VEXOVOID

Heralds of the Stars

2014 - Indipendent

A CURA DI
GIACOMO BIANCO
20/02/2015
TEMPO DI LETTURA:
8

Recensione

Se facciamo un balzo indietro di due anni, la band che oggi recensirò neanche esisteva. I Vexovoid sono infatti una giovanissima realtà del panorama metal italiano, nata nel settembre 2013 per volontà di tre ragazzi, tutti provenienti dal senese. Trovatisi a suonare assieme all’interno di un altro gruppo, i Nostri decidono di abbozzare in parallelo un’altra band – i Vexovoid, appunto – nella quale faranno fin da subito confluire la loro particolare sensibilità verso tematiche fantascientifiche. Per quanto riguarda la proposta musicale, partendo da consolidate basi thrash metal, questi tre ragazzi – che sono Danny Brunelli (basso e voce), Salvatore “Totò” Morreale (batteria) e Leonardo Bellavista (chitarra) – decidono comunque di rendere più particolare il loro sound, arricchendolo con inserti progressive metal. Il songwriting, come vedrete, non è mai banale, segno che la band è riuscita a raggiungere in breve tempo una certa maturità compositiva. Culmine di questo processo lavorativo è il loro EP di debutto, Heralds of the Stars, uscito nel dicembre ’14. Preceduto da due singoli rilasciati in aprile ed agosto, il disco è stato pubblicato autonomamente ed in tiratura limitata di cento copie, il che lo rende un prodotto appetibile anche per i collezionisti, che magari si augurano che la band possa spiccare il volo così da dire “io il loro primo EP limitato ce l’ho sullo scaffale”. Senza dilungarci più di tanto passiamo immediatamente all’analisi track-by-track di questo lavoro.



