VOIVOD

Angel Rat Sampler

1991 - MCA Records

A CURA DI
MAREK
23/06/2017
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione Recensione

Parlare dei Voivod non è mai semplice. Non lo è mai stato, e mai lo sarà. Troppo spesso sottovalutati e messi da parte, in favore di realtà che loro stessi - paradossalmente! - hanno contribuito a sdoganare. Mi assumo personalmente la responsabilità di ciò che dico: troppe band oggi note come "progressive" non avrebbero potuto fare a meno dell'esperienza di Piggy e compagnia. Una tecnica, un estro, un'attitudine folle che, di fatto, i canadesi hanno sempre mostrato senza troppa vergogna. Compiendo veri e propri voli pindarici, spessissimo. Dal grezzissimo (seppur maledettamente coinvolgente) "War And Pain" al ricercato "Killing Technology", passando per lo Speed tecnico / ragionato / aggressivo del mezzano "Rrröööaaarrr". Sino a sfociare in autentici capolavori del calibro di "Dimension Hatröss"; senza scordarsi dell'impegnativo e particolare "Nothingface", uno dei più fulgidi esempi di Progressive Metal mai immessi nel mercato discografico. Insomma, una carriera all'insegna della creatività, del cambiamento, del tentativo bizzarro quanto vincente. I Voivod non hanno mai annoiato, né mai lo faranno; proprio per quella loro voglia di andare a premere ogni volta tasti diversi, ognuno capace di solleticare un senso differente da quello stimolato nell'occasione passata. Impossibile, dunque, non citare (all'interno di questo marasma evolutivo) l'incredibilmente sorprendente "Angel Rat". Un disco se vogliamo più "semplice" e meno "pesante" del suo predecessore, il già citato e pluriosannato "Nothingface". Si cambia ruolino di marcia, si opta per un'attitudine più "orecchiabile" ma sempre dannatamente affascinante. Più Rock, più reminescenze settantine. Insomma, "Angel Rat" (sin dalla copertina, di gusto assai Prog. seventies, per l'appunto) si proponeva come un'ideale ponte d'oro fra il sound potente e diretto del Metal e la "sensualità", il sanguigno tipici di alcune soluzioni molto care ai tempi che furono. Pigmalione della band, in questo senso, fu nientemeno che Terry Brown. Un nome assai caro ad i rockers più esperti ed in un certo qual modo "puristi". Dato sì (a ragione!) che per molti i Rush sono LA legge. E proprio dietro diversi (ed acclamati) album del terzetto compaesano dei Voivod, si cela la sapiente mano di Terry. "2112", "Moving Pictures" e tanti, tanti altri dischi ancora. Un sodalizio, quello fra Brown e Geddy Lee che di fatto aiutò molto i Rush a raggiungere il loro ideale di musica e perfezione. Sodalizio che dunque si strinse anche con Piggy & co., andando a modellare "Angel Rat" come una sintesi perfetta fra Rock e Metal. Proprio perché, ed è bene specificarlo, quest'ultima componente non viene certo lasciata da parte. Di certo non udiremo suoni direttamente estrapolati da platter come "Rrröööaaarrr", questo è poco ma sicuro. Più che altro, è giusto parlare di venature in alcuni casi "molto" adeguate alla velocità tipica di alcune bands Heavy Metal / N.W.O.B.H.M.; comunque, ad emergere furono suoni particolarmente melodici ed accattivanti, progressivamente incastonati all'interno di un album / sfoggio di gusto e tecnica forse dapprima non capito subitissimo, ma di seguito amato ed apprezzato quanto i capolavori che lo precedettero. La definitiva "nascita" di "Angel Rat" sarebbe avvenuta il 12 Novembre del 1991, contrassegnata dall'egida della "MCA Records". La quale, giustamente, pensò di anticipare i tempi sempre nel corso del 1991, rilasciando un piccolo estratto del disco, buono per far rendere conto ai fan di cosa effettivamente gli sarebbe andato in pasto, qualche mese più tardi. L'EP "Angel Rat Sampler", in questo senso, fu quanto meno illuminante. Quattro canzoni, di cui due remix di brani successivamente immessi nella tracklist ufficiale ("Clouds in my House" e "The Prow") e due anticipazioni "pure", non remixate (la tracklist "Angel Rat" e la futura opening "Panorama"). Il tutto avrebbe dovuto fornire uno spaccato ben preciso della nuova attitudine dei Voivod: due brani indicanti l'andazzo generale del platter (all'epoca) in attesa di rilascio, e due remix indicanti - come al solito - la capacità dei canadesi di giocare con la loro stessa musica, trattandola quasi come argilla. Un'argilla da modellare con piglio da scultore, creando forme da disfare, per poi crearne altre. Ed altre ancora, ed altre ancora. Una band che si affacciava agli anni '90, gli anni dei grandi cambiamenti in ambito Metal, con un bagaglio d'esperienza notevole (alle sue spalle). Pronta, dunque, per rimettersi in discussione, per mostrare l'altro volto di un cubo di Rubik dalle mille facce. Quel che ci resta da fare, a questo punto, è afferrare questo EP ed inserirlo con sommo gaudio nel nostro lettore. Da notare, in ultima battuta, la copertina scelta per questa mini pubblicazione: grigia e nera, raffigurante in un cerchio solo tre degli allora quattro Voivod (formazione classica). A stupire, è il logo; totalmente spoglio di velleità "cibernetiche" o comunque classiche del Metal. Niente bordi acuminati, niente rimandi a chissà che aggressività. Viceversa, raffigurato mediante caratteri simili a quelli usati per i vecchi manifesti  di spettacoli del periodo Vaudeville.

