VILDHJARTA

Thousands of Evils

2013 - Century Media Records

A CURA DI
ALESSANDRO GARGAGLIA
21/11/2020
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione recensione

Appena un anno dallo stravolgente esordio "Masstaden" e ci troviamo tra le mani un altro frammento dell'operato degli svedesi "Vildhjarta". Questa volta abbiamo un EP, di otto tracce, quindi la durata sarà decisamente ridotta. Di fatto, con i suoi 24 minuti "Thousands of Evils" dura poco meno della metà del precedente, che si presentava invece con ben 13 brani dalle durate variegate. Con gli EP è sempre difficile trovarsi soddisfatti, soprattutto se si tratta di un'uscita che deve in qualche modo confermare qualcosa; ci aspettiamo di fatto una conferma per quando riguarda una qualità compositiva che aveva contraddistinto gli svedesi nella loro prima mossa, una scelta di un sound unico e letale, e la capacità di saper creare un'atmosfera da brividi e di saper gelare il sangue nelle vene. Insomma tante cose da tener conto in poco tempo, speriamo di riuscire a vedere tutte queste voci spuntate in 24 minuti si spera intensissimi. Un pensiero maligno e fastidioso che passa per la testa mi porta a chiedermi se non valeva la pena attendere poco di più, magari un anno, e uscire con un album intero pronto e organizzato? Non sempre è la scelta giusta però, in effetti se le idee non si prestano ad una lunghezza di almeno 40 minuti, si rischia di fallire nel tentativo di allungare il brodo, per portare la durata dei brani a quella necessaria per chiudere un album, e a questo punto mi tengo stretto il mio EP da 20 minuti, conciso e colmo di buone idee. "Thousands of Evils" è intriso di oscurità, la copertina presenta gli stessi colori di "Masstaden", con il blu notte stavolta ancora più scuro, che preannuncia la stessa atmosfera gelida e opprimente. La formazione del gruppo resta identica, tranne per l'abbandono di un chitarrista, tre chitarre erano tante, anche per una musica cosi complessa e ricca di sfumature credo che un duo sia comunque il numero perfetto. Interessante anche scoprire come sarà curato il suono dell'album, dato che la produzione appartiene a "Daniel Bergström", chitarrista del gruppo, come per il precedente album, che era stato valorizzato anche da un'ottima produzione. Siamo pronti per questo breve viaggio verso i suoni della follia e dell'ansia, ci aspettiamo una durezza unica e quel dinamico contrasto tra riff Djent quasi "Mesugghiani" e l'Ambient, con le chitarre riverberate di un'ampia eco, caratteristica che si svilupperà quasi come un trademark all'interno del lavoro. Volume rigorosamente sparato al massimo e buon ascolto dunque a tutti con questo lavoro del 2013 che porta la firma, rigorosamente, degli svedesi Vildhjarta.

Introduction: Staos

Un'atmosfera nuova apre "Thousands of Evils", che si presenta in entrata con "Introduction: Staos" (Introduzione, Staos), dei synth/cori lontani neanche cosi opprimenti, aleggiano nell'aria, ma si fanno subito abbastanza minacciosi, l'ambiente è già gelato, un sottile strato di brina e ghiaccio si posa intorno a noi. La differenza è il tono quasi epico che questi Synth presentano. Quasi improvvisamente i Synth si bloccano, e una chitarra affilatissima, più di quanto possiate immaginare, taglia in due il velo di epicità che si era creato, dirompendo poco dopo insieme a basso e batteria in modo violento e prepotente nella scena, prendendosela tutta. Notiamo subito che le chitarre sono più taglienti a livello di frequenze rispetto a "Masstaden", ma effettivamente sembrano più deboli, il basso è meno legato con le chitarre, pur essendo molto presente nella zona dei sub, in generale il mix generale sembra leggermente meno d'impatto, meno mastodontico, ma noteremo che basterà pochissimo per abituarci a questo approccio differente, e impareremo ad apprezzarlo, prima di quanto immaginiamo. L'oscurità fuoriesce da qualunque angolo del progetto, il testo ne è uno dei veicoli maggiori, con le doppie vocals in screams e growl che iniziano a inseguirsi a vicenda sovrapponendosi in alcuni frammenti di crudeltà pura. Il male sembra il vero e proprio soggetto del brano, che si insinua dentro le vene del narratore in prima persona, "questo cuore annerito non sarà mai puro, per sentimenti come questi non esiste una cura, contaminando il mio sangue con bugie ripetute, esso si nutre della mia fame di vita". Lo stile di narrazione sembra più che altro introspettivo, una riflessione continua in prima persona, almeno per questo primo brano, rispetto al precedente "Masstaden" che in alcuni punti sembrava un dialogo diretto con un interlocutore. Il brano iniziale dell'album si chiude con la rassegnazione del soggetto al fatto che ormai stia iniziando a credere che le cose non torneranno più alla "normalità".

