ARCH ENEMY

Anthems of Rebellion

2003 - Century Media Records

A CURA DI
DAVIDE CANTELMI
13/04/2017
TEMPO DI LETTURA:
7

Introduzione Recensione

Il 2003 è l'anno della pubblicazione del quinto lavoro degli Arch Enemy, intitolato "Anthems of Rebellion". Il combo svedese, guidato da Michael Amott, era ormai divenuto famosissimo a livello internazionale, per via di due fattori a dir poco preponderanti. Da una parte, avevamo già introdotto nello scorso articolo il primo di questi due elementi: stiamo infatti parlando della formidabile frontwoman Angela Gossow. La quale, oltre a rappresentare un elemento di grande valore all'interno della formazione, permise agli svedesi di giocare contemporaneamente la "carta novità", introducendo in un contesto estremo, per la prima volta a livello "mainstream", una donna. Battagliera e decisa come poche, aggiungeremmo. Secondo elemento da tenere in considerazione, il sound proposto; ancor più importante, in quanto la fortuna degli Arch Enemy non arrivò certo grazie all'apparenza od allo sfruttamento di una frontwoman (lo ricordiamo, la Gossow era tutt'altro che un oggetto da sfoggiare, anzi). Di contro, il loro successo fu diretta conseguenza di uno stile che decise certo di tenere entro i propri ranghi la forte componente Death Metal, rendendola però accessibile ad una larga fetta di utenza, addolcendone di molto i tratti. "Anthems of Rebellion" è dunque il disco che meglio abbraccia i due tratti caratteriali degli Arch Enemy post Liiva: il manifesto dell'era Gossow, un disco che, vedremo, non viaggerà qualitativamente sullo stesso livello rispetto al precedente ma che di fatto lasciò il segno in modo più marcato, sfondando nel mercato grazie ad alcuni brani decisamente molto carismatici e di fatto accessibili, "morbidi" se vogliamo, sebbene feroci e movimentati. Ma di certo antitetici ai gusti di chi, anche in quel momento, continuava a preferire un qualcosa di più grezzo e fedele alla vecchia scuola. Proprio perché "Anthems.." decide di compiere una decisa virata verso elementi più commerciali, sfruttando una produzione ultra-curata ed una cura del dettaglio a dir poco maniacale. Merito del redivivo Andy Sneap (chitarrista degli Hell, per gli appassionati di Heavy che ci seguono), il quale continuò a muoversi sulla falsariga del precedente "Wages..", già di per sé lavoro estremamente fortunato. Lasciato questa volta "da solo", senza troppe incombenze da parte degli Amott Bros. né di Nordstrom, per la prima volta assente dal team di produzione. Ritornerà nel 2007, in occasione di "Rise of the Tyrant". Parlando della line-up, la formazione prevede sempre, oltre ad Angela Gossow alla voce, Michael Amott e Christopher Amott alle chitarre, Sharlee D'Angelo al basso e, infine, Daniel Erlandsson alla batteria. Patrona della pubblicazione di questo platter, nuovamente la "Century Media Records", un colosso discografico che ha preso molto a cuore gli Arch Enemy donando loro tutte le possibilità per lavorare ad altissimi livelli. Un'etichetta che, a ragione, osservava i nostri come potenziali galline dalle uova d'oro. La copertina (realizzata da Niklas Sundin, chitarrista dei Dark Tranquillity) è quanto di più straniante e lascia presagire benissimo il tema principale del disco: l'alienazione e la perdita di identità. Nell'immagine notiamo un esercito di persone senza volto mentre una di esse è in procinto di perderlo, strappandoselo via. Infatti, una faccia fittizia senza occhi, bocca e naso cerca di possederlo e di prendere possesso delle sue facoltà fisiche e mentali. Notiamo quindi come il tutto sia un chiaro riferimento alla perdita di personalità che purtroppo può manifestarsi quando si è parte di un gruppo socialmente troppo esteso. Il platter si compone di ben tredici tracce, un numero maggiore rispetto alle quattro precedenti release; in realtà, la durata dei pezzi è più contenuta e sono presenti ben tre tracce strumentali a spezzare il ritmo. Fatte le doverose premesse, possiamo quindi procedere ad un'analisi più approfondita con il nostro e consueto approccio track by track.


