U2

The Unforgettable Fire

1984 - Island

A CURA DI
ANDREA CERASI
15/02/2018
TEMPO DI LETTURA:
9

Introduzione Recensione

Una cornice porpora e le intestazioni color oro, al centro una fotografia in bianco e nero che rimanda a scenari lontani nel tempo e ad echi folkloristici, dal sapore antico come quello di una leggenda celtica. Fotografati da Anton Corbijn, gli U2 posano davanti alle tinte smorte e malinconiche del castello di Athlone, in Irlanda, il Moydrum Castle, celebre per le sue vecchie mura che si erigono su un paesaggio spettrale, immortalato anche sulla copertina del libro fotografico "In Ruins: The Once Great Houses of Ireland", pubblicato nel 1980 da Simon Marsden, al quale la Island è costretta a pagare per i diritti d'immagine per via di una somiglianza tra le due cover che sfocia in un autentico plagio. Agli albori del 1984 e una volta portato a casa il War Tour, che ha consacrato la giovane band irlandese come una delle promesse degli anni 80, gli U2 decidono che è giunto il momento di apportare qualche significativa modifica al proprio stile. Nella mente dei quattro musicisti c'è l'idea che, giunti al quarto disco, la musica proposta ha bisogno di un'evoluzione, poiché altrimenti rischierebbe di risultare stantia e dal messaggio fiacco. In una calda serata primaverile ne parlano e si confrontano con Steve Lillywhite, colui che li accompagna sin dall'esordio, e tutti insieme concordano nel rinnovare lo staff, produttore compreso. The Edge, affascinato dagli album ambient di Brian Eno, dai suoni sperimentali e astratti, esorta la band a contattarlo per chiedere i suoi servigi. Eno è una figura mitologica all'interno del panorama musicale, considerato da molti come creatore di suoni avanguardisti e mente sopraffina, capace di interpretare alla perfezione le idee degli artisti e di imprimerle su nastro, catturando attitudini, pensieri e intenti, potenziandone la portata. Brian Eno e il fido ingegnere del suono Daniel Lanois accettano l'ingaggio e danno inizio a un sodalizio lungo e vincente che arriva fino ai nostri giorni, plasmando gli album della formazione irlandese di anno in anno. Bisogna evocare magia e tradizione etnica e allora, nella primavera del 1984, gli U2 affittano un castello, non in rovina come quello della foto in copertina, ma lo Slane Castle, nella contea di County Meath, reso celebre dai numerosi concerti organizzati nella vasta pianura che lo circonda. Qui vi alloggiano per parecchi mesi, trasformando i salotti in studi di registrazione e in scenografie per il videoclip di lancio, riuscendo a completare le sessioni in meno di quattro mesi e preparandosi a mettere in musica un intero periodo, ricco di idee, di riflessioni sulla vita e di convinzioni politiche. Bono prende il suo immancabile taccuino e butta giù raffinati testi che rinviano all'attività distruttiva dell'uomo e che si rispecchiano, come riflessi sgranati sulle acque di un lago, in un titolo: "The Unforgettable Fire", lo stesso utilizzato per una mostra fotografica organizzata al Peace Museum di Chicago che commemorava le vittime della bomba atomica lanciata su Hiroshima e Nagasaki. Il Fuoco Indimenticabile, immortalato per sempre su quella serie di fotografie che la band ha avuto modo di osservare durante il tour di "War", folgora il vocalist e accende il lui il pensiero amaro di un mondo spietato, crudele per natura, nel quale l'attività dell'essere umano è condanna e maledizione. Ma quel fuoco non è solo sinonimo di distruzione, di morte e di atroci nefandezze, quel fuoco è anche passione e istinto, elementi portanti che formano lo scheletro delle tracce presenti nel disco. Le influenze di Brian Eno abbracciano "The Unforgettable Fire" in un'esplosione atomica di sfumature spirituali, di echi folkloristici, di astrattezze sonore e liriche. L'album è una tela astratta, dai suoni sfuocati che creano immagini sublimi che si incastonano nei cuori degli ascoltatori come diamanti grezzi, a tratti filosofici, a tratti evocativi, a tratti sporcati da pennellate avanguardiste. "Nel nostro disco c'è molta paura, così come c'è fede", lo descrive così Bono, facendo il punto sulla sperimentazione dei singoli brani, alcuni lasciati volutamente incompleti, altri registrati e poi rallentati per trasmettere estraniamento e delirio. Il singolo di lancio è la strepitosa "Pride (In The Name Of Love)", una delle canzoni più belle della storia, dedicata a Martin Luther King, il cui video è interamente girato nella biblioteca dello Slane Castle. La traccia scala immediatamente le classifiche del mondo intero, diventando il singolo di maggior successo della band, almeno fino ad allora, e mostrando le radici più profonde del gruppo: poesia e spiritualità per una tavolozza talvolta vicina alla musica ambient e talvolta senza regole precise, improvvisata, ma mai immune da quell'energia infuocata che le note dei singoli musicisti catturano sin dai tempi di "Boy".

