VIOLBLAST
Theater of Despair
2019 - Hostile Media
NIMA TAYEBIAN
03/02/2019
Introduzione
Capita spesso, girovagando nel sottobosco metal, di imbattersi in gruppi di un certo interesse. Mentre normalmente certe scoperte le faccio da solo, "saltellando" qua e la come un satiro nei meandri di Metal Archives, e qualche volta aiutandomi con Last FM e varie webzine, stavolta il gruppo interessante mi è stato suggerito da un collega della webzine per cui lavoro, ragion per cui, per noi del settore, le webzines sono di doppia utilità: a parte le cose che si possono scoprire "in proprio" - ciò che fa di solito l'utente medio, che, a parte capire la bellezza o meno di un album sfrutta questo mezzo per conoscere nuovi dischi - vi è anche l'illuminante supporto dei propri colleghi. E quanto mi è stato presentato mi ha non poco incuriosito, considerando che si tratta di un gruppo thrash metal proveniente dalla Spagna. Paese certo prodigo di gruppi metal di una certa caratura (chi ha detto Mago De Oz e Tierra Santa?) ma non proprio celebre per il suo thrash (di gruppi di questo genere se ne ricordano pochi, come Legion, Fuck Off e Kudai). Ragion per cui non mi era ancora capitato di interessarmi pienamente al thrash spagnolo. Poco male, perchè il gruppo di cui mi occuperò in questa sede, i Violblast, ha davvero tutte le carte in regola per iniziare a studiare e a decodificare il genere come inteso nella penisola iberica. Un gruppo potente, capace di farsi forza su ottime melodie irrorate da dosi inumane di acredine. Tanta potenza capace di emergere sin dai primi secondi di un platter come Theater of Despair, il loro secondo full-length - oggetto di questa recensione - dopo l'altrettanto riuscito "Conflict" del 2016 (prima di questo solo un Ep, "Permanent Hate" del 2014). Un disco, il loro ultimo, forte di dieci tracce in cui non si ravvisano cali di tensione, in cui vi è una palpabile e vibrante energia dall'inizio alla fine. Aprendo una (neanche troppo) piccola parentesi, avevo scritto una prima introduzione - poi cestinata - per sottolineare come al giorno d'oggi sia più facile venire a contatto con certe realtà nel campo musicale (e non solo) rispetto che nell'epoca mitica del tape trading, considerando che oggi abbiamo a disposizione un mezzo fondamentale come il web che parecchi anni fa era solo un sogno. Uno strumento oggi indispensabile per chiunque si voglia avvicinare a gruppi sicuramente più modesti rispetto a tanti nomi blasonati, ma le cui capacità sono talvolta indiscutibili. Un gruppo come questo, di cui mi occupo in tal sede, che pur essendo meno "ridondante" (comunque non dimentichiamo che i nostri sono al secondo disco, e quindi devono ancora "crescere" e arrivare dove altri sono già arrivati) non manca di creatività, potenza e ispirazione. Tutto quello che un buon appassionato di metal potrebbe desiderare. E in effetti, dopo una prima fase di scetticismo che caratterizza gran parte dei miei nuovi ascolti, mi sono lasciato travolgere con sommo piacere dall'onda d'urto generata dalle dieci tracce incluse nell'album. Traccia dopo traccia, martellamento dopo martellamento. Ed è stata una goduria. Perchè, ribadendo per l'ennesima volta che sono "un dinosauro", e mi piace quando un genere si alimenta della propria raison d'etre, in questo caso, trovandomi a che fare con un gruppo thrash, desideravo, anzi, bramavo già prima dell'ascolto, qualcosa che mi facesse sbattere la testa come un forsennato. E sono stato accontentato. Certo mi ritengo un ascoltatore curioso, e se gli sperimentalismi portano davvero a qualcosa sono il primo a gridare "capolavoro" (del resto ho eletto da una vita i Voivod come il mio gruppo preferito di thrash metal) ma se un genere si mantiene in linea con ciò per cui è nato e lo fa egregiamente, per me va ugualmente bene. Il buon prodotto è ciò che cerco, lontano da paraocchi. E qui siamo di fronte a un buon prodotto. Non c'è revivalismo - il thrash proposto dai nostri è abbastanza moderno - ne sperimentalismo. Ma la qualità, quella c'è. E la qualità, al giorno d'oggi è tutto, o quasi, in un epoca dove si è detto molto e dove in molti non puntano neanche più all'invenzione, alla scoperta, a sondare nuovi territori inesplorati (la musica è un mare magnum che obiettivamente ha confini infiniti, dunque chi a torto dice che certi generi hanno detto tutto quel che avevano da dire... beh, sbaglia o mente) ma piuttosto a creare un prodotto che "tenga", che abbia una sua raison d'etre, che possa essere considerato buono, funzionale, con un suo perchè. Detto questo, e lasciando qualsiasi considerazione alle nostre consuete battute finali, direi di darvi un brevissimo spaccato biografico della band (preso direttamente dalla loro pagina facebook) prima di buttarci a capofitto nella nostra classica track-by-track. I Violblast sono una thrash metal band emergente di Figueres. Il gruppo ha eseguito diversi concerti per un anno e mezzo sotto il nome di Betrayer, nell'agosto del 2012 prima di inserire un nuovo vocalist e cambiare il suo nome in Violblast. A metà 2013, dopo alcuni colpi di scena nella composizione del loro ensemble, il gruppo raggiunge quello attuale, composto da Andrés Perez alla voce e al basso, Santiago Turk sulla chitarra ritmica, Sebastián Silvera come chitarra solista, Sergio Ruiz alla batteria. Le influenze citate sono riferibili a gruppi quale gli Slayer, gli Exodus, i Cannibal Corpse, gli Anthrax, gli Havok, i Testament, gli Iron Maiden, i Megadeth, i Motorhead ed altri." Benone, direi ora di passare alla nostra immancabile track-by-track.
