ULVER

Wars of the Roses

2011 - Kscope Music

A CURA DI
PAOLO FERRANTE
18/05/2015
TEMPO DI LETTURA:
9,5

Introduzione recensione

Sono passati ben quattro anni dall'uscita di "Shadows of the Sun", anni in cui i nostri Ulver non fanno uscire nessun prodotto musicale, nemmeno con altri gruppi in cui partecipano i membri. In questo lasso di tempo si raccolgono idee e, specialmente, nasce una collaborazione con Daniel O'Sullivan, polistrumentista londinese, che verrà inserito nella pianta del gruppo e vi rimane tutt'oggi. Nel 2011 esce un album degli Æthenor, band ambient elettronica in cui suonava O'Sullivan, in cui canta Rygg; allo stesso tempo esce "War of the Roses" in cui compare, per la prima volta, O'Sullivan in formazione. "War of the Roses" viene pubblicato nel 2011 in formato CD dalla Kscope Music - etichetta inglese nota per aver pubblicato gli album di Anathema e Katatonia - che continuerà a produrre gli Ulver per qualche tempo. Tra i produttori di questo album spicca il nome di John Fryer, noto per aver prodotto band del calibro dei Depeche Mode. La formazione artefice di questo album è composta da: Kristoffer Rygg, voce e programmazione; Tore Ylvisaker, tastiera e programmazione; Jørn Henrik Sværen, programmazione ed il nuovo arrivato Daniel O'Sullivan che si occuperà di chitarra, basso, tastiera e parti narrate. In questo album, inoltre, si ripete la tradizione delle collaborazioni esterne, ma questa volta il numero dei guest diventa impressionante: Anders Møller, Tomas Pettersen e Steve Noble (anch'esso negli Æthenor) alle percussioni; Stephen Thrower e Alex Ward al clarinetto; Emil Huemer alla chitarra; Trond Mjøen alla chitarra elettrica, basso, chitarra classica e lap steel guitar (chitarra di tipo steel che si suona tenendola in grembo da seduto); Stian Westerhus alla chitarra elettrica e chitarra elettrica con archetto (una chitarra elettrica suonata come se fosse un violoncello, con l'archetto, un noto esempio è Jimmy Page dei Led Zeppelin che a volte usò questa tecnica molto complessa perché è più difficile individuare con precisione le note usando l'archetto); Daniel Quill al violino; Ole Aleksander Halstensgård (è un DJ hip hop) all'elettronica; Siri Stranger alla voce nel terzo brano ed infine nientemeno che Attila Gábor Csihar (Mayhem), anch'esso nel terzo brano. L'idea dell'album sembra quella di riprendere il bel lavoro fatto con "Blood Inside" perché con "Shadows of the Sun" il gruppo si è imposto il limite, inutile, di non usare (o farlo davvero il meno possibile) alcun tipo di percussione ed il risultato non ha sempre premiato la band: in quel caso, forse, ad ispirare l'idea erano stati gli studi classici di Ylvisaker che andavano sfruttati al meglio. Anche in questo caso dunque il gruppo opta per un passo indietro, senza dimenticare l'esperienza del precedente album. Questo album non propone un concept vero e proprio, si tratta di singoli episodi che mantengono la loro individualità, la grafica invece sembra richiamare il lavoro di "Blood Inside": si pone come minimale e ripropone quello stile barocco imperiale inglese, mostrando uno stemma, emblema, in cui c'è il nome della band. Questo stemma è incorniciato di motivi vegetali ed ai lati riporta degli angeli raffaelleschi che reggono un globo terrestre. E' proposto in bianco e nero e mira ad una solenne sobrietà. La Guerra delle due Rose è il nome che la storia ha dato ad un conflitto dinastico che ha coinvolto i due rami dei Plantageneti nell'Inghilterra della metà del 1400: Lancaster e York. Fu dato questo nome al conflitto, o faida, per via del fatto che entrambe le casate avessero una rosa come stemma araldico familiare: rossa per i Lancaster, bianca per i York. Le cause del conflitto vanno rintracciate sia nel fatto che le famiglie si fossero avvicendate al trono per diversi anni, per via degli stretti rapporti di parentela, e dalla necessità di stabilire un erede al trono che potesse essere forte e benvoluto entrambe le famiglie invocavano, a vario titolo, un successore dei propri ranghi; sia nel fatto che l'Inghilterra, reduce dalla sconfitta in Francia della guerra dei cent'anni, con perdita di diversi possedimenti, si ritrovava in casa propria un consistente esercito che, mercenario, si concedeva al miglior offerente. In questo album ci sono alcuni riferimenti all'Inghilterra, molti ospiti e lo stesso O'Sullivan, come anche il produttore Fryer, sono inglesi e l'album appare come un omaggio alla cultura inglese.     

