VIRGIN STEELE

Nocturnes Of Hellfire & Damnation

2015 - SPV

A CURA DI
ANDREA CERASI
05/01/2018
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5

Introduzione Recensione

"La band sta lavorando in armonia e tutto procede alla grande", "Stiamo registrando in analogico, come si faceva una volta, per avere un suono reale e caldo, come nei live", "Non per forza deve trattarsi di un disco lunghissimo, probabilmente sarà di durata concentrata, come si era soliti fare negli anni 80". Queste sono solo alcune delle dichiarazioni di David DeFeis che anticipano il nuovo album firmato Virgin Steele e sono tutte, palesemente, vergognosamente false. La terza parte della trilogia pagana inaugurata con "Visions Of Eden" e proseguita con "The Black Light Bacchanalia" evidentemente ha preso parecchio tempo alla band, tanto che l'imponente lavoro è stato più volte rimandato nel corso degli anni, così come è stato rimandato il tanto sbandierato cofanetto per onorare i trenta anni di carriera e che avrebbe dovuto contenere la ristampa dell'album "The Book Of Burning", quella del best of "Hymns To Victory" e in più un disco di registrazioni inedite e di succulenti live acustici. Bè, dal 2011 fino a oggi niente è stato rilasciato, se non il cd live, inserito come bonus allegato alla ristampa di "Invictus". Alla fine del 2014, quando tutto sembra stia andando a buon fine e i lavori per il concept-album siano quasi giunti a termine, ecco che la band americana cambia improvvisamente programma, posticipando per l'ennesima volta il tanto atteso sequel della saga pagana, annunciando il rilascio di un album sostitutivo: "Hymns To Damnation", disco di inediti che fa sorgere una domanda, sarebbe dovuto essere questo l'album celebrativo per i trenta anni? Non lo sapremo mai, ma una cosa è certa: si tratta di una raccolta messa su in fretta e in furia per tappare i buchi, pubblicata per dare ai fans qualcosa che non sia solo l'ennesima ristampa. Le dichiarazioni di cui sopra, tuttavia, rincuorano i seguaci dei Virgin Steele, i quali confidano in un buon album, potentissimo e diretto, composto brani registrati negli ultimi tempi, alcune tracce ripescate e restaurate provenienti dal progetto fake del 1986 a nome Exorcist, che altro non era che gli stessi Virgin Steele sotto mentite spoglie, il tutto amalgamato, inciso con cura e unito secondo un tema comune: il rapporto tra l'essere umano e le divinità oscure che lo dominano. Dunque un concept-album affascinante, anche se non narrativo, che tratta di morte, di distruzione, di crisi esistenziali e di mali che corrodono il mondo, che vede l'alternanza di pezzi nuovi con altri vecchi, ri-arrangiati per l'occasione, un po' come era stato per "The Book Of Burning", che vedeva brani vecchi e nuovi, legati dal tema del fuoco. Sulla carta tutto bene, ma una volta acquistato il cd, averlo inserito nello stereo e dopo aver sfogliato il libretto ci si accorge che qualcosa non quadra: a differenza del bellissimo disco del 2002, aimè, il risultato del quattordicesimo studio-album di DeFeis e company è davvero drammatico. La confusione regna sovrana, il titolo, modificato in seguito in "Nocturnes Of Hellfire & Damnation" forse per evitare riferimenti troppo depressivi e appartenenti più alla scena gothic/doom che a quella epic, viene distribuito in tre copertine differenti: un gargoyle, che altro non è che la foto di una statuetta posseduta da DeFeis e conservata in salotto, la statua di un angelo fotografata nel cimitero di Long Island dove la band ha posato per le foto del booklet e, infinite, il disegno di uno scheletro incappucciato, simbolo di morte, che suona il flauto. Le tre cover, dai colori che danno sul grigio, il blu e il nero, presentano l'opera più oscura della band, dallo spirito gotico e maligno, dato le tematiche trattate e i suoni adottati. Bene, arrivati fin qui, ricordate le dichiarazioni di DeFeis in merito al nuovo lavoro? Ecco, sono tutte false, in quanto, quando "Nocturnes Of Hellfire & Damnation" esce nei negozi con tre cover confusionarie e non legate tra loro come lo erano, invece, quelle stupende di "The Black Light Bacchanalia", il popolo metal è spaesato e anche irritato. Ma la copertina, identità stessa di un album, è solo un particolare di poco conto, poiché l'album non è altro che un'accozzaglia di brani registrati malissimo, in digitale, dato l'ampio utilizzo di programmi per computer che ne modifica, e anche in malo modo, i suoni reali, attraverso stranissimi effetti pasticciati. Le parti strumentali sembrano registrate in studi diversi, su file, e poi copiate e messe insieme, il batterista Frank Gilchirest è assente, cacciato dalla band e sostituito misteriosamente da una drum-machine suonata dallo stesso DeFeis tramite un programma al pc e collegato alle tastiere, ma a destare scalpore è la vergognosa prestazione vocale, davvero indecente. Le critiche ricevute al precedente album, dalle melodie eteree e dalle vocalità pacate e controllate, devono aver fatto malissimo all'artista, tanto che in questa occasione non si pone limite alcuno, spaccando i timpani (e non solo) degli ascoltatori attraverso una serie interminabile di goffi acuti, miagolii, ruggiti, squittii e giochetti vocali isterici e a dir poco indecenti per un professionista di questo calibro. Defeis, poco onesto con se stesso e non riconoscendo i propri deficit, si prende il dominio della scena, lasciando pochissimo spazio ai compagni di squadra, intervenendo ogni dannato secondo sovrastando gli strumenti, invadendo ogni spazio e, spesso e volentieri, rovinando le ottime parti elaborate da Pursino e da Block, qui in grande spolvero, aggressivi quanto basta e decisamente ispirati. Il povero Gilchriest, motore della band, tecnico e potente, nonostante compaia nelle foto del booklet, per altro risalenti agli scatti per l'album "Visions Of Eden", viene inspiegabilmente fatto fuori per essere sostituito da uno stupido programma computerizzato, utilizzato anche male, e dunque il suono generale ne risente pesantemente. "Nocturnes Of Hellfire & Damnation" è un album dominato dalla confusione, missato in modo pessimo, cantato peggio, dove non si intravede armonia all'interno del gruppo, dove i suoni sono pasticciati e plastificati e dove i brani sono lunghissimi, così come l'intero lavoro, disteso su 80 prolissi e interminabili minuti.