Trivialization of Murder
Si inizia molto bene con "Trivialization of Murder" (Banalizzazione dell'omicidio), brano potente che non mancherà di fare strage di cuori tra i cultori di un certo thrash di stampo più "modernista" (nonostante l'amore dei nostri per il thrash classico - con poche eccezioni come gli Havok - sfido io a collegare questo genere di thrash con, ad esempio, il sound dei Big Four, o dei teutonici nel loro mood più classico. Magari con un po' di fantasia agli ultimi Kreator, forse gli unici che mi vengono in mente come elemento di paragone) il che si traduce con ritmiche più forsennate ma ancorate ad accentuati stilemi melodici e un vocalist che sarebbe perfetto per il metalcore. Ma ci ritorneremo. Il brano, sul piano testuale, ci porta al cospetto delle visioni di un sadico, un folle, una persona ossessionata dalla violenza che vagheggia/filosofeggia compiaciuto brame depravate e sanguinolente. Il folle si crogiola sulla sua delittuosa bramosia arrivando a sostenere di essere quasi "posseduto da una forza esterna assetata di sangue", una cieca asfissia mentale che si declina in deliri tipici di un pazzo fuori controllo, un personaggio che, trovando la giusta occasione, non mancherà certo di macchiarsi le mani di sangue. Il fatto che tanta follia non si sia ancora tradotta in un azione sadica e violenta è testimoniata dal passo che recita "Un impeto puro mi sta trascinando", ergo si trova ancora sulla strada della perdizione, non essendo ancora stato risucchiato in toto nel suo "vortice mentale" ne avendo fatto alcunchè per essere considerato ancora un criminale. Pazzo "in fieri" si, ma ancora non un pazzo criminale. A livello musicale il brano inizia con un tappeto di ritmico molto serrato, con una batteria irrefrenabile tipo panzer. Presto sopraggiunge un guitar work isterico, che ci catapulta gradualmente in nuances di follia. Ben presto, al termine di questa parte introduttiva, il pezzo si assesta su tempi medi di grandissimo impatto, con un riffing freddo e roboante: la velocità non rientra in queste prime battute, in cui i nostri prediligono atmosfere oscure ed apocalittiche, ben scolpite dai vari strumentisti. Al minuto inoltrato subentra anche la voce, pregna di certe modalità, nel cantato, che come sottolineato in precedenza, potrebbero essere adeguate anche per qualche gruppo metalcore: nessuna impostazione isterica stile Araya, o elementi che ci rimandino al cantato di altri grandi artisti della classica scena thrash (Mustaine, Hetfield etc.), piuttosto una tipologia di canto sprezzante tipica di certi artisti del genere sopra accennato. Ma se siete thrashers tout court non rabbrividite: qui questo genere di cantato ci sta egregiamente. A livello ritmico e di struttura musicale il pattern già accennato nei secondi post introduzione non sembrano cambiare un granchè (si viaggia sempre su tempi medi) almeno sino ai due minuti e dieci, quando un guitar work frenetico ci getta in pochi secondi in balia di una parte particolarmente veloce e pompata. La sezione ritmica e le chitarre ci dilaniano in un battibaleno aumentando esponenzialmente il cinetismo del brano, che inizia a martellare come un motopico impazzito. I bpm subiscono in inflazione esponenziale dandoci una piena idea di cosa significhi "caos calcolato". La voce segue a ruota, cercando di stare dietro a tanta furia distruttiva. Verso i due minuti e quaranta anche un solo guitar "impazzito", quasi free form, sconquassa ulteriormente una texture gia particolarmente "strapazzata". Si va avanti in preda al puro delirio sonico sino a circa i tre minuti e quaranta: la tensione continua a mantenersi palpabile, ma la batteria diminuisce i suoi battiti lasciando che sia il guitar work di fondo a definire un aura di lancinante psicosi. Bene o male, e neanche troppo per gradi, si ritorna a una struttura più ragionata, che si lascia alle spalle l'orgia di velocità precedente. Ma gli strumenti continuano implacabili a tratteggiare aloni destabilizzanti di puro terrore, imprimendo un senso di angoscia nell'animo dell'ascoltatore. Tutto stupendo, riuscito sino alla fine. Quello che i nostri mettono in campo è davvero un qualcosa di "comunicativo": ira, angoscia, turpitudine, tutto incasellato in quattro minuti abbondanti. Tutto quello che un fanatico del metal vorrebbe sentire.