Clouds in my House (Remix)

Partiamo dunque con il remix di "Clouds in my House (Nuvole in casa mia)". Un brano che non subisce chissà che modifiche, rispetto alla versione originale: ad essere amplificati e notevolmente adoperati, sono infatti  e solamente degli effetti sonori ben incastonati fra i vari versi delle strofe. Un suono assai simile ad una strusciata di Guiro, nulla di eclatante. A colpirci, invece, è il riff iniziale; assai debitore nei confronti dei KISS, incredibile ma vero. Le tipiche melodie festanti del duo Stanley / Simmons fanno infatti capolino in questa intro, andando a recuperare stilemi cari a brani come "Shock Me", rendendo i Voivod ben più allegri ed orecchiabili di quanto non fossero mai stati. E' durante le strofa che il discorso torna ad irrobustirsi, mostrandoci quest'ultima un riffing work potente ed incisivo, ben sorretto da una ritmica rocciosa. La voce di Denis risulta invece ben più delicata ed avvolgente, narratrice di una storia alquanto strana. Un testo breve e pieno di mistero, nel quale si parla di un uomo (presumibilmente) intrappolato in un enorme contenitore di vetro. Egli si guarda intorno, cercando di capire cosa gli stia accadendo, cercando di trovare un senso a questa sua strana esperienza. Tutto ciò che vede consiste in barriere trasparenti, almeno fin quando una botte non inizi a colare nel recipiente litri e litri di plasma. Il discorso si fa ancora più intricato ed inquietante: si arriva dunque al ritornello, il quale abbandona il modo di fare fin ora sì orecchiabile ma troppo elementare, optando dunque per ricercate velleità Prog. '70. Sembra quasi di esser persi in un laboratorio fantascientifico, peregrinando fra grigi alveari e celle in cui strane figure incolori prendono vita. Una fabbrica di simil esseri umani, dalla quale il nostro protagonista sicuramente proviene; creato a sua volta, vissuto da sempre in una provetta, alimentato dal sangue in attesa che la sua nascita fosse completa. Ritorno del modus suonandi à la KISS nella seconda parte del refrain, prima di una seconda strofa identica alla prima. Se non fosse per il fatto che, ad un orecchio attento, non sfuggirà una piccola nota "cibernetica" inserita da Piggy dopo il secondo verso di quest'ultima. Non a caso, la creazione dell'essere sembra ormai completa. L'homunculus prende vita, avvertendo una certa frenesia nell'aria. Le migliaia di tubi con i quali viene alimentato fanno sgorgare nel suo corpo energia vitale, ed è dunque pronto a strapparseli di dosso, per uscire dalla provetta. E' ormai un essere fatto e finito, non avrà più bisogno di vivere sotto vetro. Arriviamo così alla metà precisa del brano, in cui Piggy si lancia in uno splendido assolo sospeso fra Santana e Jimi Hendrix, non dimenticando comunque di toccare duramente le sue corde, mostrandosi orgogliosamente "metallaro" nel farlo. Un assolo il quale ha un che di sognante alla sua base, sfruttando melodie rockeggianti ed a tratti addirittura psichedeliche. Un bellissimo frangente, che spiana la strada ad una nuova accoppiata strofa / refrain; si scivola via verso un finale tipicamente Prog. Rock, in cui una batteria scalpitante accompagna melodie trascendentali e la splendida voce del singer, perso fra luci e cristalli. Tutti gli homunculi stanno aspettando di rinascere, attendono un'estate assolata che possa finalmente dischiudere i loro bozzoli. Le larve attendono pazienti nell'alveare... presto, tutte rinasceranno.

