Viza
Aria
2014 - Graviton Music

LORENZO MORTAI
22/05/2014











Recensione
Alle volte ti capita fra le mani un disco che rappresenta quasi una cartina geografica, un viaggio immenso e pieno di ostacoli attraverso le meraviglie del mondo. E tu, viaggiatore sulla linea del tempo, continui a camminare e camminare, attraversando ponti, guadando fiumi, scalando montagne, fino alla sommità più alta che ti farà avere il mondo ai tuoi piedi. Non è affatto semplice produrre un disco che riesca a darti queste sensazioni, devi essere maledettamente bravo ad unire fra loro varie contaminazioni e rifrazioni di musiche diverse, al fine di creare un ibrido particolare e mai visto prima. Per riuscire a trovare qualcuno così, siamo dovuti volare fino agli USA, patria di alcune delle formazioni Rock e Metal più blasonate ed importanti della storia musicale, dove abbiamo scovato un gruppo di fama già abbastanza ampia , attivi dal 2009 e con già tre full lenght sul loro scaffale. Loro si chiamano Viza, e sono quello che potremmo definire un vero e proprio “intercontinental group”, essendo una formazione che al suo interno incarna lo spirito di molte culture diverse, dalla statunitense all’armena alla greca, e ciò si riflette ovviamente anche sulla loro musica, fortemente contaminata dalle loro origini; ciò che andremo con cura maniacale ad eviscerare oggi è il loro ultimo lavoro, uscito quest’anno, e che già dal titolo permette alla nostra mente di divenire leggera e stagliarsi nel cielo, librando le ali assieme ai Viza, ed ovviamente al loro "Aria".
L’opening è affidato ad un pezzo che, già dai primi battiti, ci fa sussultare il cuore; "Never Feel " (Sentire Mai) incarna al suo interno quello spirito da Metal moderno, con forti influenze dettate da gruppi come System Of a Down (a cui devono molto, essendo stato proprio il frontman Serj Tankian colui al quale i Viza si rivolsero nel 2010 per produrre il loro primo full lenght, "Made in Chernobyl", nel quale anche Serj canta in una delle tracce), ma anche Linkin Park o simili, tutta quella schiera di formazioni insomma che, dalla seconda metà degli anni 90 in poi, ha gettato le basi per quelli che possiamo chiamare Nu Metal e Alternative Metal. I Viza però non si fermano certamente al ruvido suono del metallo, ma decidono di forgiare un’arma particolare inserendo anche partiture di Folk nella loro musica (provenienti dalle loro tradizioni territoriali), il che conferisce all’intero brano quel sapore esotico che non guasta mai. I ritmi sono serrati, la cadenzatura della musica è veloce ed incessante come pioggia battente, mentre K'noup Tomopoulos (frontman e fondatore) ci narra la straziante storia di un uomo che nella sua vita ha incontrato la donna più sbagliata che potesse incrociare il suo cammino; ella infatti non è altro che un demone mietitrice di vittime che ama soltanto soggiogare e sbranare come manichini inermi gli uomini che si lascino troppo trasportare dal suo aspetto e dai suoi modi. E vediamo dunque il protagonista che, col cuore straziato e paralizzato dalla volontà della donna, cerca di trascinarsi verso la salvezza, mentre osserva la brutale anima dell’essere che lo aveva convinto ad intraprendere quella strada navigare in un mare di cadaveri, e levarsi verso il cielo come l’angelo dell’apocalisse, pronto a stritolare il mondo con le sue mani. Accennavamo all’inizio di come questo disco sia in realtà un viaggio attraverso le meraviglie del mondo, ma nel contempo è anche pieno di insidie; una di queste certamente è la seconda traccia, "Quicksand" (Sabbie Mobili), ed è facile intuire come mai: il pezzo, spostandosi più verso l’anima metallica della band e meno verso quella folk, fa stagliare di fronte ai nostri occhi l’immagine di un uomo che è stato ghermito in quel baratro così oscuro e controverso, che sta li, pronto ad inghiottire qualsiasi cosa abbia la