Tear Down the Walls / Silent Wars

Il disco inizia con la opening "Tear Down The Walls (Butta giù i muri)" una strumentale di circa trenta secondi nella quale possiamo udire cori di ribellione in sottofondo, mentre un riff in palm muting si spalma lungo un climax, aumentando sempre più in intensità. Più che una traccia, un'intro assai esigua. Punto di avvio della seconda "Silent Wars (Guerre silenziose)", un brano che riprende la struttura portante di quel breve intermezzo strumentale per incattivirlo ed aumentare la ferocia del riff già udito. Lo stile è molto simile a quello del precedente platter: in questo brano, però, l'impatto melodico è diminuito facendo spazio maggiormente a riff rabbiosi e a un classico e semplice growl di Angela. Un brano che risulta a dir poco apocalittico, si parla infatti di un genocidio imprecisato che sta costringendo tutte le persone a rivedere le proprie posizioni nella disperazione e nel nichilismo più assoluti. Vengono a mancare le più basilari regole di convivenza civile, tutte le certezze accumulate nel corso di millenni di storia sembrano crollare. Le strutture ritmiche si susseguono senza sosta introducendo anche un elemento (se vogliamo) "progressive" (seppur non marcatissimo), con l'utilizzo dei tempi dispari nella seconda sezione del brano. L'assolo, invece, punta moltissimo sull'ultra-tecnica risultando però alquanto disordinato e banale, asettico, non propriamente ispirato. La solita pulizia esasperata che caratterizza gli assoli di Amott lascia spazio a un caos che cozza abbastanza con lo stile generale del brano, assai movimentato. In sostanza, "Silent Wars" è una traccia discreta ma che non apre benissimo questo platter grazie a una certa scontatezza di fondo che caratterizza le strutture melodiche. Note rabbiose che continuano, per tutta la durata del pezzo, a descrivere quell'atmosfera di morte che aleggia sulla Terra; il perché di tutto ciò è ignoto, non sappiamo precisamente cosa e quanto ci stia rodendo a partire dall'interno, mangiando e rosicchiando sempre di più, sino a creare delle vere e proprie falle nel nostro equilibrio. La "guerra silente" è quindi una battaglia contro la morte e si penserà, nel caso, se agire in modo compatto oppure ognuno per se stesso. Proprio perché, in caso di catastrofe, spesso non tutti riescono a reagire nello stesso modo: il panico può infatti deflagrare in follia collettiva ed in isterismo diffuso, portando molti a perdere il lume della ragione, rifiutando ogni situazione alternativa al perdere le staffe in maniera disordinata.

We Will Rise

La terza "We Will Rise (Noi insorgeremo)" è uno dei brani più famosi degli Arch Enemy. L'interpretazione vocale della Gossow è molto sentita e gli strumenti attuano una sinergia migliore rispetto al precedente pezzo, risultando sicuramente più efficaci nel loro insieme. Lo stile ha abbandonato quegli eccessivi tecnicismi uditi di quando in quando in "Silent Wars" a favore di un impatto più melodico; merito soprattutto di un ritornello che potremmo definire catchy e accattivante, capace di sfruttare con il suo essere il pieno potenziale della Gossow. E' una canzone che riguarda la stereotipia delle azioni quotidiane e, soprattutto, il fatto che nessuno possieda un'entità precisa: tutti si limitano soltanto a "vivere", senza mai prendere una posizione che possa risultare tale e decisa. Nella mediocrità tutti possono essere qualsiasi cosa, proprio perché non ci sono valori e ideali in cui credere. Più che una vita, una marcia verso il nulla in cui le persone credono di potersi rialzare e vincere mentre, in realtà, non vi è più niente per cui valga la pena vivere, al mondo. Gli ideali sono morti poiché sono stati soffocati da un alone di superficialità. Strumentalmente parlando, come al solito notiamo il forte contrasto che si instaura tra la melodia della chitarra di Amott e la violenza delle vocals di Angela. Il resto dei musicisti svolge un buon lavoro grazie a un lavoro di impatto che difficilmente lascia scendere il livello di carica e energia emanata dalle vocals. L'assolo, come sempre, melodico e pulito e riesce ad essere il momento di maggiore riflessività. Lo stile di Amott è sempre quello: chiara ispirazione alle magiche e tortuose vie di "Buried Dreams" dei Carcass. Il fratello, intanto, rincara la dose con dei riff di sottofondo. Powerchords che garantiscono quel lato più granitico di stampo svedese. Il finale, seppur canonico, rappresenta una degna conclusione a uno dei brani migliori degli Arch Enemy. I quali, arrivati alla fine, ci dicono che forse c'è un barlume di speranza. Se quei "pochi" decisi a cambiare veramente le cose decidessero finalmente di reagire, allora potremmo risorgere, rialzarci. Sconfiggendo la mediocrità, sconfiggendo "la massa", sconfiggendo ogni cosa ci accompagni verso il grigio, verso l'indefinito, l'amorfo. 

