VERONIKA?

Come Uccelli su Cavi Elettrici

2011 - Lake Records

A CURA DI
VALENTINA FIETTA
07/12/2012
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Recensione

"Dove ognuno ha il suo Dio, dove ognuno ha la sua strada e...” questa frase rieccheggia dentro me da diversi giorni e solca molti strati della mia anima e credo di ogni persona che si fermi un attimo ad ascoltare questo meraviglioso album. Raramente un disco riesce a suscitare un arcobaleno di emozioni cosi profonde e variegate, tutti questi specchi del poliedrico lato umano... a riuscirci è una band orginaria dell’area vicentina, i Veronika?, che uniscono un sound ricercato a lirismi dall’inclinazione intimista ma sempre immediata. In una parola: Poesia. Si, ma poesia rock! Ad intrecciare le trame del disco “Come Uccelli su Cavi Elettrici” pubblicato nel 2011 è il combo composto da Luca Pet (voce), Alessandro Munari (chitarra), Paolo Barbieri (chitarra), Andrea Ghirardello (basso), Michele Bertezzolo (batteria). Alcuni di loro son attivi nelle scene underground del panorama italiano già da diversi anni e hanno riscontrato nel  tempo buoni riscontri da parte del pubblico e della critica, non è da stupire quindi che la formazione dei Veronika? disponga di tutta l’esperienza per presentarsi con un ottimo biglietto da visita di fronte al pubblico più eterogeneo. Vorrei sorvolare sulle disquisizioni formali per soffermarmi piuttosto sulla prima cosa che colpisce l’occhio e che può essere considerata come chiave interpretativa del disco stesso: il titolo. Chiudete gli occhi e immaginate quella scena (che chissà quante volte!) avete visto: stormi di uccelli appollaiati sui cavi dell’alta tensione, in bilico tra il decidere di volare e il restare immobili ad osservare il panorama.  Ecco dunque la metafora perfetta per sintetizzare il vero cuore del disco: noi come i volatili, sia pur consci delle tensioni che ci circondano, spesso preferiamo restare immobili, quasi  refrattari ad ogni tentativo di muoverci, di cambiare prospettiva... ed allo stesso tempo l’innegabile aspirazione a volare in alto, a sfuggire a queste logiche di vita statica. Chi di voi non si sente fin da ora già intensamente partecipe a questa sorta di oscillazione dell’anima tra realtà, tensioni ed aspirazioni al cambiamento? Forse quel punto interrogativo dopo il moniker “Veronika?” sta li proprio ad interrogarci sulla nostra stessa indentità. Se dovessi dare le coordinate del sound delle band vincentina direi che  ha una matrice prevalentemente rock mentre le sonorità, a tratti scartavetrate a tratti più sinuose, non perdono mai il mordace e ricreano atmosfere dove risuonano, tra le note, echi di praterie ancestrali provenienti dalla Cultura degli indios americani, in un mix di hard rock vecchio stile. In definitiva gli undici brani sono tutti di buona fattura e (cosa più importante) sono convincenti, senza alcun momento di cedimento, per dirla breve: il frutto di un attento lavoro di produzione. Diamo un’occhiata più da vicino a questa release.