Theater of Despair
Si continua la title track "Theater of Despair" (Teatro Della Disperazione), secondo brano del lotto che testualmente prosegue sulla stessa falsariga del primo, presentandoci ancora una volta un personaggio - lo stesso possibilmente del precedente brano - che, preda delle sue psicosi amplificate da una vita vacua e priva di stabilità, immagina una città infernale dominata dalle macerie e dal sempiterno fuoco, un inferno immanente che tutto consuma e trasforma in cenere. Un mondo "ideale" per la sua sete di distruzione, in realtà non fine a se stessa, ma come "punto zero" da cui stabilire un nuovo inizio, un nuovo ordine. Macerie, morti e distruzione non messi in campo solo e semplicemente per la sua voglia di vendetta nei confronti di una società che poco gli ha concesso, ma una nuova società "ideale", e tale epiteto inserito sempre tra virgolette, dato che in realtà risulta a tutti gli effetti un folle sogno di una persona instabile. Comunque considerabile ideale secondo i suoi stilemi dato che sarebbe il punto di partenza per un qualcosa di nuovo. Ipotesi che risulterebbe azzardata, dato il suo "rosario" di invettive e invocazioni di pire, vermi, fuochi, cadaveri et similia, ma che assume un peso grazie a passaggio come "Stabilità e pace, questa volta sono per sempre/ Tra le rovine c'è un nuovo nato", il che dimostra che non è la classica pretesa del classico cattivo da film (o da cartone animato) che vorrebbe vedere la nostra terra/la nostra società distrutta "e basta" ma la volontà di un uomo (privo di senno, comunque), che, ravvisando falle nel nostro schema sociale, vorrebbe distruggere tutto per far si che si ricominci da capo. Musicalmente parlando il brano inizia con un sibilo a cui fanno eco rumori "metallici", distorsioni radio distanti e poco intellegibili. Pochi secondi dopo parte lo stillicidio sonoro, messo in campo da un guitar work isterico, freddo e destabilizzante, e una batteria "meccanica" il cui unico compito è battere incessante colpi furiosi tipo arma da fuoco. Dopo un intermezzo chitarristico "sinistro" si riparte a tutta velocità: non fine a se stessa - i nostri non buttano dosi di velocità tanto al chilo giusto per far sbattere la testa - ma pregna di un alone sinistro, merito anche de lavoro chitarristico capace di comunicare visioni deumanizzate e scenari davvero funesti. A fare da contraltare una batteria capace di fare male come una gragnola di randellate in pieno capo. In breve siamo testimoni di un piccolo rallentamento, che lascia spazio ad un intarsio chitarristico immaginifico: la batteria segue il rallentamento mentre la voce, furibonda, declamatoria, sembra ergersi su tutto assumendo connotati di protagonismo. Non passa poi molto che il brano corregge la sua gittata riassestandosi su coordinate veloci e destabilizzanti. Ancora una volta il chitarrismo isterico e il drum work la fanno da padroni. Ancora un piccolo rallentamento verso il secondo minuto, poi si riparte come missili, trainati da un solo guitar che non fa prigionieri. Siamo ai due minuti e quaranta: l'intermezzo strumentale viene stoppato per riportare il brano sulle sue coordinate principali, ancora giostrato su una tessitura veloce, arcigna, ove l'impianto iper-cinetico serve come sempre per dare un senso di caos controllato. Piccolo rallentamento sul finale, utile per tirare il fiato.
New Orphans Elegy
Il terzo brano "New Orphans Elegy" (Elegia Al Nuovo Orfano) ci mostra come, aldilà di quanto azzardato in precedenza, quelle che sembravano le fantasie di un pazzo, in realtà risultano essere, senza mezzi termini, le "constatazioni" di un pazzo. Ossia, molte delle cose udite in precedenza, e prese per paranoie di una mente malata, come la distruzione in toto del mondo in cui viviamo, sono parte di un elegia funebre che si cristallizza in una vera e propria constatazione di un disastro che si è abbattuto nel nostro mondo. Non tutte le amenità, dunque, udite per bocca del nostro "protagonista" - ormai abbiamo la certezza che vi è un'unica e sola figura cardine in questa vicenda, la stessa persona protagonista dei primi due brani - sono follie di un pazzo, ma constatazioni di un folle tutto sommato "lucido". E questa follia lucida si traduce forse in un canto di speranza, che induce il protagonista ad andare avanti nonostante i pericoli e la desolazione di un mondo decaduto. Egli segue la luce della sua stella-guida, ritrovandosi in un mondo cimiteriale, popolato da morti lamentosi e da anime vaganti. Ma è deciso a proseguire, perché sa che la vita è breve e che la morte è sempre in agguato. Il nuovo orfano è lui stesso, perché ha perso tutto e si ritrova solo in un'epoca devastata. Nel buio cerca la luce, ma si sente perduto e in bilico tra la vita e la morte. Musicalmente il brano prende il via con un riffing serrato e "spento", privo di qualsiavoglia sfumatura emotiva. Freddo e calcolato come il motore di una macchina di distruzione. Verso il trentesimo secondo un riffing altrettanto freddo e meccanico introduce la voce, che fa capolino con un urlo ferale. Pochi secondi dopo la voce entra in campo ufficialmente, trainata dal riff di cui sopra: il brano si assesta sin da subito su tempi medi, ma deumanizzati e gelidi. Fondamentalmente si continua su queste direttive sino al minuto e cinquanta inoltrato, quando, sugli stessi tempi medi, si inserisce una parte melodica ed accattivante. Verso i due minuti e venti si ricomincia su un tappeto ritmico possente tipo panzer, che ci scorta nuovamente - una decina di secondi dopo - verso una nuova parte melodica del tutto simile alla precedente. Quindi si riparte su ritmiche pachidermiche che di nuovo hanno poco del concetto di velocità nel loro DNA. Anche verso i tre minuti e trenta, quando si presagisce un qualche tipo di scatto in volata, in realtà si rimane ancorati a ritmiche meccaniche tendenzialmente claustrofobiche. Pochi secondi dopo, conseguentemente ad un piccolo intermezzo in cui un sibilante guitar work - unito al riffing meccanico di cui sopra - rende il brano, se possibile, ancor più straniante, si ritorna in seno a una nuova parte melodica cesellata tra l'altro dall'ugola di un Andrés Perez sempre efficace. Brano particolare che nasce e muore si ritmiche meccaniche, claustrofobiche, marziali. Un mostro monolitico che sembra subodorare di post/groove thrash ma senza svincolare troppo dal mood tipico della band. Bello e soffocante.