Dead Eyes See No Future

Siamo giunti all'analisi della quarta traccia, "Dead Eyes See No Future (Sguardi morti che non scorgono il futuro)". Anche in questo caso si tratta di un pezzo che rappresenta uno dei manifesti dell'era Gossow, una roboante marcia verso la morte che si concretizza nelle note di Amott: incisive, violente.. ma allo stesso tempo, melodiche e riflessive. In questo pezzo notiamo come questi "Inni alla Ribellione" risultino solo una mera utopia. Queste personalità, quindi, si ritrovano a dover combattere per un qualcosa in cui non credono fermamente. E' difficile, tremendamente difficile ribellarsi al fato, e molti hanno paura di doverlo fare. Sguardi spenti ed accecati da varie incombenze, prima fra tutti quella "fine", quel fato avverso ed incombente che si diverte a fagocitare ogni nostro sogno o speranza. Veniamo annichiliti, i nostri sguardi sopraffatti da visioni d'odio ed orrore. E così la Gossow si lancia nei suoi acidi growl, accompagnata dalle granitiche chitarre in sottofondo. E' la seconda sezione del brano a meglio descrivere lo sconforto e la disperazione: da quella che sembrerebbe una colonna sonora di Ennio Morricone con una marcia in sottofondo, si alzano note malinconiche, prima di violino e, successivamente, di chitarra "unplugged". Si tratta di uno dei momenti più alti della musicalità degli Arch Enemy, lo sfoggio di un sound incredibilmente particolare. L'assolo è subito un degno successore ddi quel momento di pathos e drammaticità che descrive l'atmosfera lancinante di questa "Dead Eyes See No Future". Se prima di scoprire cosa si cela oltre la nostra esistenza morissimo, allora non potremmo vedere alcuna sorta di futuro. Forse, la Morte non è una scelta tanto sconveniente; per il semplice fatto che è meglio andarsene che lottare, è meglio desistere, non mettendosi contro un qualcosa di troppo potente da poter contrastare. 

Instict

"Instict (Istinto)" è il brano successivo e parte subito con un riff dal retrogusto Thrash che, però, risulta impregnato (com'è giusto che sia) di influenze svedesi di non poco conto. Il growl di Angela Gossow è ancora più acido mentre la struttura musicale è, in realtà, molto più semplice e diretta con immediati riff in power-chord. Come detto pocanzi, il growl di Angela gioca moltissimo sull'acidità andando, spesso e volentieri, a toccare timbriche tipiche dello scream. Sottofondo perfetto per quella che sembra essere una condanna totale da infliggersi al genere umano tutto, da sempre assediato dal proprio istinto. L'istinto a distruggere ogni cosa lo circondi o lo abbia mai circondato, per l'estattezza Da sempre considerato come l'essere vivente prescelto poiché ha ricevuto in dono la ragione, per poter meglio adattarsi e vivere in pace. In realtà, l'uomo ha raggiunto il degrado ponendosi come una creatura tipicamente animalesca, seguendo dettami quali ferocia ed aggressività. Un mostrarsi bestie che lo ha portato ora ad un punto di non ritorno, avendo ucciso il suo pianeta ed i suoi simili. E' nell'istinto dell'uomo, autodistruggersi. Lo stesso uomo che ora non riesce a guardare in volto la realtà, coprendosi gli occhi. Il brano è lineare nella struttura e mira ad essere diretto e coinvolgente, data anche una durata non importantissima. Il problema, però, è che risulta abbastanza anonimo nell'insieme, e si rivela più come una traccia filler di poco conto, considerando i due precedenti brani, invece molto validi e decisamente ben studiati e strutturati. La dicotomia rabbia/melodia è una costante che rimane sempre sottolineata, poiché gli Arch Enemy ne hanno fatto il loro marchio di fabbrica. Insomma, un brano leggero e per nulla "impegnato", decisamente diretto e non recante in sé chissà che sorprendente cambio di rotta.

