VADER

Future Of The Past

1996 - Pavement Records

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
24/10/2013
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Recensione

Ormai è risaputo che per una band il disco di cover rappresenta una vera e propria arma a doppio taglio: o si tratta di una raccolta di riproposte interessanti di pezzi di altri, reinterpretate in maniera personale secondo il proprio stile, oppure rappresenta solo una voce priva di significato nella discografia di un gruppo. Anche i Vader, nome di spicco del panorama estremo polacco, decidono di intraprendere questa scelta con “Future Of The Past” del 1996; trattandosi di tributi ai grandi maestri della musica più dura ed aggressiva viene difficile individuare dove si collochi il confine fra la furia originale e quella aggiunta dalla band di Piotr “Peter” Wiwczarek, ma scendiamo più nel dettaglio. Il disco si apre con la cover di “Outbreak Of Evil” dei Sodom: classici colpi sul charleston e poi via spediti come un treno; la sete di blasfemia si sente già dalla prima strofa ("it's time to die, death stands behind the door, Satan sends his warriors, demons breack out of Hell" trad. "é tempo di morire, la morte è dietro la porta, Satana manda i suoi guerrieri ed i demoni escono fuori dall'Inferno"); il ritmo è sostenuto dal classico quattro quarti, ormai diventato il pane quotidiano dei thrashers, che si intervalla solo in qualche break dove viene inserito un passaggio rapidissimo sui tom. La chitarra spara riff velocissimi e taglienti ed in questo è fedelissima alla versione originale della band teutonica, non vi è un assolo quanto un vero e proprio assalto al ponte mobile della sei corde, simile a quelli sfoderati da Kerry King nei pezzi degli Slayer; per quanto riguarda il cantato, il frontman del combo di Olsztyn ha il grande merito di essersi creato uno stile decisamente inconfondibile, a metà tra il cantato sporco tipico del thrash metal ed il growl, scelta  ottimale per predicare l'esplosione del male contenuta nel testo. Molta grinta e velocità per un pezzo che a stento arriva a due minuti e cinque secondi di durata, piacevole e ben eseguito ma che a conti fatti non aggiunge molto alla versione originale.

Lo stesso si può dire anche per la successiva “Flag Of Hate” dei Kreator. Il livello tecnico dei Vader in questo caso fa sì che il sound grezzo della versione originale venga qui riproposto con la stessa cattiveria ma con maggior precisione: salvo la batteria, intenta a sfoderare passaggi chirurgici e variegati, il resto del brano si muove anch'esso su stilemi abbastanza standard; siamo senz'ombra di dubbio all'archetipo dell'extreme metal, dove i pezzi erano ancora rudi e minimali, quindi non resta a chi li ripropone di mantenersi su questo canone cercando di dare un'impronta personale e non limitarsi alla sola esecuzione. Anche in questo frangente Peter è a suo agio nell'urlare tutto l'odio scritto originariamente da Mille Petrozza ("it's time to raise the flag of hate, destroy the Earth is our only aim, to strike all down is the only way, to give 'em death and let them pay" trad. "é tempo di alzare la bandiera dell'odio, distruggere la Terra è il nostro unico scopo, schiacciare tutti è l'unico modo, dare loro la morte e lasciarli pagare") ed è nel cantato che si riscontra l'elemento più innovativo della traccia.

Con la seguente cover di “Storm Of Stress” dei Terrorizer si cambia decisamente fronte: i Vader sembrano trovarsi più a loro agio nel suonare questo classico del grindcore e la loro potenza ha modo di scatenarsi al meglio sul pezzo della band americana; in un minuto scarso di canzone infatti i polacchi lasciano andare il proprio estro: il drumming si fa più articolato e complesso su una struttura originariamente lineare ed i suoni delle chitarre sono più cattivi ma al tempo stesso più limpidi e definiti, cosa che in questa frangia del metal è assai rara. Un brano schietto e diretto quanto un pugno nei denti con un testo decisamente mirato alla vita di tutti i giorni ("can't escape all your worries, endless sorrow, pain and suffer, can't escape your emotions enslavement by the world you choose" trad. "non puoi sfuggire alle tue preoccupazioni, al dispiacere infinito al dolore ed alla sofferenza, non puoi sfuggire alle tue emozioni, schiavizzato dal mondo che hai scelto"), decisamente meglio riuscito delle precedenti per quanto riguarda la personalizzazione.

