VANEXA
Too Heavy To Fly
2016 - Punishment 18 Records
MARCO PALMACCI
08/05/2017
Introduzione Recensione
C'è da fare, prima d'ogni successivo discorso e disquisizione, un'importante quanto fondamentale premessa: parlare dei Vanexa equivale a parlare della Storia del Metal italiano. Una formazione, quella ligure, che non avrà avuto la continuità / fortuna dei ben più blasonati Vanadium, Death SS o Strana Officina.. ma che, a conti fatti, è stata fra le primissime (se non la prima, a detta di molti) a proporre un certo tipo di sound in tempi non sospetti, nella nostra penisola. Compiamo dunque un piccolo balzo indietro, per donare a tutti i nostalgici la possibilità di versare qualche lacrima di commozione, pensando ai tempi passati; e perché no, per fare in modo che i più giovani sappiano (e credetemi: è fondamentale) chi prima di loro calcava il palcoscenico. E continua tutt'oggi a farlo. Visto che, arrivati nel 2017, siamo qui a parlare di un bel prodotto come "Too Heavy To Fly", quarto figlio della formazione capitanata dai sempiterni Sergio Pagnacco e Silvano Bottari. Attivi dal 1979 e per nulla intenzionati (fortunatamente, visto che non ce ne sarebbe né bisogno, né motivo alcuno) ad attaccare al proverbiale chiodo i loro strumenti. Anzi, se proprio vogliamo parlare di chiodi.. quello dei Vanexa non è mai stato riposto in alcun armadio. E' ancora lì, indosso, e fieramente. Sin dal 1979, appunto, anno in cui la band decide di muovere i suoi primi passi nel mondo del Rock più duro ed impertinente. Sono gli anni dei ruggiti anglosassoni, della N.W.O.B.H.M., gli anni del metallo nella sua forma più pura ed incontaminata. Anche l'Italia, così come il resto del mondo, non era stata indifferente al fascino del Metal e dell'Hard Rock: a cavallo dei '70 e degli '80, anche la nostra penisola conobbe infatti il fascino selvaggio della musica ribelle. Deep Purple e Led Zeppelin prima, Iron Maiden, Judas Priest e Saxon subito dopo. Un mix di rabbia primordiale, fascino sovversivo, letale passionalità. Un genere che stregò i giovani liguri e li portò quindi a voler proporre un qualcosa che fosse tutto loro, firmato Vanexa; e che assumesse come supremo ipse dixit la scuola d'Albione, maestra di vita e di musica. Non passò molto tempo, e subito le prime soddisfazioni iniziarono a piovere come neve dal cielo, in un giorno di tormenta. Il calendario segna una data importante, il 1983: anno in cui il gruppo presenza come headliner allo storico "Rock in a Hard Place", meglio noto come "Festival di Certaldo". Evento cruciale della storia Metal tricolore. Un primissimo, importante festival ospitante il meglio del meglio, il gotha dell'acciaio italico. I già citati Death SS, la Strana Officina, i grandissimi Raff, gli Steel Crown.. ed i nostri Vanexa, posti sul gradino più alto. Una prestazione, la loro, che infiammò il "Teatro Tenda" della cittadina toscana, ponendoli come realtà assolutamente affermata della scena. Il 1983 fu inoltre l'anno del loro debutto; di quello, come accennavo ad inizio articolo, che da molti viene definito il primo album Heavy Metal mai rilasciato in Italia. Battendo al fulmicotone "Metal Rock" dei Vanadium, ancora legato a sonorità più tendenti ad un certo tipo di Hard Rock, fortemente debitrici nei riguardi di formazioni "blackmoriane" come Deep Purple o Rainbow. Il clima che invece si respira, ascoltando "Vanexa" (debutto omonimo), è di tutt'altro genere. Velocità, potenza, riff al fulmicotone.. un vero e proprio assalto "priestiano", pesante ed incontenibile. La formazione dell'epoca contava i seguenti membri: Marco Spinelli alla voce e Roberto Merlone alla chitarra, oltre ai già citati Pagnacco e Bottari (rispettivamente basso e batteria). Una carriera che avrebbe potuto viaggiare a vele spiegate.. e che, invece, si ritrovò immersa suo massimo malgrado in acque tempestose. Al solito, fu la mancanza di organizzazione e di tutela delle nostre band, ad interrompere un cammino così promettente e sfolgorante. Il secondo (per altro, convincentissimo) disco dei Vanexa vide infatti la luce dopo ben cinque anni dell'uscita del primo full-length, di fatto "raffreddando" il clima. "Back From The Ruins", un "nomen omen" che segnò il ritorno dei nostri liguri sulla scena, dopo tante peripezie. Nuova etichetta (dalla "Durium" alla "Minotauro"), stessa voglia di fare, di urlare al mondo la propria presenza. La discontinuità delle nuove uscite, però, sarebbe continuata imperterrita. Per stringere fra le mani un terzo album dei Vanexa, infatti, i fan dovettero aspettare altri cinque anni.. più uno, sei in totale. Il 1994 fu l'anno dei cambiamenti: da un lato, l'abbandono di Marco Spinelli, presto sostituito da Roberto Tiranti; di seguito, un sensibile