The Prow (Remix)

Si continua dunque con il secondo remix, "The Prow (La Prua)", anch'esso per nulla (troppo) differente dalla versione poi presentata su disco. Un brano corto e compatto, dinamico, capace di dire la sua pur presentando una notevole semplicità di fondo. Dinamico e veloce, ma sempre orientato verso un particolare gusto melodico tale da farci pensare ad uno "strano" mix fra Nazareth ed Uriah Heep, più la ruvidezza del tocco Metal. Udiamo un rumore d'onde e spuma marina infrangersi contro scogli e chiglie, si procede dunque in maniera assai sostenuta, presentandoci una prima strofa sicuramente diretta e ben poco persa in fronzoli od orpelli di vario tipo. La storia risulta assai più semplice di quella narrata nel brano precedente: troviamo infatti un marinaio intento a solcare le acque, scrutando con fare altezzoso il mare in tempesta. Fieramente appostato sulla prua della sua nave, scorge fiero la sua polena; quella Lorelei (questo il suo nome) che da tanti anni veglia sui suoi viaggi, infrangendo le onde e guidando la ciurma verso nuovi lidi. Più che una semplice scultura in legno, una vera e propria dea protettrice. Un nume tutelare di quel micro mondo, al quale tutti i suoi abitanti si rivolgono per ottenere grazia e protezione. Il refrain, continuando su questa falsa riga e quasi traducendo in chiave Rock qualche stilema assai caro a Rolf Kasparek, ci parla in maniera più melodica e "docile" di quante e quali meraviglie celi il mondo sottomarino. Sette mari da solcare, colmi di tesori da recuperare. Una vita avventurosa, quella del marinaio. Si arriva così in prossimità del secondo minuto, momento in cui un che di sinistro prende il sopravvento. Melodie stranianti e cantilenanti di chitarra, sfioranti lo psichedelico, avvolgono la voce misteriosa di Denis; ma è solo un momento, dato che di lì a poco Piggy si lancia in un assolo a metà fra il mondo Rock e diversi spunti N.W.O.B.H.M. Non è un caso il fatto che, se isolato dal suo contesto, questo brano sembri uscire direttamente da una demo del 1979, gli anni dei primi ruggiti del metallo inglese. Momento di grandissimo prestigio, sfociante poi in un nuovo refrain. Quante avventure vivrà il nostro capitano? Quanti ostacoli incontrerà la sua masnada d'eroi? Quanti forzieri da dissotterrare e seppellire? La vita del lupo di mare: avventura, avventura, avventura! Nuovo emozionante assolo al minuto 2:55, il momento migliore del nostro Piggy. Hard n' Heavy di scuola inglese, N.W.O.B.H.M. allo stato puro, frangente più valido del brano. Il resto, uno sfumare che ci ripropone il suono udito all'inizio. Ovvero, onde del mare in placido subbuglio.

