ULVER

Kveldssanger

1996 - Head Not found

A CURA DI
PAOLO FERRANTE
23/04/2015
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione recensione

Abbiamo già avuto modo di parlare dell'album d'esordio degli Ulver, "Bergtatt - Et Eeventyr i 5 Capitler", in queste pagine, raccontando di come questa band norvegese nata nel 1993 si sia distinta, sin dall'esordio, per la volontà di sperimentare, cambiare, mettersi sempre in discussione e rivoluzionare il Metal in generale (e non solo). Già nel proprio primo album gli Ulver hanno mostrato come si può mettere tanta carne al fuoco senza bruciare il risultato, l'hanno fatto in un lavoro breve ma curato nei minimi dettagli in modo maniacale. Col secondo album, "Kveldssanger" (pubblicato in CD nel 1996 dalla "Head not Found"), oggetto della presente trattazione, non solo cambiano gli obiettivi prefissati ma anche la strategia per raggiungerli ed il metodo compositivo. Ma facciamo un passo indietro, torniamo alla formazione: alla voce abbiamo ancora Kristoffer Rygg, in arte Garm, che nel precedente album si era cimentato nello scream ed anche in importanti parti vocali in clean con quei cori armonici di voci sovrapposte che hanno spiazzato gli ascoltatori sin da allora; alle chitarre classiche ancora Havard Jørgensen, che (nel 1992 suona nel demo All Evil dei Satyricon) seguirà la band dal primo al quarto album per poi dedicarsi ad altri progetti che non hanno nulla a che vedere col Metal; alla batteria resta Erik Olivier Lancelot alla batteria ed in questo album anche al flauto, col nome d'arte AiwarikiaR, che seguirà la band fino al quarto album del 1998, attualmente non è impegnato in nessun progetto rilevante; ed Alf Gaaskjonli al violoncello, che per quanto riguarda il Metal, compare solo in questa pubblicazione. La formazione si presenta più snella rispetto al primo album: non c'è il bassista Stephen James Mingay, in arte Skoll, manca anche il secondo chitarrista Torbjorn Pedersen, in arte Aismal, non c'è neanche il flauto e la voce femminile di Lill Katherine Stensrud ed il pianoforte di Steinar Sverd Johnsen (che comunque avevano fatto piccole comparse). Questo snellimento della formazione è giustificato dal fatto che con questo secondo album, come preannunciato, il gruppo si poneva un obiettivo totalmente diverso e lo spiegherà lo stesso Garm in un'intervista del 2007 definendo questo album un "immature attempt at making a classical album" ("immaturo tentativo di fare un album di musica classica"), per poi correggere il tiro precisando che sebbene la performance fosse immatura rimangono salvi i forti contenuti, considerando la loro ancora breve carriera artistica a quel momento. Lo stesso Garm in un'altra intervista fornisce un altro particolare degno di nota - determinante per comprendere lo spirito col quale è nato questo lavoro - affermando che "A lot of those songs were developed in the studio with basically a riff and a click track and layering the guitars. When a second theme came on top of the first theme we could kind of drop the first theme and develop on the second theme, and that's how we pieced the whole thing together. So it was, in a way, experimental. It was following its own natural logic, so to speak. We really didn't have a lot composed before we went into the studio, so already then we were using the studio as an instrument ? as we still do ? even though we had a more limited palette." ("Un sacco di queste canzone sono state sviluppate nello studio con praticamente un riff ed una traccia con click e sovrapponendo le chitarre. Quando un secondo tema si aggiungeva al primo tema allora potevamo lasciare stare il primo tema e sviluppare il secondo, e questo è come abbiamo messo insieme tutte quante le cose. Dunque è stato, in un certo senso, sperimentale. E' stato seguire la logica naturale della cosa, per così dire. Non avevamo affatto un sacco di cose composte prima di andare in studio, quindi già allora usavamo lo studio come uno strumento - come facciamo ancora adesso - anche se avevamo una tavolozza [di colori intesi come influenze n.d.t.] più limitata"); oltre a rimarcare l'indole sperimentale del gruppo, queste considerazioni sono necessarie a comprendere anche con quale spirito ascoltare i brani inclusi in questo album e può essere una valida spiegazione per il fatto che sono pochi i pezzi ad avere dei testi (in ragione del fatto che l'obiettivo fosse un qualcosa di classico prevalentemente strumentale) ed i pochi pezzi con testi hanno testi davvero brevi ripetuti più volte (forse questo si spiega col fatto che abbiano dovuto comporli in studio sul momento), anche in questo caso la portata sperimentale dell'album ha portato ad una durata complessiva poco superiore a trentacinque minuti. "Kveldssanger", così come il primo album, ha una copertina tratta da un dipinto olio su tela realizzato dall'artista Tanya Stene, l'immagine mantiene il tema della foresta ma questa volta si compone di più colori: dal blu notte dello sfondo con diverse sfumature, alle diverse sfumature di verde e marrone per la foresta che - a differenza della copertina del primo album - non appare più compatta e lontana ma appare vicina. In primo piano la figura eterea, quasi fatata, di una fanciulla dorata mentre da sinistra un lupo bianco che balza quasi a voler ghermire quella fanciulla. Questo dipinto merita una spiegazione che può essere fornita solamente aiutandosi col titolo dell'opera, Kveldssanger (Canzoni del crepuscolo), e ricordando che gli Ulver sono dei veri appassionati di mitologia nordica la quale ispira tutti i loro testi: infatti questa immagine, come suggerito dal titolo del primo brano "Ostenfor Sol og vestenfor Maane" rientra perfettamente nel mito di Sól (Sole) e Máni (simile a moon è la Luna). Nella mitologia nordica va precisato che la Luna è personificata al maschile, mentre il Sole è personificato al femminile, ecco chi è la fanciulla dorata ritratta nella copertina: è Sól. Il mito vuole che Sól e Máni percorrano la volta celeste su una carrozza (è stupenda la similitudine col mito di Apollo), il gusto gotico della mitologia nordica emerge dal particolare che questa carrozze sono inseguite da due lupi feroci: Sköll dà la caccia ai cavalli Arvakr and Alsvidr che sospingono il carro di Sól, mentre Hati - il fratello del primo lupo - dà la caccia a Máni (questa caccia avrà successo simultaneo, per entrambi i lupi, nel giorno del Ragnarok). Si arriva dunque alla conclusione che il lupo a sinistra della copertina altri non è che il feroce Sköll che continua a dare la caccia alla fanciulla dorata Sól - nella notte - mentre questa non è sul carro a percorrere la volta celeste trainata da Árvakr and Alsviðr. Dopo queste premesse, calati nel fascino mitologico, possiamo iniziare l'ascolto di questo album.