Lucifer's Hammer

Un acuto e si parte col piede giusto: chitarre in primo piano e in grande spolvero che si rincorrono in un riffing letale. Così Lucifer's Hammer (Il Martello Di Lucifero) prende vita, ricordandoci che la band è ancora affamata e grintosa. Pursino e Block ci introducono un pezzo feroce, dall'animo oscuro e che tratta, almeno a detta del vocalist, di droghe che rendono schiavo l'uomo. Lucifero, in questo contesto, è incarnazione di droga, una sottile metafora che si fa largo in un testo alquanto criptico, dai temi che mettono a confronto chiaro/scuro e ancora luci/ombre. Tutto sembra procedere alla grande, ma la prima strofa è anche la parte meno convincente, e fa storcere subito il naso per via del cantato acutissimo, a metà tra falsetto e media tonalità, contornato da mille effetti sonori che stratificano la voce e che trasmettono una stranissima sensazione uditiva. "Ululando alla nebbia dopo il risveglio, la felicità scacciata via sulla tomba, un'insapore fontana della giovinezza, il lupo artiglia con grazia criminale". Siamo in territori horror, il lupo è allegoria del male sulla terra, colui che squarcia corpi e sparge sangue, condannando gli uomini alla tomba. Il pre-chorus giunge immediato, entrano in scena le immancabili tastiere ad accompagnare le asce, la melodia brilla e l'interpretazione vocale migliora: "Nell'etere viviamo, combattiamo e moriamo, ricorderai il vero nome del tuo Dio quando vedrai il lampo nel cielo". Liriche nichiliste, altamente misteriose e dal vago sentore religioso, che indicano le sofferenze terrene dell'essere umano, il quale si aggrappa alla divinità, qualunque essa sia, per superare i drammi che la vita propone di continuo. DeFeis questa volta è più baritonale, graffia al punto giusto e ruggisce come può, il brano prende quota e ci conduce al fantastico ritornello, dalla melodia vincente e dalle chitarre taglienti, poggiato però su una batteria indegna di essere chiamata tale, talmente è palese la riproduzione computerizzata. "Il martello di Lucifero illumina il buio, ricopre il nero con il bianco, colorando l'oscurità in cui mentiamo". Il martello di lucifero, secondo quanto dichiarato da David, rappresenta la droga, una sottile striscia bianca che si staglia nel buio, pronta a dare estasi, a colorare la miseria della vita nella quale affoghiamo. Lo stacco è spaventoso, Pursino e Block ce la mettono tutta per destare attenzione, creando una scia di riff oscuri e potenti, ma DeFeis sovrasta tutto con gorgheggi, sospiri e un acuto che sembra il verso di un'aquila, roba che spacca i timpani e che mette in mostra la sua innata tecnica vocale ma che, buttato lì, risulta superfluo e anche fastidioso. Si riprende dalla strofa, intonata purtroppo con voce sofferta e affaticata: "Richiama i tuoi miti discordanti, aggira le piaghe oscure de desiderio, prega che la piaga diventi debole", a indicare che bisogna allontanare il desiderio, l'assuefazione, disfarsi dei falsi miti che rendono deboli. Insomma, bisogna combattere per resistere alle droghe. Il pre-chour salva il brano, dotato di magia e di pathos, viene interpretato bene, complice anche l'abbassamento timbrico che porta a note più gravi: "Fiori del male, il pane la croce e il vino, saccheggia l'etere e graffia il cielo generando il tuo Dio". Le tastiere creano un grande momento, facendo dimenticare l'orrenda batteria campionata che risulta quasi impercettibile e qui, in questa frase, DeFeis ci esorta a non abbassare la guardia, ad alzare gli occhi al cielo e a generare un Dio individuale, personale, incarnazione di coraggio, forza e temperanza. Arriva forse la parte migliore, dai toni caldi e sofisticati, sostenuta dalla poesia delle tastiere che irrompono dopo l'assolo di Pursino per cullarci in questa dimensione sospesa. Il bridge è fantastico e ci proietta verso il finale. Indubbiamente un gran pezzo, scelto anche come singolo dell'album e dotato di un lyric-video, dallo spirito epico e diretto, potente e melodico in perfetta tradizione Virgin Steele, che ha il difetto di qualche caduta di stile che si sarebbe potuta evitare tranquillamente, come una maggiore accortezza nel drumming e una migliore intonazione delle strofe.

Queen Of The Dead

Queen Of The Dead (Regina Dei Morti) è epica, trionfale e solenne. Trattasi del remake dell'omonimo pezzo degli Exorcist, fake band proto-black metal del 1986 che nascondeva gli stessi Virgin Steele. DeFeis decide di riprendere questo vecchio pezzo e di attualizzarlo, ri-arrangiandolo e rendendolo un poco più lento rispetto alla versione originale. La lentezza, comunque, non stempera la grande potenza dei suoni creata dall'orchestrazione e dalla chitarra incandescente di Edward Pursino, unico chitarrista in questa occasione. "I suoi servi marciano e si preparano ad accoglierla, un altare di sangue e una sinfonia del male che suona. La terra tremerà, le montagne si spezzeranno, l'aria diventerà nera". Lo scenario è apocalittico, un mondo caduto in rovina, popolato da uomini malvagi che attendono l'arrivo della loro regina. Per descrivere questa macabra ambientazione, DeFeis si avvale di un timbro pacato, dove si sente a proprio agio senza sforzare troppo la voce, e il risultato è, infatti, soddisfacente. I fraseggi di Pursino sono soavi e cupi, adatti a questa narrazione orrorifica. "La regina dei morti cammina, nessun rumore, giù in ginocchio a dare il benvenuto alla regina dei morti" è il sintetico e ipnotico refrain, magnetico e affascinante, sostenuto da una base ritmica che accelera e si potenzia e di nuovo si sgonfia e rallenta. Non si perde tempo, la base strumentale è terremotante, perfetta per lo scenario apocalittico descritto nelle liriche: "Una schiera nera che sembra una processione di carne putrefatta, si sente il fetore contornato da fiori freschi. Le cripte e le tombe rispendono di una luce ultraterrena, un inferno reale". Gli uomini sono assoggettati al volere della regina nera, la quale cammina di fronte al suo esercito, lo comanda, lo plagia col suo fascino malvagio. La terra si è trasformata in inferno. Pursino prende il sopravvento e si scatena in un sinuoso assolo, sovrastato però dalle grida di un vocalist che vuole tutto per sé e che non lascia nemmeno due secondi ai compagni. Eppure l'assolo raggiunge il suo scopo, si insinua nelle menti degli ascoltatori nonostante i ripetuti vocalizzi, gli acuti effettati, i gridolini modificati di DeFeis. Si riprende con l'ultimo glorioso ritornello, dalle linee melodiche fenomenali, accompagnate dalla solennità dei tamburi e dal riffing glaciale del chitarrista. Il tutto si spegne brevemente, consegnandoci un brano conciso, diretto, tutto sommato riuscito, anche se qualche gorgheggio in meno da parte del cantante avrebbe giovato all'ascolto rendendolo davvero ottimo.