February MMX

Iniziamo l'ascolto dell'album con "February MMX" (Febbraio 2010), che parte con un drum'n'bass inaspettato, con uno stile quasi Funky, mentre sotto c'è un pianoforte andante in stile Progressive Rock. Il pezzo si evolve e la melodia si fa quasi malinconica, lo stile è quello di "Blood Inside" però le parti elettroniche, fino ad ora, sono inesistenti; la voce, anch'essa, deriva dallo stile del predetto album perché è acuta e melodica. Lo stile è quasi Progressive Rock/Blues a questo punto, sembra di ascoltare delle parti che potremmo aspettarci dagli Opeth più sognanti (il timbro vocale si avvicina molto). Ecco che appaiono le prime parti elettroniche, mentre le pulsazioni del basso continuano a ripetere lo stesso giro, in uno stile che è un revival degli anni '80, un salto indietro nel tempo. Un accenno di ritornello ad effetto, lo stile è difficile da inquadrare con precisione perché passa abilmente da un genere all'altro, confonde, non si muove mai su binari precisi e, nonostante tutte le impressioni date fino ad ora, verrebbe da dire (benché possa apparire assurdo) che viene alla mente anche un certo Glam anni '80, ingentilito. Mentre la melodia della voce, adesso più tipicamente Avant-Garde, continua a creare momenti suggestivi, le componenti elettroniche del sound si distorcono sempre più. Non siamo nemmeno ad un terzo del pezzo che questo si continua a ribaltare e, questa volta, un altro accenno di ritornello - o perlomeno questa è l'impressione che dà visto l'improvviso crescendo dinamico con esplosione di sound - diverso dal precedente, ci propone delle dissonanze ad effetto: l'ascolto spiazza, coinvolge, la mente è frastornata dall'improbabile e strana bellezza di ciò che si sta ascoltando. La parte continua con una voce dissonante, un pianoforte in free stile contemporaneo e parti elettroniche con rumori di disturbo, percussioni in tempi dispari ed atmosfere. A metà brano l'atmosfera si distende e si torna a sonorità più calme, ancora la batteria che duetta con un basso che, questa volta, è sintetico o fortemente effettato, la voce è ancora incisiva e cangiante; altri effetti programmati e poi una parte cantata in falsetto accompagnata da synth di ottantina memoria. Il risultato è quasi epico, adesso gli effetti elettronici si fanno sempre più articolati, poi una parte esclusivamente elettronica e le sonorità diventano quasi pop, forse dance addirittura. Il finale arriva e ci lascia perplessi, incerti di cosa abbiamo appena ascoltato. Il testo inizia parlando di un vecchio, che canta in faccia alla paura, un mantra ripetitivo sul perché siamo qui; il pubblico di questa performance è cieco, a ciò che avviene, la vita è un palcoscenico in cui viene messa alla berlina. Un passaggio è particolarmente significativo "The vertical lights of death / In codes of red and blue / Birds in black and white / And the drums of WWII" (Le verticali luci della morte / in codici di rosso e blu / uccelli in bianco e nero / ed I tamburi della Seconda Guerra Mondiale); nello scenario della seconda guerra mondiale il popolo inglese ha dato prova di una tenacia esemplare: sottoposto a costanti bombardamenti aerei solo la disciplina e la caparbietà hanno fatto sì che gli inglesi non venissero annientati. Le luci verticali di morte potrebbero essere i missili, ma potrebbero anche riferirsi al fatto che, in quel tempo, di notte c'era il black-out imposto dal governo: per evitare che i tedeschi potessero avvistare ad occhio nudo gli obiettivi gli inglesi erano costretti a nascondere qualsiasi tipo di luce durante la notte. I codici di rosso e blu è sicuramente un riferimento ai codici segreti utilizzati nelle comunicazioni militari: mentre i tedeschi utilizzavano un codice Y-Gerät, a volte definito Wotan nelle comunicazioni, di qui l'intuizione di un inglese che capì che il riferimento ad Odino (che nella mitologia ha un occhio solo) poteva significare si trattasse di un segnale di navigazione a raggio singolo. Questo portò alla conclusione che, usando dei nomi in codice troppo descrittivi, si correva il rischio che il nemico ne cogliesse il significato, dunque gli inglesi inventarono il Codice Arcobaleno, associando ad ogni cosa un colore, e creando anche associamenti di parole privi di significato allo scopo di depistare. Tatuati in lettere, genocidio è suicidio; in questo passaggio il testo pare riferirsi alle deportazioni nei campi di concentramento tedeschi. Poi conclude parlando delle conseguenze che i nostri figli avranno per colpa dei mali presenti.