L’EP si apre con la strumentale “Sector 05”, traccia atmosferica che ha lo scopo di proiettare l’ascoltatore direttamente nel mondo sci-fi della band. Sommessi rumori di motori spaziali, suoni digitali d’apparecchiature di navigazione interstellare, soffi di pistoni che sigillano ermeticamente l’astronave fanno da contorno ad un arpeggio molto bello e caratteristico, che pian piano si dilata nelle nostre orecchie, creando un senso di straniamento dal contesto reale. Passo dopo passo ci s’immerge nel claustrofobico mondo spaziale e, non appena si comincia a prendere confidenza, ci si accorge che qualcosa è andato storto: urla. Si sentono strani versi che non paiono essere umani. Non pare siano nemmeno terrestri, a dirla tutta. Una malefica risata che fa rabbrividire, un roco ruggito… Cosa sarà mai successo? Con questo interrogativo che ci assale, non possiamo che rimanere colpiti dalla furia thrasheggiante di “The Great Slumberer”, prima vera traccia di questo disco. Il riffing è assai spedito, assassino, e lascia zero spazì ai compromessi. La chitarra, supportata egregiamente da una solida base ritmica, dissemina il panico con i suoi acuminati riff. La voce di Danny è tagliente ed abrasiva, sputata a tutta forza in faccia all’ascoltatore. A sezioni caratterizzate da un notevole tappeto di doppia cassa, s’alternano delle altre in cui la chitarra ci regala vibranti sferzate melodiche, senza mai abbandonare la dura linea d’intransigenza sonora che caratterizza il brano. Le liriche sembrano invece attingere a piene mani all’immaginario lovecraftiano, più precisamente al ciclo di Cthulhu. Difatti, “nell’abisso dei mari/il male si annida sotto le onde/addormentato in un sonno senza tempo”. Questo oscuro terrore è destinato però ad infrangere la sua tartarica prigione: tramite “l’esecuzione di un sacrificio umano/il tiranno che viene dalle profondità” risorgerà per eclissare il sole. Non c’è futuro per la razza umana: il regno dell’uomo è destinato a tramontare definitivamente, non appena che il “dio mostro venuto dal cielo” giungerà per sancire l’inizio di una nuova epoca infernale sulla stessa terra. Leggendo queste righe si può essere soddisfatti della fluidità con cui esse scorrono via, particolare non da poco per una band che non è di lingua-madre inglese. Completamente “immerso”, giusto per rimanere in tema, in questa apocalittica visione del nostro pianeta, continuo a rimanere colpito dall’impatto suscitato dalla band, con la sensazione – consentitemi – di percepire qua e là sporadiche influenze black metal, specie nel siderale riffing di chitarra. A 1:23 arriva però un’eminente conferma di quanto supposto in precedenza. Il versetto “IA! IA! FHTAGN!” altro non è che una citazione di Lovecraft, facente parte di frasario atto ad evocare il male durante i culti d’adorazione. Traducibile come “Hey! Hey! Cthulhu sta aspettando (o sognando)”, esso deriva da una delle massime più celebri dello scrittore statunitense, che recita “Ph'nglui mglw'nafh Cthulhu R'lyeh wgah'nagl fhtagn” (“Nella sua dimora a R'lyeh il morto Cthulhu attende sognando”). Questo oscuro idioma si suppone derivi dall’antico linguaggio dei Sumeri, popolazione già al centro di stuzzicanti teorie che vedrebbero gli uomini in contatto con extraterrestri sin dall’alba dei tempi. In un misto tra fantascienza, fantasia e realtà, i Vexovoid riescono a tirare su un interessante testo, che impreziosisce una già di per sé validissima canzone. Tra allineamenti stellari e isole-incubo che riemergono dai flutti, il brano ha tutti i crismi per colpire l’audience, magari brillando non per innovazione, ma sicuramente per professionalità nell’esecuzione e per coinvolgimento. L’urlo che accompagna il versetto lovecraftiano ricorda l’Araya dei tempi d’oro, anche se, di base, le due voci sono sostanzialmente differenti. Per impatto e cattiveria, la canzone conferma la predisposizione della band per soluzioni estremamente veloci e taglienti, che trovano un’ideale strumento di trasposizione nella chitarra di Leonardo e nella furia ritmica di Totò. Non si lesinano passaggi e variazioni, ma l’impianto della canzone rimane sempre ben chiaro ed omogeneo. Verso la fine, c’è spazio anche per un assolo di chitarra (2:32), che regala attimi di relativa melodia, oltre che una certa dose di narcisismo, comunque apprezzabile. Un ottimo brano che instrada egregiamente l’intero lavoro. Secondo brano è “Prophet of the Void” che, come la traccia precedente, punta molto sul primo impatto (assolutamente devastante), ma dimostra anche di voler tenere in maggior considerazione il fattore melodico. Per questo motivo il giro iniziale di chitarra è decisamente catchy, giusto per poi sdoppiarsi, non appena entra tutta la band, in due piste armonicamente complementari. Il riffing è estremamente vorticante ed il piglio della canzone è movimentato. Allo stesso modo il drumming si fa esasperato in concomitanza di un cambiamento ritmico (0:38), quando s’invola in partiture che sfociano nel blast-beat più ferale. Così come la chitarra pare essere una lama di rasoio, pure le vocals sfrecciano senza sosta, come un treno lanciato a tutta velocità. Il testo ci racconta di un luogo misterioso, situato fra le dimensioni parallele, in cui “il buio è vivo e sta aspettando”. In un “antico regno senza tempo/dove la vita lotta per sopravvivere”, degli esseri denominati “voidlings” sono “in attesa d’invadere il regno della luce”. Questa volta l’ispirazione è tratta da League of Legends, un videogioco online che ha raccolto un notevole successo sin dal suo lancio nel novembre 2011.  Ambientato nel mondo fantastico di Runeterra, ogni giocatore, impersonando un “evocatore”, combatte contro gli altri, non in maniera diretta, bensì tramite i “campioni”, sorta di alter ego da loro evocati. Il groove della canzone è superbo e non lascia mai un attimo di tregua all’ascoltatore. Nel mentre che s’appronta l’attacco finale, le ultime strofe rendono bene l’idea del cambiamento che si sta verificando: “sulla terra sotto l’orizzonte” il potere si sta radunando, sempre più ansioso di divorare qualsiasi cosa. “La terra potrebbe sciogliersi/devastata dalle creature dello sciame/Il mare potrebbe ingrossarsi/sotto la rabbia della tempesta imminente”. Tutto il mondo, insomma, sta subendo le conseguenze dell’avvento di una vera e propria apocalisse. Come se non bastasse pure “il cielo potrebbe cadere”, nel mentre che, sotto di lui, si combatterà una brutale guerra per il predominio di una vita sull’altra. Davvero un'altra ottima prova per i Vexovoid, autori di un testo che cattura l’attenzione come un racconto estremamente accattivante. I ragazzi ci sanno fare e dimostrano di esser maturi sia sotto il profilo compositivo, che in quello musicale. L’abilità con cui ogni musicista svolge il proprio dovere è esemplare, riuscendo ad incastrare magnificamente partiture obiettivamente difficili. La prova del drummer è eccezionale, così come il chitarrista, ma due parole sono da spendere anche per il basso. Dopo una prima traccia dove è rimasto un po’ in ombra, in questa seconda canzone riesce ad emergere da un muro del suono davvero molto corposo. In alcuni spazî “vuoti” lasciati dalla chitarra, si riesce infatti a cogliere chiaramente qualche veloce fraseggio del bassista Donny, il quale si dimostra essere un buon musicista oltre che un valido cantante. Come da copione, anticipato da un bridge “rivelatore”, a 3:21 Leonardo sfoggia un assolo mirabolante, che sancisce in maniera definitiva il suo modo di suonare degno di un vero funambolo. Altra ottima canzone, addirittura superiore – forse – alla prima traccia. Comincio a godermi davvero tanto il disco quando, purtroppo, mi ricordo che è solo un EP. La quarta ed ultima traccia, la title-trackHeralds of the Stars”, conclude così un lavoro che finora si è dimostrato estremamente interessante, ma per ogni altra considerazione vi rimando alla conclusione. Ritornando alla traccia, una voce introduttiva ci accompagna lentamente verso l’epilogo di questa piccola perla discografica, prima che a colpirci sia nuovamente l’impatto di una band devastante. Sin dalle prime note della seconda canzone, i Nostri hanno incominciato a pigiare il piede sull’acceleratore, senza poi mai staccarlo. I due brani precedenti, musicalmente parlando, sembrano formare addirittura un’unica composizione, incanalata sui binarî più ortodossi della violenza sonora. La title-track non costituisce un’eccezione e, al pari della traccia precedente, non disdegna illuminanti passaggi melodici. Cattiveria ed armonia paiono fondersi in maniera assolutamente inedita in ogni singola traccia dei Vexovoid, creando un connubio che, a volte, non riesce nemmeno ai grandi nomi del metal. Le liriche s’innestano sempre sulla falsariga delle precedenti, collocandosi in un ambito decisamente fantasy. Se nella canzone precedente erano descritti i “cattivi”, ora pare che al centro dell’attenzione stiano i buoni. Descritti come dei “fanciulli cosmici” che hanno “lasciato questa realtà/cercando la purezza della forma”, essi rappresentano l’ultima speranza di salvezza dinnanzi all’inesorabile avanzata dello “sciame”. Questo tenebroso nugolo è costituito da alieni artropodi (figli di una “mutazione terribile”) che, senza pietà, “stanno consumando il nostro universo”. Tra spade-laser e scudi d’energia, blasters a particelle e teletrasporti, l’Armata dorata (che rappresenta le forze del bene) è quasi inghiottita in un mondo che si fa sempre più scuro, dentro al quale essa si erge eroicamente come ultimo baluardo di resistenza contro lo Sciame. In questa efficace immagine in cui il luccichio dell’oro si staglia cromaticamente nel buio sempre più dilagante del male, non ci è dato sapere come finirà questo assoluto scontro tra le forze in campo, anche se gli auspici non sono dei migliori. Musicalmente parlando, il brano non è molto diverso dalle canzoni precedenti, ma si fa notare per alcune soluzioni particolari, come lo stacco a 2:32 oppure il bellissimo assolo a 2:50. Senza volersi ripetere, un’altra ottima traccia che confeziona splendidamente questo lavoro.