Längstmedån

Si entra nel vero e proprio primo componimento dell'EP, dopo la breve e improvvisa introduzione, che forse ci lascia anche un attimo interdetti, un'apertura ovviamente fredda, ma che non ci accoglie nell'ambientazione come fece "Shadow" del precedente episodio degli svedesi. Ma siamo ovviamente ancora ben disposti verso "Thousands of Evils". "Längstmedån" (Lungo il Torrente), si apre con la tipica chitarra ambient firmata "Vildhjarta", ora già ci sentiamo un attimo più a casa, il fraseggio dissonante e riecheggiante, viene presto sbaragliato dai chitarroni, che entrano insieme alle vocals, che in questi secondi si sono solo caricate per potere entrare con una violenza maggiore. Finalmente nel brano i riff tornano a distinguersi, riconosciamo il genio compositivo degli svedesi nel riffing pesante, dissonanze tempi storti tra groove e frastagliate ritmiche dispari e schizofreniche. Finalmente un'atmosfera Ambient costruita con una maestria sorprendente accompagna le follie ritmiche, e questo costante sentimento "Sludge", con i tempi che rallentano quasi per soffermarsi e per sottolineare la pesantezza e la violenza di ogni colpo delle sette corde "low tuned" (accordate molto in basso di tonalità) e di ogni colpo di cassa, che smuove direttamente i nostri organi, facendoli vibrare nel nostro corpo. Un brano questo, che fa invidia tranquillamente a qualunque brano di "Mastaden", una prima perla che ci lascia molto soddisfatti e speranzosi, noi assuefatti di aggressività e violenza sonora. Ad impreziosire il brano una sezione clean, quasi melodica, sopra un groove frastagliato, che rimanda direttamente alla sezione centrale di "Traces", per avere nuovamente un riferimento all'album precedente. Il nostro soggetto racconta di essersi trovato sdraiato, nudo, nei boschi selvaggi lungo un ruscello, tra la vita e la morte. vi sono avvoltoi, calorosi desideri e sogni nostalgici, e visioni di una realtà compromessa, di un declino inevitabile. L'ultima frase del brano è un gioiello di scrittura e di concetto; "quello che ho visto non dovrebbe essere reale, ma quello che nascondo è tutto ciò che vedo".

Dimman

Siamo al terzo brano di "Thousands of evils", "Dimman" (Nebbia), che si apre con delle chitarre acustiche in sottofondo. Gli arpeggi quasi arabeggianti aumentano di volume e si elevano in primo piano, con l'ingresso di basso e una batteria contenuta su timbri soft, e un pianoforte spettrale che accompagna la scena gettando un velo di terrore nell'ambiente. Djent acustico, è possibile? I "Vildhjarta" si destreggiano nel dimostrarlo. Ci si aspettava le chitarre acustiche nel solito sottofondo Ambient a fare da culla alle solite distorsioni aggressive, ma nel nostro totale stupore esse restano le vere protagoniste del brano strumentale, in un tripudio di sperimentazione sonora. È chiaro, riuscire a trasmettere ansia e terrore in un brano acustico non è facile, suonando Dark Ambient in realtà è possibile, ma riuscire a ricreare una struttura tipicamente Djent, di fatto la batteria è chiaramente Metal all'interno del brano, non è assolutamente scontato. "Dimman" riesce senza alcuna difficoltà a guadagnarsi tutta la nostra attenzione, con i quattro minuti più interessanti dell'album fino a questo momento. L'atmosfera è unica, il paesaggio sonoro di questi arpeggi che ondeggiano nella ritmica sincopata, restando nel solito nichilismo compositivo e nella pura coerenza strutturale, creando una costante pressione che ci ricopre di un'ombra nerissima, e un gelo che sentiamo direttamente nelle nostre vene. Nella sezione finale entrano anche le chitarre distorte, improvvisamente a dare una mazzata finale, e per congiungerci al brano successivo, senza creare un distacco troppo netto tra due timbri differenti, una transizione geniale, ripeto, dimostrazione di una coerenza e un'omogeneità compositiva e strutturale unica.