rimaneggiamento del sound, il quale passò dall'Heavy diretto e veloce verso un Hard n'Heavy di fattura molto più easy listening. Insomma, "Against The Sun" (questo il titolo del disco) passò leggermente in sordina, di fatto non potendo più contare sull'ondata di entusiasmo che aveva spinto i liguri dieci anni prima. Piccola parentesi, un disco che comunque vi invito a recuperare ed ascoltare. Ne vale la pena, garantito. Tornando alla storia, dopo il 1994 si assiste ad un progressivo "rilassamento" degli animi. La band decide infatti di fermarsi, ritenendo di aver completato parte del suo percorso, lasciando momentaneamente libera la scena dalla sua presenza. Un arrivederci che, fortunatamente, non si tramuta in un addio. Visto che nel 2009 il gruppo torna in pista, deciso a riprendere da dove aveva lasciato. Si ricomincia pian piano, deliziando i fan con un duo di uscite atte a celebrare il passato; tenendo però sempre d'occhio il presente. Il 2010 vede dunque il licenziamento di "1979-1980", compilation celebrante il primissimo periodo dei Vanexa, quello dei primi demo e del cantato in italiano. Una raccolta di brani suonati dalla formazione storica, con alla voce i primi due cantanti in forze nel combo ligure, prim'ancora di Spinelli. Parliamo nella fattispecie di Alfio Vitanza e di Fabrizio Cruciani (quest'ultimo anche in forze, per un periodo, nei Crossbones). Si riprende poi l'attività on the road, ed ecco che nel 2011 abbiamo la pubblicazione del primo album live dei Nostri, intitolato "Metal City Live". Formazione accreditata: Bottari, Pagnacco, Tiranti e la coppia d'asce Artan Selishta / Alessandro Graziano. Giungiamo così al 2016, che vede appunto l'uscita di "Too Heavy To Fly", finalmente un disco nuovo ed arrembante, inedito. Dimostrazione del fatto che i Nostri, esperti guerrieri e veterani dell'acciaio tricolore, sono ancora in pista più volenterosi che mai, per nulla decisi a campare di rendita o ad adagiarsi sugli allori. Un ritorno deciso e decisivo, che ha sin da subito scosso gli animi, in concomitanza poi con la recente ondata di "neoentusiasmo" (mi si passi il "neologismo") che ha coinvolto il Metal più classico, riscoperto da tanti e tornato prepotentemente in auge. Complice l'operato sempre preciso e puntuale della "Punishment 18", dunque, entità patrocinante il ritorno dei Nostri, possiamo goderci un nuovo disco dei Vanexa. Arrivato ben ventidue anni dopo "Against The Sun", ma sicuramente più duro e prepotente del predecessore. Si registrano due importanti cambi di line-up: in "Too Heavy..", infatti, troviamo alla voce Andrea Ranfagni, mentre alla chitarra (ad affiancare Selishta) riscontriamo la presenza nientemeno che Pier Gonella, già in forze in gruppi come Necrodeath e Mastercastle. Le premesse perché questo disco si riveli sicuramente un gran bel lavoro, dunque, ci sono tutte. A cominciare da una grafica decisamente piacevole, molto fumettistica (a cura di Kabuto, del "Kabuto Art Lab") ed accattivante, la quale vede un aereo da guerra schiantarsi al suolo. "Troppo pesante per volare". Sul "Too Heavy" siamo d'accordo. Del resto, ben poche realtà (in questo paese) risultano più "Heavy" dei Vanexa. Sul "..to fly", invece, riservo qualche dubbio. I Nostri hanno dimostrato di saper volare a velocità supersonica, ed anche molto bene, nel corso della loro storia. Non ci resta altro da fare che salire a bordo e verificare di persona. Let's Play!
Too Heavy To Fly
Un grosso aereo è in procinto di decollare, lo percepiamo dal possente rombo posto in apertura della titletrack. "Too Heavy To Fly (Troppo pesante per volare)" si presenta dunque sfruttando gli stessi effetti sonori già presenti in colosso dell'Heavy Metal, quella "747 (Strangers in the Night)" che tanta fortuna portò ai Saxon. Appena il nostro brano inizia definitivamente, però, ci accorgiamo come certe velleità melodiche (poste alla base del singolo di Byford e soci) non abbiano un granché da spartire, con i Vanexa. Il riff introduttivo è preciso e marziale, quadrato e spigoloso come la potente ritmica che lo accompagna. Piglio squisitamente militaresco ed anthemico, che induce a marciare compatti e funge da perfetto tappeto sonoro per l'entrata del singer, la cui voce calda e brillante si lascia ben udire, conquistandoci. Parole che ripercorrono la vita e la carriera del gruppo, ancora on the road, dopo tanti tanti anni. Stoici guerrieri del metallo, fieramente mai domi. Leoni dell'acciaio tricolore, fiere insaziabili dai muscoli ancora possenti. In pista, nonostante tutto. Nonostante migliaia di vicissitudini, nonostante i cambi di formazione, i problemi con etichette varie; combattendo il mondo, per difendere il proprio e sacrosanto diritto di suonare Heavy Metal. Un genere