Norwegian Gothic

"Norwegian Gothic" (Gotico Norvegese) ha un inizio orchestrale, toni neoclassici e drammatici e sonorità, appunto, in chiave Gothic. La voce interviene subito ed il timbro, sussurrato e gentile, ricorda il lavoro fatto in "Shadows of the Sun". Le voci diventano due, si intrecciano mentre ancora l'orchestra rimane cupa, si sentono spiccare le note acute e vibranti di un violino, alcuni disturbi fanno sembrare il pezzo come suonato da un vecchio giradischi. Arrivati ad un minuto c'è solo atmosfera, poi un violino, l'atmosfera aumenta sempre di più e si sentono dei disturbi come se fosse una vecchia pellicola o un vecchio vinile su un giradischi rotto; ancora atmosfere e poi una batteria che rulla, gioca sui piatti, lontana e ricca d'eco. Il pezzo è pieno di dissonanze, i ritmi non sono più forti e facilmente distinguibili come nel precedente pezzo: fungono più che altro da leggera atmosfera e accompagnamento. Di nuovo gli archi, si riesce a sentire anche la chitarra elettrica suonata con l'archetto, che regala atmosfere ricche, distorte e tremanti, anche se molto lontane. Le voci sono anche dissonanti, un clarinetto rende il tutto ancora più assurdo con le sue parti veloci e virtuose, che nel finale si trasformano in fischi e creano un suono che, assieme agli altri strumenti, imita quella che potrebbe essere una giungla o foresta. Questo pezzo è molto simile al materiale che si potrebbe ascoltare nel precedente album degli Ulver. Anche il tema è inerente a quello del precedente album, infatti si parla di una Norvegia ovviamente come baluardo della natura incontaminata, una storia di orgoglio e romanticismo, una fantasia fatata, i peccati dei nostri genitori che si riflettono nella natura, sfruttata nella fattoria. Un uomo, insomma, visto come intruso nella natura: che ne gode i frutti distruggendola. Il testo prosegue parlando di buone speranze, foto in bianco e nero, fantasmi dell'albero genealogico; in un cerchio di fuoco danzano le tradizioni e fanciulle vengono portate all'altare di latte e miele. Questo passaggio merita una spiegazione, seppure breve per ragioni di economia discorsiva, sul ruolo della donna nella cultura vichinga: è un dato di fatto che la donna, nella legge islandese (Grágás), aveva il divieto di portare abiti di foggia maschile, avere i capelli corti e portare armi; così come prevedeva che la donna fosse sotto l'autorità (il corrispettivo del mundium o munt dei Longobardi, autorità da non leggere come "proprietà": si può associare ad una sorta di responsabilità genitoriale permanente, che comunque non escludeva del tutto la capacità di autodeterminazione della donna) del marito, o del padre; non poteva prendere parte a diverse attività pubbliche o rivestire la carica del goði (una sorta di via di mezzo tra capo villaggio e feudatario), o fare da testimone. Eppure, nonostante ciò, godeva di una libertà ben superiore a quella di cui godevano le donne nell'Europa mediterranea: gestiva le finanze della famiglia, poteva addirittura essere una imprenditrice ed avviare attività in proprio, non era obbligata a sposarsi ed era difesa da corteggiamenti indesiderati, poteva muoversi liberamente ed avere proprietà, viaggiare per nave di isola in isola e, pare, anche combattere assieme agli uomini oltre che incitarli con urla disumane durante la battaglia. Ritrovamenti archeologici e riferimenti storiografici dimostrano come esistessero alcune donne avvezze alla battaglia, le skjaldmær (trad. lett. Fanciulle Scudo). In questo testo la donna viene presentata all'altare nuziale come un sacrificio, di qui il paragone col latte ed il miele che di solito si potevano versare come sacrificio agli dèi; la donna data in sposa forzatamente vista come un agnello sacrificale. In "Svidd neger", film oggetto della colonna sonora degli Ulver anch'essa descritta in queste pagine, c'è la scena in cui una fanciulla norvegese, Anna, versa lacrime amare costretta - da famiglia e prete cattolico, disprezzati da lei e dall'amante di lei - a sposare un uomo ripugnante. Capre macellate e scopate nei boschi, sangue che scorre, questa è l'eredità norvegese; ed il testo si conclude con questa cruda ed amara riflessione.