sfortuna di posare il piede sulla sua apparentemente dura superficie. L’uomo si chiede se questa sarà davvero la fine per lui, se in realtà lui è già morto e il baratro lo abbia definitivamente risucchiato con sé; decide allora di confessare tutte le proprie bugie e peccati, quasi a monito per coloro che avranno la sua stessa sfortuna, e mentre noi ascoltiamo le sue melanconiche parole, quasi ci viene da pensare che queste sabbie mobili possano anche essere raffigurate con il baratro in cui spesso sprofondano le vite degli uomini, un pozzo senza fondo in cui le anime degli esseri maledetti vanno a finire, e l’unica cosa che è rimasta loro è pentirsi per tutto ciò che hanno fatto mentre erano in vita, anche se ormai è troppo tardi. Per rendere il tutto ancora più intenso, il nostro K’noup, aiutato fortemente dalla chitarra di Orbel Babayan, che qui inizia ad emettere elaborati riff dal suo strumento, alza leggermente il tiro della voce, spostando l’ago del vocalizzo verso quei lidi del Nu e dell’Alternative Metal che ormai vengono esplorati da molti, lanciandosi senza paracadute in scream e voci graffiate provenienti dall’inferno. Devo dire però che, nonostante non sia un grande fan delle tecniche di cantato sopracitate, in questo caso calzano come un guanto alla canzone, essendo essa impregnata della sofferenza del protagonista, le due tecniche di canto amplificano questo sentimento, e nelle nostre orecchie quasi ci sembra di udire il suono delle sue grida, che iniziano come vermi famelici a sbocconcellare pezzi del nostro corpo. Iniziamo pesantemente a sentire le influenze orientaleggianti dei Viza con la terza traccia, "Midnight Hour" (Mezzanotte); qui si passa da sofferenze e disagi umani, ad un’invettiva contro l’umanità stessa, rea di aver costruito una società basata su fondamenta di nebbia, fondata su soldi, potere e scorciatoie, ma, nell’immaginario collettivo dei Viza, arriverà il giorno in cui il giudizio del corvo si abbatterà su tutti noi, e allora il conto da pagare sarà davvero salato. E’ interessante osservare come le contaminazioni mediterranee del gruppo (con l’ausilio anche i strumenti inusuali come il duduk o l’oud), riescano perfettamente ad incastrarsi con la parte al vanadio proveniente dalle altre tradizioni, è un equilibrio che sta in piedi da solo, e che i nostri statunitensi alimentano sempre con nuove energie, pronto a farlo esplodere nella nostra testa. Considerando che Midnight Hour incarna al suo interno molto più spirito Folk rispetto alle due tracce precedenti, qui i ritmi sia della voce, che si fa quasi vate e poeta per recitarci la sua arringa finale al mondo, sia delle chitarre e della batteria, che quasi si affievoliscono ad accompagnamento per tutto il brano, ed entrambe le parti donano al brano quel sapore di grandezza che ci fa viaggiare con la mente attraverso terre sconosciute. Dopo aver inveito contro il mondo, i Viza fanno quasi un passo indietro e cercano di difenderlo con "Vanished" (Svanito); qui si cerca quasi di vedere il mondo sempre come un globo pieno di difetti, ma con una speranza finale che non tarderà ad arrivare, e si evince ciò anche dalla musica di sottofondo che assume i canoni pieni delle terre da cui gli artisti provengono, regalandoci un ritmo quasi tribale davvero d’effetto, ci pare quasi di essere nel deserto, con la desolazione che circonda i nostri occhi, ma consapevoli del fatto che al mondo non siamo soli, e che, citando le parole del testo “il meglio deve ancora venire, il peggio sta vagando”. Qui non si parla di semplice musica messa li a rappresentare chissà cosa, qui si tratta di un vero e certosino lavoro di ingegneria, di riuscire ad unire musiche fra loro molto diverse, ed è bene, mentre si ascolta Aria, soffermarsi sulla capacità dei Viza di riuscire in questo intento, Vanished ne è un chiaro esempio, perché nonostante la dominazione