Martyrs Without A Cause
Il quarto brano "Martyrs Without A Cause" (Martiri Senza Causa) presenta a onor del vero un testo meno intellegibile rispetto a quelli dei brani precedenti. Anzi, più che scarsamente intellegibile, direi che si potrebbe prestare a molteplici interpretazioni: una voce fuori campo fa una stima della nostra società, e fa riferimento in più di un occasione ad un elemento specifico che non fatichiamo ad identificare come il protagonista dei precedenti brani. Qui, tra le parole di questo personaggio (aka la voce fuori campo) si fa una stima davvero misera della nostra società, considerata piena di menti ignoranti, mentre sul nostro protagonista vengono espresse parole variegate ("Ma sei orgoglioso./ Scava la tua stessa tomba con l'orgoglio/ Su fili di menzogne tesserai il tuo sudario/ Oltre queste mura non puoi vedere/ Sottomesso per soddisfare i bisogni di qualcun altro" giusto per fare un esempio) e praticamente, per farla breve, questi viene definito come colui che non potrà mai arrivare a capo di nulla, non potrà mai reggere le redini di alcuna vicenda, destinato com'è ad essere ora e per sempre martire. Poche e semplici frasi ci danno l'idea di come queste parole vengano espresse da un rappresentante di una razza aliena e comunque superiore alla nostra ("Abbandonati a una causa aliena" [...] "Ti guarderò morire dall'alto/ Noi siamo una razza generosa") che scruta forse distaccato, forse un pizzico disgustato, il tracollo del nostro ordine sociale marcio ed obsoleto (il binomio uomo/bestia espresso nel passo che recita "sottomesso per soddisfare i bisogni di qualcun altro" è tutt'altro che positivo ed indica un ordinamento sociale ancora inferiore ai loro occhi). Sul piano più strettamente musicale si denota sin dai primissimi secondi parecchia potenza offerta come assaggio in una parte introduttiva iniziale che lascia ben presagire per il proseguo. E infatti, dopo pochi secondi, il pezzo si assesta su ritmiche veloci ed assassine, ben lontane dalle tessiture monolitiche del precedente brano, e maggiormente affini a un certo mood più classico. La velocità la fa da padrona grazie a un guitar work serrato e a una batteria pompata all'inverosimile. Stavolta si corre ragazzi, ed è una goduria per le orecchie. Pennellate veloci di chitarra e colpi frenetici di batteria si rincorrono giocando al massacro insieme ad una parte vocale arcigna, ostile, perfetta per tale contesto. Stavolta non abbiamo momenti per tirare il fiato: se si vuole parlare in qualche modo di "rallentamento", questo può essere ravvisato nella parte "slayeriana" dal minuto e trentacinque, meno veloce rispetto all'orgia sonica precedentemente udita, ma comunque carica di palpabile tensione. Ai due minuti e cinquanta si ritorna a tritare, sulla scorta di una tessitura ancora una volta segaossa: potente, veloce, dirompente, capace di non fare vittime. Un autentico assalto all'arma bianca capace di distruggere ogni cosa.
Secret Reality
Il quinto brano "Secret Reality" (Realtà Segreta) si ricollega direttamente al quarto (ormai risulta logico che possiamo considerare l'intero album come un concept), considerando che, secondo l'interpretazione di chi scrive (ricordiamoci comunque che come la maggior parte dei critici non presento mai realtà assodate, ma interpretazioni talvolta abbastanza libere) l'esponente della razza superiore si ripresenta nuovamente in questo pezzo per cercare un binomio con il protagonista delle prime tre song, quello che a torto o a ragione abbiamo definito un "pazzo" e che invece, nella sua follia comunque lucida, ha dato testimonianza di quanto stava avvenendo. L'essere alieno decide di celebrare una sorta di eucarestia con il protagonista allo scopo di alleviare le sue sofferenze e fare di lui un essere in qualche modo "superiore". Il pezzo, dal valore para-religioso e para-cristologico, fa riferimento indiretto alla morte (l'essere per alleviare le soffrenze del protagonista e renderlo "libero" - intuiamo - dovrebbe privarlo della vita), intesa però come vita eterna, esattamente come riferito nella religione cristiana. La morte, sia qui che nella suddetta religione, è "libertà", e l'essere, come Cristo, professa la sua verità, facendo bere il proprio sangue e mangiare la propria carne, come fosse un rito, prima della crocifissione che condannerà il succube alla libertà. Tutto questo mi ha riportato in qualche maniera ad un film come Il Signore Del Male (Prince Of Darkness) di John Carpenter (Cristo - benevolo o malevolo che sia - è un'entità aliena) e tale, affascinante richiamo (immagino non voluto) non può che darmi un certo appagamento, considerando il mio incondizionato amore per il regista. Musicalmente il brano si assesta sin da subito su ritmiche à la Morbid Angel - il che è strano per un gruppo thrash, ma anche grazie a queste trovate è possibile definire la band come fautrice di un thrash più contemporaneo - il che si traduce in un riffing possente e muscolare e una batteria velocissima. E credetemi, il paragone con il gruppo di Tampa in