che richiede, per forza di cose, più calore e passione della norma. Gli stessi sentimenti che percepiamo approcciandoci al ritornello, momento in cui la band esplode, mostrando velleità più roboanti e "dannunziane", se vogliamo. Slancio vitale improvviso, ed ecco che i Nostri (pur non rinunciando ad una ritmica essenziale ma efficace) si mostrano nelle loro vesti più d'impatto, esplosive. Forse, il destino non ha voluto che i Vanexa divenissero un gruppo di fama mondiale. Forse, il tempo è passato inesorabile; ma di una cosa, i liguri sono certi: del fatto che, magari, questo aereo non spicca il volo poiché.. troppo Heavy! Ed ecco che il termine inglese viene adoperato come gioco di parole. Dove "Heavy" simboleggia sia il significato letterale di "pesantezza", sia di "quantità di metallo" presente nelle loro vene. Non si vola, poiché il quantitativo di Acciaio è superiore alla media! Con questo gruppo si rockeggia dunque duro, è bene metterlo subito in chiaro. Segue al primo refrain una strofa identica alla precedente, arricchita nuovamente da cori anthemici che sì eroicamente scandiscono il titolo del brano. Ancora un ottimo refrain, per un brano semplice, ma in grado di farci scuotere la testa a ritmo. Stacco al minuto 2:55 ed ecco che le chitarre si donano ad un riffing work compulsivo, assai melodico. Un ciclone di note reiterato a lungo, con tanto di aeroplano posto in background, come all'inizio. Giunge lesto un assolo molto ben eseguito, di chiara impronta N.W.O.B.H.M., il quale ci mostra tutta l'abilità di una coppia d'asce assai classicheggiante, di chiara impostazione albionica. Momento solista che si protrae il giusto, per poi lasciare il posto ad un ottimo refrain, nel quale i Vanexa ribadiscono la loro posizione. Vogliono ancora morderci, vogliono ancora conquistarci a suon di note. Mostrarci il loro lato più selvaggio, indomabile. Capitani di lungo corso, eterni sognatori. Chi ha la gioventù, chi possiede l'esperienza.. solo chi sta suonando, ADESSO, possiede i tratti salienti di entrambe. Il brano dunque si conclude: semplice, ma di notevole impatto, dal ritornello cantabile e facilmente memorizzabile.
007
Si prosegue dunque con "007", dal titolo piuttosto eloquente già di per sé. Un brano dedicato nientemeno che all'agente speciale James Bond, protagonista di una fortunatissima quanto acclamata saga cinematografica. Intrighi, spionaggio, missioni impossibili: il pane quotidiano di chi, in nome di sua maestà la Regina, rischia la propria vita per preservare gli equilibri mondiali. Chitarre e ritmica "a mitragliatore" ci introducono dunque nel mondo dell'eroe, sparandoci letteralmente in faccia raffiche di suoni; ben congeniate, precise al millimetro. Dopodiché, il pezzo prende definitivamente il volo, sfoggiando una linearità più in tinta con i primi Vanexa. Ben lontano, ora, dalla marzialità del brano precedente, il brano prende a correre in maniera più spigliata, allontanandosi da marce e flavours "militari". Un bel trionfo di scuola classica, nel quale i liguri riportano in auge i fasti della N.W.O.B.H.M.; e non poteva essere altrimenti, visto il tema ivi trattato. Ascoltando il periglioso refrain, dominato da squillanti ed incalzantissime melodie (ben intersecate ad una linea vocale assolutamente all'altezza), sembra quasi di assistere alla proiezione di un film di James Bond. Ed eccolo che lo vediamo, pistola alla mano, liberarsi da situazioni al limite del mortale. Affrontare il perfido Goldfinger, cercare di liberarsi dalla prigionia prima che un raggio laser lo divida in due, scoprire e sventare loschi piani di spie nemiche e terroristi. Ancora una volta.. sarà inferno o paradiso? Una vita vissuta in bilico, sempre in nome della giustizia; anche se, molte volte, il prezzo da pagare risulta sensibilmente alto. Tornando alla musica, dopo il primo refrain essa confluisce in una nuova strofa, seguita a sua volta dall'ennesimo, splendido ritornello. Il momento migliore di tutto il brano, frangente costruito in maniera a dir poco magistrale; stacco successivo ed assolone in puro stile Heavy. Rettifico: è forse questo, il momento più esaltante dell'intero brano. Una sequenza infinita di note, taglienti e squillanti, lucenti come il metallo cromato. Travolgenti, passionali, da brividi. Ed è subito corsa contro il tempo, a perdifiato, cercando di disinnescare la bomba prima che questa esploda. Cercando di fermare il super-criminale di turno, intento a far valere la regola del terrorismo. Cercando di salvare la vita di migliaia di persone, il tutto in pochi secondi. Ancora una volta, dobbiamo scegliere: sarà paradiso, o inferno? Il brano si avvia dunque verso la fine, con un'ultima parte cantata e la ripresa delle "raffiche" iniziali.