Angel Rat

Penultimo brano del lotto, "Angel Rat (L'angelo ratto)" si fregia d'un inizio delicato, dominato da chitarre melodicamente stranianti e basso in evidenza. Il tutto sembra, nella sua tranquillità, destinato a dipingere uno scenario singolare, particolare, a tratti oscuro e pesante. Una nenia in grado di snodarsi lungo un sound psichedelico e metafisico, strano, dominato da singolari effetti sonori e voci ogni tanto modificate, effettate. Ugole alterate poste in netta contrapposizione alla flebile e "stanca" prova vocale del singer, volutamente sciamanico. Un brano che richiama a gran voce diverse melodie tipiche e topiche del prog. settantino (si pensi a gruppi come Black Widow e King Crimson), tuttavia ben miscelando il tutto in un calderone Alternative Rock che di sicuro avrà funto da base non di poco conto, per tanti gruppi a seguire (dal '91 in poi, insomma). Il testo, poi, è quanto di più strano si possa concepire. Come prima impressione, sembra quasi di trovarci dinnanzi ai deliri di un pazzo, in perenne lotta contro le sue paure / limiti mentali. In un ideale dialogo con un'entità denominata appunto Phobia, il protagonista cerca in tutti i modi di slegarsi da confini e catene. Attendendo il giorno propizio, per volare finalmente via. Si fa coraggio e si fa consigliare. Procedere avanti non guardando mai in basso, prendere la propria strada senza rimorsi o rimpianti, spiegare le ali, saltare. Strani pensieri immersi nella noia d'una Domenica pomeriggio. Si continua dunque reiterando lo stesso stile, sempre così ipnotico e sfuggente. Si scivola via senza troppi scossoni, si termina dunque in un ad libitum sfumando dell'arpeggio principale. Forse, è venuto il giorno di spiccare il volo. Forse, è arrivato il momento così tanto atteso. Ed ecco, il nostro folle, immergersi nella notte. Volare via, divenire un tutt'uno con l'oscurità. Che questi versi così strani ed allusivi ci parlino - in fin dei conti - di un tentativo di suicidio? Considerato l'andamento musicale del pezzo, il tutto sembra decisamente probabile. La notte, la sera, il tramonto equiparati dunque alla morte, in un impeto di foscoliana memoria. Forse perché della fatal quiete tu sei l'imago, diceva il nativo di Zante. Ed i Voivod sembrano riprendere questo concetto, presentandoci una persona che letteralmente "vola" immergendosi totalmente nell'oscura coltre. Sarà un angelo, o un vile ratto? Il suo gesto determinerà il suo essere? Solo il tempo, probabilmente, ce lo dirà.

Panorama

Si chiude in bellezza con un altro brano breve ma di sicuro impatto: "Panorama". Un riff à la Satan / Blitzkrieg ci introduce dunque ad un brano incredibilmente movimentato. Puro Hard n' Heavy / Rock n' Roll vecchia scuola, un tornado d'emozioni e sensazioni che per forza di cose sanno d'Inghilterra sin dal primo secondo. Non siamo neanche arrivati al compimento del primo minuto che subito Piggy ci distrugge a suon di note velocissime, sfoderando un assolo breve ma vincente. E dunque si continua in maniera così magnificamente sostenuta e vincente, fino al momento in cui repentini cambi di tempo e dinamica fanno capolino, di fatto ridisegnando momentaneamente il volto del brano. In occasione del primo refrain, quello che doveva essere un pezzo di pura matrice Hard n' Heavy si tramuta così in un qualcosa certo di aggressivo, ma comunque tecnicamente ricercato e particolarissimo, complice anche e soprattutto una batteria incredibilmente versatile. Una sezione centrale decisamente da incorniciare, ben incastonata fra due metà sugli scudi, granitiche e potenti. Subito dopo questi sfoggi di tecnica (momento in cui possiamo anche ammirare uno splendido solo di Piggy, tanto per cambiare) torniamo infatti ad assaporare la velocità e la sfrontatezza tipiche dell'Heavy Metal, mitigata poi dal ripresentarsi del ritornello e dalla conseguente fine del pezzo. Ho volutamente deciso di affrontare il discorso testuale alla fine dell'analisi più tipicamente musicale; in quanto, il testo questo brano rasenta il no sense più assoluto. Grossomodo, sembra si stia descrivendo un ambiente talmente asettico ed impersonale, tanto da rasentare la più totale anonimia. Un qualcosa che all'apparenza sembra grandioso (da qui il titolo del brano) ma che in realtà rivela un'anima povera e sterile. Persone tutte uguali, prodotte in serie, prede di mille manie e paure. Per questo, una serie di automi più che di personaggi senzienti. Una notte illuminata da fredde luci al neon, un giardino senza Dei. Solo alcune delle espressioni che possiamo trovare lungo questa sarabanda di versi quasi totalmente slegati fra di loro, privi di filo logico. Una giustapposizione di immagini forse mirata a criticare la frenesia dell'uomo moderno, ormai schiavo del freddo acciaio e della tecnologia. Il protagonista del testo sceglie dunque di ritirarsi in una sorta di eremo, abbandonando per sempre quella vita. Un'esistenza che proprio non fa per lui, della quale sarà testimone e spettatore silenzioso, non più partecipe. Assisterà, egli, alla fine del mondo. In maniera passiva, svogliata, quasi annoiata. Del resto, cosa finirà di preciso? Un mondo che - praticamente -  è sempre stato più una barzelletta che un qualcosa di reale. Una fiction, una leggenda metropolitana, giunta finalmente al suo triste epilogo. 