questi frangenti non è affatto azzardato. Fino a circa il ventesimo secondo sembra di trovarsi a che fare con qualche omaggio a Blessed Are The Sick o, meglio ancora, a Covenant. Poi si cambia di misura, con il tappeto strumentale che prende una piega in toto più muscolare, e nel quale la batteria sembra dimostrarsi più variegata e meno incline al martellamento cieco. E' comunque un dato di fatto che quanto offerto sino al quarantesimo secondo potrebbe appartenere tranquillamente anche al DNA di qualche gruppo death, magari floridiano. Poi notiamo come ci si assesti su una texture "claustrofobica" perfettamente nelle corde dei nostri: riffing serrato, quasi "meccanico", batteria pompatissima, voce arcigna. Ingredienti che, amalgamati tra loro come sanno fare i nostri, generano un nuovo "mostro" capace di imprimere nella nostra mente visioni di morte e distruzione. I nostri sanno muoversi bene su territori thrash, ma che per potenza e "evocatività" rivaleggiano tranquillamente con quel fratello malato chiamato death metal. E per gli scenari descritti nei testi non poteva che esserci un thrash di questa ferocia, ben distante da quello proposto dalla maggior parte dei "gruppi storici", ben più malato e ossessivo. Una mostruosa creatura che riesce a dare perfettamente l'idea di scenari apocalittici, di sangue e morte, di devastazione. Quanto segue si allinea perfettamente con il classico mood dei nostri: guitar work che a parte dirompente sa essere evocativo, unito ad una batteria martellante e variegata.
The Shadow No Longer Rest
Il sesto brano "The Shadow No Longer Rest" (L'Ombra Che Non Ha Più Riposo), come da copione, aggiunge pezzi alla trama già abbozzata in precedenza. Ancora una volta, a dire il vero, ci si trova con un plot testuale non totalmente intelleggibile (leggasi poco lineare) o comunque variamente interpretabile. Il protagonista di tutta la vicenda dovrebbe essere senza ombra di dubbio lo stesso dei brani precedenti (sino ad ora la trama continuativa, il concatenamento degli eventi tra brano e brano ci porta a definire l'album come un concept). Ma stando al testo del brano precedente, dalla malcelata connotazione cristologica, l'uomo in questione dovrebbe essere spirato a seguito di un rito di "teofagia" (vedasi Wikipedia per delucidazioni) nel quale, attraverso l'assunzione di carne e sangue dell'essere superiore (un alieno? Un Dio?) dovrebbe essere stato raggiunto uno status di vita eterna. Ma il protagonista è ancora qui, preda dei suoi deliri, della sua follia. Viene accennato che la distruzione è stata operata dalla stirpe di qusti esseri immortali ("Il caos tornerà per mano degli immortali del passato" ergo quanto è già avvenuto, stando ai pensieri e alle parole del protagonista, è stato messo in atto proprio da questi esseri). Il confine tra realtà e finzione si fa sempre più sfumato, e si fatica a capire se lui sia divenuto a sua volta un immortale, se sia un pazzo scampato alla distruzione degli immortali di cui sopra o se tutto sia effettivamente frutto di una mente bacata e contorta. Volendo dare addito ad un ipotesi immaginifica, preferiamo pensare che questi immortali, citati a più riprese esistano, ma si rimane nel dubbio se l'uomo sia stato effettivamente reso in qualche modo "superiore" dopo quanto avvenuto (?) nel brano precedente, o se più semplicemente si ha a che fare con i deliri di qualcuno che non può fare altro che rimirare la più totale distruzione. E arriviamo così alla parte musicale: si parte in fade in, e ci si incasella quasi subito in una struttura giostrata su tempi medi. Batteria al solito potente e variegata e guitar work tanto evocativo quanto alienante. Il primo minuto è introduttivo, esclusivamente strumentale, mentre, passato il minuto si entra a pieno regime nella struttura principale, sempre su tempi medi, roboante e granitica, screziata dall'ugola stentorea del singer. Verso il minuto e venti vi è un'accelerazione di misura, anche se il brano continua a mantenersi sulla scia di un monolitico mid-tempo. Ai due minuti e venti ci si cala in una tessitura atmosferica, umbratile e misteriosa, che si smarca nettamente dall'assalto guerresco della precedente parte. Gradualmente si riparte e ci si incanala nuovamente nella struttura granitica di cui sopra. Le atmosfere evocate sono inumane, la tipologia di thrash udita è sicuramente poco canonica (anche qui userei il termine groove/post-thrash) considerando un certo chitarrismo "compresso", il minore spazio dato alla velocità e le atmosfere particolarmente malsane non troppo frequenti nel thrash più classico (di atmosfere malsane in realtà ce ne erano in abbondanza nei maestri teutonici, negli Slayer e nei dischi di altre band storiche, ma l'atmosfera respirata qui è molto diversa. Inumana, apocalittica, modernista... e il paragone potrebbe essere fatto al massimo con gruppi tipo i Grip Inc, che comunque interpretano in maniera diversa la materia thrash). Finale tutto cesellato da chitarra e batteria, molto serrato nonostante venga dato spazio a velocità estreme.