quasi assoluta sia fissata dai dettami Folk, l’anima d’acciaio del gruppo non tarda a farsi sentire in alcuni spiragli, si apre piccole brecce nella canzone, e non risultando mai pesante o fuori luogo. Un dolce movimento di flauto invece quasi ci fa calmare, prima di trasformarsi in un vero tamburo da guerra ed aprirci le porte di "Viktor’s Vanguard" (Avanguardia di Viktor), in cui siamo costretti ad indossare l’armatura e a combattere su un antico campo di battaglia, guerreggiando come prodi guerrieri brandendo spade di luce. Qui decisamente, ma perché il testo e l’argomentazione lo richiede, il ritmo si impregna pesantemente di Folk Metal, degno delle tradizioni di gruppi come Korpiklaani, Ensiferum e simili, quel ritmo da battaglia sanguinolenta, quelle partiture così trascinanti nel loro progredire, il tutto però accompagnato da quel modo di fare musica quasi da Progressive (cercando sempre la maniacalità e la correttezza) che ormai contraddistingue i Viza fin dalle prime battute (lo stesso Tankian li definì come “uno dei più interessanti progetti che abbia avuto il piacere di ascoltare), e, nonostante le loro influenze siano palesi, i nostri statunitensi - armeno - greci cercano sempre di andare oltre quella barriera, superando le convenzioni poste in precedenza. Il brano è un susseguirsi di gridi di battaglia feroci e ripetuti, con la voce del frontman che si barcamena fra momenti di calma e altri di pura follia vocale, gettandosi in assoli degni del più nobile dei condottieri, mentre la storia dell’ipotetico comandante Viktor, ci fa capire il vero spirito che aleggia dentro un esercito di fedelissimi (l’avanguardia del titolo), quel manipolo di valorosi che si schierano di fronte alle armi nemiche, pronte a tutto per difendere i propri ideali e morire per il proprio condottiero. E’ il momento adesso di una trascinante ballad, degna di questo nome, e i Viza ci offrono in sacrificio "The Girl That Doesn’t Exist" (La Ragazza che non Esiste); il testo è traboccante di significati, a partire già dalle prime battute che, quasi a monito, recitano “Con una bugia si nega alla propria mente di vedere che il suo essere è cieco”, intendendo che, mentre ognuno di noi vaga per strade sconfinate alla ricerca della donna perfetta, quella in cui ogni singolo dettaglio assume i toni dell’infinito, bisogna sempre tener conto che, per conquistarla, si deve essere sé stessi, non si deve macchinare in alcun modo orchestrazioni da palcoscenico al fine di averla, anche perché il mentire su sé stessi può portarti anche a non vedere ciò che la persona davanti a te realmente è, tanto sei legato alla tua trama di menzogne. Dopo questo intro già ricolmo di spunti, i Viza continuano a inveire su chi pretende di trovare la donna giusta sperando che sia una cosa semplice, sperando soprattutto che i difetti di quest’ultima o non esistano, o non vengano mai a galla, ma, come accade sempre in questi frangenti, ci si accorge alla fine che la donna perfetta non esiste, se non come mero prodotto della tua mente, esistono molte donne che si avvicinano alla sua figura, ma quella che realmente tu vuoi non è altro che una traslazione al femminile di te stesso, e considerato che tu sei unico, è impossibile da trovare. Ci lasciano però i Viza, sulle note molto melanconiche e tranquille del pezzo, con la quasi speranza che il mondo in realtà sappia offrire più di quanto faccia vedere, e che, se sappiamo accontentarci e non tramare nell’ombra per ottenere ciò che vogliamo, riusciremo comunque ad essere felici; è particolare vedere come qui la voce di K'noup si abbassi di vari toni, probabilmente per donare ancora più verve al brano, si abbassa ma rimane sempre e comunque pulita e quasi effimera, mentre scava nella nostra mente nicchie per idee. Si passa ora ad un breve momento in cui il nostro gruppo preme l’acceleratore con estrema forza, proponendoci