VISION DIVINE

Destination Set to Nowhere

2012 - earMUSIC

A CURA DI
FRANCESCO PASSANISI
24/09/2012
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Recensione

Se immaginassimo che, dopo il Rinascimento, l'orologio della società abbia invertito l'avanzare delle lancette tornando lentamente indietro, non saremmo troppo lontani dalla realtà attuale. Esattamente come nel medioevo, nel 2012 a regnare sono la Chiesa e la dittatura dell'ignoranza, amplificata da programmi televisivi ignobili che esaltano modelli di vita di dubbio valore. Anche a livello musicale, nonostante tutti gli ottimi gruppi che calcano il suolo italiano, siamo ancora bloccati alla canzonetta, il vecchio trio "Sole-cuore-amore" che annulla ogni pensata. Non è quindi un caso che, 700 anni dopo, sia proprio il goliardico sonetto "S'i' Fosse Foco" di Cecco Angiolieri ad aprire "Destination Set to Nowhere", nuovo ed ambizioso concept album degli italiani Vision Divine che narra la storia di un uomo che decide di costruire un'astronave per trovare un nuovo pianeta da chiamare casa sul quale fondare una nuova società ben diversa da quella attuale.

"S'i' Fosse Foco" riprende il celebre sonetto di Angiolieri composto in un'epoca dove ad imperare era il Dolce stil Novo, che rappresentava l'amore con ricercata eleganza ed in maniera molto idealista rappresentando l'oggetto dell'amore quasi come un angelo privo di qualsiasi difetto. Tra questi componimenti Stilnovisti, "S'i' Fosse Foco" spiccò per la propria goliardica irriverenza (si pensi anche solo al passaggio "S'i' fosse morte, andarei da mio padre/s'i' fosse vita, fuggirei da lui/similemente faria da mi' madre", un'impensabile mancanza di rispetto verso l'autorità genitoriale) nell'esaltare le passioni terrene e i propri istinti repressi dall'autorità ecclesiastica. La declamazione della poesia è accompagnata dal lento arpeggio di una limpidissima chitarra acustica al quale sopraggiunge un bellissimo incrocio tra sintetizzatori dal sound futuristico e una sezione d'archi molto più canonica che accompagna le ultime parole dell'Angiolieri e la robotica voce del computer di bordo della "Elpis", l'astronave costruita dal protagonista che prende il nome dall'antica Dea Greca della speranza, che ci annuncia dell'imminente partenza. "The Dream Maker" parte veramente a razzo con un bell'assolo di tastiere al quale segue un verse serratissimo dove le chitarre di Thorsen e Puleri dialogano alternativamente con la linea solista delle tastiera e quella ritmica del basso prima di rilassare l'andamento del pezzo per permettere l'ingresso di un ritrovato Fabio Lione che finalmente si trova a perfetto agio nelle meccaniche della band riuscendo a sfruttare il suo potente timbro vocale e la sua vasta tessitura, non troppo estesa verso l'acuto ma comunque adattissima al ruolo. "The Dream Maker" procede con un andamento molto vicino al progressive metal alternando accelerazioni serratissime ad aperture più tranquille e melodiche che seguono perfettamente gli sforzi di quest'uomo nel convincere le poche persone che sente affini a se ad abbandonare il proprio pianeta e seguirlo nel suo viaggio verso una nuova società. "Beyond the Sun and Far Away" è un accorato e commovente addio al pianeta Terra che unisce il rimpianto per l'addio ai propri affetti alla speranza di una vita migliore lontano dall'idiozia della società moderna. Musicalmente il pezzo amplifica alla perfezione le emozioni trasmesse dal testo e dall'ottima prova vocale di Fabio Lione con un songwriting dinamico che trova la forza di sperimentare nuove strade ed un'attenzione per gli arrangiamenti che dona l'immagine di un gruppo finalmente stabile ed affiatato, senza le incertezze che avevano colpito "9 Degrees West To The Moon". Il rilassante e futuristico intro (ripetuto spesso nel corso della traccia) della bella "The Ark" lascia ben presto spazio ad una devastante accelerazione che oltre ad aggiungere il giusto colore alla prima strofa dell'ottimo testo scritto da Olaf Thorsen, ci mostra la solidità della sezione ritmica formata dalle pelli di Alessandro Bissa e dal basso di Andrea "Tower" Torricini, rientrato in formazione durante le registrazioni dell'album, che permette ai chitarristi Olaf Thorsen e Federico Puleri di muoversi sinuosamente nel sound della band alternando ottimi riff ritmici ad ispirati momenti solistici (menzione d'onore per il breakdown solistico-atmosferico presente a circa metà pezzo e il successivo e fulminante assolo). Una menzione d'onore va fatta anche per lo splendido lavoro del tastierista Alessio Lucatti che rifinisce perfettamente il sound della band con ottimi tappeti di sintetizzatori che sottolineano l'andamento del pezzo e che finiscono spesso per evolversi in ispirate linee solistiche che si affiancano al trio Lione-Puleri-Thorsen nell'imbastire ottime melodie.