Conclusioni

Epilogo raggiunto anche da questo articolo, amici lettori. Un mini viaggio all'interno di un'ulteriore faccia mostrata, senza vergogna o timore, da un quartetto - i Voivod - che mai ha avuto paura o pensieri circa le pretese del prossimo. Pretese che troppo spesso risultano qualunquisticamente prive di significato o comunque inutili, all'interno del discorso artistico. L'Arte è di chi la crea, partiamo da questo presupposto. Noi (discorso nel quale è incluso il vostro affezionatissimo), di riflesso, possiamo solamente esprimere un'opinione, basandoci su diversi fattori. C'è chi all'epoca parlò di "svendita" dei Voivod, chi di troppa "linearità" del sound, a discapito del genio mostrato in occasione dei dischi precedenti. Una buona fetta di pubblico, invece, accolse caldamente "Angel Rat"; definendolo giustamente un disco divertente e per nulla scontato. Orecchiabile, certo, ma personale ed anche dotato di un buon sottobosco tecnico (del resto, Piggy è sempre Piggy). Insomma, un centro ben assestato da parte di un gruppo il quale riuscì a farsi valere anche al di fuori di un normale contesto estremo. Situazione non certo facilissima da concretizzarsi, almeno guardandosi indietro e rimirando alcuni "splendidi" esempi in tal senso. Partiamo dal principio: successe ai KISS con "Unmasked"; album le cui vendite non poterono nemmeno sperare di competere con i dati registrati da "Destroyer" o "Love Gun". Successe ai Judas Priest con "Turbo"; disco solo nelle ultime decadi apprezzato, ma all'epoca definito addirittura un totale buco nell'acqua, nonché  come il sottomettersi del Dio Metal ai piedi del Dio Denaro. Successe ai Saxon con "Destiny", disco che conteneva qualche piccolissima perla, persa in un mare di melodie catchy fino alla nausea. Successe ai Celtic Frost con "Cold Lake"... e meno ne parliamo, meglio è. I Voivod, dunque, riescono laddove tanti grandi nomi hanno fallito. Riescono a creare un disco convincente, che nessuno ha avuto il coraggio di bocciare. Perché, parliamoci chiaro - lo capiamo sin da questi samples - "Angel Rat" funziona. Funziona perché udiamo quattro ragazzi alle prese con i loro idoli di gioventù. Quattro ragazzi intenzionati a DIVERTIRSI. A suonare per il puro piacere di farlo. Testi pazzi uniti a melodie certo lineari e semplici, ma spesso viranti verso pregevolissimi "sbalzi" in grado di farci ammirare tecnica, talento ed estro. Un prendere e re-miscelare perpetuo. Plasmare, disfare, abbattere, ricostruire: questi sono i Voivod di "Angel Rat", questo è il loro compito. Ri-erigere ed onorare le imponenti rovine d'un passato mai remoto, farlo rivivere attraverso composizioni particolarmente seducenti eppure così misteriose, per nulla banali o "fatte per la radio". Benché la volontà "easy listening" sia di per sé evidente. Creare per noi, e non per la classifica. Questo, il motto dei canadesi. Riusciti senza dubbio nell'intento prefissatosi all'inizio, ovvero auto-intrattenersi. Con l'aiuto di una grande personalità, in fase di produzione. Ed è chiaro come il sole il fatto che, quando ci si diverte, la nostra allegria risulta vantaggiosa. L'amore per un certo genere, lo studio sincero ed appassionato. Non un alleggerimento per fini commerciali, avvenuto invece per volontà propria. Come dicendo: "e se provassimo a fare qualcosa del genere? Mal che vada, piacerà solo a noi". Il segreto dell'Arte; alimentarla in maniera sincera. Bendata, la Musa, come la Dea Fortuna. Eppure, capacissima di vedere chi cerca in qualche modo di ingannarla. E sia chiaro, non sto certo disprezzando chi vuole proporsi in vesti meno complesse e più dirette; ognuno è libero di fare ciò che vuole. Dico solo, e lo sosterrò fino alla fine, che la differenza fra un "Turbo" od un "Load" (per fare un esempio), ed un "Angel Rat" è palese. Nei primi casi, smaccatamente svetta la voglia di guadagnare consensi. Nel secondo caso, si suona per suonare. Solo, e semplicemente, per suonare.

1) Clouds in my House (Remix)
2) The Prow (Remix)
3) Angel Rat
4) Panorama
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