Life Is a War
Chitarre arpeggiate, melodiche e ben più "educate" che in precedenza aprono il terzo brano del lotto, "Life Is a War (La vita è una guerra)". Pezzo che serba all'interno delle liriche una visione tutta senecana per l'esistenza vista come una lotta continua, come una scalata verso la vetta. Una cima da raggiungersi abbattendo a pugni e schiaffi ogni ostacolo si parrà dinnanzi; grande o piccolo che questo possa rivelarsi. Il quantitativo di energia che certi percorsi richiedono a gran voce non tarda a palesarsi: ecco che dopo l'inizio "delicato", si esplode in potenti bordate d'Heavy Metal. Il fuoco inizia a divampare, a cuocere a fiamma lenta. La melodia impera, e stempera se vogliamo l'impeto che i Vanexa ben mostrano lungo il proseguo. L'andatura è infatti controllata, scandita da una ritmica precisissima, anche se non manca la "spinta" che potrebbe portare verso sensibili aumenti di potenza. La prima strofa, tuttavia, cambia le carte in tavola nel suo manifestarsi. Tutto si fa suadente e soffuso, fino ad arrivare ad un ritornello decisamente più massiccio. Vinciamo e perdiamo, vivendo in perenne bilico fra il successo ed il fallimento. Arrivano le gioie così come i guai. Ed è proprio nel negativo, che un vero guerriero fa valere la sua forza. Quando, per tutta una serie di fattori, non può innalzare il vessillo della vittoria. Festeggiare è proprio dell'umano, rialzarsi dopo una cocente sconfitta è degno del valoroso. Mai, mai cedere ai colpi bassi della vita: mai disarmare gli argini, mai rinunciare a scavare un fossato tutto intorno a noi, per proteggerci. Tutto può accadere, e la felicità può essere in un lampo spazzata via, dalla tristezza più nera. Mai abbattersi, combattere sempre. Con la lancia in mano, come Leonida. Altra accoppiata di strofa e ritornello, seguita da uno stacco e da un successivo assolo. Un brano che rimane pacato anche in questo istante, eppure "scotta", grazie al calore emesso dall'ascia solista e dall'ottimo basso che finalmente possiamo udire in tutto il suo splendore. Quattro corde estremo protagonista (assieme alle sue colleghe) di un'espressione solista interessante, di seguito sfociante nel refrain potente e conclusivo, reiterato per rendere il concetto chiaro. Mai adagiarsi e mai dormire sugli allori. Mai cantare vittoria, mai sorridere troppo. Un guerriero, proprio come Kenshiro, mai conoscerà giorni eccessivamente felici. Nuove battaglie ci si parranno dinnanzi.. e dovremo essere bravi a combatterle, a sorreggere sulle nostre spalle il peso della lotta.
Rain
Rumori temporaleschi aprono la quarta "Rain (Pioggia)", a sua volta introdotta da una sei corde di gusto southern. Un po' Lynyrd Skynyrd, prima che si esploda in precisi colpi di martello ed incudine; tutto diviene improvvisamente manesco, distruggendo quell'incipit romantico dai caldi tratti sudisti. Una prima strofa che dunque mena senza ritegno, picchiando precisa e compatta, sfociante poi in un refrain molto più melodico e trascinante, serbante in sé quel poco di Hard Rock adatto a donare al tutto un groove molto particolare. La ritmica si mantiene su tempi essenziali eppure condotti in maniera chirurgicamente impeccabile. Colpi di scure che ben delineano i pensieri affranti di un uomo arrabbiato, deluso, stanco della vita. Guidando durante un temporale, il Nostro si chiede cosa sarà della sua vita, da oggi in poi. Il cielo plumbeo domina la sua visuale, una sporca pioggia carica di fango gli impedisce di guardare aldilà del suo naso. Mille pensieri, una sola consapevolezza: quella persona che avrebbe potuto salvarlo, l'unica.. non lo farà. L'ha persa irrimediabilmente, e proprio per questo cerca di non farsi illusioni. Lui sa, qual è la sua destinazione finale. Tanto vale sbrigarsi a raggiungerla, non perdendosi in sciocche fantasticherie. Proprio per questo, il brano introduce lestamente una nuova strofa. Sempre precisa al millimetro, violenta nelle ritmiche ma ben cadenzata e condotta. Il viaggio continua, su di un rettilineo fatto di tristezza e risentimento. Amara consapevolezza di una vita ormai allo sbando, giunta ad un definitivo capolinea. Un altro ritornello, madido di sporca pioggia. Ogni ombra ed illusione viene lavata via.. cosa resterà, ora, della vita del protagonista? Ora che "lei" se n'è andata, ora che si è convinto di quanto il passato da cui scappa fosse composto solo da fiabe e bugie. Cosa accadrà, da ora in poi? La coppia d'asce prova a darci una risposta. Delicate, le sei corde ci introducono alla sezione più pacata del brano. Delicatissime, melodiche, educate, le chitarre ricamano una triste melodia. Bisognerà sopravvivere, nonostante l'oscurità imperante. Lei.. la donna di cuori, è ormai persa per sempre. Bisogna andare avanti.. nonostante i dubbi, la paura, le incertezze che dilaniano. Ecco che si arriva all'assolo, ragionato e romantico nel suo dipanarsi. Struggente, inizialmente.. e poi prepotente, arrabbiato, veloce. Complice anche un bell'inasprimento della ritmica, la quale permette quindi di picchiare sodo e di spianare la strada ad un nuovo refrain ripetuto, sino alla chiusura del pezzo, lasciata in balia del vento che soffia desolante.