Arriviamo a "Mermaids From their Moons", brano scelto come singolo di lancio dell'album è il perfetto specchio dell'identità prog metal dell'album. Dopo l'intro dove un delicato pianoforte accompagna la suadente voce di Lione che da voce ai pensieri del protagonista che, nella solitudine della sua stanza, riflette su questo viaggio che mette a dura prova la sua sanità mentale esattamente come Ulisse nell'Odissea. A rompere questo momento di riflessione introspettiva ci pensa la potenza di chitarre, basso e batteria che si manifestano con violenza dando inizio ad una rincorsa reciproca che ci permette di notare il grandissimo lavoro di produzione fatto di nuovo dall'ottimo Thorsen. L'album suona perfettamente bilanciato, con una giusta presenza sulle frequenze basse (quasi un miracolo per una band con radici power) e una notevole importanza del basso nel sound complessivo (Questo invece è proprio un miracolo) mentre le chitarre mostrano un suono curato e senza sbavature, riuscendo a risultare potenti e trascinanti senza prevaricare sul mix finale, completato da un'ottima gestione delle tastiere udibili anche nelle sezioni più tirate. L'unico neo della produzione è forse l'eccessivo volume della voce, un po' troppo "avanti" nel Mix, senza comunque pregiudicare un ascolto godibile di tutti gli strumenti. Il pomposo intro di "The Lighthouse" è perfetto per sottolineare la svolta che prende la vicenda raccontataci dalla band italiana. Al protagonista appare in sogno un angelo (tema ricorrente anche negli altri album dei Vision Divine) che preannuncia la fine del viaggio e ma anche l'irrealizzabilità dell'Utopia del protagonista che spera in una società diversa e finalmente felice, libera dai difetti della società odierna. Turbato da questo sogno, il  protagonista scrive un messaggio su un pezzo di carta e lo inserisce in una bottiglia che lancia in direzione della Terra. Quest'azione si viene raccontata nella bellissima Power-Ballad "Message To Home" dove Lione si pone al centro con una maiuscola prestazione vocale supportata da un incrocio di chitarre acustiche ed elettriche che non mancherà di scatenare lunghi brividi lungo la spina dorsale dell'ascoltatore mentre il resto della band accompagna perfettamente il brano mostrando in pieno la cura negli arrangiamenti che i Vision Divine hanno riposto in questo lungo anno quasi completamente dedicato al songwriting. Dopo che il pezzo, con andamento parabolico, ci regala un crescendo di potenza che va a sfogarsi nel lungo assolo melodico di chitarra prima di chiudersi con un dolcissimo outro, veniamo investiti in pieno dalla violenza di "The House of the Angels", pezzo che mette in musica l'euforia del protagonista e dei suoi compagni di viaggio nell'aver trovato un paradiso intatto esattamente come lo sognavano, ponendo fine al loro viaggio ed alle loro sofferenze, compiendo un viaggio che molti credevano impossibile. Il pezzo alterna momenti tiratissimi di pura energia a brevi rallentamenti acustici che coincidono con le pacifiche riflessioni del protagonista, appagato di aver lasciato la Terra con i suoi politici e le loro leggi. "The Sin is you" si mette in mostra per un'azzeccatissima linea vocale che permette a Lione di giocare con le note della sua vasta tessitura vocale mentre le 7 corde di Thorsen e Puleri svolgono un fantastico lavoro di supporto ritmico e melodico che ci guida fino alla successiva "Here We Die", ulteriore accelerata della band che si fa via più intensa man mano che ci avviciniamo alla conclusione (che non vi rivelo per lasciarvi il gusto della scoperta) della storia narrataci dai Vision Divine, che trascinano nella fantascienza un concept comunque molto vicino all'attuale situazione italiana e mondiale, vessata dalla crisi non solo economica ma anche culturale e morale che il mondo sta attraversando. L'album si conclude con la Titletrack, scritta durante le registrazioni dell'album, che dopo un inizio da power ballad si libera in un intermezzo di finissimo Prog Metal prima di chiudersi come un cerchio con le sonorità dell'intro, portando a compimento il viaggio che lo stesso ascoltatore ha fatto lungo le 11 tracce di "Destination set to Nowhere".

La maturità artistica dei Vision Divine era fuor di dubbio già da tempo ma questo è veramente l'album della rinascita per Thorsen e Soci che, lasciatisi alle spalle le follie del Produttore Timo Tolkki, sembrano aver settato anche loro la destinazione del navigatore verso una destinazione impossibile da prevedere, ma che sicuramente gli porterà grandi benefici.


1) S'i Fosse Foco
2) The Dream Maker 
3) Beyond the Sun and Far Away
4) The Ark 
5) Mermaids from Their Moons 
6) The Lighthouse 
7) Message to Home
8) The House of the Angels 
9) The Sin is You
10) Here We Die 
11) Destination Set to Nowhere

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