una traccia dall’alto contenuto Folk; "Forward March" (Avanti, Marsch!), che, come il brano prima sull’ipotetico condottiero Viktor, ci trasporta nuovamente a menar fendenti sulla nuda terra, protetti solo dalla nostra armatura, qui si cerca però di trasportare il pezzo verso i lidi più passionali dell’essere guerriero, la sua voglia di combattere inesauribile, la volontà ferrea di obbedire ad ogni ordine che gli viene dato, il tutto mentre davanti ai nostri occhi la scena prende letteralmente vita, vediamo stendardi che garriscono al vento, lame ed asce che cozzano fra loro come impazzite, e i due schieramenti che urlano fra loro cosa fare, pronti ad attaccare il nemico senza sosta, finchè egli non cadrà esanime. Nonostante il brano duri poco più di un minuto, i Viza riescono a renderlo veloce e serio al tempo stesso, giocando sulla diatriba musica/guerrieri, facendoci quasi sentire i colpi della battaglia fra le varie note che scorrono come in preda ad un’euforia collettiva. Dopo esserci ricoperti le membra di sangue, il gruppo decide di lasciarci un minuto di riposo portandoci sul fondale marino con "Beneath the Waves" (Sotto le Onde); qui vi è un ampio uso degli strumenti inusuali a cui facevo riferimento all’inizio, un vero e proprio omaggio alle loro origini, ma anche un omaggio alla musica eclettica degli anni 70, quella musica che, come questo brano, permetteva al corpo di stagliarsi sul mondo e ritrovarsi nei posti più disparati, e noi, grazie alla track dei Viza, vediamo il mare in tutta la sua potenza sbuffare e schiumare davanti a noi, ricolmo di tutta la sua violenza latente, oltre ovviamente a vedere tutta la vita che abita i suoi fondali, un mondo dentro al mondo con un proprio equilibrio e con le sue regole, ma esso, come il cielo, è una delle due mete che, al di là delle possibilità meccaniche delle cose, l’uomo non potrà mai raggiungere con la stessa intensità con cui la raggiungono gli esseri viventi nati per quel determinato scopo. Bagnati fradici dal bagno nel mare, ritorniamo a parlare di vita e uomini con "C’est la Vie" (E’ la vita), un brano in cui ritorna la fusione fra Folk e Alternative, il tutto condito dalla solita verve orientale che ormai, arrivati a questo punto, sembra non volerci più abbandonare; qui si parla di vita, con tutte le sue sfaccettature ed angoli nascosti, si parla di vendetta e dolcezza, due facce spesso della stessa medaglia, la determinazione nell’andare avanti qualunque cosa accada, il voler percorrere la propria strada con ogni mezzo a disposizione, dai più semplici ai più apparentemente abbietti, basandosi sulle parole stesse del gruppo, che ripetutamente vengono urlate, “E’ la vita”. Il mix musicale di questo brano è davvero pregevole, e adatto ad un pubblico molto ampio, sia a chi ama le tablature più Folk, sia a chi semplicemente vuole sentirsi quale che bell’assolo di chitarra, o qualche vocalizzo davvero ben fatto, è un carnet di suoni che credo deluderà ben pochi, anche se ci vuole una certa apertura musicale per apprezzarlo appieno. Dal ritmo quasi sudamericano in certi punti è invece la terzultima track del disco, "Alley in Tijuana" (Vicolo a Tijuana), un brano che a tratti esprime tutta la potenza del Metal più classico, anche se con mixaggi e passaggi molto più moderni, è anche una delle tracce più belle ed oscure di tutto l’album, ci narra di strade oscure, di rivoluzioni silenziose e di incontri galeotti fra loschi individui, atmosfere noir rese ancora più selvagge dal cantato che qui riassume i toni del graffiato e dello scream, facendoci tranquillamente sentire parte integrante della scena, immaginandoci questa Tijuana nei toni del grigio e del nero, con spiragli di luce che vanno e vengono, ma che lasciano molto più posto al buio. Il Folk qui viene lasciato per un momento da parte, al fine di dare più risalto sia alla parte metallara della