Leader Of The Rats

"Leader Of The Rats (Il Re dei ratti)" è una traccia che si ricollega direttamente al precedente album "Wages of Sin", poiché ritorna la figura del "ratto" tanto cara al combo svedese, già affrontata in "Burning Angel". Già nell'appena citato pezzo, faceva capolino l'essere più ributtante mai apparso sulla terra, sinonimo di sporcizia poiché vive nelle fogne, cibandosi di scarti e cadaveri: il "ratto" è l'arrampicatore sociale che tramite le sue conoscenze e utilizzando ogni mezzo cerca di diventare potente a discapito dei più meritevoli, è l'essere che infesta la nostra vita con le sue menzogne e la sua lingua velenosa, portatrice di bugie ed inganni. Gli Arch Enemy in questo caso a dir poco "giustizialisti", poiché secondo loro questi esseri dovrebbero essere distrutti senza appello alcuno, dato il loro non essere consoni alla vita civile. Per questo, menzogneri ed ingannatori vengono paragonati alla più schifosa delle creature e per loro non deve esistere neanche una lontana speranza di pedono. Poiché sono loro stessi a non volersi redimere, non mostrando segni di ravvedimento neanche alla lontana. In virtù del tema portante, in questo pezzo le melodie si fanno più aspre con un'Angela Gossow ancora più acida; mostrante fiera il suo, ormai, simil-scream, quasi come a voler emulare dei veri e propri macabri squittii. Per quel che concerne il resto, la struttura del brano è lineare con una seconda parte più atmosferica e sinistra che precede un assolo in climax eseguito splendidamente. La ripresa del refrain, poi, rappresenta la conclusione di un pezzo, tutto sommato, abbastanza anonimo ma che risulta riuscito in molte parti. Sicuramente molto più impegnato ed articolato del precedente. Insomma, non un anthem ma nemmeno un brano da buttare, che di quando in quando riesce a conquistare e ad attirare l'attenzione.

Exist to Exit

"Exist to Exit (Esistere per uscire)" è un pezzo che inizia in modo molto sinistro. Tutto è in dissolvenza mentre le vocals di Angela Gossow sono lentamente sussurate, quasi come a descrivere un'esistenza che sta svanendo pian piano. Si stanno mostrando e palesando, infatti, i pensieri di un suicida che, probabilmente, trovandosi a fronteggiare la mediocrità del mondo, sceglie una via alternativa per poter lasciare il marchio. Un suicidio a tratti "stoico", visto come un chiaro messaggio da lanciare all'esistenza. E' preferibile morire piuttosto che sopportare ancora questa vita così anonima, meschina, mediocre ed ingrata. Questa umanità insignificante. Dopo questa drammatica scena iniziale, il brano può conoscere il suo vero inizio, scandito da granitici riff dal sapore svedese, con una batteria in sottofondo che dipinge ritmicamente e pedissequamente come un orologio le melodie sino ad ora espresse. Il solito connubio mostrato sino ad ora, nulla di troppo nuovo. "I Will Live My Mark" (= "Lascerò il mio segno") è il monito che il protagonista della canzone ripete a mo' di mantra. C'è bisogno davvero del suicidio per poter lasciare un ricordo nel mondo? La canzone procede con ritmi abbastanza sostenuti, con un basso che si sente maggiormente rispetto a ogni pezzo incontrato finora. Angela Gossow è incisiva mentre il brano scorre linearmente fino a un tecnico e vorticoso assolo. Anche "Exist to Exit" si qualifica come una canzone abbastanza filler, pur possedendo degli ottimi spunti, in particolar modo nel settore ritmico e nel riff finale che poi è accompagnato anche da alcuni cori. Si nota una certa ripetitività nelle strutture in questo disco degli Arch Enemy, situazione che poi verrà ripresa (e della quale si abuserà) anche nei successivi lavori.