To The Darkness Eternal

L'interludio è affidato a To The Darkness Eternal (Alle Tenebre Eterne), brevissima cantilena dal testo amaro concentrato in un unico blocco, costruito interamente sull'ascia di Pursino e sulla batteria programmata dal vocalist, il quale sin dall'attacco ruggisce, strepita, urla in modo irritante. I cori epici vengono in soccorso, accompagnandoci in questa oscura nenia: "L'oscurità eterna si offre ai tuoi figli. Demone di fuoco, sia fatta la tua volontà, tu sei il prescelto, sorto dal sole nero e giunto nella casa della morte. Nel silenzio conoscerai il tuto destino". Le parole di DeFeis sono profetiche, ci fanno prefigurare un mondo distrutto e in preda al panico, oscurato dal sole nero e dall'ombra della morte, dove un demone di fuoco, il prescelto, comanderà i popoli. Di sicuro l'interpretazione di DeFeis è molto buona, i cori angelici in sottofondo sono vincenti e gradevoli all'ascolto, Pursino è un grande talento in grado di dipingere immagini tetre e visioni angoscianti. Meno di un minuto per un intermezzo molto buono, dal lento andamento e dallo spirito epico, atto ad anticipare il seguente brano, forse il pezzo di punta di tutto il lavoro.

Black Sun-Black Mass

Un ruggito sconquassa le casse e introduce Black Sun-Black Mass (Sole Nero-Messa Nera), altro remake prelevato dagli Exorcist, che era intitolato semplicemente "Black Mass", e che presenta un testo leggermente modificato rispetto all'originale. Il lavoro strumentale è ottimo, il pezzo possiede una grinta rinnovata e i musicisti pestano duro, compreso DeFeis, qui in grande spolvero e deciso a fare sul serio, narrandoci di una messa nera. "Una fiamma salta dall'altare, le voci cantano insieme, una figura incappucciata urla il suo amore per la figlia di Satana. Parole blasfeme pronuncia, un concerto composto all'inferno, una croce si rovescia e parte la baldoria". La messa nera è davanti ai nostri occhi, un gruppo di persone sono inginocchiate davanti a un altare dal quale goccia sangue, forse quello della vittima sacrificata in nome di Satana, dunque il sacerdote si pone davanti a tutti, dal volto celato dietro il cappuccio della mantella, e inizia a proferire parole macabre in onore del loro Dio. Satana viene evocato nel potente ritornello, scandito da una semplice frase ripetuta due volte, una frase che colpisce sin da subito e che si memorizza all'istante: "Messa nera. Satana è libero". Sono le parole del sacerdote, rivolte alla massa, alla gente accalcata sotto l'altare. Egli afferma che ora il loro Dio è libero, tornato dagli inferi per governare il mondo. Pursino è indomabile, prosegue scaricando riff velenosi, mentre DeFeis praticamente suona tutto, lasciando a Joshua Block l'onore dei due assoli. "Preghiamo e cerchiamo di evocare il maestro, gli occhi e i corpi si contorcono, i tamburi demoniaci battono colpi, il sommo sacerdote preleva una donna, la adagia sull'altare, le allarga le gambe e consacra il suo corpo". In questa delirante scena troviamo l'estasi dei fedeli, convinti del ritorno di Satana, e così il sommo sacerdote prende una donna, l'ennesima vittima, e la sacrifica sull'altare, violentandola dopo averla drogata. DeFeis descrive minuziosamente gli attimi di questa orripilante messa nera, e così cerca di riportare in musica tutti suoi sentimenti, utilizzando le orchestrazioni, ruggendo a più non posso e lasciando campo ai due chitarristi. Pursino e Block si incrociano più volte creando uno strato sonoro denso e oscuro, poi, quando intervengo le tastiere, Block si appresta ad eseguire il primo grande assolo. Ecco il bridge, soffice e dalle linee melodiche splendide: "La vita sta nascendo sotto il sole nero. Lucifero è rinato", e poi ancora il vocalist recita una frase in latino, con voce modificata per assomigliare a un demone, creando pathos e magia. La sezione ritmica si gonfia nuovamente e diventa devastante, dunque si procede con la ripresa del glorioso ritornello. I cori diventano sempre più presenti, allora Joshua Block prende al balzo l'opportunità ed esegue un secondo strepitoso assolo, fulmineo, veloce, graffiante, accompagnandoci al termine di questo grandissimo pezzo, forse il migliore dell'album.

Persephone

Persephone (Persefone) sarebbe un capolavoro assoluto, uno dei più grandi pezzi mai scritti dalla band, se solo fosse cantata alla vecchia maniera invece di restare sospesa su continue strofe in falsetto che, se da un lato danno dinamicità, dall'altro fanno perdere potenza. DeFeis è solenne, ulula al vento, per la milionesima volta, introducendo con delicatezza questo lungo brano epico che narra della dea Persefone, sposa di Ade e regina dell'oltretomba. La canzone è strutturata come se fosse estratta da uno dei vari concept della band, ossia suddivisa in dialoghi tra vari personaggi, molti dei quali femminili per dare modo a David di interpretarli in falsetto, come da tradizione, anche se ormai è costretto a vocalità femminee per via dei limiti vocali. "Il pericolo giunge da sotto, dalle remote oscurità" sussurra il vocalist dopo averci dilettati, e anche infastiditi, con i continui vocalizzi, dunque attaccano le chitarre, Pursino alla sei-corde e Block alla sette-corde, e subito si intrecciano e si amalgamano per costruire una cavalcata epica. In sottofondo si sentono le note delle tastiere, che donano quel tocco poetico in più: "Caduta, come una montagna collassata sul mare. Contorciti nell'oscurità di un mondo sommerso. Le stagioni stanno morendo, adesso fa freddo e ogni sentimento è violentato. Il tradimento è il sigillo del tormento". Ecco che troviamo la descrizione della dea Persefone, custode dell'oltretomba e guardiana delle quattro stagioni; in autunno e inverno, la dea veglia sui morti, assiste le anime dei perduti e li accompagna nei labirinti infernali, in primavera ed estate, invece, torna in superficie per accompagnare sua madre Demetra a far rifiorire i campi e le vallate. Persefone, dunque, è un personaggio ambivalente, simbolo di morte ma anche vita, di negatività ma anche di positività. Luce/ombra, come da tradizione Virgin Steele, connubio immortalato in questa sublime opera d'arte, che prosegue con le parole di Demetra stessa: "Non mi inchinerò al sorgere del sole, né davanti al mare, e nemmeno al tramonto della luna. Lascia che prima ella si inchini davanti a me", le parole di Demetra, sposa di Zeus, sono rivolte ad Ade, compagno di Persefone e dunque suocero. DeFeis è cauto e gli effetti positivi si notano immediatamente, infatti la strofa è bella e godibile, dove le chitarre si quietano lasciando spazio alla voce e alle tastiere, poi, seguendo la stessa struttura, arriva il refrain, questa volta intonato a gran voce, interpretando il dio Ade: "Non accetterò i morti, non risponderò alla loro richiesta, negherò ogni presagio fino a quando non mi porterai Persefone" e da qui capiamo che siamo in una delle due stagioni di luce, primavera, o forse estate, e Ade già sente la mancanza della sposa. Il ritornello è bellissimo, le multiple vocals non sono gestite alla perfezione come ad esempio in album quali "Visions Of Eden" o "The Black Light Bacchanalia", ma sono accettabili. "Guida, accecando come un diamante che brilla in una tempesta di neve", Ade continua a implorare Demetra, dea della Terra e Madre di tutto, finché gli riporti sua figlia Persefone. Il posto che le spetta è giù all'inferno, dove deve governare al suo fianco. In tutto questo trambusto emergono bellissime linee di basso, le stesse che si portano all'intensa fase centrale dove il cambio di tempo è repenti, le note si fanno più delicate e Block esegue un bellissimo assolo. L'andamento rallenta e inizia il bridge, costruito su tamburi e sui fraseggi di Pursino: "Un cavallo nero risorge dal mondo sotterraneo, Ade si sveglia, i petali di Narciso si disperdono, un tuono spacca la terra. Lei detiene i segreti della vita e della morte, le ombre strappate al vento piangono, una rosa viene carbonizzata dal fulmine". Questo è un momento altamente narrativo, Ade è in conflitto con Demetra e con il fratello Zeus, esige il ritorno di Persefone e infatti, a un certo punto recita: "Niente crescerà qui. La tristezza è finita?", e un'eco rimbomba nell'etere, è la voce di Persefone che grida "Madre", accompagnata dalle note delicate del pianoforte. Un break profondo, drammatico, poi si riprende a spingere con un'emozionante coda finale, presagio di un lungo ed eterno inverno.

