusione di questo simpatico testo non lascia, ahimè, sperare a nulla di buono, perché gli insetti si preparano ad invadere città per città l'intero continente. Questo brano mi ha complessivamente colpito e sorpreso, sia dal punto di vista testuale che dal punto di vista musicale: la band è riuscita sì a realizzare un brano più potente e disturbante che mai, ma senza distanziarsi da quella vena più progressive (io in questo disco preferisco spesso definirla sperimentale) che contraddistingue l'intero lavoro. Ancora una volta, un immenso brano all'interno di un immenso album.
Conclusioni
Questo straordinario album rappresenta una svolta epocale nella carriera della band, a cui va riconosciuto certamente anche il grande coraggio nel proporre un sound così caratteristico e fuori dagli schemi. Come già accennai nella recensione relativa al loro debutto "War and Pain", a me piace definire questo tipo di sonorità come l'"anti-commerciale", e da questo potrete capire perché una scelta stilistica come questa faccia sicuramente onore alla band: tanto di cappello ai ragazzi! Una delle vere qualità che possiede questo full è di certo quella della "costanza": mentre, come avevamo visto, i lavori precedenti possedevano tracce forti e tracce meno forti, "Killing Technology" è fantastico perché ogni canzone lascia l'ascoltatore stregato e propone un qualcosa di sempre sensibilmente diverso dalla traccia precedente. Con l'eccezione della sola "Order of the Blackguards", che non ho trovato al livello delle altre, questo disco si caratterizza per il suo continuo dinamismo dove ogni brano lascia inalterato lo stile ma non l'interpretazione. Tramite queste caratteristiche, l'album riesce in qualche modo a tenere l'ascoltatore incollato fino all'ultimo secondo, e lo fa non solo grazie alla bellezza dei brani in sé, ma anche grazie alla grande curiosità che suscita nella persona che ne apprezza e ne analizza la fattura. A spiccare in questo terzo lavoro discografico della band è senza alcun dubbio il progresso che hanno fatto i ragazzi nel lavorare tutti insieme, sia dal punto di vista strettamente esecutivo sia da quello compositivo e musicale a 360°: in alcuni brani, come ad esempio la stessa "Ravenous Medicine", è possibile percepire quell'incredibile feeling tra i componenti di questo quartetto che prima già certamente c'era, ma l'amalgama non era neanche lontanamente forte come in quest'album. Anche dal punto di vista degli arrangiamenti e della sistemazione dei brani in studio, la band ha svolto passi in avanti enormi, riuscendo a curare ogni piccolo dettaglio all'interno delle canzoni più di quanto avesse mai fatto prima. Analizzando il full, non possiamo fare a meno di notare i progressi dei componenti anche presi individualmente: Snake, che era già stato immenso nei lavori precedenti, riesce a sviluppare e migliorare ancor più il suo stile vocale in maniera molto evidente. La sua voce è sì più matura in senso generale, ma presenta anche tante nuove "sfaccettature", una maggiore libertà di improvvisazione, una ancor più grande creatività compositiva e una capacità di utilizzare il timbro vocale per nuovi stili ed interpretazioni prima sconosciute anche al cantante stesso. Piggy, con la sua sei corde, dimostra di essere diventato meno "metallaro" e più "musicista": da ragazzo, e ci sta, ognuno mette in campo per prima cosa la sua passione e il divertimento. In questi pochi anni, il chitarrista ha ampiamente dimostrato di saper compiere il salto di qualità che questa evoluzione di genere richiedeva, unendo la sua vena più classica e old school colma d'attitudine alla maggiore complessità e sapienza che la musica nei suoi aspetti più completi richiede. Blacky, con il suo basso, fornisce un contributo importante nel caratterizzare le sonorità della band, tramite un utilizzo dello strumento estremamente personale e spontaneo. Away, infine, non smette mai di stupirci, mostrandosi ancora una volta come uno dei batteristi di