Ostenfor Sol og vestenfor Maane

L'album inizia con "Ostenfor Sol og vestenfor Maane" ("Ad Est del Sole ed ad Ovest della Luna"), brano il cui incipit presenta immediatamente un sound che si distacca dal precedente album, senza però tagliare tutti i ponti: si può ascoltare un violoncello (che nel precedente album l'aveva fatta una piccola apparizione) ed una chitarra classica che arpeggia. L'inizio ha un approccio davvero classicheggiante, i toni sono più distesi e non si avverte quel senso di inquietudine che dava l'atmosfera del primo album. Le due chitarre sovra incise dialogano mentre il violoncello funge da contrabbasso creando l'atmosfera e riempiendo il sound; a pochi secondi dall'inizio sopraggiunge la voce di Garm che non è assolutamente uno scream e nemmeno il coro di voci sovrapposte e riverberate: è una voce in stile folk norvegese (molto vicina ai canoni Viking quindi). L'atmosfera è calma, a metà tra l'epico ed il malinconico. Subito dopo ecco che si presenta il coro di voci sovrapposte, questa volta non è il coro etereo del primo album ma è un vigoroso coro in stile altrettanto Viking, come da tradizione norvegese/islandese. Le atmosfere malinconiche si fanno sognanti quando il coro scompare di colpo e cede lo spazio ad un passaggio di violoncello, poi succedono degli arpeggi acuti che rendono l'atmosfera quasi gioiosa. Ecco che un coro melodico ritma una "A", a questo coro se ne aggiunge un altro che improvvisa un controcanto che si incastra col primo e si sviluppa, cresce: le melodie sono semplici ed incisive, sembrano uscire fuori da sole, come fossero una necessaria evoluzione, come raccontato da Garm stesso nell'intervista di cui sopra. Superata la metà del pezzo il coro passa ad un accordo più acuto, mentre la base fornita da violoncello e chitarra rimane stabile nel ritmo, questo nuovo accordo permette nuove evoluzioni e determina un crescendo di intensità emotiva nell'ascolto del pezzo; su questo si sovrappone la stessa melodia cantata dalla voce solista all'inizio. Inutile dire che la voce, in questa seconda parte, è predominante perché, mentre la base si ripete costante, più parti vocali si sovrappongono; sono le stesse parti ascoltate singolarmente che vengono sovrapposte a nuove parti e dunque offrono nuovi risultati. Un nuovo momento strumentale in cui le chitarre possono riprendere brevemente il centro dell'attenzione, poi entra in gioco un flauto che suona una nuova melodia, successivamente un secondo flauto che duetta col primo. Il testo è semplice, si compone di tre righe "Ostenfor Sol og vestenfor Maane / Dit kommer du sent eller aldri / Til Verdens Ende bærer det" ("Ad Est del Sole ed ad Ovest della Luna / là arriverai tardi o mai / fino alla fine del mondo va avanti"), in questo passaggio è evidente il riferimento al mito di Sól e Máni che si avvicendano, ognuno a bordo di un proprio carro trainato da due cavalli, nella volta stellare fuggendo dai lupi che li inseguono, per sempre fino alla fine del mondo che è rappresentata appunto dal Ragnarok. La scelta di questa leggenda come tema della copertina e come tema del primo pezzo non può essere stata casuale: chi ha letto la recensione del primo album - presente in queste pagine - ha già avuto modo di vedere come le tematiche trattate nel primo album avessero al centro la storia di questa ragazzina che fugge; lo stesso tema viene riproposto in questo secondo album e non può essere stato un caso. In "Kveldssanger" si ripropone un'ambientazione oscura, si ripropone la foresta e si ripropone la fanciulla, questa volta Sól, che fugge da un mostro feroce.