Devilhead

L'accoppiata DeFeis-Pursino crea la dirompente Devilhead (Testa Di Diavolo), buona traccia anche se molto statica, costruita praticamente su un unico accordo di chitarra e perciò fin troppo ripetitiva, senza contare il massiccio utilizzo di auto-tune per controllare la voce che qui si palesa in tutti i suoi difetti. La voce di David è infatti modificata praticamente dall'inizio alla fine, contornata sempre da strani effetti sonori ed echi fastidiosi. Il riffing portante è comunque gradevole, oscuro e vincente, Pursino è ispirato anche se, in questo caso, tenuto a freno. "Gli occhi del sole si alzano in una fiamma eterna. Aspetto il vento che porti con sé il buio, i semi della malattia sono germogliati in rabbia, il dono di un Dio non può essere restituito. Risorgono i morti dall'inferno", questo è il primo blocco, sinuoso e, nonostante i difetti, affascinante, che ci ricorda la natura infernale di questo album e l'anima apocalittica di questo brano. "Il diavolo adora il sole?" è la fatidica domanda espressa nel conciso ritornello, presuntuosamente manipolato in studio tanto che la voce di DeFeis viene stravolta al fine di raggiungere note alte per l'attuale condizione fisica dell'artista. È una cosa davvero irritante, ma tant'è che si procede con la seconda parte: "Oceani maledetti da una profezia, acqua che diventa sangue, gli occhi del sole si sollevano per il dolore". Il diavolo non adora il sole, non adora la luce, mentre preferisce le ombre, i luoghi bui, tetri, dominati dal sangue e dal tormento, dove potersi crogiolare. L'interpretazione di DeFeis è fin troppo forzata, anche se in qualche modo il pezzo risulta godibile, grazie anche all'intervento chitarristico di Pursino, il quale intavola un ottimo assolo che introduce il buon bridge dove finalmente si nota il primo cambio di tempo: "Il bianco sanguina sulla valle, affogando il nero della notte", sta sorgendo un nuovo giorno e forse la luce potrà trionfare ancora una volta sulle tenebre. DeFeis è delicato, e quando non sforza troppo regala grandi emozioni, il suo timbro è meraviglioso e sa toccare il cuore. Ritorna il riffing portante e si ricomincia a danzare e a decantare di questo mondo infernale. Un solo accordo, una struttura semplicissima, testimonianza di una band che non esiste e che tutto è in mano a una sola persona che suona tutto ma che limita fortemente il suono.

Demolition Queen

Demolition Queen (Regina Demolitrice) è puro blues-rock e stona moltissimo, almeno dal punto di vista stilistico, con la natura dell'album, tanto che sarebbe potuto benissimo appartenere a un disco come "Life Among The Ruins". Ma non è tutto, perché questo ottimo pezzo blues risulta inspiegabilmente il più lungo della track-list, pur non inventando niente. Ritmica e melodia sono costruite con criterio, fanno presa al primo ascolto e risultano piacevoli, anche se infastidisce l'eco che contorna la voce del vocalist, troppo effettata per i miei gusti. Dopo qualche secondo apparentemente epico, sostenuto da tamburi, ci addentriamo in riff classici e gustosi, scanditi dalle corde dell'ascia di Pursino. "Capelli arruffati, il corvo si alza a mezzanotte, gli occhi neri come il carbone, quando vedo il suo corpo perdo il controllo. È una regina pagana, avvolta da una magia mistica". Stiamo parlando di una donna fatale, come da tradizione blues, un di quelle donne che sembra sputate dagli inferi, nate per incantare e maledire gli uomini, capaci di sedurre e uccidere chiunque. I nostri non sono esenti dal suo fascino corvino, simile a quello di un rapace in volo. Il corvo è una creatura infernale, spesso paragonato a un demone, almeno secondo la letteratura classica, simbolo di pericolo ma anche di necromanzia. Il pre-chorus è lungo e affascinante, scandito con una delicatezza danzereccia, quasi fosse un rituale voodoo atto a scacciare il male: "Vinci il caldo della notte, sei perduto senza l'amore. Un amore profondo. Lei sa cosa farsene dell'amore, un amore oscuro. Lei è ladra e assassina". È notte, fa caldissimo, i corpi sudano appena entrano in contatto, un po' per l'emozione e un po' per l'estasi carnale, ma quando ci si unisce i dolori vengono immediatamente dimenticati. È una passione selvaggia quella che invade la coppia, come due angeli caduti in volo, avvinghiati l'uno all'altro. Il ritornello è delizioso, sorretto da basso e chitarra e dall'ottimo gusto melodico: "Sei la mia regina demolitrice, sei sangue e tuono in ogni cosa. Ti prenderò come la forza, come un re pagano", ci riferisce un DeFeis spaccone, proprio come quando era ragazzo e cantava versi d'amore nel primo album della band. Ancora grida, modificate ovviamente, che rovinano la buona parte strumentale sovrastandola, poi si prosegue: "Principessa dell'etere che risplendi in profondità, non lasciare mai che il tuo fuoco si raffreddi. Sali sulla montagna di Venere, oltre questa valle di lacrime, e glorifica tutto quanto". Nonostante le liriche sborone, si denota una punta drammatica in sottofondo, un mondo ormai violato, incapace di amare, distrutto dall'ego umano, descritto come una valle di lacrime. La vita è una valle di lacrime, scandita da momenti bui, angosciosi, brutti e dolorosi, ma con l'amore è la forza che fa andare avanti, è la luce oltre le tenebre che spinge a non demordere. La regina demolitrice è la luce, nonostante l'appellativo "demolitrice", che demolisce il malcapitato, il pover'uomo che si ritrova imprigionato sotto le sue grinfie, ma che, una volta "addomesticato", può godere dell'amore eterno, selvaggio, puro. Il ritmo rallenta, DeFeis si sposta alla chitarra acustica e al basso per intonare la parte finale, quella più riuscita, scandita dalla ruggente chitarra elettrica di Pursino che accompagna la voce in una cantilena struggente, molto intima. "L'amore è più forte della morte, l'amore è vita. Prendi la magia della tua anima e continua a volare sui campi della follia, verso l'orizzonte. Versa le tue lacrime più gelide e riempi il lago della pazzia, continua a sognare questo sogno selvaggio ricco di desiderio", e così dicendo DeFeis ci sprona a non smettere di sognare, di continuare a cercare la nostra regina oscura che ci renderà schiavi del suo amore.