Providence

Il terzo brano, "Providence" (Provvidenza), inizia con un pianoforte solitario, anch'esso un elemento ormai ricorrente ed apprezzato dei lavori degli Ulver: la sensibilità di Ylvisaker, raffinata dagli studi classici, è capace di regalarci momenti di enorme intensità. Questo pianoforte viene proposto coi disturbi tipici della vecchia registrazione, suono che conferisce alla melodia un'ulteriore carica espressiva e significato malinconico. Trenta secondi di pianoforte romantico e struggente, dopo dei quali la voce di Rygg, duetta con la voce della contralto Siri Stranger, esponente del pop romantico norvegese. Le due voci duettano alternandosi, poi interviene un violino ed una chitarra elettrica, poi le voci di Rygg formano un coro; poi è il momento della voce femminile che, questa volta, si muove nel registro pop melodico con un'interpretazione che ricorda le scelte stilistiche di Whitney Houston per via dei vibrati e della voce calda e flautata. Il sottofondo è carico di suspense, accordi lenti di chitarra mentre il pianoforte continua a riproporre lo stesso fraseggio, il violino è un canto soffuso che emerge nelle sue note più acute. Ancora un'alternanza di voce in cui Rygg si mantiene sugli acuti mentre lei prende le frequenze basse, un nuovo passaggio di voce femminile sfiatata molto vicina allo stile Gothic alla Liv Kristine, con sottofondo di pianoforte e violino. Alcuni effetti elettronici segnano il passaggio a sonorità differenti, effetti industrial ed una chitarra suonata con archetto, siamo nel regno del surreale, poi un clarinetto sconvolge ulteriormente le nostre orecchie, una batteria in primo piano con quello che sembra un assolo infinito, un tempo veloce che gioca molto su piatti e rullante, un crescendo di intensità sonora e poi il silenzio, appena dopo la voce femminile su pianoforte e violino, ancora si sentono i disturbi di registrazione. Una parte che permette di sentire meglio il lavoro del violino, il piano si spegne lentamente e lascia spazio ad effetti sintetici con onde ed atmosfere da dungeon, sempre più cavernoso. Dei versi mostruosi, ultragravi e laringei, si fanno sempre più vicini scendendo nelle profondità abissali, atmosfere acute, è l'inquietante contributo di Attila Gábor Csihar, che continua fino alla fine del brano. Il testo ha un sapore intimo, inizia dicendo che continuiamo a bere un infido veleno, fatto più di dolore che di rabbia. La nostra pelle è sottile, lasciata all'amore, e le nostre maschere vengono scartate per via della pena che scontiamo. La cieca rabbia della giovinezza, il tema successivo, è stato oggetto di una riflessione di Rygg in un'intervista che spiegava perché, dopo la "trilogia pagana" il gruppo avesse scelto di proporre sonorità diverse: Rygg spiegò che passata la fase della ribellione giovanile, aveva scelto di esprimersi in un modo più adulto, ecco spiegata la scelta che ha portato a "Themes from William Blake's The Marriage of Heaven and Hell". La stessa riflessione viene proposta in questo testo che si conclude affermando che tutte le pulsioni animalesche nascondono la verità: non c'è salvezza, la provvidenza è perduta.