Ord

Il secondo brano è il breve "Ord" ("Parole"), con diciassette secondi di coro a cappella, si può sentire un basso continuo che dà sostegno ad un coro di due voci con armonici differenti a metà tra il folk ed il gregoriano che scandisce la frase che forma il testo del brano. Questo pezzo ha una natura fiabesca e le voci sembrano raccontare una storia con l'atteggiamento del bardo, il brano si atteggia ad intermezzo prima del successivo strumentale, più corposo. Il testo è una frase molto misteriosa: "Ikke bor den love aa vandre I morket, / Som ikke har sett natten" ("Non essere colui che promette di vagare nell'oscurità, / ma non ha visto la notte"). Se vogliamo cercare di dare un'interpretazione a questa frase nel contesto dell'album non possiamo fare a meno di iniziare dalla premessa del mito di Sól e Máni e verificare in quale occasione viene proposto questo mito nell'Edda poetica; in effetti emerge che, in una sfida di conoscenza tra Odino (in incognito come spesso accade nell'Edda) ed il jotunn (gigante di ghiaccio della mitologia norrena) Vafþrúdnir, ad un certo punto Odino concede a Vafþrúdnir la prima domanda della sfida e quest'ultimo mette alla prova il proprio ospite sconosciuto circa gli stalloni che conducono il Giorno e la Notte sui cieli, Odino risponderà narrando il mito. Odino è una divinità che viene appellata con almeno duecento nomi (appellativi) diversi, che ne descrivono al contempo le caratteristiche: una caratteristica è quella, ribadita in più occasioni, del Vádi vitnis ("avversario dei lupi") e Bági ulfs ("nemico dei lupi"), ma la più importante in assoluto è forse quella del Váfudr ("viandante") e Ganglari (sempre "viandante"): infatti Odino viene sempre descritto (nella manifestazione terrena) come un vecchio e barbuto viandante guercio il quale ha ceduto un occhio per avere la conoscenza ed in più occasioni accetta supplizi atroci per poterne ottenere altra. La frase del testo potrebbe, con un vago riferimento a come Odino ha ottenuto (in diverse occasioni) ottenuto la conoscenza, voler ammonire circa il fatto che per poter vagare nell'oscurità (intesa come l'ignoto) bisogna prima aver visto la notte (intesa come quella parte dell'ignoto piena di pericoli, come abbiamo avuto modo di constatare con la recensione del primo album).

Hoyfjeldsbilde

 Il terzo brano è "Hoyfjeldsbilde" ("Immagine delle alte montagne"), strumentale che inizia con due chitarre sovrapposte di cui una dal timbro chiaro e dall'arpeggio veloce, una più grave e d'accompagnamento. Si inserisce subito una terza chitarra che rende più intricata la trama, accordi che cambiano in un'atmosfera classica ma dall'evidente sapore folk celtico. Il brano è malinconico, romantico, evocativo e molto calmo, rilassante a tratti. La melodia si ripete e la variazioni sono poche, l'incedere calmo e ripetitivo ha un qualcosa di rasserenante, alcuni passaggi si ripetono e tornano. Nell'ultima parte c'è un piccolo accenno di assolo, che però si traduce in un semplice virtuosismo con crescendo fugace. Il finale è una nota grave che sfuma nel silenzio che si protrae per alcuni secondi.