Marching on a Dead End Road

"Marching on a Dead End Road (Marciando su di una strada senza uscita)" è una solenne strumentale di chitarra acustica che lascia poco spazio all'immaginazione: la violenza fa spazio alla desolazione e a malinconia, probabilmente ci si guarda intorno ammirando tristemente un coro di esistenze spezzate. Tratto significativo risulta essere il fatto che venga ripreso il motivetto centrale di "Dead Eyes Se No Future", quasi come a simboleggiare quanto quella canzone fosse stata il manifesto e la, tra virgolette, "titletrack" di questo quinto lavoro degli Arch Enemy. Insomma un brano, questo piccolo intermezzo, che si fa notare per il capovolgimento di atmosfere ed ha dunque il compito di introdurre, al meglio, la traccia successiva.

Despicable Heroes

Un urlo potentissimo emesso dall'instancabile ugola di Angela Gossow apre le porte a "Despicable Heroes (Cattivissimi eroi)", una canzone dal sapore fortemente Thrash che si snoda tra la furia cieca delle vocals della frontwoman. I ritmi sono forsennati e il tutto è costruito alla perfezione per rendere questo brano il più cattivo del lotto. Un pezzo di soltanto due minuti e dodici, che rivela tutta la sua potenza quasi come se fosse un pezzo Grindcore o Hardcore Punk: durata esigua ma il minimo comun denominatore è la violenza sonora, unita ad un bel testo carico di risentimento e marciume. Una breve saetta in grado di squarciare il cielo con inaudita crudeltà, un vero e proprio gioiello di furia ben incastonato e finalmente capace di variare il contesto al quale le precedenti track (fra alti e bassi) ci avevano abituati. Questo urlo di dolore, emesso senza delicatezza alcuna da una Gossow sugli scudi, è lanciato per frustrazione, rabbia, delusione e disillusione. Dovuto dal fatto che tutti gli eroi in cui crediamo sono, in realtà, dei burattini, delle personalità lerce e infami che pensano solamente al proprio tornaconto. Non vi sono eroi in questo mondo ma solamente false speranze che annebbiano il destino degli uomini. E noi vorremmo tanto tornare indietro, a quando eravamo bambini ed ammiravamo i super eroi, sognando di diventare come loro, emularne le gesta. Nessuno sembra poterci più accontentare, e con il nostro senso di fanciullesca ingenuità muore anche il nostro ottimismo. Non esistono eroi, non potremo mai credere in nessuno di chi si spaccia per "salvatore". Tutti sono pronti a voltare le spalle alla causa.. per questo, inutile illudersi. Nessuno verrà mai a salvarci.

End of the line

Dopo un'inaudita scarica di violenza ed adrenalina siamo dunque giunti alla "End of the line", "la fine", nello slang anglo-americano. Un brano estremamente lineare, dalla struttura per nulla mutevole o comunque sorprendente, il quale non dimostra niente di notevole o che sia da ricordare, in questo platter. "Benvenuti al circo" recita la battuta iniziale, posta a mo' di premessa: prima di entrare, però, dobbiamo lasciare il cervello all'esterno. Non c'è spazio in un mondo di mentecatti per la personalità che ragiona sfruttando il proprio modo di pensare, la propria interiorità cercando di distinguersi. Tutt'altro, il mondo risulta essere un'immensa festa dei folli, nei quali pazzi giullari scandiscono tempi di danze frenetiche e sconclusionati. Piegarsi al sistema è d'obbligo, se non si vogliono guai. Nel ritornello Angela Gossow è accompagnata dalle clean vocals di Michael Amott per formare un vero e proprio duetto. Le due voci si fondono discretamente anche se il tutto non rende tantissimo. Un frangente che avrebbe potuto essere rivisto in qualche dettaglio, forse penalizzato dal fatto che Michael Amott non possiede una voce abbastanza carismatica degna da abbinarsi a quella più compatta e graffiante di Angela Gossow. Il brano procede senza alcun sussulto rivelandosi abbastanza anonimo e privo di maestria. E' ormai chiaro e palese come gli Arch Enemy abbiano adottato uno stile più diretto che tendesse a coinvolgere una fetta di pubblico maggiore, escludendo di fatto chi avrebbe magari preferito un qualcosa o di più "marcio" e canonico o ci più articolato. L'unico problema risiede in alcune strutture ritmiche già sentite che non lasciano un segno indelebile agli ascoltatori più attenti, i quali possono comunque rifarsi a testi interessanti. Arriviamo alla "fine" quando capiamo che ormai non c'è più niente da fare, a livello di speranza. Il circo maledetto ci risucchia nei suoi giochi perversi e ci nega la possibilità di prendere una posizione dura e concreta, contro questa mediocrità incalzante. Quel che possiamo fare, a malincuore, è unirci ai festeggiamenti. Cercando in ogni modo di scardinare il sistema all'interno, per poterlo un giorno ammirare mentre cade inesorabilmente.