September IV

Il quarto pezzo è "September IV" (4 Settembre), l'inizio ha degli effetti sintetici che imitano il suono di un organo e la stessa melodia ha qualcosa di ecclesiastico, ancora rumori di disturbo di vecchia registrazione, poi una batteria ed il pezzo assume una natura pop lento e romantico con sfumature Gothic; il pianoforte assomiglia più ad un pianoforte adesso. C'è una qualche reminiscenza Depeche Mode nei cori, tutto è leggero e romantico, parti di chitarra in stile rock leggero. La batteria rimane ancora in prima linea e la chitarra principale è molto melodica e si ripete con intensità maggiore quando non sta accompagnando la voce, voce che è un sussurro forte e carico di emozioni. Un basso sostiene il sound e questo è quanto di più simile al Rock possiamo sperare di ascoltare nell'album, una parte elettronica con un suono di organo, poi una batteria con un ritmo veloce su dei rumori che si moltiplicano di più fino ad arrivare ad un'intricata parte elettronica molto ritmata, sperimentazioni con glissando sintetici, pulsazioni ritmiche e psichedelici acuti che portano alla memoria sperimentazioni alla Pink Floyd. Le due chitarre creano un suono enorme e massiccio, che si associa ai numerosi effetti sonori che rafforzano la ritmica veloce e sperimentale della batteria. Il brano finisce con degli acuti armonici di chitarra, ci lascia molte buone impressioni specie nella parte che ricorda i Pink Floyd per l'utilizzo di suoni psichedelici mentre le chitarre si dedicano ad accordi lunghi ed atmosferici. Un pezzo davvero molto curato, al contempo ambizioso e retrospettivo. Il testo riflette la natura sacrale dell'inizio proponendo l'immagine di una famigliola che si raduna per la preghiera, dinanzi al letto dove lui è stato messo a giacere, con gli occhi chiusi, in un bellissimo abito nero. Questo lui è un ragazzo, un fratello, un figlio, un amante rispettivamente per le persone in preghiera; la sua dipartita violenta ed improvvisa ha lasciato quelle persone senza parole, con gli sguardi lontani che passano dal padre alla madre, che vengono lasciati soli. Il testo finisce con la frase "In memoria di Vegard", un nome comune norvegese. Il testo vuole dipingere l'atmosfera di disperata, eppure composta, veglia funebre in occasione della scomparsa di Vegard il quale lascia soli i familiari affranti.