It's Illusion
Si torna a mordere decisi e veloci con il brano numero cinque, "It's Illusion (E' un'illusione)". Le chitarre cavalcano minacciose per un inizio à la Annihilator, presto soppiantato improvvisamente da una strofa arpeggiata; dominata da un'interessantissima ed articolata ritmica, insieme che lascia poi spazio ad un ritorno all'aggressività. Di nuovo, in rapidissima alternanza, le melodiche chitarre della strofa. Le quali, magistralmente, si fanno quasi da parte per concedere al vocalist di esprimersi in tutta la sua mirabolante potenza. Un insieme che, in effetti, ricorda il buon Jeff Waters nei suoi momenti più Heavy. E' con il ritornello che, preceduto dalla ricomparsa di riff incalzanti, si sfocia in un momento d'esplosione ben congeniata e condotta, mai troppo aggressiva e dominata dal cantante, in grandissimo spolvero. Si canta di un mondo folle, pazzo per molti aspetti. Un mondo frenetico, che corre veloce ed al quale è quasi impossibile star dietro. Siamo tutti "connessi", in un modo o nell'altro. Tutti capaci di comunicare nonostante le distanze. Abbiamo "tanti amici", ci sentiamo per questo considerati ed importanti. Eppure, qualcosa non quadra. La realtà virtuale sembra prendere troppo spesso il sopravvento sulla verità effettiva dell'esistenza. Ed è così, che ci illudiamo d'essere chi non siamo. Gli amici, la sensazione di potenza che deriva dal progresso tecnologico.. in realtà, rimaniamo dei semplici umani privi di valore alcuno. Non siamo nulla, siamo una cellula sperduta nella galassia, nonostante rimaniamo fermamente convinti del contrario. La strofa successiva al refrain riprende in toto le stesse caratteristiche mostrate dalla precedente. Importante sottolineare un gusto quasi "progressive", qui mostrato dai Vanexa, da identificarsi soprattutto nei cambi repentini di sound e di ritmica. Splendidi saggi di aggressività ed ispirazione, coronati da un altro ritornello eccezionalmente ben eseguito e soprattutto cantato. Improvvisamente, dopo di esso, il brano cambia ancora volto. Riff vagamente sabbathiano, pesante e monolitico, sul quale la sei corde solista si diverte a giocare e ricamare, sino ad arrivare al momento della sua definitiva esibizione. Si prosegue su ritmi pacati, incalzanti e sulfurei, per un assolo che non vuole strafare.. almeno fin quando la chitarra ritmica comincia a velocizzarsi sempre più, trascinandosi dietro la "collega", la quale si dona dunque a raffiche di melodie taglienti e squillanti. Ci sentiamo soli, smarriti. Una volta squarciato il velo di Maya, cosa rimane della vita? Un pugno di spettri, d'illusioni s svolazzanti. Eppure, sappiamo di non essere degli schiavi. Sappiamo di non doverci sottomettere ad alcunché. Siamo vivi e possiamo ancora esistere. Ci ribelliamo, dunque. E nonostante la solitudine morda, non ci pieghiamo. Mai, mai sottomessi e mai schiavi. Viviamo, respiriamo.. siamo umani, non macchine. Un nuovo refrain, ripetuto quattro volte (di cui l'ultima in maniera molto più lenta ed accattivante), ribadisce il concetto. Portandoci verso la conclusione di un brano particolarmente piacevole e sorprendente.
Tarantino Theme
Seconda metà del disco aperta da un altro brano, per così dire, "cinematografico". Dopo James Bond arriva il momento di tributare un'altra figura chiave del cinema mondiale, stavolta in carne ed ossa. Capirete già dalla dicitura "Tarantino Theme", chi sarà il personaggio chiave del pezzo. Proprio il folle Quentin, uno dei registi più influenti della sua generazione, cinefilo incallito e uomo dai mille volti e risorse. Si inizia a battere sodo, sfoggiando un bel riffing work à la AC/DC, di stampo prettamente Hard n' Heavy; l'epopea dei fratelli Young rivive in queste battute iniziali, godibilissime e rimandanti ai gloriosi fasti di "Let There Be Rock". Viene presto il momento di udire voci in sottofondo, quasi emesse da una radio trasmittente, finché la prima strofa decide di palesarsi in tutto il suo fervore Rock n' Roll. Percepibilissime eco dei Nazareth affiancano a quelle più australiane, segno che il brano decide ufficialmente di dipanarsi lungo queste velleità, per altro assai ben rappresentate anche da una voce qualitativamente all'altezza. Veniamo quindi introdotti alla biografia del grande regista: nato nel 1963 in Tennessee, da una ragazza madre, il giovane Tarantino spese la maggior parte della sua infanzia / adolescenza donandosi alla sua più grande passione, il cinema. Sia recitato che girato, difatti accumulando una cultura in ambito che ben pochi potrebbero tutt'oggi contendergli. Massima autorità del b-movie mondiale e del western / d'exploitation all'italiana, Quentin ha portato nel suo cinema tutte le sensazioni e le emozioni riscontrate durante la visione dei più disparati titoli, creando un modo tutto nuovo di fare cinema. Un pazzo, folle mix che di fatto lo ha innalzato a cineasta di grido, spingendo tantissimi a seguire il suo esempio. Proprio nel ritornello, nel quale l'eco di dischi come "Razamanaz" si fa più presente, viene citato il film più emblematico ed archetipico della cinematografia tarantiniana. Quel "Pulp Fiction" che rivive nei versi "leggi la bibbia, Brett?"; domanda posta dal gangster Jules Winnfield ad un malcapitato in attesa di esecuzione, una delle scene più famose della storia del cinema. Esattamente dopo l'energico ritornello, il clima si distende: tutto sembra virare verso lidi più distesi, con l'effettata voce del singer che recita per due volte uno stesso verso. "Credimi.. questa è la tua vita"; subito dopo, un bell'assolo prorompe in tutta la sua pacata magnificenza. I tempi cadenzati ed adagiati ne sottolineano l'andatura Rock n'Roll, salvo poi stravolgere la prospettiva mediante una nuova accelerazione. Strofa identica alle precedenti, precisa e potente, nuovo refrain travolgente e seducente subito dopo.. ed il pezzo si chiude, avendo già detto tutto quel che aveva da dire. Un sincero ed onestissimo omaggio ad un regista fenomenale. Un uomo, con i suoi film, in grado di trasmetterci le più disparate sensazioni. Angoscia, ansia, esaltazione.. tutto concentrato in pellicole indimenticabili, vere e proprie pietre miliari.
