VADER

De Profundis

1995 - Croon Records

A CURA DI
ANGELO LORENZO TENACE
13/10/2013
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Recensione

Quando penso al death metal, penso che deve essere qualcosa di marcio, violento e feroce. Se penso che ormai tutte le band della nuova generazione si concentrano quasi ed esclusivamente sulla tecnica, con strutture iper complesse che perdono di vista il dinamismo appiattendosi e somigliandosi tutte quante, mi sale una certa nostalgia per i grandi classici e continuo ad ascoltare le bands che hanno fatto forte questo genere. Fra queste possiamo annoverare i polacchi Vader, che rappresentano un buon punto di incontro fra Morbid Angel e Slayer, con il tocco di classe della voce unica ed inconfondibile del loro carismatico leader, Peter, che come ogni buon capo che si rispetti ha portato avanti il suo concetto di musica estrema con un'invidiabile prolificità e dedizione alla causa. Quest'oggi vi parlerò del secondo ed essenziale parto della band "De Profundis", che si dimostrerà "profondamente" importante, almeno per la band, visto che andrà a consolidare ulteriormente il Vader sound, anche se non mancano alcune ombre che analizzeremo meglio nel track by track. Partiamo innanzitutto dai dettagli: erano gli anni novanta e molte death metal bands stavano rilasciando gemme imprescindibili per il genere, equamente divise fra America e Paesi Scandinavi, che andavano in controtendenza all'esplosione del grunge, andando a rafforzare ulteriormente il concetto di estremismo sonoro introdotto dal thrash metal, a cui i metallari più oltranzisti non sapevano resistere, perchè nuovo, perchè fresco e soprattutto tante parole cattive che non ci metteremo a scrivere. In questo contesto era quasi impossibile per i nostri rimanere indifferenti, infatti se si pensa che siano partiti come band speed/thrash, (tenendo ovviamente presente che la nascita della band è avvenuta nel 1983) per poi virare a ciò che sono odiernamente, un ghigno satanico vi si stamperà in faccia. Tralasciando il primo album "The Ultimate Incantation" parecchio influenzato dai capostipiti del genere, (di cui non faremo il nome per non dire cose ulteriormente scontate) con l'ep "Sothis", da cui sono state riprese alcune tracce, si iniziava già la ricerca di un sound più personale, sempre votato alla ferocia più assoluta, ma in favore di strutture (ovviamente stiamo parlando sempre dei Vader) un pelo più mirate, anche se ci vorranno ancora una manciata di uscite per arrivare alla chiusura del cerchio, con "Litany". Tornando all'album, la formazione è ancora quella storica, con quella bestia che era Doc (R.I.P.) alle pelli e China e Shambo rispettivamente chitarra e basso, ed è stato registrato nel maggio del 95' presso i Modern Sound di Gdynia, sempre in Polonia, la cui produzione è stata curata dagli stessi Vader, che per i tempi è molto adeguata a questo tipo di sound, forgiando un muro sonoro davvero invidiabile. Ovviamente parlando di una band death metal nel senso stretto del termine, su cosa posso vertere le lyrics? Anticristianesimo che, visto il bigotto paese d'origine, è come un invito a nozze, anche se c'è qualche variazione in un certo senso "fantascientifica", il registro non cambia, con immensa gioia(!?) per noi altri. Si parte con la devastante "Silent Empire", scandita da un fulmine e fin qui tutto bene: blastbeat come se piovesse, riffing "ruvido" ed un minuto e mezzo di devasto strumentale, alternato fra furia e pesantezza, dove la parte del leone è affidata al micidiale drumming di Doc, furioso al punto giusto e tagliente come un bisturi. La voce di Peter ruggisce prepotente, accompagnandosi ad un tessuto musicale vibrante e vivo, con dei chorus di inaudita ferocia, che rappresentano l'ideale chiamata alle armi, che nella posizione in tracklist non è di certo una coincidenza. La traccia lo diciamo senza ulteriori orpelli, è una delle migliori del platter, ed infatti ha un posto fisso in scaletta nei live, ma andiamo avanti. La breve fucilata "An Act Of Darkness" non fa altro che buttare ulteriore benzina sul fuoco, ed anche questa volta la formula funziona, strizzando più di una volta l'occhio alle principali influenze della band, che in un batter d'occhio ci ha ridotto i padiglioni auricolari in cenere, ottima continuazione del discorso aperto in precedenza. "Blood Of Kingu" parte come un roccioso mid tempo, con quel riff portante davvero (scusate il francesismo) cazzuto, ma che rappresenta soltanto la punta dell'iceberg, visto che ovviamente la carneficina è dietro