Prevail
Il settimo brano "Prevail" (Prevarrò) non fa che confermare quanto ravvisato in precedenza, a livello di trama, continuando a darci degli spaccati del protagonista della vicenda e della società in cui vive, ormai preda della catastrofe. Il mondo è ormai destabilizzato, molto probabilmente da quelle figure immortali già descritte in precedenza, ma chi è sopravvissuto continua a lottare, aggrappandosi a quel filo di speranza che unicamente può sostenere un sogno di rivalsa. In realtà lo scenario è molto cupo, e la speranza di cui sopra è decisamente fioca in una situazione ormai disperata. Ma il protagonista è tra coloro che vogliono continuare a lottare, e non smettere di credere che qualcosa possa effettivamente cambiare. Viene accennato il fatto che l'essere che voleva entrare in simbiosi con il protagonista in realtà è già nel suo corpo (verità o follia?) ma nonostante che questi si vuol nutrire della sua essenza lui non cesserà di combattere. Quindi un doppio scontro, in realtà: interiore, con l'essere che presumibilmente lo ha posseduto, ed esterno, in un mondo ormai quasi azzerato da quele creature che, in maniera immaginifica e un pizzico lovecraftiana (vedasi Cthulhu) vengono descritte come tentacolari ("Tende i tentacoli, si espande nell'oscurità"). Uno scenario complessivo dunque che unisce introspezione psicologica di un uomo ormai devastato mentalmente a spaccati di un armageddon imminente. Musicalmente stavolta abbiamo un'intro giostrato su suoni metallici, distanti, disumani, che presto confluiscono in una struttura isterica, furibonda, ben pennellata da un efficace guitar work. Questa, usata come plot introduttivo, viene ripescata in seno alla struttura principale, stavolta addobbata da un sapiente drum work, calcolato ma efficacissimo. Abbiamo così una parte possente, grondante paranoia e al solito parecchio evocativa. A livello di riffing ancora una volta i nostri fanno centro, mettendo in campo un sapiente guitar work capace di creare un clima notevolmente claustrofobico. Terminato il primo minuto introduttivo viene impressa una certa velocità al brano, che inizia a correre in preda ad un febbrile, furibondo delirio. Il cantante grazie alle sue vocals sa incrementare il clima di follia già particolarmente evidente, rigurgitando acredine dalle sue corde vocali. Il pezzo si mantiene veloce, dinamico nella struttura, accattivante. Come già specificato, quando i nostri mettono il piede sull'acceleratore non lo fanno solo per fare un brano spedito. Non è una velocità fine a se stessa, ma sa conservare una certa follia e una capacità di evocare sensazioni pari solo a chi il metal lo sa maneggiare veramente. Piccoli intermezzi - verso il secondo minuto - parzialmente decelerati, riescono a far respirare il brano e renderlo più variegato, sfaccettato. Ancora una volta un bell'assaggio di bravura di una band notevole, sia quando si mantiene su tempi più granitici, sia - come in qusto caso - quando decide di partire a razzo.
Broken Scepter
Il plot delle tracce precedenti è confermato ed esteso nell'ottava traccia "Broken Scepter" (Scettro Spezzato), in cui il nostro protagonista è ormai irrimediabilmente solo, preda dei suoi deliri, della sua psiche sempre e comunque poco stabile, della paura scesa come una cappa in un mondo ormai stritolato in una morsa. A prevalere sono la solitudine, lo sconforto, il freddo. Ogni speranza ha qui motivo di cessare. Tutto è in rovina, la sua mente è ormai preda di un insanabile stato di alterazione. Poche - quasi zero - sono le cose a cui aggrapparsi, salvo non si voglia ricorrere ancora una volta alla speranza, ma che in una situazione del genere, tra la follia del protagonista, e la rovina più totale intorno a lui, assume i connotati di una parola vuota che neanche sembra più risuonare nella sua mente ottusa. Qualsiasi invocazione a Dio risulta sterile e senza alcuna risposta, il destino dell'umanità - e dell'uomo che viene considerato protagonista dell'intera trama - è quella di affondare nella più totale rovina. Neanche la volontà di lottare, espressa a più riprese nei precedenti brani, ha più senso. Ne vi è la voglia, o la forza di farlo, ammesso che lottare possa avere ancora un senso. Il pessimismo già subodorato altrove assume qui connotati esponenzialmente inflazionati. Stavolta, passando alla struttura musicale del brano, si parte con un tappeto granitico e possente. Questo ci porta dopo pochi secondi ad un solo guitar evocativo ed apocalittico. Già verso il trentesimo secondo subentra la voce malata del singer, che si adagia sulla texture potente in mid tempo articolata dagli strumentisti. Quasi al minuto viene impressa una piccola accelerazione, che comunque ci riporta dopo poco alla struttura principale gestita su tempi medi. Merito del chitarrismo sempre evocativo e pieno di fascino, gradualmente il pezzo prende i connotati di un "oggetto oscuro" che si fa forza su un'evocatività non indifferente. Il brano, salvo piccole accelerazioni di misura, si mantiene possente, gisotrato su tempi non troppo veloci, pregno di un fascino arcano, sempre molto variegato nella struttura ma mai dispersivo. A rendere la portata ancor più raffinata ci pensano parti strumentali come il bel solo piazzato verso il terzo minuto (tre minuti e quattro).