The Plague And The Fire

Un andamento cadenzato, dallo spirito doom, annuncia una delle migliori tracce contenute in questo lavoro. Il titolo è The Plague And The Fire (La Peste E Il Fuoco), un ottimo mid-tempo dove DeFeis, fortunatamente, si contiene e rivela persino la sua vera voce, senza filtri computerizzati grottesche modifiche, regalandoci un suono reale e caldo. "Sinistra Dea, ti amo di più, figlia dell'oppio, angelo della morte. Nella primitiva passione cadi in ginocchio, schiava del desiderio nei miei confronti". La band ci parla di un particolare amore, ossia la dedizione a un determinato culto divino, un rituale di magia nera per scongiurare la morte e le malattie. Il pre-chorus è sottile, DeFeis lo intona in un acutissimo falsetto: "Tifone ascende portandosi dietro il regno degli inferi. L'amore è un mito che l'innocenza desidera" ed ecco che giunte il grande refrain, non molto dinamico ma d'effetto: "La peste e il fuoco, questi sono i miei doni". A parlare è Madre Terra, che sta maledicendo gli umani per essere stata umiliata e violentata durante i millenni, mentre questi, terrorizzati dalla malattia e dalla distruzione, continuano a pregare per la grazia e per la fine delle sofferenze. Pursino interviene con un brillante assolo, anche se sembra appiccicato all'improvviso tramite file alla struttura portante, come fosse stato registrato in una sede differente e accorpato in seguito. L'assolo è comunque bello, così come sono affascinanti le note delle tastiere in sottofondo e che si udirebbero maggiormente se soltanto DeFeis la smettesse di squittire ogni secondo coprendo gli strumenti. "La notte alleva una passione spettrale, i cieli si svegliano. Gli spiriti chiedono perdono, dopo la peste il fuoco ci brucia ma il male rinascerà nella notte", in questa fase, che altro non è che lo splendido bridge, dalla melodia rassicurante, spostiamo la prospettiva, dalla popolazione ci siamo concentrati sulle parole di Madre Terra, e ancora alla popolazione, questa volta massacrata dalla diffusione della malattia. Per stroncare la peste, gli uomini bruciano i cadaveri infetti, ma sanno che la malattia risorgerà nella notte, si nutrirà ancora delle ombre e tornerà in forza la mattina seguente. Tutti invocano la grazia. La coda finale è molto bella, una cantilena dominata da cori e da tastiere dove la peste è incarnata in una divinità, temuta dall'uomo: "Lei attende la notte, come un angelo appena nato. Aspetta la notte per i suoi sogni ardenti. Aspetta la notte per evocare Dei e diavoli, per bere anime e stagioni, per annegare mondi", e così sappiamo che non ci sarà salvezza alcuna.

We Disappear

La migliore ballata del lotto, o per meglio dire semi-ballata, porta il nome di We Disappear (Scompariamo), una lunga e stratificata composizione che si avvale di diversi ottimi momenti assemblati tra loro dalla maestria dei musicisti. Le liriche parlano di un mondo apocalittico, di un'era cha ha spazzato via il genere umano, e perciò il suono viene influenzato da questo velo nichilista e gotico, specialmente in prossimità del ritornello, mentre le strofe si susseguono con un andamento hard rock contaminato dal blues. "Sono il terrore dell'oscurità, l'occhio cieco della notte, sono la violenza dell'acqua santa, sono la luce di una stella, sono le cicatrici sulla pelle. Sono il dio selvaggio che tutti temono, sono la verità e la bugia", in pratica, DeFeis ci sta descrivendo l'apocalisse, incarnata in questa misteriosa divinità scesa sulla terra per portare distruzione, anche se non si sbilancia. Essa infatti non è per forza sinonimo di negatività, di morte e di sofferenza, ma è anche luce di stelle, acqua consacrata, verità. L'apocalisse non ha orientamento politico o morale, colpisce tutti indiscriminatamente, rovesciando il mondo intero. Se una strofa è diretta e dinamica, costituita dalle chitarre, l'altra è più cadenzata e poggiata solo sulla batteria e sul basso: "Angeli e demoni, percorrono un'autostrada che non va da nessuna parte, bruciando sotto al sole. L'inferno si sta ghiacciando, ognuno è morto sotto un sole nero. Ma quale sole?". Quale sole? Ci sta chiedendo il vocalist, e in effetti il sole si è oscurato dopo aver divorato con le sue fiamme l'intera galassia. Il ritornello è molto melodico, gotico, ben congegnato: "Spire di follia violentano le nostre vite, siamo tutti polvere. La vendetta è la nostra passione, la terra piange sommessamente. Gli imperi collidono, per sempre combatteremo e per sempre moriremo. Spariremo nel buio". Sono queste le amare parole declamate da DeFeis, che ci descrive il mondo dopo la scomparsa del sole, un mondo di gelo, di ombre, di morte, che inghiottirà i suoi figli riducendoli in polvere. Non proprio rassicurante. DeFeis si lancia in continui acuti, per poi lasciare campo al fido Joshua Block, solenne nel suo assolo, quadrato e pacato, dall'indole pungente, così come il testo. La chitarra svetta nell'etere, riprende a scalciare rafforzando il concetto, emergono le tastiere che danno epicità al tutto, dunque ritorna il delizioso refrain, romantico e crepuscolare. "Fuoco e follia violentano le nostre vite, ricorda il tuo tempo in questa vita. Dopo un lungo combattimento, scompariamo tutti quanti nel grande nero. Siamo imprigionati nel peccato e l'albero dei frutti è caduto". Le orchestrazioni fanno capolino verso la fine, per concludere nel migliore dei modi questa disperata parabola biblica, citata persino nell'ultimo verso attraverso l'albero del giardino dell'Eden dove Eva prelevò la famosa mela del peccato, condannando l'umanità.