Nattleite

Il brano successivo è "Nattleite" ("Tempo notturno"), della durata di circa due minuti, come il precedente. Il brano inizia con due violoncelli sovrapposti ed un pizzicato sugli armonici, molto evocativo ed atmosferico, un breve passaggio che crea una sensazione di attesa. Inaspettato fa il suo ingresso un coro, anche questo di bathoriana memoria (mi riferisco al periodo "Hammerheart"), che ha finalità puramente melodica e non pronuncia parole, ma la "A" che abbiamo ascoltato in altri brani degli Ulver. Il brano, anche in questo caso, è a metà tra una struggente melodia folk nordica ed un brano dal sapore puramente classico, specie per via del lavoro dei violoncelli che accompagnano una melodia dal sapore folk, sì, però lo fanno con un approccio tipicamente classico. Anche questo brano si pone al centro ed è difficile stabilire se il risultato tenda più dal lato del folk che, piuttosto, dal lato del classico; a parte alcuni punti in cui, ad esempio, predomina il coro e quindi sembra più folk, o altri in cui ci sono dei passaggi in cui risalta il violoncello e dunque si avverte maggiormente il tocco classico. Ancora una volta il sistema delle sovrapposizioni ripropone la stessa melodia mischiandola in modi diversi e facendo interagire le stesse parti corali in modi diversi; anche in questo brano il coro nella parte centrale si fa più acuto e porta ad un aumento di intensità emotiva l'ascoltatore, un crescendo di tono e di volume che rapisce per poi calmarsi subito, addolcirsi con la complicità del timbro vellutato del violoncello. A metà pezzo c'è uno stacco secco del violoncello, che inizia a prendere ritmo e riparte col proprio lavoro di basso continuo introducendo un ritmo del tutto diverso, le voci del coro sovrainciso acquistano vigore e trasmettono alla melodia un ritmo più acceso, ma immediatamente si spegne in una morbida discesa per ritornare nuovamente atmosferico e dolce. Il coro continua ad intonare melodie sulla falsariga dell'accordo fondamentale, una breve pausa e riprende, e melodie si aggiungono incastrandosi l'una all'altra. Anche questo pezzo sfuma sul finale e lascia alcuni secondi di silenzio prima di passare al successivo.

Kveldssang

Si passa al quinto, "Kveldssang" ("Canzone del crepuscolo"), altro brano strumentale, ancora più breve dei precedenti, della durata di un minuto e mezzo. L'inizio è quasi funereo, molto lento e con tocchi bene scanditi, continua in questo mood tristissimo ma non trasmette disperazione: trasmette più tosto una triste calma notturna, dove tutti i sensi si assopiscono e quindi il ritmo della vita si fa più lento. Questo pezzo è quasi totalmente in stile classico, presenta una struttura con basso ostinato sulla quale si incastrano e si collocano le variazioni della parte acuta, sia per il tocco sia per le scelte melodiche è un qualcosa che si potrebbe paragonare ad una sonata al chiaro di luna: lavoro in cui si sono cimentati noti compositori come BeethovenChopinDebussy.. Come la sonata di Beethoven anche questo brano mantiene costante il ritmo e le variazioni sono poche e consistono in tocchi delicati, mentre gli altri due compositori, romantici, mettono maggiore brio nella sonata dandogli una dinamica che culla l'ascoltatore. In effetti il brano è davvero molto simile al notturno di Beethoven come stile; nella seconda parte il pezzo prende leggermente vita con dei colpi dal sapore celtico, per poi ritornare adagio. Il finale è come se il pezzo fosse stato troncato, come avviene a volte coi brani classici, per poi finire coi secondi di silenzio di cui abbiamo già parlato.

Naturmystikk

Il successivo è "Naturmystikk" ("Natura mistica"), forte dei suoi tre minuti, che inizia con la stessa atmosfera classica di chitarra in un arpeggio andante e dalla struttura compatta. Le variazioni sono poche e la struttura si ripete in modo ostinato nel suo tempo andante; è un buon arpeggio classico però manca di fantasia sperimentale perché se il precedente brano riusciva comunque ad avere una dinamica interessante ed offrire spunti folk che arricchivano la proposta, con questo brano ciò non avviene ci si trova di fronte ad un eccellente esercizio di arpeggio, col rischio di diventare ripetitivo. A circa un minuto cambia la figura e questa variazione continua a ripetersi come successo prima, quando poi arriva il flauto a dare freschezza al pezzo ad a rilanciarlo: la melodia è semplice, basilare, eppure funziona e riesce a far volare la mente e dare, finalmente, questo tocco mistico che promette il titolo del brano. Il flauto è vibrante, non virtuoso, ma interpretato bene riesce a trasmettere qualcosa di mistico mentre la chitarra, con la complicità di questo, riesce un po' a lasciarsi andare - mettendo da parte le pretese classiche - producendo delle atmosfere di accompagnamento più azzeccate. La chitarra guadagna molti punti all'inizio della seconda parte del brano quando propone una variazione che, pur mantenendosi nello stile classico senza troppe pretese, riesce comunque a trasmettere malinconia e si evolve in modo dinamico, vibrando sugli acuti in passaggi più vivaci per poi tornare alla struttura compatta di cui sopra.