Painless
La nona traccia "Painless" (Senza Dolore) sembra riacquisire quella nuance di speranza che sembrava cancellata nel brano precedente: non vi è più un protagonista, ma da quello che leggiamo ora le persone in campo sono due. Una (la voce fuori campo) rassicura l'altra, la consola con le sue parole facendo capire che attraverso l'odio, attraverso il rinnegamento del Dio della sua civiltà è possibile andare avanti. Tutto quello che prima - nella vecchia civiltà umana - aveva un senso, ora non ne ha più, e bisogna andare avanti rafforzati solo dai propri sentimenti di acredine e di disprezzo. Dei due elementi protagonisti, intuiamo, seppur con una certa immaginazione, che la voce fuori campo, il "mentore", non è il protagonista già visto in precedenza e a più riprese: questi è l'altra persona, quella consolata e istruita sul dafarsi. Il "mentore", che immaginiamo possa essere anch'egli un umano, non ha altre vie che guidare il nostro protagonista verso il più cieco egoismo. Di rimando si pensa a quanto offerto da certe dottrine sataniste non teologiche, altrimenti dette "razionaliste": come suggerito da Wikipedia, ma in merito si potrebbero rispolverare testi anche più esaurienti "Il satanismo razionalista è ateo ed è concepito in chiave estremamente materialista, edonista, anticristiana e umanista: i suoi adepti, pur non credendo in alcuna divinità, adottano il nome "Satana" ? considerato il "ribelle" contro il dio cristiano, e dunque, Satana viene visto semplicemente come una figura emblematica di ribellione contro il sistema di valori cristiani ? in contrapposizione alla dottrina cristiana, che ritengono essere oscurantista, in quanto mortificherebbe l'uomo togliendogli ogni valore.". Passando alle musiche, ancora una volta ci si trova di fronte ad un brano rapido, spedito, che parte sin dalle prime battute trainato da una struttura decisa, potente, ipercinetica. Verso il minuto e dieci un botta e risposta tra chitarra e batteria ci porta in seno ad una parte leggermente decelerata (è la chitarra a tracciare una texture più ragionata, mentre la batteria si maniene ossessiva e impulsiva, picchiando fragorosamente), ma è questione di poco dato che un solo guitar isterico e serpeggiante ci rincanala in breve verso lidi velocissimi. Brano variegato, che al solito non fa uso di una velocità fine a se stessa ma continua a pennellare quadretti di paranoia compulsiva capaci di calarci un un mondo ormai al declino, funestato dalle più bieche forze oscure.
Scopaesthetic
Concludiamo con l'ultima traccia "Scopaesthesic" (traducibile in varie maniere, tra cui Effetto di Fissazione Psichica) in cui ci rendiamo conto che tutto quel che è stato messo in campo nei brani precedenti era solo il principio della fine. Ora questa, la Fine Assoluta, il caos più totale, inizia a regnare in tutta la sua veemenza. Si fa largo una notte apocalittica dove l'orrore più assoluto inizia a concretizzarsi con tremenda ferocia. I demoni avanzano perseguitando i pochi sciagurati superstiti. Uno scenario degno dei film dell'orrore più apocalittici (vedasi ad esempio il finale di "Il Seme Della Follia" - in inglese "In The Mouth Of Madness" di John Carpenter). l'Orrore è inesorabile, e solo un barlume di speranza da parte del protagonista può far si che a prevalere non sia solo la più cieca disperazione. Quindi, dopo visioni, pesanti cadute umorali, presagi di morte etc. il nostro protagonista è pronto di nuovo per lottare, per andare avanti guidato dalla speranza e dall'incoscienza. Stavolta abbiamo un inizio macilento, funebre, forte di un melodiare umbratile e spento che rispecchia brillantemente quanto espresso dal testo. Alcune note prolungate, tetramente brillanti come un luciferino bagliore ci portano gradualmente verso una struttura veloce, disperata, la cui possenza è unita a sentimenti di tetra rassegnazione. I riff sciorinati sono cupi, si susseguono in uno stillicidio sonoro gemellati da una batteria devastante. Vreso i due minuti subentar anche un fascinoso solo guitar a rendere più incandescente un'atmosfera già infernale. Ma tutto sembra essere consunto da fiamme nere come l'abisso e verdi come la pestilenza, ergo nessuna luce sembra brillare su questi scenari. Il più cupo pessimismo balena in ogni secondo di questa traccia, e tali atmosfere sono ben tratteggiate dai vari strumentisti e dal singer. Un altro brano che definirei ottimo, considerando che anche qui ogni riff, ogni parte musicale concorre a dare un idea della fine di ogni cosa, della devastazione della totalità del creato.