Regnar Bensin

Di fatto "Regnar Bensin" (Piove Benzina), torna a spingere; le 7 corde distorte entrano praticamente subito in un groove di batteria crudele, in cui smitragliate di doppia cassa sostengono le dissonanze laceranti delle chitarre. Tornano anche le vocals, in screams strazianti che si sovrappongono a chitarre insostenibilmente stridule, soprattutto nella sezione centrale del brano, in cui si originano suoni che stentiamo a credere siano prodotti da chitarre, sono più che altro urla demoniache di sofferenza e crudeltà, il male trasuda da ogni fessura di questo brano. Protagoniste di questo quarto passaggio sono proprio le stridule dissonanze emesse dalle chitarre, totalmente a un altro livello, quasi a superare lo stesso concetto di dissonanza, esse sono ormai un marchio di fabbrica della formazione svedese, che amano creare contrasti aggressivi e passaggi violenti che si alternano tra le basse demoniache settime corde delle chitarre, e tra le corde alte che trovano una distorsione molto interessante quando si vanno a prendere determinate dissonanze. Il testo sembrerebbe trattare di una trasformazione del nostro personaggio in una sorta di creatura demoniaca, forse in senso metaforico; le vene inondate di fuoco da un desiderio di disperata e immediata gratificazione, che ci conduce verso una "lunga strada buia", trascinato nell'inferno da correnti malvagie. Il linguaggio comune non basta per spiegare il male che vi è dentro di lui, ci dice che attraverso il linguaggio, ovvero la forma di comunicazione più chiara e dettagliata che abbiamo, non riusciremmo comunque a capire ciò che egli intende. Attraverso gli anni qualcosa andò perso nelle traduzioni. Capiamo che probabilmente egli abbia scelto la forma di gratificazione più veloce ed essa conduce direttamente ad essere inghiottiti dal male in un vortice senza fine. "La vita è un gioco doloroso, sempre in torsioni e virate, ma è sempre la stessa. Il brano di due minuti e venti secondi passa fulmineo, forse anche troppo, ma i passaggi sono interessanti e intricati e soprattutto molto rapidi, senza quasi accorgercene infatti, con una brevissima pausa si passa al brano successivo.

En Mörk vit lögn

Un attacco improvviso, con un riff vertiginoso, ritmicamente schizofrenico, con una quantità spaventosa di cambi in pochissimo tempo. Il basso si fa sentire nella seconda parte più "Sludge", picchiando pesantemente sulla spessa corda che sembra vibrare direttamente nella nostra testa. Siamo nella parte strumentalmente più violenta, anche il sottofondo Ambient si fa da parte per lasciare la scena unicamente alla durezza degli strumenti canonici del Metal. La classica sezione che i Vildhjarta utilizzano per scaricare una valanga di riff e incastri portando in alto il nome dei "Meshuggah". È solo alla fine del brano che le vocals entrano in scena, in una struttura completamente decostruita; due minuti di canzone priva praticamente di intro o di presentazioni, una valanga di riff che ignorano un qualsiasi tema portante, si intrecciano e si sovrappongono, come serpenti in corsa che strisciano tutti verso la stessa preda e una parte finale in cui entrano le vocals aggressive, un flusso di coscienza, sperimentazione pura. Anche la parte centrale di "Masstaden" era più o meno "organizzata" in questo modo, come se fosse uno spazio ricreativo per dar sfogo all'estro creativo di hard riffing senza alcun limite. "En Mörk vit lögn" (Una scura bugia bianca), ha un testo abbastanza criptico, nella quale si analizzano le paure che affliggono l'animo umano, troviamo il tipico finale pessimistico dei "Vildhjarta", nel quale ci dicono che le paure non ci abbandoneranno mai e vengono di pari passo insieme a ciò che conosci durante il percoso . "le paure sono solamente paure, fino a che non le porterai alla luce, esse andranno e verranno, finche la paura sarà tutto ciò che sei venuto a conoscere".