Dehumanization

"Dehumanization (Deumanizzazione)" è l'undicesimo brano di questo buon "Anthems of Rebellion" e rappresenta, forse, il brano più particolare e sperimentale del lotto, seppur rimanendo saldamente entro stilemi abbastanza convenzionali. Le vocals di Angela Gossow risultano acidissime e graffianti, mentre Michael Amott rincara la dose con le sue clean vocals e con una chitarra ispirata negli inserti melodici. Tanto da riuscire anche solo per un momento a scardinare il solito standard al quale eravamo completamente assuefatti. In tutto ciò, anche il ritornello risulta essere, per certi versi, marcio ma anche tendenzialmente atmosferico. In bilico fra la voglia di risultare "crudele" alla maniera della vecchia scuola ma anche melodico secondo il puro stile Arch Enemy. Insomma un connubio interessantissimo, reso in maniera convincente; soprattutto grazie ad un Amott stavolta più ispirato e sul pezzo che nel brano precedente. Si respira l'aria di apocalisse e devastazione che la band ci vuole comunicare, il messia che ha donato il suo corpo per noi e che risiede nella figura di Gesù ha, in realtà, ha svolto il suo gesto inutilmente poiché la generazione è corrotta e infetta. Per questo occorre un'opera molto più incisiva: la distruzione di tutti gli uomini compiendo una vera e propria "De-umanizzazione". I corpi senza vita sono senz'altro meno dannosi rispetto al degrado che la loro vita sta procurando al pianeta. Solo distruggendo si potrà dunque ricostruire, ripartendo da 0. Questo pezzo è un abbraccio ai sentimenti cristiani però considerati sotto un'altra via: il gesto di Gesù è stato inutile poiché nessuno l'ha preso davvero in considerazione. Anzi, lo stesso è stato catturato e ucciso proprio da quella fetta di persone che cercavano oggi come allora di manipolare il mondo. E' una generazione paralizzata che non compie nulla di estremamente concreto ma che, al contrario, ha frainteso il gesto di amore di Gesù. Probabilmente "Dehumanization" è il pezzo più pregno di significato all'interno di questo platter, quello che ha mostrato lyrics più dirette e meno enigmatiche. Non c'è mai stata una possibilità concreta per il Messia poiché tutto si è rivoltato contro di lui.

Anthem / Saints and Sinners

"Anthem (Inno)" è un intermezzo strumentale che ci anticiperà la prossima traccia. Rappresenta quasi un inno di gloria che, come sappiamo, è in realtà fasullo e rivela, invece, l'ipocrisia del genere umano. Sembra quasi una parodia del nazionalismo esasperato che i politici propinano attraverso i media e le istituzioni. Arriva così il momento di "Saints and Sinners (Santi e Peccatori)", la traccia finale di questo quinto album degli Arch Enemy. Si parte proprio da dove "Anthem" ci aveva lasciati: una nota lunga in dissolvenza. Si tratta di un brano molto sottovalutato degli Arch Enemy ma che, a mio parere, è musicalmente il migliore di tutto l'album. E' un pezzo che possiede un ritornello estremamente catchy e delle strutture ritmiche vorticose e forsennate che lasciano spazio anche a assoli melodici di alto livello, finalmente non meramente sfoggi di tecnica fine a se stessa. Il tutto condito da un testo efficace e altisonante. La vita è fatta di santi e peccatori e ogni volta cerchiamo il nostro capro espiatorio per giustificare gli errori commessi nel presente. Si cerca la perfezione ma vi è il rifiuto della comprensione di ciò che c'è oltre lo spirito umano: un'atmosfera di ipocrisia velata. Noi saremo sempre i peccatori per le istituzioni religiose, mentre la loro condotta è quella da rispettare, e che sottolineerebbe almeno in teoria gli atteggiamenti del messia e del bene. In realtà è tutto un complotto: non vi è il bene nel mondo ma soltanto la corruzione che aleggia e rovina lo spirito umano. Con un'Angela Gossow più rabbiosa che mai che denuncia la non comprensione e il fatto che vi sia incomunicabilità nel mondo, il brano scorre dunque in maniera convincente e potentissima, mostrandoci tutta l'abilità dei nostri, vincendo e convincendo. Finalmente un pezzo che non cade nella banalità ed anzi ruggisce, aggredisce, riuscendo a far compiere all'album un salto di qualità notevole. Con delle note in dissolvenza, "Saint and Sinners" ci lascia con un pugno sullo stomaco e con una lezione importante: siamo come paralizzati, guardiamo il mondo scomparire senza muovere un dito. Ce ne lamentiamo, ma non risolviamo mai i problemi che ci affliggono.