A Damned Apparition

A Damned Apparition (Un'Apparizione Dannata) è il secondo interludio che troviamo in questo lungo percorso. Il brano, della durata di appena un minuto, non è altro che un blocco recitato con voce modificata da un DeFeis demoniaco, accompagnato dal suo fedele pianoforte, che rintocca note di paura e di morte. "Un'apparizione dannata nella quale si vedono mutilazioni. Fedele devozione, sprezzante disprezzo, la terra si apre sotto di me spargendo tenebre. Dai cuori neri emergono cattivi pensieri, corpi corrotti. Siamo tutti maledetti". Ecco l'ennesima profezia lanciata da un DeFeis maligno, qui nelle veci del Diavolo, pronto a godersi lo spettacolo della distruzione del mondo. Il pianoforte è docile ed emette sinistre note che rintoccano assieme ai colpi di tamburo, concludendo un ipotetico paragrafo musicale. Infatti, questa breve traccia potrebbe figurarsi come outro dell'intro album, e se fosse stato cosi, "Nocturnes Of Hellfire & Damnation" sarebbe stato promosso nonostante i tanti difetti analizzati, e invece il brano introduce l'ultima parte del lavoro, quella meno calibrata e più snervante, venendo ripreso persino nella fase centrale della seguente canzone.

Glamour

Glamour (Fascino) è un brano atipico per i Virgin Steele, a cominciare da un titolo non proprio epico. La costruzione, però, è una sorta di power song teatrale, dove emerge tutta la fascinazione del vocalist per il teatro e per le arti recitative, infatti il nostro caro David fa di tutto per mettere in mostra le sue abilità interpretative e le mille sfumature che compongono il suo timbro. DeFeis sussurra, grida, lancia ruggiti e miagolii, intona blocchi in media vocalità, altri in falsetto, altri ancora non ponendosi limiti e raggiungendo gli ultrasuoni, secondo una struttura imprevedibile, originalissima ma anche straniante, dato l'utilizzo smodato dell'auto-tune che ritocca la voce con troppi effetti sonori. L'abuso vocale, già ampiamente sperimentato durante l'album, qui raggiunge il suo apice, complice anche la struttura dinamica e snodata del pezzo. Un pezzo strano, che può affascinare per l'originalità, ma che non è del tutto riuscito. Basso e chitarra a sette-corde costruiscono una base corposa che fa intravedere ulteriori sviluppi, e infatti dopo qualche secondo il ritmo cambia repentinamente, velocizzandosi fino a diventare una cavalcata metal, per poi rallentare subito dopo, sotto i gorgheggi effettati del vocalist. Le tastiere sono un contorno, le chitarre si placano e DeFeis inizia a urlare: "L'inferno cammina con eleganza, lei grida che è urgente e che tutto puzza di cocaina, mi chiede di entrare nella sala dei caduti e di abbracciarla". Si sta descrivendo l'inferno e la regina dei dannati che, nonostante la pericolosità, gode del suo fascino ancestrale. La donna-demone plagia le menti degli umani, le seduce, le infetta e le rende docili ai suoi comandi. Il ritmo rallenta, resta il basso a danzare nell'aria, David si placa e sussurra: "Non riuscirò più a dormire, non mi sveglierò più", ricordandoci che questo è solo un sogno, o forse un incubo nel quale è sprofondato. Ma non c'è attimo di respiro che la sezione ritmica accelera improvvisamente, trasformandosi in power metal, dando modo al vocalist di interpretare una strofa velocissima: "Seduce gli sciocchi con la sua fiamma ardente, mentre io ho vagato per anni nella follia, fino a quando non ho ricordato la saggezza nel dolore". La saggezza risiede nel dolore, nell'esperienza accumulata in vita, bisogna sprofondare all'inferno per poter capire i segreti dell'esistenza. DeFeis ha già mostrato diverse vocalità, alcune fin troppo acute, realizzate con la modulazione elettronica, altre più pacate e sicuramente più consone alla sua forma fisica, come nel ritornello, efficace e affascinante, dove gli animi si stemperano per creare un momento suggestivo sostenuto da cori e dalle note delle tastiere. "Fascino di puttana, le foglie appassite a terra, una stagione all'inferno, le spose indossano veli sporchi" e poi il refrain prosegue prendendoci per mano e cullandoci nel delizioso bridge, la parte migliore della traccia, dove viene ripreso l'intermezzo "A Damned Apparition", nel quale DeFeis recita con voce demoniaca e poi continua, sempre con tonalità grave, a descrivere questo inferno e la natura ultraterrena della regina dei dannati. "Il mio cuore è congelato, la tentazione è il suo criptico tranello, siamo tutti morti ubriachi, uccisi dal suo fascino. Lei è vampiro e ogni cosa affoga nel sangue". Il profondo momento si interrompe, Block riprende premere sull'acceleratore creando una serie di robusti riff, mentre il secondo ritornello è ancora più teatrale, sommerso da cori che possono ricordare alcune composizioni dei Queen, da sempre una delle band preferite da DeFeis. Il brano si chiude con una decelerazione progressiva, sgonfiandosi secondo dopo secondo nell'ultimo blocco, lasciandoci con un'amara riflessione sulla vita, sulla morte e sulla musica stessa: "La vita è una lacrima non versata, la morte cammina furtiva, la musica proviene dall'unione tra amore e odio. Non dormirò più e nemmeno mi risveglierò".

Delirium

Un grido quasi ridicolo introduce Delirium (Delirio), aprendo la parte meno riuscita dell'album, dominata da tre ballate interpretate malissimo, tanto che sono insopportabilmente prolisse e noiose. In realtà, i brani, se fossero cantati decentemente, sarebbero persino splendidi, ma i vocalizzi di DeFeis rovinano tutto quanto. Accompagnato dal piano, il cantante attacca con una certa fatica: "Nel giardino del peccato restiamo confusi e contusi, un involucro di paura, anima dei dannati, carne di desideri", segue la seconda strofa, dove il vocalist si addolcisce: "Passano i giorni pisciando sulle tombe, l'inferno esplode schernendo il suo Dio, lei è incinta, cosparsa di sperma". Le liriche sono molto cupe, anche criptiche, il tutto trattato sotto metafora. È una condizione infernale, di caos assoluto, probabilmente si sta narrando della nascita del male nella valle del peccato, che potrebbe essere la terra stessa, e della donna che ha originato Satana. Inizia il secondo corpo del brano, sempre voce, batteria e pianoforte a cullarci in questo mare di melma, dalle atmosfere oscure e mefistofeliche. "Ubriaco e leggiadro entro nel suo templio, il suo utero, dai fiori morti e dal veleno sparso, la natura si consuma. Il suo seno si bagna di sudore, odora di liquirizia, poi il suo corpo viscido si muove". L'uomo protagonista, il folle, in preda al delirio, è sedotto dal fascino del male, visto come una donna sensuale, bagnata e vogliosa di sesso. Lei vuole accoppiarsi per restare incinta e por partorire un nuovo male terreno, un nuovo peccato. Il ritornello è gradevole, abbastanza lungo da essere apprezzato e da entrare in testa, dai toni vigorosi e da una melodia crescente: "Non combattere la solitudine. Incolpa il sole, incolpa la luna, incolpa le stelle e le bugie di Dio. Delirio". La follia non fa ragionare, il folle può dare la colpa a qualunque cosa, ma il peccato risiede nella sua testa. Parte l'assolo, questa volta l'ospite in studio è Dave Ferrara, vecchio amico del cantante, che si dimostra pronto e preparato. I suoi accordi sono sensuali, piacevoli e molto intimi, la profondità scaturita dalla chitarra viene protratta nel bridge: "Avanza e respira l'aria lugubre, annega nel suo sguardo di smeraldo, unisciti a lei e diventa Diavolo. Grida di vittoria". Insomma, la trasformazione in demone è giunta al termine, l'accoppiamento selvaggio è compiuto, il folle è diventato malvagio, è stato sedotto dal male. Si riprende il ritornello che dà inizio a lunga coda finale, nella quale Block e Ferrara si destreggiano alle asce, che annoia per via di una stancante ripetitività che fa raggiungere al pezzo il minutaggio complessivo di quasi ben otto interminabili minuti.