A capella (Sielens Sang)

Si prosegue con "A capella (Sielens Sang)" ("Canzone dell'anima"), brano che riprende la falsariga del breve Ord (ma anche dei cori presenti in "Nattleite"), perché, come da titolo, è cantata a cappella ed il coro ha le stesse atmosfere del brano citato. I cori si susseguono in parti lente ed in parti più vorticose, sempre ritmici e con quel sound particolare e riconoscibile. A circa venti secondi il pezzo si fa persino più interessante perché i cori si intrecciano andando per diverse direzioni, è un'alternanza, un duetto vincente. Il bello di questo coro, in particolare, è che un attimo c'è una voce, un attimo due ed un attimo tre voci con diverse tonalità: la tecnica della sovra incisione in questo caso ha dato i suoi frutti perché ha permesso di creare queste parti, complice il genio compositivo di Garm, che altrimenti sarebbe stato impossibile creare. Dopo la metà i cori si lanciano in nuove soluzioni che dovrebbero essere classiche ma in realtà non lo sono perché hanno semplicemente lo stile Ulver, riconoscibile, e non sono simili a nient'altro. Cascate di voci si susseguono, lo stile si allontana da quello islandese che ha caratterizzato i cori del primo album: nel tentativo di acquisire un'impronta di tipo classico i cori si sono mantenuti pur sempre nordici però hanno ottenuto il risultato di diventare più simili ai cori finnici. Il coro si spegne con una parte che viene ripetuta in loop mentre il volume decresce.

Hiertets Vee

Arriviamo all'ottavo brano "Hiertets Vee" ("Dolore del cuore"), inizia con un bell'arpeggio di chitarra che copre una notevole estensione e sembra proprio pulsare come fosse un cuore. Si sovrappone un'altra chitarra che innesca un duetto, questa volta il pezzo sembra variare subito e non si corre il rischio di farlo sembrare un esercizio di diteggiatura perché tecnicamente è molto valido anche se forse manca quello spirito sperimentale che ha ispirato la storia degli Ulver. Gli accordi sono semplici, ma il fatto che il pezzo sia variabile lo rende pur sempre godibile, la struttura è ancora molto compatta e rigida, si ripete per due volte. Passato il minuto si propone un'altra variazione, con ritmo ancora costante, il rumore dello scorrere delle dita sui tasti dona umanità al pezzo che continua nel ritmo moderato con una certa ostinazione. Si ripropongono di nuovo i due passaggi iniziali, immutati, l'atmosfera è bella ma la struttura sembra un po' troppo rigidamente classica e manca di fantasia. Alla seconda metà del secondo minuto uno spiraglio ambient fa sentire le onde che si infrangono ed il soffiare del vento sulla costa, appena dopo si sente un flauto che propone una melodia del tutto diversa, anche nel ritmo, a quella ascoltata fino ad ora, sembra quasi interamente improvvisata e manca di mordente. La parte chitarristica proponeva un bell'arpeggio e questa volta l'intervento del flauto, sovra inciso per creare una diplofonia, non ha arricchito il brano, ma lo ha limitato semmai: la parte si propone come ambientale però tronca in maniera netta il pezzo ponendosi in contrasto con quanto ascoltato fino a quel momento.