L’opener track è “Io leggero” che apre proprio con un eco lontano “Ieri come ora" ripetuto più volte nell'intero brano mentre un potente giro armonico di chitarre e basso prede il sopravvento della canzone diventandone il vero interlocutore primario. Il resto della magia è affidata alla voce ‘del Pet’ che edulcora l’incedere ritmato della canzone con un timbro particolare, creando nell’ascoltatore aspettative domande, dubbi “A volte è poco divertente il non sentire proprio niente... Cerco un io Leggero”. Eccola la contraddizione, concentrarsi sulle cose di poco valore, e anche quando ci si rende conto dell’errata prospettiva, ostinarsi ad attutire l’immagine negativa di noi stessi. Pare quasi che nel pezzo quel Tu sia rivolto all’ascoltatore..."statista puro, centro metrista” cerchi i profitti e poi non la smetti più”. A seguire altra sezione ritmica granitica, esuberante e coinvolgente, “All'immenso qui fuori” in cui la voce di Luca esplora nuovi lidi mostrandosi capace di raggiungere altezze timbriche notevoli e pulite miscelate però a uno stile un po’ più ruvido, più graffiante. Eccelsi gli intrecci delle chitarre affidati all’impeccabile Paolo e alla mano veloce di Alessandro, mentre Michele alla batteria resta il vero master a guidare le ritmiche più che cadenziarle. Da un punto di vista dei testi anche qui evidente il leitmotiv che si ritroverà un po’ in tutti i pezzi: aprire la propria anima a nuovi orizzonti, come si sente dire chiaramente in diversi frangenti, penso ad esempio oltre che al refrain a frasi come ”E abbandonarsi nell’incanto di una notte di febbraio...”  e ancora  "Annuso le stelle perdute in lontananza”. Quasi banale dire che il testo ricrea con efficacia disarmante una successione di flash mentali sul tema del viaggio. Chapeau. Altra gemma ad impreziosire il disco è la terza track, “Viola”, praticamente una delle hit dal grande potenziale radiofonico e che non a caso è stata scelta come traccia da cui ricavare un video ufficiale. L’interpretazione del pezzo è appassionata e coinvolgente e anche il contenuto è di un certo calibro: accanto alla scrittura ricercata e poetica ritroviamo temi di attualità, con riferimenti più o meno espliciti al sociale (che si ritroveranno anche in altri pezzi, come la successiva “Acciaio”). Partendo dal clip stesso a metà tra "la fattoria degli animali" e "il grande fratello" possiamo evincere di cosa siano messaggeri stavolta i nostri Veronika?: l’avvertimento Orwelliano riguardo al fatto che l’alternativa alla presa di coscienza individuale non può che essere la coercizione, il controllo maniacale ad opera della società. Mi ha colpito che il brano abbia una ritmica più lenta che non crea tensione o irrequitezza, proprio ad simboleggiare che chi ci domina lo fa entrando spesso in silenzio, in punta di piedi ma non per questo con meno volontà. Ad arricchire il pezzo c'è anche la voce femminile di Sabrina Turri che con adeguati vocalismi in lontanza ispessisce il refrain impegnato “Viola, prendi il megafono per risvegliarmi... tu che dai sberle al mondo, grida al megafono per risvegliarlo”... Eccoci giunti ora al masterpiece del disco, pezzo celebre della band, “Acciaio”. Accennavo prima a quanto alcune tematiche sociali siano care alla band, tra queste la solidarietà alle morti bianche. Non parlo di mero sostegno alle vittime, ma del coraggio di chi vuole lottare contro queste morti, di chiede responsabilità. Ispirato dal tragico incidente accaduto alcuni anni fa alla Thyssenkrupp di Torino, il brano ci avvolge nel suo lento incedere nello sgomento e nel dolore di chi è stato colpito dalla tragedia, coinvolgendo ed emozionando chiunque senza alcuno scampo. In questo pezzo emerge fortissimo lirismo con cui ho aperto la recensione “Dove ognuno ha il suo Dio, dove ognuno ha la sua strada.." La poesia del testo viene dalle visionarie liriche cantautorali di Luca che unisce scene di vita lavorativa a scene di disperazione intensa, e nell’alternanza di immagini il pathos emotivo è fortissimo “...ora vallo a spiegare tu a quelle vedove in fiore che la pazienza col suo lento incedere può curare un dolore...”. Tra le migliori da sentire durante le performance live. Netta inversione di rotta nei testi e nel sound con la successiva sarcastica “Va tutto bene”, pezzo energico dove tornano in prima linea la batteria e intrecci armonici di chitarra che regalano al pezzo una dinamicità frizzante e ariosa, il sound è sempre ricercato e non cade mai nel groove scontato o già sentito. Anche qui il testo visionario è prodotto dalla mente vivace di Luca che provoca le coscienze con un“Vedo troppe bandierine che vanno dove tira il vento, ossessioante dall’indice di gradimento...e di nuovo perso dentro alle stesse quattro mura proteggo le mie verità, tu resta pure nel tuo Fendi, copri bene e copri tutto con dosi di mediocrità, Qui va tutto bene”. Queste suggestioni visive e metaforiche mi portano alla mente le considerazioni Pirandelliane sui binomi persona-personaggio e sulla differenza tra comicità ed umorismo. Non mi dilungo a riguardo ma spero che qualcuno rimanga incuriosito dalle riflessioni dei nostri Veronika? e anche (perché no?) dal substrato da cui attingono idee e creatività. A metà del disco altra chiave di volta portante di questo meraviglioso