Dimman Från Iützen

Taglienti lame s'infilano direttamente sotto la nostra pelle, andando a lacerare i punti di congiunzione tra essa e i nostri muscoli. Uno dei riff più diretti e taglienti che esista apre "Dimman Från Iützen" (la nebbia di Iützen), il tempo Sludge e le vocals crudeli aumentano esponenzialmente la pesantezza del riff. Scream e growl insieme, ma qui a fare veramente la differenza è il reparto chitarristico, che per tutto il brano tiene un livello di riffing spaventoso. In questo brano troviamo in assoluto i migliori riff dell'album, ma parlo di riff che tengono testa tranquillamente anche a "Masstaden". Siamo di fronte a un altro livello di scrittura, i riff si susseguono uno più bello dell'altro, delle pepite d'oro incastonate nella roccia, che mano a mano scavando escono fuori e si rivelano nella loro perfezione. La sezione centrale del brano è in assoluto il momento più alto dell'album, è un picco irraggiungibile in cui le vocals si fanno da parte per lasciare spazio ai riff appena citati. Questo brano dovrebbe fare scuola per le future generazioni di gruppi Djent. Il brano sembra far riferimento alla morte, in quanto il protagonista nelle sue sofferenze, dice che non riuscirebbe a resistere neanche un giorno di più, ma tuttavia non può immaginare quello che si prova quando "sarà finita". Ci dice che quando la vita diventa un carnevale di dolore è impossibile resistere per un altro giorno ancora, per un'altra ora, quando la vita ci sembra peggio di come era prima, cosi tanto peggio. Il tema del suicidio sembra affiorare colmo di oscurità in questi versi, avvolto da un nero mantello, aleggia come un'ombra minacciosa nella nostra testa. Mille diavoli nel vero senso della parola, in quanto l'album fino ad ora sembra trattare numerosi argomenti inquietanti che affliggono l'animo delle persone, il male si presenta in molti modi diversi, l'album ne è intriso in ogni angolo, di ogni sua sfaccettatura.

Intermezzo

"Intermezzo" per nostra sorpresa è effettivamente un intermezzo; con la sua breve durata, 1:51, ha il compito darci un attimo di tregua dalle pesanti schitarrate e dalle harsh vocals. Di fatto così il nome "Intermezzo" ha una doppia valenza, musicale e teatrale, probabilmente i "Vildhjarta" hanno voluto prendere il termine direttamente dall'ambito del teatro, dove l'intermezzo rappresenta effettivamente una breve azione scenica, che si pone tra un atto e l'altro, per fungere da passaggio. Le profonde texture di synth accompagnano una solitaria e vacua nota di pianoforte, sospesa fragile nel nulla, oppressa dalla stessa oscurità che si porta dietro, vagando nel vasto spazio colmo di echi. Il concetto di nichilismo rimane impresso in questo brano, in cui non ironicamente, la nota di pianoforte non cambia mai, ne cambia il pattern ritmico, la troviamo su tutti i primi quarti del brano, battuti a una velocità medio lenta. Solo verso la fine dei gelidi accordi, sempre di pianoforte, avvolgono in una morsa letale la linea principale, e ci portano ancora più in profondità, nel buio dell'abisso.

Mist Förståndet

Nell'abisso il colpo di grazia è la destinazione finale. Letale e affilata, "Mist Förståndet" (Hai perso la testa), ci salta addosso improvvisamente, senza alcuna presentazione, praticamente siamo già all'interno del brano, come se la precedente "Intermezzo", sia stata solo una leggera distrazione. Ora i flussi malvagi devono uscire di nuovo e portarci con loro nelle profondità abissali. Questo ultimo brano è chiaramente uno dei più aggressivi, soprattutto per quanto riguarda il comparto vocale. Ma il brano si innalza ad uno stato superiore dalla metà in poi, quando una pausa raggela l'atmosfera, crediamo sia finita, e siamo pronti a togliere le cuffie, quando improvvisamente dei synth corali di angeli caduti riempiono i cunicoli dell'abisso, e tutto sprofonda ancora più in basso, al limite del mondo, in un tempo Sludge devastante, con delle clean vocals che hanno un aspetto demoniaco. Queste poco dopo sfociano in scream crudelissimi, con il tempo che riprende con i piatti dritti, in una conclusione a dir poco epica. Gli ultimi versi sono quelli più avvincenti, in cui compare anche il titolo dell'album; "ci sono migliaia di diavoli, li vedo tutti, con quanta ferocia mi circondano, e tutto per sempre cadrà ai miei piedi". Durante questi versi, l'aggressività nelle vocals aumenta esponenzialmente, con la strumentale che torna in un groove scandito, fino a lasciare spazio per l'ultima frase, in cui scream e growl si mischiano crudelmente e irrompono nel profondo del nostro corpo, continuando e concludendo l'urlo anche dopo la fine della strumentale. Il mondo ripiomba nel silenzio e nell'oscurità.