maggiore spicco dell'intera scena metal anni '80: se nei primi lavori stava infatti "sondando" il terreno per un particolare tipo di sound e nel dare un'impronta propria al rapporto tra lui e il suo strumento, in "Killing Technology" ha completamente sviluppato questi esperimenti rendendoli certezze: il rapporto fra lui e la sua batteria mostra un grado di simbiosi unico, e si erge come uno degli apparati della band che più la rende naturale garantendo un senso di appartenenza unico al sound. Questo modo di porgersi unico, che con un termine solo definirei "caratterizzazione", è certamente dovuto anche alla stupenda realtà immaginaria che i ragazzi riescono a creare dietro la loro musica. Nello specifico, le liriche di questo full si confermano stupende, sia per la curiosità che infondono nel modo in cui sono state create e poste, sia per quello spiccato senso di "spigliata originalità" che le ha sempre contraddistinte nel loro genere. Dopo l'invenzione di Morgoth da parte di Away, la band crea con saggezza un mix fra le sue lande ghiacciate e futuristico-apocalittiche e la situazione politica reale di quei tempi, realizzando un ibrido di furbizia e genialità assoluta: tale immagine possiede un'evocatività unica, e ci permette di calarci in questo universo immaginario in maniera ancor più reale di quanto fosse successo con i primi due lavori. Innegabilmente, questo è un album che potrebbe essere compreso più difficilmente da quella frangia di giovani ascoltatori estremamente legati all'heavy metal nei suoi lati più classici, ma ci si auspica che la maturazione della band abbia coinvolto anche i fan che li seguivano da vicino sin da un'età più adolescenziale. Credo che i Voivod meritino a tutti gli effetti di essere considerati fra quelle grandi band che sono state in grado di evolversi a carriera in corso, migliorandosi album dopo album e rilasciando, come molti, il primo grande capolavoro alla terza uscita discografica. Giunti a questo punto, mi sembra più che giusto dedicare un accurato approfondimento al meraviglioso artwork di questo lavoro, realizzato dal batterista Away in persona. Il protagonista indiscusso di questo disegno è uno strano robot: osservandolo meglio, possiamo capire dal braccio e dalla testa che esso contiene una strana creatura vivente al suo interno, forse un essere mostruoso o forse un povero uomo geneticamente modificato e ridotto in quello stato. Questo bizzarro essere robotico si trova in una nave spaziale, e possiamo vedere sullo sfondo tre bianchissime lune piene, molto simili a quella che si trova vicino al nostro pianeta. A catturare la nostra attenzione in questa interessante opera artistica sono le braccia della creatura, una completamente robotica ed una semi-vivente. Il braccio destro, quello robotico, si appresta ad afferrare una maschera anti-gas, confermando la nostra tesi che l'essere meccanico possiede in realtà un qualcosa di vivente. L'altro braccio, quello sinistro, si appresta a controllare un computer. Osservando con attenzione, vediamo come sul computer ci sia un mirino rosso, che ci fa capire che l'essere mostruoso si sta, ahimè, preparando a distruggere la luna centrale, quella più vicina. Infine, degni di nota sono alcuni elementi dell'artwork che richiamano alla band e all'identità che si è creata nel corso degli anni: in alto a destra è possibile vedere su una grata dell'astronave un logo che storicamente rappresenta la band, ovvero una testa futuristica di Morgoth, molto simile ad una maschera. Più difficili da notare, ma estremamente efficaci dal punto di vista dell'inconscio psico-visivo, alcuni dettagli e alcune parti del robot che richiamano al grande logo della band, in quest'album di colore verde, che si prende da protagonista l'intera parte superiore del disegno, com'è giusto che sia.
2) Overreaction
3) Tornado
4) Too Scared To Scream
5) Forgotten In Space
6) Ravenous Medicine
7) Order of the Blackguards
8) This is Not An Exercise
9) Cockroaches