Hymns To Damnation

Hymns To Damnation (Inni Alla Dannazione) sarebbe una ballata strepitosa, purtroppo soffocata da continui gridolini che risultano irritanti, senza contare un ritornello malamente modificato con brutti echi in sottofondo. Un peccato perché le strofe sono eccellenti, quando DeFeis si siede al pianoforte scaturisce magia pura. "Cuore di bambino dagli occhi bestiali, lacrime nelle ragnatele come pioggia di sangue, perduto nel bosco di Salem. Il volo di un corvo, qui viviamo come ladri e bugiardi, la bellezza che abbiamo concepito non è umana". Ecco la condizione umana, siamo essere fragili, in lacrime, perduti nei labirinti della vita, guidati dai corvi, simbolo di morte, schiavi del sangue, della menzogna e del peccato. La bellezza non è cosa nostra, non è di natura umana ma solo ultraterrena ed per questo che noi distruggiamo ogni cosa bella, perché non la meritiamo. Il refrain è molto bello, peccato che evidenzi le pecche già descritte: un grande melodia sepolta sotto una marea di manipolazioni vocali, col risultato di un DeFeis poco credibile. "Inni alla dannazione, inni d'inganno, in vita non c'è salvezza, regna con me, poiché non esiste nessun Dio". Le atmosfere e le ambientazioni sono crudeli, amare e nichiliste. La disperazione regna sovrana, noi siamo artefici del nostro destino e nessuna divinità, oltre a noi stessi, ci salverà. Edward Pursino si lancia in un bellissimo assolo, ecco che DeFeis prosegue con un'altra strofa: "Appare il crepuscolo illuminando una croce caduta. Ci sono rituali di magia nera, nessun Dio all'orizzonte, le ombre si allungano sulla collina, oscillando nella brezza. Molti sono morti, molti sono tornati alla casa della morte". Pursino impugna ancora la sua ascia ed esegue un secondo strepitoso assolo, questa volta più violento, poi la calma si abbatte ancora sulle casse creando un vortice sonoro che si infrange prontamente quando riparte il refrain. Block e Pursino tessono un'ottima base strumentale, manca una vera batteria, e l'assenza è palese, ma tutto sommato il pezzo scorre bene e regala grandi momenti. "Sposa insanguinata che l'oscurità nasconde, come i terrori del mare che sprofondano nei tuoi occhi" è l'ultima frase pronunciata dal vocalist. Pura poesia crepuscolare testimonianza di un'artista raffinato e dal tocco magico.

Fallen Angels

La stessa sensibilità poetica è incorniciata anche in Fallen Angels (Angeli Caduti), altra grande ballad massacrata da vocalizzi eccessivi e da una certa prolissità di fondo che non fa altro che ripetersi allungando il brodo. L'attacco è certamente grottesco, Defeis tossisce e poi ruggisce, dunque si mette al piano e intona questo canto disperato. "Accendi un'altra candela, dimmi che sei qui, grida torturate nell'eternità, invoca il diavolo. Stammi vicino, non resta altro che il dolore. Restiamo svegli". Ancora un inno alla notte, un notturno per voce e piano, dove l'uomo invoca la sua amata, forse perduta in un'altra dimensione. La tristezza regna sovrana, dunque prende piede il bel ritornello: "Sono un angelo che vola verso il sole, ma ho le ali sfregiate" mentre si notano le buone linee di basso, oltre ai fraseggi dei chitarristi Pursino e Ferrara, qui in sostituzione di Joshua Block. Si continua a invocare la presenza di questa donna defunta, un angelo proprio come il cantore di questo dramma. "Non riesco a dormire, sono solo, sono l'unico peccatore. Prego ma non è rimasto nulla di te, solo il tuo nome sussurrato dal mare. Voglio essere un urlo di commozione, voglio essere l'oblio, voglio essere libero dal dolore. L'inverno si sta avvicinando" piange un DeFeis a corto di ossigeno, seriamente limitato ma pur sempre un grande interprete, almeno quando si trattiene e non esagera con vocalizzi estremi. Il ritmo cambia impercettibilmente, le chitarre sibilano e dunque resta il pianoforte ad accompagnarci in questo canto melodico. Intervengono le sezioni orchestrali a dare man forte, generando un intenso paragrafo strumentale, lo stesso che si conduce al termine di questo cammino. Le note di pianoforte ci dilettano con delicatezza, Dave Ferrara ed Edward Pursino fanno stridere gli strumenti per poi lasciare, per l'ennesima volta, spazio al mastermind e alle sue tastiere per intonare gli ultimi versi, quelli più drammatici, nei quali l'angelo delle liriche è pronto a librarsi in cielo e tornare dalla sua amata, cercandola oltre gli oceani e oltre le nuvole, raggiungendola nell'aldilà, dove l'abbraccerà, la bacerà e la rassicurerà per l'eternità. Così si chiude un disco cupo, dai tratti gotici, dai sentimenti disperati.