Conclusioni

Ventiquattro minuti ricchi e variegati, un EP che riesce a mantenere alta l'attenzione e soprattutto che ha carne da mettere al fuoco. La struttura di "Thousands of Evils" è risultata anche scorrevole e divertente, dall'intro che in realtà forse è il brano più debole, a un ottimo intermezzo e ai brani lampo, intendendo quei brani molto brevi, che erano dei piccoli contenitori di killer riff, presenti anche in "Masstaden". Questi brevi pezzi, spesso maggiormente strumentali, frastagliano la struttura dell'album, ovviamente la rendono più disomogenea, ma danno un pizzico di dinamismo in più, rendono il tutto più frenetico, più folle. Possiamo dire che "Thousands of Evils" segue tranquillamente la linea stilistica di "Masstaden", nel sound non ci sono chissà quali grandi novità, abbiamo potuto notare che forse ci sono alcune "estremizzazioni" di alcune tecniche usate nell'esordio, ad esempio l'uso delle dissonanze in sovrapposizione con gli striduli scream, che creano un effetto assolutamente terrificante, o appunto le sezioni strumentali prolungate in alcune fasi nelle quali le sperimentazioni di groove e riff taglienti diventano protagoniste. Tuttavia alcune novità sono presenti; un brano inaspettato come "Dimman" riesce a incastonarsi perfettamente all'interno di questo turbine di distorsioni, la proposta è interessantissima, e sentire le solite ritmiche sincopate ma con suoni acustici ci conferma che la scrittura dei "Vildhjarta" è una scrittura tridimensionale, ha una sua profondità e una sua personalità, basti pensare alle parti Ambient che costantemente accompagnano la strumentale, silenziandosi solo quando devono lasciare spazio ai riff più crudeli dell'EP. Il concept abbiamo visto essere poco chiaro, cosi come nell'album precedente i testi sono celati da un velo di nebbia, non si spingono mai troppo oltre questo velo, non spiegano mai con troppa chiarezza come si svolgono le vicende. Sta a noi dare un'interpretazione, per quanto sia possibile, a ciò che accade nell'album. È chiaro che le vicende siano legate da una narrazione, lo dimostrano anche i toni soavi, direi quasi epici che caratterizzando la scrittura dei testi, con metafore e introspezioni, affrontando temi non proprio leggeri, come la morte e il male che prende il controllo delle nostre azioni. Sarebbe stato bello vedere un full length su questo stesso concept, sia narrativo che compositivo, i contenuti c'erano, magari i "Vildhjarta" potevano lavorarci qualche mese di più, e tirar fuori un album intero. Più che altro rimaniamo con un po' di amaro in bocca per aver raggiunto la conclusione solo dopo 24 minuti, e ci rendiamo conto che avremmo ben apprezzato un lavoro più lungo. Come si accennava inizialmente, quello che ci aspettavamo dai "Vildhjarta" in "Thousands of Evils" era una conferma della qualità messa in campo nel primo album, "Masstaden". Rispetto a questo punto, la formazione svedese passa l'esame a pieni voti. Per quanto riguarda invece un aspetto più pignolo, se vogliamo, l'aspetto che riguarda il punto di vista di un fan, è effettivamente anche il mio caso, possiamo dire che ci si aspettava qualcosina in più. Ci aspettavamo di fatto più contenuti, ma questa pretesa va ovviamente a scontrarsi con l'idea stessa di voler dare alla luce un EP piuttosto che un full lengt. questo ultimo punto dunque incide solo in parte su una valutazione finale dell'opera, che ci sentiamo di promuovere sopra la sufficienza con una votazione in decimi di 7,5 su 10, per un EP che si fa ascoltare e riascoltare. Si rimanda alla prossima l'attesa di un full lenth degno del nome "Vildhjarta", possiamo affermare tuttavia, che i maestri svedesi hanno già insegnato molto, e hanno ancora molto da offrire alla scena del Metal contemporaneo.

1) Introduction: Staos
2) Längstmedån
3) Dimman
4) Regnar Bensin
5) En Mörk vit lögn
6) Dimman Från Iützen
7) Intermezzo
8) Mist Förståndet
correlati