Heralds of the Stars” è davvero un ottimo EP. Tecnicamente parlando, la qualità della produzione è superiore alla norma, assolutamente degna di un full-length. Per quanto concerne le abilità compositive, è già stato affermato in precedenza che i ragazzi sanno il fatto loro, e quello che fanno, scusatemi il gioco di parole, lo fanno dannatamente bene. Anche l’artwork, fantascientifico al 100%, è ben curato e s’intona ottimamente a quanto poi ascoltato. In un contesto cromatico in cui dominano i toni freddi dello spazio (nero e, soprattutto, blu), a spiccare sono le innumerevoli stelle che costellano il firmamento, anche se il vero soggetto è l’astronave che sta decollando. Questa sembra fuggire da un mondo avviato sulla strada della rovina, in cui scheletri di fabbricati e costruzioni paiono consumarsi sotto l’onda di una guerra senza tregua. Volendo concludere, a conti fatti di pecche non ce ne sono. L’unica (che poi neanche è una pecca) potrebbe essere il fatto che ci sono poche canzoni ma, signori, stiamo pur sempre parlando di un EP. Una cosa fa (molto) ben sperare al futuro dei Vexovoid: se questi ragazzi mantengono un tale livello di songwriting, non sarà eccessivo, secondo me, urlare al quasi-capolavoro. Ovviamente, con un full-length tra le mani ci saranno però da tenere in considerazione altri fattori. Ad esempio, le tre tracce suonate dell’EP mai hanno stancato, nemmeno per un secondo. La capacità di variegare il songwriting si rivelerà però fondamentale quando queste tracce diventeranno otto, nove, magari dieci. L’uniformità nella composizione potrebbe allora rivelarsi un arma a doppio taglio che, se da un lato conferisce un aspetto omogeneo al disco, dall’altro potrebbe minare un ascolto fluido proprio per l’eccessiva ripetizione di certe scelte artistiche. Non è però oggi che ci dobbiamo preoccupare del futuro. Oggi è il giorno in cui una band ha effettuato il suo debutto sulle scene ufficiali, presentandosi, di giunta, con un lavoro superbo, cattivo e melodico allo stesso tempo. Consigliatissimo a tutti gli amanti delle tematiche fantascientifiche, “Heralds of the Stars” è un disco che non deluderà gli amanti del thrash e delle sonorità più technical/progressive. Signori, i Vexovoid sono arrivati: sarete in grado di resistere alla loro furia metallica? 


1) Sector 05
2) The Great Slumberer
3) Prophet of the Void
4) Heralds of the Stars