Conclusioni

La cosa che irrita di più, in un lavoro del genere, è che i testi notturni e le cupe canzoni sono anche di ottima fattura, e anche le tematiche che li lega, essendo un concept spiritico abbastanza affascinante, basti pensare alla danza doom "The Plague And The Fire", alla blueseggiante "Demolition Queen", alla poesia epica di una "Persephone" o alla delicatezza apocalittica delle ballate "We Disappear", "Fallen Angels" e "Hymns To Damnation", tutti grandi pezzi, ma stroncati da una produzione che risulta davvero indigeribile, specie se a portarne la firma è una band storica e con tanta esperienza sulle spalle, e in più cantati da un DeFeis irriconoscibile, che si dimena, strepita e si lancia in assurdi falsetti cercando di ricordare il fuoriclasse che era ma toppando alla grande. Purtroppo l'attuale forma fisica del vocalist è ampiamente compromessa, David dovrebbe capirlo e accettarlo, la malattia alla gola avuta qualche anno prima lo ha debilitato fortemente e per lui è oggi impossibile gridare e ruggire come un Dio, ovvero come era solito fare nei precedenti album. Essendo una persona intelligente e un vero professionista, dovrebbe anche capire che la potenza non è tutto, perché la giusta interpretazione riempie le falle e nasconde i limiti, e allora dovrebbe adottare lo stile pacato e profondo utilizzato in "The Black Light Bacchanalia", quello sì un disco magicamente interpretato, con tutti i limiti di sorta, cantato con criterio, senza strafare e senza cercare chissà quali miracoli vocali appartenenti al passato. I Virgin Steele, questa volta, perdono identità, rilasciando un album superficiale e stanco, dove non emerge coesione tra i singoli musicisti, tutt'altro, dato che gli assoli di Pursino, spesso, sembrano prelevati da file e appiccicati alla base strumentale, mentre si apprende che Gilchriest è fuori dal gruppo già da diverso tempo per non so bene quale ripicca e che il suo contributo lo si può riscontrare solo in una traccia inserita nel secondo cd-bonus, la splendida "West Of Sumer", risalente, come la struggente "The Greater Burning Of Innocence", a diversi anni fa e che, non a caso, entrambe si prefigurano come le migliori in assoluto. Tutto il resto è imbarazzante, le belle melodie e le grandi costruzioni epiche, vanto da sempre dei Virgin Steele, fanno capolino qua e là ma prontamente vengono rovinate dall'ugola isterica e che abusa troppo di strani effetti ed echi di un DeFeis indomabile, spesso senza fiato, che non si pone limiti e che fa di tutto per risultare insopportabile. E la cosa paradossale è che se le ultime quattro tracce fossero state omesse, "Nocturnes Of Hellfire & Damnation" avrebbe raggiunto, nonostante tutti i problemi elencati, la sufficienza, forte di una manciata di ottimi pezzi che, tutto sommato, reggono in piedi l'intero lavoro, almeno fino alla decima traccia, grazie anche agli interventi dei due chitarristi. Chitarre e basso, infatti, suonano alla perfezione e illuminano con abile tecnica e giusta ferocia diversi momenti, dando soddisfazione attraverso cavalcate metalliche e deliziosi ritagli epici, come l'apertura "Lucifer's Hammer" o le due evocative e suntuose "Queen Of The Dead" e "Black Sun-Black Mass", ripescate dal disco "Nightmare Theater" degli Exorcist, che testimoniano una band che ha ancora molto da dire, soprattutto alla luce di un album che è in realtà costituito da scarti, gli stessi che molte altre band pagherebbero oro per poterne entrare in possesso. Eppure David DeFeis, almeno in questa occasione, da vero punto di forza si tramuta in guastafeste, risultando pacchiano, folle e grottesco, e mandando in malora quanto di buono composto. La sensazione è che la sua voce sia peggiora ancora di più rispetto agli ultimi anni, tanto che sembra non reggere più nemmeno le basse tonalità delle ballate, facendo fatica a mantenere l'intonazione. Che poi, basterebbe poco per rimediare, basterebbe che ricominciasse a studiare con un buon maestro per recuperare, se non la potenza, ormai perduta per sempre, almeno l'impostazione vocale, qui gravemente danneggiata. Inutile cercare scuse, "Nocturnes Of Hellfire & Damnation" è un album mediocre, che sarebbe potuto essere molto buono se fosse stato prodotto e cantato con criterio, ma che, alla luce di quanto fatto, non ha modo di esistere, nemmeno per i più incalliti fans dei Virgin Steele, perché è un'opera che non ha anima e non ha identità, confusa proprio come le tre copertine nelle quali è confezionata, dove tutto suona artificioso e astratto, dal vergognoso missaggio, passando per la finta batteria per poi arrivare al fastidioso e continuo utilizzo dell'auto-tune vocale per ritoccare l'intonazione. In questo album niente suona reale e tanto suona irritante, prolisso e lagnoso, e la cosa che dà fastidio è che i Virgin Steele se la sarebbero potuta cavare realizzando una brillante compilation prendendo tutti i buoni pezzi inseriti nelle ristampe dei diversi album, al posto di bruciarli relegandoli a bonus-track nel cd aggiuntivo di ogni digipack, o al massimo, come già accennato, tagliando le ultime quattro tracce che affossano l'intero lavoro. Mi rendo conto di essere estremamente severo, ma la pazienza di un fan ha un limite, e veder lavorare artisti di questo calibro in modo penoso e vacuo mi infastidisce molto. Sopportare anni e anni di annunci e conseguenti smentite, prima il box per i tre decenni di carriera, poi la terza parte del concept pagano, infine il famoso DVD live, per poi ritrovarsi tra le mani un prodotto del genere fa ribollire il sangue nelle vene, e allora certe scelte scellerate dovrebbero essere abolite in partenza perché sono deleterie per tutti. La megalomania imperante di DeFeis è ormai strabordata, ha schiacciato i suoi compagni di avventura e ora rischia seriamente di mandare la nave Virgin Steele a naufragare sugli scogli, distruggendola per sempre. David è un genio musicale assoluto, ancora oggi ispiratissimo, ma è anche un pessimo produttore e da quando ha preso le redini manageriali della sua band non ha fatto altro che peggiorare le cose, lo testimonia il flop di vendite di questo album, la pessima pubblicità fatta a suo favore, le esigue informazioni sul sito internet ufficiale, mai aggiornato, o sulla pagina Facebook, e anche lo scarso interesse per le nuove tecnologie, tanto che gli ultimi video-clip della band sono stati girati con programmi che andavano a metà anni 90, risultando del tutto amatoriali. Tutta questa leggerezza inficia sulla grandezza dei Virgin Steele, su uno di quei nomi che, data la genialità e l'influenza su tutto il power/epic/symphonic metal, dovrebbe restare sempre puro e lontano da derisioni e oltraggi. "Nocturnes Of Hellfire & Damnation" è il frutto di un'artista solitario, non dell'armonia di più menti unite per lavorare insieme. Questo è un brutto album, disonesto, per non dire folle, incentrato sull'individualità, sulla megalomania, sull'egocentrismo. No, questo non è il lavoro di una band e questa non è la musica dei Virgin Steele, di preciso non so cosa sia ma so che assolutamente non mi piace.

1) Lucifer's Hammer
2) Queen Of The Dead
3) To The Darkness Eternal
4) Black Sun-Black Mass
5) Persephone
6) Devilhead
7) Demolition Queen
8) The Plague And The Fire
9) We Disappear
10) A Damned Apparition
11) Glamour
12) Delirium
13) Hymns To Damnation
14) Fallen Angels
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