Into The Dark
La breve strumentale "Into The Dark (Nell'oscurità)" spezza il ritmo e ci presenta meste chitarre arpeggiate, acustiche, le quali si esibiscono in un minuto e venti secondi di pura sensazione ed emozione. Pare quasi di udire i momenti più candidi della Rock Ballad in senso lato, concentrati in un unico mini brano. Eco dei Whitesnake e dei Tesla si presentano in tutta la loro composta grandezza, andando a ricamare un sound delicato, per certi versi atipico. L'energia sprigionata fino ad ora si dissolve lentamente in una stairway da sogno, catapultandoci sulle nuvole, prede d'azzurro sconfinato e piacevoli venticelli primaverili. I due chitarristi impiegano tutta la loro abilità per mostrarci il loro lato più romantico ed intimo. Una piccola esibizione che presto sfocia nel brano successivo. Del quale, in fin dei conti, "Into The Dark" rappresenta più che altro l'introduzione, evitando di farsi troppo considerare un pezzo a sé stante.
Kiss in the Dark
Si riparte quindi con "Kiss in the Dark (Un bacio nel buio)", aperta dalle medesime asce arpeggiate. Si continua a chiamare a gran voce l'archetipo della Rock Ballad, anche quando il cantante entra sì delicatamente in scena, sfoggiando un'ugola calda ed avvolgente. Tranquillità e struggente trasporto ci assalgono, pensando a quel bacio rubato nella notte. Il bacio più vero e sincero che ci sia, dato al buio; il momento in cui le anime danzano all'unisono, lasciando che siano gli altri quattro sensi ad acuirsi ed a trionfare imperiali su di una vista troppo spesso fallace. Cala la notte repentina, il momento dell'amore. Il momento delle carezze, il momento dei sentimenti che corrono selvaggi, come un frisone con al vento la criniera. L'atmosfera si surriscalda sempre più, quando ecco che una seconda strofa fa la sua comparsa, scandita da una grancassa che quasi simula il battito cardiaco di due amanti, in procinto di unirsi e di celebrare la loro simbiosi affettiva. In effetti, sembra proprio che la batteria stia ridisegnando un qualcosa di molto simile al pattern posto in apertura della ben nota "Trust" dei Megadeth. Cori e vocalizzi ci portano dunque ad un ritornello etereo, sorretto sempre da angeliche voci poste in sottofondo a quella principale. Eppure, proprio in fase di refrain le elettriche tornano a farsi sentire, rendendo l'ambiente di certo molto più pesante, dotato di un ritmo maggiormente incalzante. Si prosegue su questa falsariga, mantenendo i toni da ballad eppure mettendo da parte l'acustico, preferendo di gran lunga il flavour elettronico. Due amanti che conoscono passo dopo passo l'aumento del desiderio, il quale va via via soddisfacendosi. Una passione mordace eppure delicata, vissuta con amore. Sentimento ed Eros in un connubio infuocato, canoviano equilibrio riscontrabile in diafane sculture come l'"Amore e Psiche". Giunge presto il momento del solo, supportato nel suo background da chitarre acustiche ben amalgamate con l'ascia principale. Il sound non perde l'energia tipica dell'elettrica, ma si mantiene comunque su lidi assai sentimentali, per certi versi ricordando lo Steve Vai più romantico e sognante. Ben presto torna il refrain, arricchito da un gioco di voci niente male: i cori ripetono il titolo del brano, mentre il cantante disegna versi densi di passione. Un amore che infuoca, incendia. Due cuori che battono forte, all'unisono: un vero e proprio climax che sfocia in questo magnifico momento, e ci accompagna dunque al finale ad libitum sfumando, nel quale la voce del cantante si esaurisce in favore degli arpeggi acustici, che tornano a dominare presto sormontati da sussurri a bocca chiusa. Piacevole conclusione, degna sicuramente di un brano di tal calibro.