Si giunge ad un grande classico: “Death Metal” dei Possessed, un brano che ha definito un intero genere a livello stilistico e sul quale non si può sbagliare, ma fortunatamente su questo snodo i Vader si fanno trovare preparati: veloci, precisi e devastanti dall'inizio alla fine della traccia, d'altronde il death è il loro terreno natio, vien quindi naturale sentirli all'apice della loro resa. La doppia cassa è martoriante come un tritacarne e le chitarre spingono la ritmica sostenute da un basso solido e presente, tutta la canzone ci viene quindi sparata addosso senza un attimo di respiro ed è a questo punto che si apprezza pienamente l'impronta vaderiana; ogni pennata infatti sa letteralmente di morte e truculenza, il testo è semplice quanto diretto ("The Killing won't stop 'till the first light, we'll bring you to Hell" trad. "il massacro non si fermerà fino alle prime luci del giorno, ti porteremo all'Inferno") e possiamo per un attimo tornare alla quintessenza di questo grandioso genere. 

Si torna ai Terrorizer, questa volta con la cover di “Fear Of Napalm”; nell'introduzione i polacchi si dimostrano decisamente migliori dei compositori originari del brano, dimostrando un tiro ed una precisione maggiori anche per quanto riguarda il blast beat serratissimo della strofa cantata; ogni colpo di rullante infatti sembra quasi una goccia di napalm che ci ustiona i timpani, le parole del testo descrivono in poche righe la pioggia dell'arma chimica che brucia ogni cosa che tocca ("from the sky you see it fall, people screaming burn to ash" trad. "lo vedi cadere dal cielo, le urla della gente bruciano fino a diventare cenere") ed il pezzo gode di un groove decisamente coinvolgente; non ci si può sottrarre quindi dal fare headbanging. L'intera struttura è frenetica e non lascia un secondo di respiro, persino Peter sembra quasi faticare a pronunciare per intero le frasi del testo ma il risultano non delude le aspettative, soprattutto nel finale dove un tempo decisamente thrash metal da pogo assicurato conduce la traccia alla conclusione.

Con “Merciless Death” dei Dark Angel i Vader tornano nei reami del thrash metal: fin dalle prime note si deduce che sarà la velocità l'ingrediente principale della canzone, strutturata nuovamente sul quattro quarti conforme al genere che passa ai trentaduesimi quando si giunge al ritornello. Il riff di chitarra è una vera cascata di rasoi ed il testo è ossessivo tanto quanto il ritmo che lo compone (il ritornello urla a ripetizione "we'll give you a merciless death" trad. "ti daremo una morte priva di pietà"), nell'esecuzione di questo brano si sente  quanto sia influente la band americana per il gruppo polacco ed è immancabile quindi l'omaggio ad uno dei pezzi più famosi di “Darkness Descends”. Ciò che rende la traccia davvero efficace, anche più delle precedenti, è la produzione, che ci consente di apprezzare ancora meglio la qualità della canzone rispetto al disco del gruppo statunitense. Anche in questo frangente spicca la personalità che rende il brano davvero apprezzabile e non solo una riproposizione fine a se stessa.