Kledt i Nattens Farger

 Il nono pezzo, "Kledt i Nattens Farger("Rivestito dei colori della notte") inizia molto bene con un arpeggio classico di chitarra che continua ad evolversi in modo progressivo, ecco che finalmente la vena sperimentale e progressiva torna a fare capolino assieme al violoncello che accompagna questa chitarra avvolgendone le note in una morbida coperta. La chitarra è leggera, acuta, sembra un'arpa ed il leggero riverbero che rilascia ben si addice all'atmosfera notturna e romantica del pezzo, soave e misteriosa. Il violoncello scorre lentamente in sottofondo mentre gli arpeggi pizzicati scandiscono preziosi acuti quasi spagnoleggianti, la cura dei particolari e interpretazione rilassata e sciolta, priva di rigidità, rende il pezzo coinvolgente. Il tempo di passare ad una tonalità minore ed inizia a cantare il coro, questa volta con stile islandese ed armonico, è una parte declamata dalla forte connotazione folk, in questo caso sì che ci starebbe bene il rumore del vento e delle onde, perché dà l'idea di una piccola compagnia di vichinghi attorno al fuoco nella notte. L'atmosfera è epica e travolgente, nonostante il pezzo sia calmo e malinconico riesce comunque ad apparire maestoso; in una piccola parte emerge il background da Metal estremo con un breve sussurro di risposta che poteva sembrare uno scream ovattato. Torna la chitarra ad esprimersi al meglio, ritmata e dalla dinamica ondeggiante, pulsante nel basso e dolce negli acuti è davvero pregevole ed è in queste parti chitarristiche che dà il meglio. Il testo è "Kan du mer enn ditt Fader Vaar / Kaster du ingen skygge / Ja, da har du lovet bort din sjel / og vil til bestandighet / Ha en med prillarhorn / Som ser paa deg fra skyggen" ("Sai qualcosa di più delle tue preghiere / non hai un'ombra / sì, allora hai gettato via l'anima / e la volontà per sempre / abbi con te qualcuno con il Prillarhorn / che ti sorveglia dall'ombra"), in questo testo il primo passaggio è chiaro: si riferisce ad una persona che, avendo perso l'anima, non proietta più l'ombra a terra ed ha una conoscenza superiore a costo dell'anima e della volontà; a questo punto si esorta lo sfortunato ad avere con sé qualcuno che possa sorvegliarlo dall'ombra e che abbia questo prillarhorn. E' doveroso rintracciare la storia di questo corno e ci si imbatte subito su un mito (più recente questa volta) di questa donna di nome Pillarguri che avrebbe giocato un ruolo chiave nella battaglia di Kringen del 1612: trovandosi sulla cima di un'altura (che ancora oggi porta il suo nome) avvisò le truppe norvegesi del passaggio di mercenari scozzesi, in questo modo i norvegesi tesero un'imboscata che portò ad una vittoria schiacciante. Il nome della donna pare che sia stato ricavato unendo Guri, nome comune di donna, con prillarhorn che era un corno di mucca adibito ad essere suonato, la traduzione letterale dovrebbe essere "corno che si maneggia" (visto che prille in norvegese antico stava ad indicare la manipolazione). Questa figura amica cui fa riferimento il testo è molto probabilmente la donna leggendaria, nota e festeggiata tutt'oggi in Norvegia (ad Otta c'è una statua ed è presente anche nello stemma araldico), vista come colei che avvisò i norvegesi del pericolo e dunque gli permise di rispondere con un attacco tempestivo.

Halling

Si prosegue con "Halling" (è il nome di una danza tradizionale norvegese, in cui un uomo cerca di calciare un cappello posto in cima ad un bastone tenuto da una donna: chi riesce a calciarlo conquista la donna in questione), che inizia con un arpeggio dai toni primaverili, allegri, bucolici; siamo ancora nel classico come impostazione eppure è chiara l'atmosfera paesana. Il pezzo prosegue conservando quel sapore celtico che deriva dai passaggi melodici inseriti nel ritmo andante, l'esecuzione è calma, precisa e sembra scandire la melodia di una filastrocca festosa. La stessa melodia si fa più acuta, rimane l'atmosfera da primavera celtica in cui non ci sono ritmi vorticosi e le melodie, seppure gaie, conservano un qualcosa di dolcemente malinconico, quasi a ricordare l'inverno passato. La validità tecnica dell'arpeggio è indiscutibile, sopraggiunge un coro molto atmosferico, senza pronunciare parole, e statico che aggiunge pathos senza nulla togliere al ruolo principale della chitarra. Il pezzo diventa silenzio diversi secondi prima della fine.