formazione, sia alle loro influenze mediterranee, contaminate anche loro da altrettanti ritmi provenienti dalla parte sud delle americhe, si sentono quasi introduzioni di musica brasiliana o argentina, e ovviamente messicana, una apparente allegria di fondo che viene spazzata via dalla furia incessante delle chitarre e della voce, nonché dal tappeto Metal che aleggia per tutto l’ascolto. Il Folk però, anche se lasciato in disparte per pochi minuti, già manca ai nostri Viza, e pensano bene di riportarlo sulle scene con "Take Over the World" (Prendere tutto il Mondo); si ritorna per la terza volta a parlare di guerre, ma stavolta in uno scenario quasi da film post-apocalittico, in cui i pochi sopravvissuti cercano di rimettere in piedi i pezzi delle loro vite, mentre un gruppo di irriducibili “combatte guerre immorali”, al fine ultimo di conquistare ogni singolo brandello di terra, nulla potrà stare nel loro mondo se non quello che decideranno loro, essi sono portatori di bugie ed inganni, santi protettori delle ingiurie e delle macchinazioni, e giurano al mondo intero eterna e sanguinosa vendetta. Ritorna dunque in questo brano il ritmo casereccio del Folk, accompagnato dalla solita ondata metallica che non accenna a volersene andare, i ritmi si fanno di nuovo ripetitivi e cadenzati, quasi come se le parole del cantante fossero il proclama di guerra del fantomatico esercito di distruzione, che inveisce furiosamente contro il mondo sotto di lui, additandolo come conquistabile. Quale miglior ultima track per un disco così, di una canzone che parla di addio? "Brunette" (Brunette) infatti tratta proprio di questo, con un ritmo che ricorda palesemente musiche provenienti dai balcani o in generale dall’est Europa (ad ulteriore dimostrazione che i Viza sono dei veri e propri ricercatori dei suoni), quindi qui, pur parlando sempre di Folk, ne parliamo nella sua accezione più melodica e meno chiassosa (nonostante nel ritornello il ritmo ritorni), mentre ascoltiamo i discorsi di un uomo alla donna che sta vedendo andare via dalle sue mani, ed egli non desidera altro che un ultimo abbraccio e momento con lei, per concentrare tutto ciò che le vuole dire nell’intensità di uno sguardo. E’ a tratti straziante sentire la descrizione del rapporto con questa donna che, pur venendo definita con termini positivi, fa trasparire una tristezza di fondo per l’abbandono imminente che tinge l’intero pezzo di una malinconia latente, come quella pioggia d’estate fine ma incessante che, nonostante non ti bagni i vestiti subito, a mano a mano che continua a cadere col suo fare aggraziato, ti fa tornare a casa completamente bagnato. Brunette è la degna conclusione di un disco di ottima fattura e pieno di spunti per tanti fan, una grande conclusione che merita di essere ascoltata fino all’ultimo secondo.
Tankian aveva assolutamente ragione nel definire i Viza “una band davvero interessante", essi sono dei veri e propri audiofili che, fieri delle loro tradizioni, cercano di unire queste ultime alla durezza del Metallo e alle influenze prese dai posti più disparati. Non è certamente un disco per tutti, questo no, come ho detto molte righe fa, a parità di ricerca musicale e di ingegneria, siamo di fronte ad un modo di fare molto Prog, nonostante questo comunque, se uno riesce a superare quella sottile barriera fra l’apparente accozzaglia di suoni a caso, e la vera essenza di questa musica, ne rimarrà sicuramente rapito, rapito dai viaggi che la sua mente farà, rapito dalle storie che sentirà raccontare, e rapito soprattutto dal lavoro di maestria che i nostri statunitensi hanno ampiamente dimostrato in queste dodici tracce.

1) Never Feel
2) Quicksand
3) Midnight Hour
4) Vanished
5) Viktor's Vanguard
6) The Girl That Doesn't Exist
7) Forward March
8) Beneath The Waves
9) C'est La Vie
10) Alley in Tijuana
11) Take Ove the World
12) Brunette