edificio ideale sui generis che il combo immagina: “Primo Giorno”. Si tratta nella sostanza di circa tre minuti grintosi con sferzate, distorti e uso del wha-wha ad opera dell’abile Paolo sulla sua Les Paul, che ci fa respirare un un po’ di Seventies, mentre il basso alternando glissati a note stoppate non fa altro che aumentare l’effetto vivace del pezzo. Tutto è congeniale al testo “ Dove tu sei la mia pace del mondo, nei sentieri di guerra che i miei passi incontreranno...le possibilità di riconoscere l’inganno e il qualunquismo che ancora cè...guardo te e penso al mio primo Giorno”... la dedica (o l’appello?) a una donna che fa emergere il lato più puro e vero della quotidianità di ogni Giorno, facendo cosi rinascere il protagonista stesso. Verrebbe da chiedere a Luca chi lo ha ispirato nella stesura della canzone. Comunque è tra i brani più coinvolgenti del lotto, ottimo lavoro. Segue “Il Giardino di Daria” che a dire il vero mi crea una certa incertezza nell’approccio. Mi spiego meglio. Come sempre Luca dipinge immagini col suo timbro caldo ed appassionato mentre fino a metà della canzone si respira l’aria uggiosa e leggera del trio basso-chitarra-batteria, almeno fino a quando si ascolta un solo di pregevole fattura di Paolo che va a rompere l’equilibrio di cristallo apparente... e rivela un tono più animoso che non ci si aspettava, date le parvenze un po’ rinunciatarie “ Se non ti va di cambiare, almeno copriti bene, chiudi gli occhi nel rifugio e nel giardino di Daria”...brano enigmatico, destinato a fare presa sulle menti più accorte e sensibili. Cambio di direzione di nuovo con “Safary”, altro riuscitissimo pezzo radiofonico che entra subito nelle vene, complice il gioco di rimandi tra batteria e basso (a tratti psichedelico!), ottimo anticamera per la voce cangiante di Luca che risulta (ancora una volta!) in perfetta coerenza con il pezzo. Ad aggiungere pepe sempre quel fantastico tamburello a sonagli che pare che il combo vincentino apprezzi molto, data la sua presenza in praticamente quasi tutti i pezzi!  Si prosegue la scaletta con l’energetica e squillante “E’ Primavera” che fin dall’intro entra in sinergia con le anime di fuoco dati gli ottimi intrecci di chitarre ed i colpi sul rullante potenti e fermi; il dinamismo effervescente pulsa dentro dal’inizio alla fine e il pezzo non perde mai il mordente né mostra momenti di cedimento. Bisogna davvero congratularsi con la band per la composizione del pezzo (di tutti!), che rimane in testa già dopo i primi ascolti. Il filo rosso che regge il brano resta quello che collega tutti i pezzi: svegliare le coscienze e rendersi conto che vivere richiede uno sforzo diverso dal ‘sopravvivere’...ce lo ricorda ‘Il Pet’ con il suo: ”sei timido, e goloso e permaloso... Sveglia! Tu sei pericoloso! Intanto spera… di continuare a respirare e dire E’ Primavera!”. Il desiderio di cambiamento, e la tenacia con cui ogni singolo refrain cerca di scrollare le anime e farle ri-nascere è la cosa che più vi resterà impresso di questa band. Spettacolare. Scelta più riflessiva invece per la penultima track, “Immortale” che vi avvolgerà dolcemente tenendovi al caldo, in un vortice di emotività che passa da sensazioni di perdizione e smarrimento ad una speranza d’amore. Questo intreccio di different feelings traspare nell lirica del testo cosparsa di sinuosa teatralità che non trascende  mai in eccessi macchinosi e che garantisce un’ottima tessitura d’insieme. Il beat è rallentato, la melodia delle chitarre volutamente soft, la voce dilatata, quasi lontana “Vieni lascia cadere il dubbio... fiore di fiamma splendi…nel fuoco, l’energia sopra tutto quello che io sento, oltre tutto quello che i miei occhi vedono… Hello Baby, qui nel mio cielo aspetto la tua anima”. Quasi stringe il cuore e ci ritroviamo in uno stato confusionale quando veniamo a sapere che siamo arrivati all’ultima canzone del disco “Tilt”. Titolo azzeccato davvero! Dato che ci si sveglia dal torpore fumoso precedente non appena parte il pezzo con un tiro grintoso e veloce in cui la batteria detta la regola e le chitarre ricamano una trama fitta ed esuberante, perfetta per gli acuti policromi di Luca che finalmente alla fine del disco arriva allo sfogo “ C'è di più, c'è di più, c'è di più ... devo scacciare la mia sanguisuga, tieni lontana la tua faccia idiota”. Meritevole l’assolo di Paolo che verticizza il movimento in pochi istanti , per poi lasciare che il pezzo prenda una piega più soft, con un cambio del pezzo e delle atmosfere, ora più trasognanti e con echi lontani. Si crede di essere arrivati alla fine, ma poi parte una sorta di monologo di Luca che ben rappresenta l'ipocrisia che ci circonda ed il modo migliore per arginarla (o raggirarla?) “ Tutti che ti chiedono come stai? Eri tu in centro in bici quell’altra mattina? E tutti che ti chiedono: che lavoro fai? Ma no eri tu che volevi fare palle di asfalto e lanciarle contro la borghesia? e tanti che non si fanno mai i cazzi loro. Ma non avete di meglio da fare voi? Perché avrei dei calzini da rammendare. Prego prego entrate pure, prendete il disordine ma non spostate niente...basta solo che spazzate via la polvere cosi che possa entrare un po’ di luce. E se trovate un filo logico fatene pure una sciarpa ma che vada per ogni stagione...”