England

Il successivo "England" (Inghilterra) inizia con un coro gregoriano e dei rintocchi di campane, l'atmosfera riesce ad essere ancora più sacrale di quella del precedente brano, su questa base si inserisce un pianoforte delicato dal sapore gotico e neoclassico. Poi una batteria spezza il torpore dell'atmosfera, rintocchi di campane che coincidono coi tempi forti, una voce che si attesta su un Gothic Rock di buon gusto, il sound è disturbato da alcuni effetti sonori. La voce è più sonora, si esprime in una vocalità piena e medio-alta, dai toni drammatici e grintosi, sulla metà del pezzo la voce è spinta in avanti e raggiunge il pieno della potenza in uno stile da Progressive Rock/Metal di impatto. E' interessante notare come la base strumentale in questo caso sia più semplice, volutamente immagino, e dia alla voce più spazio per esprimersi in un'interpretazione brillante, decisa ed incisiva. Il pianoforte assicura al tutto la delicatezza, che non può mandare negli Ulver, i suoni sintetici sono sporchi ed industrial, in una pausa si riescono a sentire dei latrati frenetici, poi il sound si distende in un lungo rumore basso e continuo, condito di acuti di pianoforte, il finale è un insieme di rumori industrial/elettronica. Il testo, un omaggio all'Inghilterra imperiale ai tempi della Guerra delle due Rose, descrive una battuta di caccia: si monta sul cavallo ed i cani da caccia seguono fedeli. Nella guerra delle due Rose Margaret of Anjou, moglie del Re malato Henry VI, dovette resistere alle pressioni del duca di York, Richard Plantagenet, che, molto ambizioso, era stato nominato reggente in occasione della malattia del Re ma non aveva intenzione di attendere la sua morte (o, peggio ancora, la nascita di figli del Re) prima di pretendere il trono per sé. Così si innescò una guerra civile che vedeva opporsi le due fazioni: quella fedele ad Henry VI, o per meglio dire alla tenace regina che aveva preso in pugno la situazione, e quella invece che appoggiava la causa del duca di York; dopo, com'è noto, tra i due litiganti il terzo gode ed i vantaggi andarono ai Tudor che, appropriandosi delle spoglie dei contendenti sostituì alla vecchia aristocrazia una nuova, nominata attingendo ad alti funzionari, e garantì un lungo periodo di pace. Il profumo di innocenza, la guerra delle rose; la mano che offre il cuore è infedele, piena di promesse vuote. Questo passaggio sembra riferirsi agli intrighi di corte che hanno caratterizzato la summenzionata guerra. Una giubba rosso sangue e bianco osso, il riferimento va ovviamente all'uniforme delle troppe britanniche, note anche come red-coats (giubbe-rosse); un abito adatto ad una regina, quindi si riferirà alla battagliera ed intrigante Margaret of Anjou? Un piede mozzato di un animale che pende come macabro trofeo della caccia, un gioco perso, e forse in questo ultimo passaggio il riferimento va al fatto che i Lancaster abbiano perso la loro guerra.

Island

Il penultimo brano, "Island" (Isola), si presenta in modo più caratteristico con un'esotica lap steel guitar, piatti spazzolati leggermente ed una voce delicata e sognante che evoca atmosfere rilassate e solari. Percussioni sintetiche, quasi orientali nel timbro, concorrono a delineare un'atmosfera da meditazione, un sogno introspettivo. Rimaniamo nell'onirico con la voce, un sussurro dolce che teme di svegliarci, la melodia è accogliente e si aggancia bene alla base semplice nelle melodie ma ricca di effetti. Un arpeggio e dei rumori di gabbiani, stiamo sorvolando le onde del mare e del suono in uno scenario di calma, un mare piatto e soleggiato mentre con la mente guardiamo dall'alto le meraviglie del creato. Un pezzo che ci fa sognare, continua costante, prende ritmo e lo mantiene, alcune parti corali con degli acuti davvero efficaci e struggenti. Effetti che sembrano sabbia, altri che sembrano il frizzante odore del mare; nella seconda parte le voci si fanno più acute, poi una parte ambientale. Effetti acuti che ricordano molto la Goa Trance (gli attenti lettori delle precedenti recensioni degli Ulver saranno ormai familiare col termine), suoni di sabbia ed altre suggestioni rasserenanti. Successivamente il rumore di un sonar e poi dei disturbi si sovrappongono agli arpeggi, al rumore della sabbia e delle onde che si infrangono sulla costa. Un violino, proprio sul finale, fa una breve apparizione malinconica, assieme ad un pianoforte. Il testo costituisce un ennesimo omaggio all'isola britannica, fonte d'ispirazione, a parte alcune eccezioni, del presente album che, però, non consiste in un concept vero e proprio come avrete avuto occasione di constatare. Il testo ci racconta di come siamo finiti così lontano, oltre ogni speranza ed ogni preghiera; credere in niente pur sempre una forma di fede, un faro nell'occhio della tempesta, un incubo. Le frasi si susseguono delineando un paesaggio chiaramente isolare, con riferimento ad elementi del mare, ma la metafora vuole indicare riflessioni che non sono nel profondo dell'oceano, ma nel profondo dell'animo: seguire il segnale di una nave fantasma, i nostri nomi sono scritti sulla sabbia. Insomma ciò che si descrive è un viaggio verso l'ignoto e lo sconosciuto ad opera di soggetti che sono entità transitorie nel mondo, entità che potrebbero sparire da un momento all'altro, come ci ricorda il triste pezzo, in memoria di Vegard. Il testo è una poesia molto profonda.