Paradox
Si torna a picchiare con "Paradox (Paradosso)" ed il suo incipit rimandante (seppur a tratti) ai Metallica di "Load". Un brano che sembra, almeno nel sound delle chitarre, ricercare un'impressione assai più novantiana che "classica". Componente, quest'ultima classicheggiante, comunque presentissima nelle linee vocali del singer. Un connubio senza dubbio interessante, per un dipanarsi musicale che trova comunque (soprattutto in prossimità del refrain) uno svolgersi successivamente più ottantiano ed Heavy, quando le due asce cominciano a dialogare in maniera più marcata. Un "paradosso", quindi? Fondamentalmente sì. O magari no, dipende pur sempre dai punti di vista. Sta di fatto che, in questo brano, i Vanexa ci invitano a "giocare". Nel senso: prendere in mano le redini di un qualsiasi problema possa affliggerci. Dargli un nome, guardarlo dritto negli occhi, per poterlo domare. A far paura è ciò che non si conosce, dopo tutto. Viceversa, non si può temere un qualcosa capace di svelarsi e di perdere così la sua aura di mistero. E' terribilmente difficile e siamo consapevoli del fatto di combattere un qualcosa di grande, di immenso. Eppure, dobbiamo tentare. Contro ogni possibilità di vittoria, contro tutti i pronostici. Il messaggio lanciato dal refrain, il quale si manifesta come gioiello di Heavy Metal / N.W.O.B.H.M., con la sua carica prorompente e melodica. Si ritorna ad una nuova strofa, dominata da chitarre pesanti e successivamente alleggerite, per portarci nuovamente in un ritornello pazzescamente bello. Sembra quasi di udire i Tokyo Blade nel loro periodo di massimo splendore, nel mentre veniamo incoraggiati ancora una volta a non arrenderci, a lottare. Persi nella tempesta, la nostra mente in subbuglio. Cerchiamo in ogni modo di far fronte a questa tragica sorte, nonostante sembra quasi che il nostro corpo ci stia abbandonando, lentamente. Eppure, non chiuderemo gli occhi. Andremo avanti, lotteremo, non ci fermeremo per nulla al mondo. Forse è troppo tardi, per reagire.. ma provare non costa nulla. Non è finita finché non è finita. Improvvisamente, dopo la seconda accoppiata di strofa e ritornello, veniamo accolti da una chitarra arpeggiata, melodica e pacata. Echi degli Annihilator più Heavy, il singer parte anch'esso pacato finché non esplode raggiungendo il suo personalissimo climax. Le nubi si addensano sulla nostra testa, tutto diviene scuro. Eppure, la paura non ci domina. Riusciremo a vincerla, e ad andare avanti. No, non chiuderemo gli occhi. In un impeto battagliero rimarchiamo la nostra scelta di combattere, sottolineata dal ritorno dei chitarroni stile "Load" e dalla comparsa di un assolo terminante in una splendida sessione di tapping e di seguito riprendente velleità à la Joe Satriani. Il momento solista più lungo ed articolato dell'intero disco. Un frangente che ci porta ad alzarci in piedi e ad applaudire, piacevolmente trasportati. Si giunge ad un piccolo accenno di strofa e ad un ultimo OTTIMO refrain. C'è ancora speranza, possiamo ancora vincere: nulla è perduto.
The Traveller
Siamo così giunti alla fine del disco, in fondo al quale troviamo una vera e propria chicca. Un brano, "The Traveller (Il Viaggiatore)", che vede la presenza di una very special guest. Nientemeno che Ken Hensley, mitico (ex) tastierista degli Uriah Heep. Dopo tutto, era lecito aspettarsi la sua presenza in un brano che sin dal titolo richiama a gran voce lo storico gruppo inglese; si pensi alla leggendaria "Traveller in Time", fra i fiori all'occhiello di "Demons & Wizards", classe 1972. Le onde del mare aprono il pezzo, infrangendosi pacate sulla costa. E subito le chitarre ricamano una melodia misteriosa e particolare.. nella quale le tastiere di Ken si inseriscono prepotenti. E scusate, se al vostro affezionatissimo, scende più di una lacrima di commozione; perché sentire il sound tipico di Mr. Hensley così ben amalgamato ad un contesto come quello dei Vanexa, non è roba di tutti i giorni. Commovente, per quanto bello. Un'atmosfera à la Uriah Heep viene dunque e presto instaurata, ben stagliata su di un mid-tempo roccioso e possente. Una voce più ispirata e meno squillante del solito inizia quindi a narrarci di questo viaggiatore, dei suoi lunghi e misteriosi pellegrinaggi. Uno spostarsi che lo ha portato ad immergersi nello spazio profondo, nel mare più azzurro; e nei mistici occhi scuri della sua amata, il luogo in cui ha deciso di fermarsi e di riposare le sue stanche membra. Si arriva lesti al ritornello, melodicamente perfetto ed impreziosito incredibilmente dalle tastiere dell'ex Uriah Heep. Un'autentica manifestazione d'arcane sensazioni, di misticità, nelle quali il viaggiatore prega la sua amata di non lasciarlo mai solo. Il suo posto è accanto a lui, il suo cuore piangerebbe se Lei si allontanasse, lasciandolo da solo. Si prosegue dunque con un'altra incalzante strofa, breve, presto sormontata da un altro refrain. Estendiamo i nostri sensi e facciamoci conquistare da cotanto esoterismo musicale. Le tastiere spalancano letteralmente le porte della percezione, immettendoci in un mondo parallelo. L'Iperuranio della perfezione sensoriale, a cavallo di un demone arcobaleno. Il Paradiso, l'incantesimo. Viaggiatori del tempo, questo è quel che diventiamo, grazie a questo brano dal sapore così seventies eppure dotato intrinsecamente di una durezza tutta Hard n' Heavy. Dopo il secondo refrain, torna improvvisamente l'intro, replicata ad hoc. La quale spiana la strada ad una sezione cantata, tanto emozionante quanto cupa. Il viaggiatore è tristemente sottomesso dai colpi di un fato malevolo. Forse, la sua Lei è scomparsa per sempre. Il futuro sembra incerto, dubbioso, triste. Lacrime d'oscurità vengono piante, la mente si obnubila. Dense nubi temporalesche si addensano nella testa del nostro protagonista, presto diradate da uno splendido assolo di tastiere. Ken dà il meglio di se stesso, ancora una volta squarciando il velo di Maya e dotando il brano della sua magia, del suo gusto per le melodie arcane, misteriose, avvolgenti. Un'esibizione da pelle d'oca che lo conferma come uno dei Maestri del genere e del suo strumento. Ultimo refrain e dunque il pezzo si accommiata, riproponendoci le onde del mare ed un ultimo accenno di verso da parte del singer.