E cosi si chiude il disco. Un disco che ogni mente sensibile coglierà nel suo spirito libero. I Veronika? sono un gruppo carismatico, che si dimostra in grado non solo di presentare un disco dall’ottima fattura sotto il profilo della produzione e dei suoni, con una matrice rock seventies ispirata, ma anche di presentare un disco che non sia solo da ascoltare ma da sentire, date le tematiche che sviscera in ogni pezzo del lotto. Preciso che fino alla fine degli anni 70 l’aspetto prettamente musicale della proposta cantautorale impegnata della Penisola era connotato da una ricerca molto profonda sui testi che produceva risultati di altissimo livello letterario – spesso riconosciuti come tali solo molti anni dopo – ma da un aspetto musicale vissuto quasi sempre come semplice veicolo per la parola, e dunque scarno, essenziale. Qui invece troviamo una sinergia nuova tra musica e testi in un mix che acquisisce una tendenza potenziale di evergreen. Non vorrei quindi incasellare troppo dentro a coordinate il disco, perferirei dato il suo animo cangiante e magnetico, considerarlo un’enclave a sé. Un gruppo del nostro tricolore da tenere d'occhio!


1) Io Leggero
2) All'immenso qui fuori
3) Viola
4) Acciaio
5) Va tutto bene
6) Primo Giorno
7) Il giardino di Daria
8) Safary
9) E' primavera
10) Immortale
11) Tilt