Stone Angels

L'ultimo pezzo è "Stone Angels" (Angeli di Pietra), con la considerevole durata di quindici minuti, inizia col suono di un organo con melodie che sembrano imitare la composizione sacra, una suggestiva chitarra elettrica suonata con archetto, l'atmosfera è arricchita da un clarinetto molto lento e leggero. Una voce inizia a recitare ed ecco che siamo molto vicino a quanto fatto coi precedenti lavori del gruppo, quali ad esempio "Themes from William Blake's The Marriage of Heaven and Hell", con la voce narrante di O'Sullivan, suoni da dungeon rendono mistico il pezzo. Stiamo assistendo a qualcosa di importante, i suoni striduli e distorti della chitarra elettrica suonata con l'archetto si alternano con le dolci melodie del clarinetto. Dei rumori come di pioggia, mentre l'atmosfera è ancora resa dal suono dell'organo sul quale gioca la chitarra. Trascorso un primo terzo del pezzo si passa a sonorità più elettroniche con effetti più intensi, la voce smette di narrare ed a turno ogni strumento prende il sopravvento e porta la melodia principale, che non segue alcun tema ma è un'evoluzione che sembra avere i caratteri dell'improvvisazione libera. La voce riprende la narrazione, sembra di ascoltare un racconto mistico, la base strumentale ci trascina in un mondo surreale, mentre la voce ce lo racconta. Arrivati a metà pezzo, complice il suono dei piatti di batteria, le atmosfere continuano ad accompagnare la voce narrante, che con la stessa andatura pacata, continua a raccontare. Successivamente dei rumori, che assomigliano al timbro della tromba, accompagnano un clarinetto sperimentale in una pausa prima che riprenda il racconto. Rumori insistenti e quasi alieni nell'inizio della terza parte del brano, acqua che scorre, uno stacco di batteria? tutti suoni che si susseguono senza spiegazione. Dei suoni più angelici, calma e quello che sembra un coro sintetico, disturbato da rumori elettronici - la voce continua a parlare - poi la base prende ritmo e si cimenta in una marcia bellica con rullanti al primo posto. Questo fino a due minuti prima della fine, in cui la voce narrante viene lasciata quasi completamente sola, se non fosse per un'onda sonora leggerissima e subliminale. Poi la fine. Il testo assomiglia alle riflessioni di Blake riportate nell'album citato, è frutto della poesia di Keith Waldrop, nato nel Kansas, poeta e traduttore di opere francesi (insignito Chevalier des arts et des lettres dal governo francese). Le statue degli angeli, in questo testo, sono degli esseri randagi che vanno su e giù, tramite dei gradini fatti di aria, mentre noi uomini rimaniamo giù, ricoperti dal prato. Questi angeli restano immobili e di pietra, delle affermazioni di cose già passate da molto, sono degli angeli che puntano alla morte del tempo, ma non sono affatto eterni, la loro unica forza sta nello stare fermi, ultimi bagliori di una vecchia religione. Vengono immaginati senzienti, allora, e che scendono in mezzo a noi, ma non sono in grado di vedere nulla: insensibili e ciechi ai problemi umani. I loro corpi riproducono quello umani, nelle sue imperfezioni ed asimmetrie, nonostante essi non abbiano nulla di umano. I nomi scolpiti non sono quelli degli angeli, ma in realtà sono i nostri stessi nomi, cose che derivano dalla nostra mente e dalla nostra fantasia, aspettative, implorazioni, macchie su superfici esposte; aspettandosi nulla senza la sofferenza, si arriva ad aspettarsi null'altro che sofferenza. Il testo fino ad ora sembra essere una critica nei confronti degli angeli di pietra che, pur sembrando umani, non hanno nulla di umano ed anzi sono spietati ed insensibili rispetto alle necessità umane; fieri e ciechi rappresentanti di una vecchia religione in declino che insegna ad implorare soffrendo, con la conseguenza di costringere ad una vita fatta solo di sofferenza. Si parla del nostro predecessore Adamo, che ha sbirciato in profondità sconosciute e si è innamorato di essere (l'imperfezione umana?), un mondo pieno di vuoto da colmare con la curiosità. Altre dimensioni si possono aprire se ci si spinge lontano, col pensiero, stando attenti a non distruggere comunque la realtà sulla quale ci appoggiamo. Un animale è sacrificato al cielo, un'offerta data alle fiamme. Questi angeli hanno una prospettiva di vita maggiore della nostra, sebbene comunque i loro arti di pietra siano così fragili e delicati, se il nostro tempo è un fiume che scorre, il loro è un mare. La notte è definita come una cripta, in cui si sta impazienti per il giorno a venire, come una barca la sera, una marcia funebre, un notturno a mezzogiorno. Queste riflessioni profonde e poetiche, che in lingua originale hanno giochi di parole che risulta difficile riproporre in italiano, chiudono l'album.