l'angolo, spezzando l'andamento, e donando il giusto dinamismo ad un'altro degli episodi meglio riusciti dell'album. "Incarnation" riprende la stessa formula della traccia precedente, ed indubbiamente ci ha fatto storcere un pò il naso, visto che magari se posta in un'altra posizione in tracklist avrebbe giovato alla fruizione del disco. Con questo non vogliamo dire che il brano di per sè non sia ottimo, ma che con questa disattenzione nel concepimento della scaletta, la ripetitività si fa sentire. Tuttavia ci sentiamo di evidenziare che anche questa volta è un massacro ben congegnato, facendo leva su delle coinvolgenti sfuriate thrashy con quegli assoli a là Slayer che tanto detestano gli amanti della melodia e della tecnica. "Sothis" è indubbiamente la punta di diamante di De Profundis, che si snoda martellante e pesante come un macigno, con una lunga sezione strumentale posta come introduzione, davvero ben calibrata, che crea il giusto pathos per la ruvida ugola del caro Peter, che farà il suo ingresso dopo delle mitragliate in blast beat. Il refrain ha qualcosa di ineccepibile, fino a quel "Who Am I?" che dà quel tocco di classe alla furia sonora che prenderà forma poco dopo che come al solito non può che far bene alla dinamicità della formula. Inutile dire che è un classico della band dal vivo, a dir poco micidiale! "Revolt" è un'altra scheggia impazzita, che stranamente a livello di riffing cerca di variare un pò le carte in tavola, con dei vari stop n'go, inframezzati dalle solite mitragliate in blast beat. Nonostante venga dopo l'episodio migliore dell'album, non è per questo che ci sentiamo di annoverarla fra le tracce meno riuscite dell'album, diciamo che vale più un discorso di ripetitività di fondo che scalfisce un pò tutto il lavoro, che in questo caso non dona al brano quel giusto quid per essere ricordato. Ahimè le cose non migliorano con "Of Moon, Blood, Dream And Me" che si registra come un'altra delle tracce meno riuscite dell'album, anche se è lodevole la volontà della band di cambiare un pò il ritmo, facendo leva su un up tempo abbastanza ripetitivo, anche a livello di riffing, con la stessa crescita di tensione di altri brani presenti nel platter, fino all'esplosione di potenza che però questa volta è una miccetta rispetto agli episodi migliori. Le cose migliorano decisamente con "Vision And The Voice" che è un'altro dei brani più thrashy del lavoro, con massicce dosi di violenza in primo piano, facendo il verso un pò al classico "Vicious Circle" contenuto nel precedente lavoro. Inutile entrare nel dettaglio, visto che essendo quasi al termine dell'album e parlando dei Vader, potreste aspettarvi qualcosa che non sia la solita, massicia, devastante carneficina sonora in salsa polacca? Ovviamente no. A calare il sipario c'è "Reborn In Flames" che dà fuoco alle polveri in maniera minacciosa, in un lento e corposo crescendo di intensità che ovviamente farà soltanto da preambolo all'ennesima mazzata sui denti, questa volta ancora più opprimente con continue mitragliate in blast beat e lunghe fughe in doppia cassa, anche se alcuni stop mi hanno ricordato paurosamente "Merciless Death" dei mai troppo valorizzati Dark Angel. Poco male perchè a cambiare un pò l'assetto invece della classica esplosione, c'è un godibile rallentamento con gli assoli più articolati del disco, con addirittura delle clean vocals baritonali a donare ancor più atmosfera in chiusura; ed invece dopo pochi attimi di silenzio ecco l'ennesima sfuriata che va a chiurere la partita in maniera esplosiva. Conclusioni: l'album nonostante una sconcertante ripetitività di fondo, funziona, anche se è lontano dall'essere imprescindibile per il genere. Normalmente viene annoverato come il disco migliore dei Vader o un capolavoro del death metal in generale, ma alle nostre orecchie, nonostante i buoni spunti, si presenta come un lavoro di transizione, perchè siamo ancora abbastanza distanti dal sound tipico che cacceranno fuori con il tempo, anche se ovviamente l'importanza di questo lavoro risiede proprio nell'essere un'altro tassello importante al compimento della ricerca di un sound più personale. Perciò prendetelo per quello che è: un'ottimo album di death metal ben suonato e ben eseguito, ma soprattutto come uno dei pilastri che andrà a sostenere la fortezza inespugnabile che sono oggi i Vader!


1) Silent Empire
2) An Act Of Darkness
3) Blood Of Kingu
4) Incarnation
5) Sothis
6) Revolt
7) Of Moon, Blood, Dream And Me
8) Vision And The Voice
9) Reborn In Flames

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