Si cambia genere, questa volta ad essere tributati sono gli svizzeri Celtic Frost con “Dethroned Emperor”; l'inizio è monolitico e marziale, con le chitarre pesantissime che fanno di ogni pennata una vera e propria martellata; qui i Vader si concedono qualche chicca interna al pezzo, in particolare i vari contrattempi di batteria ed una maggiore epicità nel ritornello, nel quale viene inserito anche un ricamo chitarristico, elemento decisamente insolito per un Thomas G. Warrior  ancora agli inizi (si parla del 1984, anno della pubblicazione di “Morbid Tales”), rendendo questa settima canzone come la più riuscita a livello di reinterpretazione. La buona produzione conferisce una maggiore pulizia, possiamo dunque apprezzare questa versione moderna ed al tempo stesso riscoprire la versione originale; se l'imperatore di cui parla il testo viene deposto ed ucciso ("watch his break, the emperor is killed" trad. "guarda la sua rovina, l'imperatore è stato ucciso") i re del metal estremo vengono omaggiati in maniera più che degna.

Prepariamoci al vero e proprio uragano di questo disco: la cover di “Silent Scream” degli Slayer, ideatori indiscussi del concetto di violenza nella musica ai quali i polacchi hanno già reso omaggio in passato con la cover del grande classico “Reign In Blood”. Ancora una volta si gareggia in velocità, questa volta, però, si può dire che l'allievo superi il maestro per quanto riguarda fluidità d'esecuzione e precisione; d'altro canto i Vader sono di una generazione successiva e sentire questo brano suonato da loro rende possibile notare le evoluzioni tecniche in ambito di metal estremo. Il potenziale della canzone originale resta inalterato, si parla di uno dei grandi big four e per chi come il sottoscritto respira thrash metal l'urlo silente rappresenta l'evergreen a cui rimanere sempre affezionato come simbolo della schiettezza e dell'immaginario macabro ("Silent scream, bury the unwanted child" trad. "urlo silente, seppelisci il bambino indesiderato) ed a cui ricorrere nei momenti di massima rabbia come valvola di sfogo. Sembra quasi che Peter e soci abbiano sviluppato con gli Slayer un legame spirituale ancora più forte rispetto a quello con le altre band qui omaggiate e rafforzati da ciò si rendono insuperabili in materia slayerana.

Altra grande musa ispiratrice per la musica della band polacca è sicuramente il punk; genere crudo, ruvido ed aggressivo che compare in questo album con la cover di “We Are The League” degli Anti-Nowhere League, uno dei gruppi inglesi più controversi e travagliati della storia del genere. Già dall'inizio in crescendo di sole chitarre si può respirare l'atmosfera dei club in cui il gruppo britannico si esibiva all'inizio degli anni ottanta, con il classico urlo di guerra/presentazione semplice quanto diretto “We Are The League” tradotto "noi siamo la lega". Il pezzo parte senza tanti convenevoli, con una batteria lineare ed inarrestabile dove anche una minima variazione rappresenta un ostacolo da evitare; 2 minuti e 35 secondi di violenza sonora, dove il pubblico deve lasciarsi andare al pogo più selvaggio, fomentato da un testo composto da una tempesta di rabbia indiscriminata il cui motto principale è "no f*****g mercy" trad. "nessuna f*****a pietà", che risulta impossibile fare a tempo, data la velocità sempre maggiore del brano. In chiusura, come da manuale per i pezzi più selvaggi del punk, il classico finale lasciato andare con le chitarre che sparano accordi ripetuti e la batteria che sferra le mazzate decisive. Un brano apprezzabile anche dai nostalgici del sound britannico, nonostante venga riproposto dieci volte più veloce e pesante dell'originale secondo la visione dei Vader.