Conclusioni

Un album davvero ben fatto, lascia un'ottima impressione: riesce a portare con sé la sensibilità compositiva maturata con "Shadows of the Sun" senza però trascinarsi dietro i limiti dell'assenza di percussioni ed integrando con gli ottimi spunti offerti da "Blood Inside" in un amalgama che si può descrivere come un passo indietro, col senno di poi. Le numerose partecipazioni esterne, le ardite scelte compositive che hanno introdotto il clarinetto e chitarre elettriche suonate nei modi più inusuali hanno certamente concorso al risultato finale. Un lavoro di gran pregio che ci mostra degli Ulver che, forti di un quarto membro appena acquisito, hanno ancora voglia di innovarsi e rivoluzionarsi, facendo ulteriori passi in avanti. Un album che attinge, per ispirarsi, ad eventi storici di rilievo dell'Inghilterra, forse anche in onore del nuovo membro della band, senza dimenticare la patria Norvegia per poi arrivare a riflessioni di carattere universale. Non si tratta di un concept questa volta, nemmeno lontanamente, ma se c'è qualcosa che unisce tutti questi brani, da un punto di vista concettuale, è la tenacia e lo stoicismo dimostrato dalla regina nella Guerra delle due Rose; emblema della cultura inglese che caratterizza un popolo fiero capace di compiere l'inaspettabile. L'ingente mole di artisti, tra i quali i clarinettisti e chitarristi, ma anche la voce della cantante che tanto ha dato limitatamente ad un pezzo, è stata giostrata con abilità ottenendo dei pezzi che, pur forti di una loro identità, non si discostano eccessivamente l'uno dall'altro. Questa è un'ottima prova del gruppo, premiata con grandi successi nelle vendite - meritati - che dimostrano che la scelta della sperimentazione, per quanto ardita, riserva dei premi per chi ha una certa sensibilità e continua ad investire nella passione per la musica. Le componenti Rock o Metal si possono intravedere in questo album, a differenza dei tanti altri della band, per cui questo potrebbe essere un ascolto adatto a chi, avvezzo a stili Rock/Metal, cerchi un'introduzione alle sonorità degli Ulver del secondo periodo; un album trasversale che attraversa molti stili senza fermarsi in uno in particolare. Gli Ulver sono un progetto caro agli ascoltatori di Rock e Metal, ecco spiegata la loro presenza nelle nostre pagine, e la loro musica - questo album in particolare - può rappresentare per i giovani ascoltatori un'occasione imperdibile per sperimentare nuove sonorità.

1) February MMX
2) Norwegian Gothic
3) Providence
4) September IV
5) England
6) Island
7) Stone Angels
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