Conclusioni

Cosa dire, in ultima battuta, di questo lavoro degli Arch Enemy? Si tratta di un platter sicuramente solido e compatto, che continua sulla buona via del precedente ma che, però, comincia a porgere pericolosamente il fianco ai duri colpi inferti dalla banalità; la quale sino ad ora sta solamente facendo "capolino", ma che a partire dai prossimi album si farà sempre più presente ed invadente. Al contrario di ciò che accadeva nell'era Liiva, difficilmente potremo riscontrare, da "Anthems.." in poi, significativi elementi di qualità e varietà, in ogni lavoro del gruppo. Ormai deciso a sfondare sul mercato ed a tralasciare la voglia di porsi come un progetto audace o comunque in grado di raggiungere un pubblico meno ampio ma di certo più preparato, dai gusti più selezionati. Il grave problema di "Anthems..", dopo tutto, è proprio questo: l'adottare quasi spasmodicamente soluzioni trite e ritrite che danneggiano fortemente la personalità dei pezzi, rendendoli a tratti banali riempitivi e nulla più. Abbiamo qualche traccia epocale e di altissimo livello mentre il resto si assesta su canoni abbastanza anonimi. Questo sarà il principale difetto dell'era Gossow: una presenza disomogenea di brani memorabili e una moltitudine di fillers che copiano continuamente le strutture passate, rinunciando alla personalità. Nei successivi album, infatti, noteremo questo difetto sempre più, quando riusciremo ad individuare delle intere strutture ripetute fino allo stremo. Dal punto di vista lirico vi è una maggiore banalità nei testi, con il lato positivo, però, di risultare questi ultimi maggiormente accessibili. Gli Arch Enemy insistono fortemente sulla corruzione della società e della morale tradizionale, descrivendo un paesaggio apocalittico e desolato dove la morte regna. La morte, però, non è solo quella fisica ma è, specialmente, quella risiedente nello spirito. La corruzione e l'istinto animalesco dell'uomo, infatti, trasformano le persone alienandole o, nel peggiore dei casi, tramutandole in esseri schifosi dalle dubbie fattezze, spesso associate a quelle del "ratto". "Anthems of Rebellion" si colloca comunque come uno dei migliori album dell'era Gossow pur possedendo, a differenza dei primi tre lavori con Liiva, una personalità assai inferiore. La sintesi tra il death metal classico di Goteborg e le influenze sia moderne che derivanti dalla presenza di Amott nei Carcass, però, continuavano a conquistare orde di metallari in tutto il mondo. Insomma, un album ancora buono, accettabile. Anche se (e lo diciamo a posteriori) risulterà il primo di una lunga serie di album di transizione che recideranno fortemente il lato creativo della band. Un sette pieno, per questo lavoro che avrebbe potuto rendere al meglio con un pizzico di originalità più. O, eventualmente, se i Nostri avessero ripreso la stessa ispirazione profusa in ogni brano di "Stigmata"..

1) Tear Down the Walls / Silent Wars
2) We Will Rise
3) Dead Eyes See No Future
4) Instict
5) Leader Of The Rats
6) Exist to Exit
7) Marching on a Dead End Road
8) Despicable Heroes
9) End of the line
10) Dehumanization
11) Anthem / Saints and Sinners
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