Giunge ora la parentesi “sperimentale” del disco, il gruppo polacco si cimenta nella cover di “I Feel You” dei Depeche Mode. Qualcuno la potrà giudicare un azzardo ma contro ogni aspettativa pessimistica si rivela uno dei brani più interessanti dell'album. Il main riff gode di una forte sensualità che pregna la canzone di un pathos ed un romanticismo tale da renderla il classico pezzo da corteggiamento, anche il testo è abbastanza inusuale per la band in questione, date le frasi sdolcinate ("this is the mourning of our love, it's just the dawning of our love" trad. "questo è il mattino del nostro amore, è solo l'alba del nostro amore", sentirla cantare da Peter fa un effetto abbastanza strano); le chitarre lo eseguono con lo stesso tocco blues ma aggiungendovi la distorsione tipica del sound metal (perché di questo si parla in fin dei conti). Alla delicatezza vocale di Dave Gahn si contrappone la voce baritonale di Peter, che raggiunge tonalità sorprendentemente gravi, tanto da ricordare a tratti Jyrki Linnankivi dei The 69 Eyes. Non siamo certo di fronte al brano che conquisterà i metallari più tradizionalisti, anche perché il tocco estremo in senso stretto lo si trova unicamente nel fischio delle chitarre all'inizio del pezzo; sta di fatto che il classico dei Depeche Mode reinterpretato in questa chiave assume quasi una vena doom davvero interessante.

Sempre in ambito di “pesante lentezza” andiamo ora all'origine di tutto ciò che noi oggi possiamo definire heavy metal: parte la cover di “Black Sabbath”, il brano che ha scritto le regole fondamentali del genere che noi oggi ascoltiamo ed amiamo. L'inizio è ancora più enfatizzato dalle accordature ribassate, che conferiscono al maligno riff di Tony Iommi un'ulteriore vena di plumbea ombra sulfurea. Peter si cala nel personaggio in maniera sorprendente, facendoci quasi sentire sulla pelle le fiamme che divengono sempre più alte ("watching those flames get higher and higher) ma a differenza del madman mantiene il suo tono gutturale caratteristico, lo stesso che possiamo apprezzare nella cover di “Freezing Moon” dei Mayhem realizzata per la raccolta “Originators Of The Northern Darkness”. Su questa canzone l'aggiunta delle tastiere conferisce ancora maggiore teatralità ed i fischi di chitarra fanno aumentare il livello di adrenalina prima della partenza finale, nella quale si riconoscono i Vader di sempre: grintosi, veloci e letali. Sul finale non manca nemmeno un medley estemporaneo  con un tempo di batteria groovy ed accattivante che, pur esulando dal contesto complessivo della canzone, risulta di buona fattura.

L'album si chiude con “Oracle”, brano originariamente composto dai Kat, band thrash metal polacca per lo più sconosciuta alla grande massa ma pregna di importanza per la loro realtà nazionale, tanto da essere citata come fonte di ispirazione da diversi gruppi. La resa del pezzo si mantiene molto fedele all'originale: suoni graffianti e ritmo coinvolgente sono gli ingredienti essenziali ed esattamente a 2 minuti e 28 secondi, dopo un break, parte il finale volto al massacro in puro stile slayeriano; sembrano quasi due pezzi diversi uniti insieme poiché da un tempo classic metal iniziale si passa in maniera quasi disorientante al "tupatupa" serrato con chitarre che ringhiano e sbraitano, con la blasfemia a fare da protagonista nelle liriche ("Lucifer, i saw my face on his card" trad. "ho visto il mio volto sulla carta di Lucifero); una chiusura così non poteva che provenire da una delle band estreme più importanti dell'Est Europa. In conclusione un disco gradevole ed un'interessante raccolta di omaggi che i Vader rivolgono ai loro idoli, non certamente un lavoro fondamentale per la loro discografia (i loro capolavori sono ben altri) ma come pubblicazione estemporanea “Future Of The Past” si propone comunque come un lavoro gradevole; studiato, eseguito e composto con la stessa ottica di un disco di brani propri per avere una qualità che non deluda i fans ma con in più lo spirito e la consapevolezza di mettere sul mercato un album di cover.


1) Outbreak of Evil
2) Flag of Hate 
3) Storm of Stress 
4) Death Metal
5) Fear of Napalm 
6) Merciless Death
7) Dethroned Emperor 
8) Silent Scream
9) We Are the League 
10) I Feel You
11) Black Sabbath
12) Oracle 

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