Utreise

 Il seguente "Utreise" ("Viaggiare verso fuori") ha un inizio che conserva il sapore celtico, che questa volta è più lento ed amaro rispetto al precedente brano, una nota bassa scandisce il tempo e continua a risuonare mentre altre note, più acute e veloci, si avvicendano. L'accordo si fa più acuto e si aggiunge un'altra chitarra sovraincisa che suona la stessa melodia portandola qualche tonalità sopra e cambiandone il ritmo con un'esecuzione che prevede un rubato ed un rallentato in punti diversi della battuta. La chitarra bassa rimane statica mentre le variazioni passano alla chitarra acuta arrivata per seconda, questo è proprio ciò di cui parlava Garm nell'intervista quando spiegava che si creava un tema e dopo vi si aggiungeva un secondo tema che, prendendo l'avvio dal primo che resta sottostante, poi acquisiva una propria vita sviluppandosi a modo proprio. Inaspettato, anche un flauto che, palesemente celtico, aggiunge un ché di irlandese. Il pezzo cambia e la chitarra mantiene un ritmo sul quale intervengono le voci del coro, anche in questo caso è un coro che fa pensare ai vichinghi, solenne, vigoroso, armonioso; il coro è statico e procede all'unisono, con alcune variazioni e vibrato stilistici. Un crescendo scandito dall'archetto incalzante del violoncello dà inizio ad un susseguirsi di melodie di chitarra che si combinano in un tripudio armonico che continua un fade-out fino alla fine. Il testo, molto breve, recita "I blinde gaar jeg / Redd meg, ikke / La natten føre meg / Bestandig" ("Cieco io cammino / non guidarmi verso casa / lascia che sia la notte a condurmi / in eterno"); una poesia ermetica che esprime questa voglia di abbandonarsi, di farsi condurre dalla notte che - come già evidenziato - si caratterizza per essere l'emblema del mistero ed anche del pericolo. E' ciò che rende gloria ad un vichingo viaggiare, come da titolo del brano, e scoprire nuovi mondi gettandosi alla cieca nei mari; pare che molte nuove terre siano state scoperte proprio per mezzo di questi assurdi viaggi d'esplorazione in cui un drakkar veniva lasciato alla deriva, in preda alle forze del mare, nella speranza che raggiungesse una qualche nuova terra. Questo abbandono, nel testo, viene visto positivamente come accettazione del rischio implicito della notte e, specialmente, come unica condizione che può permettere un vero e proprio viaggio degno di nota.

Sofn-or paa Alfers Lund

Il penultimo brano, "Sofn-or paa Alfers Lund" ("Stordito nella collina degli Elfi") è un altro strumentale, l'inizio è un arpeggio in cui singole note si susseguono con un andamento tra il classico ed il celtico, appare come un preludio di qualcosa e scandisce bene il tema della melodia; lo stesso tema viene poi ripreso con l'accompagnamento e quindi acquisisce più corpo. Il mood è malinconico, forse triste, le note sono piene di grazia ma raccontano una storia di sofferenza. Dopo il primo minuto un'altra variazione del tema e ci ritroviamo un accordo più acuto che stempera leggermente la malinconia, pur continuando a proporre un tema similare, con alcune piccole dissonanze che impreziosiscono pochi passaggi prima che venga nuovamente ripreso il tema precedente. Il secondo minuto porta ad un'altra variazione, quasi ispanica nell'incedere, che propone una breve nuova vita al pezzo prima che questo si spenga nel finale.