Conclusioni
Dopo un finale così sconvolgente, il quale - lo ammetto candidamente - mi ha fatto cambiare idea "in corsa" circa il giudizio da esprimere (chiarissimo sino a "The Paradox"), lasciate che il vostro affezionatissimo si riprenda un istante, prima di addentrarsi nell'ultima e definitiva disamina. Proprio perché, in un certo qual modo, "The Traveller" può porsi alla base di un discorso che intendo sviluppare, in sede di conclusione. Parliamo in senso generale: "Too Heavy To Fly" risulta un piacevolissimo sfoggio di sonorità Hard n'Heavy, in linea con l'intento di proporre un qualcosa che puntasse dritto alle orecchie ed al cuore. Missione compiuta, in quanto di ritornelli incalzanti e bei riff è pieno il disco, abbiamo solo l'imbarazzo della scelta. C'è da cantare, saltare, esaltarsi e far headbanging. Dei Vanexa che vogliono divertirsi e far divertire, riuscendoci più che bene. Tuttavia, sarebbe "troppo poco" relegare l'album in questione al ruolo di mero "filler"; considerandolo divertente e nulla più. Un giudizio del genere lo si potrebbe dare all'esordio di una band emergente, dedita magari ad uno scalcinato quanto piacevolissimo revival di classic Hard n'Heavy. Dov'è situata, dunque, la particolarità e l'intrinseca qualità di "Too Heavy.."? Esattamente in brani come "The Traveller". Tanti colleghi dei nostri liguri non avrebbero mai osato così tanto; perché, infatti, inserire in un album Heavy Metal un musicista per certi versi "avulso" a determinati contesti? Perché inserirlo in un brano cucito ad hoc e su misura, pensando alle sonorità particolari che sarebbero state introdotte? Semplicemente, per la voglia di osare. Era chiaro sin dalla comparsa di "It's Illusion", dopo tutto, che il gruppo non avrebbe replicato pedissequamente quanto già fatto in passato. Ed in un certo qual modo, è cosa buona e giusta accantonare (seppur parzialmente) dischi come "Vanexa" e "Back From The Ruins", durante l'ascolto di "Too Heavy To Fly". Proprio perché questo quarto album risulta in fin dei conti una creatura a sé stante e non una "copia di". Il segno di una maturazione, di una crescita che negli ultimi anni ha spinto il gruppo a ricercare, sperimentare, provare, osare. Non un gruppo che dunque cade nell'autocelebrazione più becera, ma anzi una formazione coraggiosa, particolarmente sul pezzo.. IN FORMA. Che certamente non abbandona la sua vena tradizionalista, sia chiaro: quest'ultima viene infatti, semmai, rinforzata. Da brani ricchi di suggestioni e particolari sfumature, poste in maniera strategica ed intelligente. In modo tale da non annoiare e nemmeno far gridare "allo scandalo" i metallari più intransigenti. Insomma, "Too Heavy.." è un disco che diverte ed esalta. Che cattura, che arriva passando per la strada principale.. ma non risulta scontato né eccessivamente ancorato al passato. I Vanexa del 2016 ci dimostrano dunque quanto sia inutile adagiarsi sugli allori dei tempi che furono, se dentro di noi alberga ancora la voglia di fare, di esprimersi. Il punto, è: si ha ancora qualcosa da dire? Meglio parlare, piuttosto che tacere per sempre. Almeno, secondo il mio modestissimo parere. I liguri qui presenti hanno fatto benissimo a non compiere un viaggio nel passato, lasciando in garage la Delorean e dunque provando poco a poco ad inserire particolarità e piccole sperimentazioni, all'interno del loro sound. Oggi più maturo ed adulto che mai. E non mi sentirei nemmeno di muovere appunti circa la produzione e la resa sonora, ben curata e precisa al millimetro. Per quanto il sound verace e schietto di produzioni come "Vanexa" riesca tutt'oggi ad esaltarmi quant'altre cose mai, ed avrebbe fatto sicuramente bene ai brani più tradizionali dell'album appena discusso, non potrei in nessun modo pretendere dagli odierni Vanexa un ritorno a quelle produzioni schiette e selvagge. Sarebbe un rinnegare quanto fino ad ora ho espresso: ovvero, il fatto che i Vanexa di OGGI hanno diritto e modo di esistere. Con tutti i cambiamenti che ne conseguono. Gli anni passano per tutti, e possiamo scegliere fra due strade da imboccare. O fermarsi e piantare la tenda, o continuare e vedere fin dove possiamo arrivare. Indovinate un po', i Nostri, cos'hanno scelto.
2) 007
3) Life Is a War
4) Rain
5) It's Illusion
6) Tarantino Theme
7) Into The Dark
8) Kiss in the Dark
9) Paradox
10) The Traveller