Conclusioni
Arriviamo così alle nostre consuete considerazioni finali, che confermano - nel caso ce ne sia bisogno - la piena riuscita di un disco che, a parte qualche microscopico elemento non pienamente "a fuoco" (ci arriveremo) conferma la bravura dei nostri, già espressa comunque nel loro primo disco. Un platter questo destinato non solo a chi cerca del buon thrash, ma a chiunque cerchi del buon metal, capace di suscitare emozioni oltre che di far sbattere la testa. Del resto l'ho specificato anche nella track by track: alcune tracce risultano troppo evolute per essere solo thrash, sconfinando in certe parti strumentali addirittura con il death (Secret Reality), ma nel complessivo comunque sarebbe errato da parte mia parlare di ibridazioni et similia. Non vi sono strane Chimere partorite dalla fusione di generi: quindi niente death/thrash o roba del genere. E' solo thrash, solo più moderno e memore che nella musica metal di cose ne sono successe. Dunque non ancorato totalmente al passato storico (per quanto i gruppi citati come influenza dai nostri siano quasi tuttio storici) ma piuttosto "che sa prendere spunto dal passato storico" per mettere in campo qualcosa di nuovo, forse di diverso, comunque di qualità. Le strutture sono massiccie, sia che si "corra", sia che ci si mantenga su tempi medi. Ma comunque abbiamo sempre a che fare con strutture dense, sature, impregnate di un gusto apocalittico che è facile trovare solo in certo post-thrash. Quindi una musica per thrashers non necessariamente ottantiani, ma piuttosto in cerca di qualcosa di forte, di comunicativo, di massiccio. La band, è ormai palese data la sfilza di parole spese sino ad ora, sa davvero il fatto suo: abbiamo un ensemble di strumentisti con i contro-attributi e un singer dotato di un ugola perfetta per queste tessiture. Un gruppo indubbiamente che sa maneggiare con assouta scioltezza la materia del thrash, la sa plasmare con una certa originalità intavolando un lotto di brani di assoluta efficacia. L'ispirazione, tra questi solchi, non viene mai a mancare, e questo è ravvisabile pienamente dal grosso potere immaginifico che ogni singola traccia sa imprimere sull'ascoltatore, anche quello più disattento e svogliato (in un epoca in cui il file-sharing permette di avere a portata di mano tonnellate di dischi in formato digitale, spesso molti ascoltatori sono meno attenti al prodotto che vanno ad ascoltare. Cosa che non succedeva nella mia epoca - neanche troppo lontana - quella delle cassette e dei primi cd, in cui ogni album era sentito e risentito talmente tante volte da arrivare "a consumarlo"). Ogni traccia è una piccola catastrofe capace di rendere pienamente l'idea di quanto parlano i testi, imperniati quasi esclusivamente sulla narrazione di scenari apocalittici e di disfatta totale. E qui apro una parentesi. Avevo accennato di un qualcosa di non totalmente a fuoco, ad inizio di questa nota a margine. Ecco, questo volendo può interessare il lato testuale. E' d'obbligo specificare che amo i concept album. Anzi, li adoro, e per più di un motivo. Da ascoltore perchè mi incanalano in una narrazione, e ascoltare un concept album è quasi come essere in balia di un racconto, talvolta parecchio avvincente, con tanto di colonna sonora. Questo penso che sia l'effetto a tutti gli ascoltatori (immagino parecchi) che amano in un disco la "narrazione continua", senza salti di palo in frasca, per immergersi pienamente in un unica e sola "storia" variegata e sfaccettata come lo sono i vari pezzi che compongono quel disco. Da recensore, o critico, amo il concept perchè mi permette "testualmente" di capire subito dove il gruppo voglia andare a parare. Dimodo che, trovandomi a dare un'interpretazione dei brani, non sono costretto a buttarmi su esegesi troppo personalizzate che talvolta rischiano di portare fuori strada. Ora, ho apprezzato tantissimo la tipologia dei concept offerta dai nostri. Un uomo in una situazione apocalittica, testimone di indicibili orrori, di una disfatta totale del genere umano, mostri tentacolari che arrivano a portare il caos su questo mondo. Solo che, in generale, la narrazione mi è sembrata un pizzico "sfumata" e poco a fuoco. Più di una volta non ho capito se l'uomo è stato posseduto o meno da questi "orrori" lovecraftiani, se l'uomo era pazzo o meno (è implicata una possessione di uno di questi orrori cosmici ai danni del malcapitato, e non capiamo se sia vera o immaginata). Poi vi sono momenti in cui sembra dominare lo sconforto, altri in cui il nostro "eroe" sembra voler lottare; insomma, certe idee eccellenti mi sono sembrate in alcuni sparuti frangenti, un pizzico confuse. Con lo stesso plot di partenza non avrei disdegnato un identikit migliore del nostro personaggio, uno svolgimento decisamente più lineare, e magari quella fine cupa e pessimistica che ci ha riservato l'ultima traccia. Perchè talvolta un concept - e questo sembra assolutamente esserlo - può assumere veramente i connotati di una novella. Magari, come in questi casi, una novella di fanta-horror catastrofico. Ma a prescindere da questo, ed è un neo insignificante se messo a paragone con l'enorme bontà di tutto il resto, va benone. Il disco è molto buono, l'idea del concept va benissimo, i nostri si dimostrano ispirati e capaci. E in più il tutto viene coronato da una cover che pur nella sua semplicità sa essere di grande effetto. Quindi è innegabile che ci sia una bella promozione da parte mia. Sottolineo, in ultima battuta, che i nostri, essendo ancora al loro secondo disco, avranno tutto il tempo per rodare ancor più le loro armi, già parecchio affilate. Le premesse sono ottime, ora aspetto con ansia di sentire il loro nuovo album, che sarà sicuramente eccellente.
2) Trivialization of Murder
3) Theater of Despair
4) New Orphans Elegy
5) Martyrs Without A Cause
6) Secret Reality
7) The Shadow No Longer Rest
8) Prevail
9) Broken Scepter
10) Painless
11) Scopaesthetic