Ulvsblakk

L'ultimo pezzo è "Ulvsblakk" ("Nero lupo"), della notevole durata di sette minuti. Unico pezzo ad avere delle percussioni, di tipo orchestrale, l'arpeggio di chitarra è davvero molto bello, poco dopo inizia a cantare un coro vichingo come quelli già apprezzati che inizia a scandire delle parole che si colgono a fatica perché a volte sono solo dei sussurri di una singola voce che si stacca dal coro ed è sovrastata dalla musica. Nonostante il coro è la chitarra che la fa da padrone in questo brano, l'arpeggio non è affatto semplice come appare ed ha una portata emotiva trascinante. La sensazione che dà il brano è quella di una malinconica pace carica di misticismo celtico. Passaggi arditi di chitarra mentre la mano scorre sui tasti, le voci intervengono brevi ed incisive e poi scompaiono, le percussioni giocano un ruolo importante anche se i loro suoni lasciano a desiderare. La chitarra, stupenda, continua a tessere la tela melodica quando sopraggiunge un sottofondo velato di violoncello che aggiunge atmosfera senza rubare spazio alla chitarra che prosegue in una nuova melodia svincolandosi dall'accompagnamento del violoncello con dei passaggi gravi che, in un crescendo, portano ad un nuovo tema. Il violoncello, nell'album, è stato un elemento vincente perché è apparso regalando solo momenti preziosi. Il brano continua ad evolversi e, nonostante la durata, non stanca mai e regala variazioni ad ogni secondo senza mai risultare ripetitivo. Al quarto minuto la melodia si spegne per lasciare spazio ad un dialogo, lento ma continuo, tra arpeggi di chitarra e percussioni, successivamente la chitarra continua e vi si aggiunge il coro. L'atmosfera evocata ha qualcosa di rituale e mistico, ancora un controcanto con un sussurro cattivo al limite dello scream, cui segue una breve risata malefica, poi ancora il coro e percussioni. Gli ultimi due minuti del pezzo sono dei passaggi malinconici che vengono affidati unicamente alle due chitarre sovraincise. Questo testo è in larga parte incomprensibile, il titolo vuole indicare principalmente il colore riferendosi al manto del lupo: quindi si dice "nero lupo" come si potrebbe dire "blu notte" e simili. La parte iniziale del coro, quella che viene meglio scandita e che, evidentemente, è la più importante recita: "Har du synen / Kan du se at sola" ("Sei un veggente [?] / puoi guardare al sole [?]"), benché nel testo non sia riportato il punto interrogativo le frasi sono pronunciate come una domanda - ponendo il verbo prima del soggetto - e ciò fa pensare a delle frasi pronunciate come se fossero la via di mezzo tra un'affermazione ed una domanda, oppure una domanda per la quale ci si aspetta una risposta affermativa. E' importante, per capire il significato di questo testo, riferirsi ai due precedenti brani: in Utreise veniva dichiarata l'importanza del viaggio verso l'esterno, l'ignoto, compiuto ciecamente per poter acquisire la vera conoscenza (ricordiamo ancora il fatto che Odino avesse sacrificato un occhio proprio per poter acquisire questa seconda vista mistica), è ancor più evidente a questo punto che il viaggio cui si faceva riferimento è uno di tipo spirituale; quel Sofn-or paa Alfers Lund non può che riferirsi alla condizione di questo viaggiatore mistico, cieco, che si trova appunto stordito in questa collina degli Elfi - esseri mitologici che possiedono una conoscenza sovrannaturale e che sono invisibili ai più - per poi arrivare ad Ulvsblakk che ha le caratteristiche di un testo tra il mistico ed il farneticante, che vuole esprimere queste capacità acquisite tramite il viaggio in questione. Il termine Ulvsblakk viene ripetuto diverse volte nel testo, mentre il synen iniziale viene usato per definire le persone capaci di vedere gli esseri sovrannaturali come i troll e gli elfi appunto. Pare che, dunque, il viaggio nell'ignoto abbia portato, in conclusione, al nostro viaggiatore una sensibilità ulteriore capace di percepire ciò che è nascosto all'occhio umano: questo viaggiatore potrebbe essere Odino stesso, oppure qualcuno che ne abbia voluto seguire le orme.

Conclusioni

Così si conclude questo album, ricco di spunti che a volte hanno portato a pezzi preziosi ed indimenticabili, altre - complice forse la fretta - hanno portato a delle occasioni che sono state solo parzialmente sfruttate. Il ruolo del flauto è stato marginale e non sempre brillante, le chitarre hanno fatto la maggior parte del lavoro ed hanno saputo mantenere viva l'attenzione tranne che forse per due o tre brani in cui, per via della struttura troppo rigida che tendeva al classico, davano l'impressione di voler eseguire dei difficili esercizi senza riuscire però a trasmettere quell'emozione che hanno regalato altri brani. Il violoncello è stato un elemento essenziale sia per il fatto di aver saputo bene esaltare il lavoro della chitarra, ma anche per aver saputo, con saggi interventi, prendere in mano la melodia e concedere riposo alla chitarra lasciando svagare l'attenzione dell'ascoltatore con nuovi spunti. Le voci corali, punto fermo e marchio indelebile degli Ulver, hanno saputo esprimersi bene nelle parti in cui si voleva dare un tocco più vichingo/islandese, meno bene quando cercavano di imitare il gusto classico sfociando in altri risultati associabili forse al folk finlandese. I testi sono ermetici e ci propongono un viaggio mistico fatto principalmente di sensazioni, il concetto principale, dipinto in copertina, si rifà all'immaginario norvegese e ritrae il mito del Sole (femminile nella mitologia nordica) col lupo inseguitore pronto a balzare. Anche in questo secondo album viene proposto un immaginario tutto notturno, in cui la foresta è capace di suscitare sensazioni metafisiche. Il mood generale è malinconico e celtico, un album quasi interamente classico/folk che sarà apprezzato specialmente dai chitarristi o semplicemente dagli appassionati di queste sonorità pagane. Album da vivere dopo l'ascolto dell'esordio, si pone come via di mezzo tra il primo ed il secondo album e mostra un gruppo con una sfrenata voglia di sperimentare.

1) Ostenfor Sol og vestenfor Maane
2) Ord
3) Hoyfjeldsbilde
4) Nattleite
5) Kveldssang
6) Naturmystikk
7) A capella (Sielens Sang)
8) Hiertets Vee
9) Kledt i Nattens Farger
10) Halling
11) Utreise
12) Sofn-or paa Alfers Lund
13) Ulvsblakk
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