A Sort Of Homecoming

A Sort Of Homecoming (Una Sorta di Ritorno A Casa) è presentata da Bono come una canzone che parla di un ritorno alla vita e alla pace, laddove la casa non è un paese preciso ma rappresenta tutto il mondo, nella speranza che, in futuro, non esistano più nazioni e che tutti i popoli condividano lo stesso suolo. "La poesia è una sorta di ritorno a casa", tale frase, scritta da Celan, ispira la penna di Bono Vox sin dal bellissimo titolo, ed è alla base dell'intensa narrazione. La poetica di questo pezzo è tanto affascinante quanto semplice nella sua costruzione sonora, forte della mirata produzione di Eno, minuziosa fin nei minimi particolari, con un'attenzione particolare al basso di Clayton e alla chitarra di The Edge, asce che creano una particolare atmosfera catartica. La foga post-punk dei primi tre album si stempera parzialmente a favore di un pezzo più ragionato, dalla cadenza solenne e dall'animo oscuro. Il post-punk vi è ancora, ma è presente in forma più matura e introspettiva: "Sai che è ora di andare, in mezzo al nevischio e alla fitta neve, attraverso campi funebri dove lontano brilla una luce", canta Bono dalla voce impostata, più controllata che in passato, poi The Edge si pone come corista e accompagna il vocalist nella seconda strofa: "Tu hai fame di tempo, tempo di guarire, tempo di desiderare. Il tuo mondo si sta muovendo in un paesaggio da sogno". In queste parole Bono descrive un mondo pacifico, abbagliato dal bianco candido della neve, scandito da un tempo che si muove leggiadro e armonioso. L'oscurità si sta diradando per lasciare spazio alla luce, alla speranza di un mondo nuovo. L'aggressività dei dischi precedenti è sempre presente ma è trattenuta, come dimostra il glorioso refrain, dotato di una poesia incredibilmente espressiva, pittoresca e quasi astratta: "Corriamo sul confine, io ci sarò stanotte, su un'autostrada che parte da qui". La band chiama tutti gli ascoltatori a riunirsi su questa autostrada dei sogni, principio di un nuovo inizio, di un nuovo cammino da fare tutti insieme. Larry Mullen picchia con costanza, la chitarra di The Edge è magica, l'atmosfera è sublime, Bono alza il timbro e intona la seconda parte come fosse un profeta: "Le mura della città sono crollate, la polvere si alza in una nube tutto intorno, visi solcati come campi che un tempo non opponevano resistenza, La vallata sta per esplodere". Si delinea un mondo in rovina, post-apocalittico, ma l'apocalisse, in questo contesto, non è una tragedia ma un rinnovo. Il mondo è sprofondato su se stesso, accartocciato sul proprio terreno, e tutto è pronto per essere ricostruito da cima a fondo. Intanto la gente è radunata in strada e attende che i lavori prendano inizio. La penna di Bono è affilata come non mai, qui è maturata enormemente e il testo è ispiratissimo e incredibilmente coinvolgente. Il vocalist sbraita la sua rabbia al mondo intero: "Il vento soffia forte in inverno, nessuna parola pronunciata, nessun grido. Stanotte costruiremo un ponte tra terra e mare. La terra morirà e verrà costruita daccapo". Sotto una pioggia battente di scintille e di cenere, dopo che tutto è stato raso al suolo, i popoli del pianeta si uniranno per ricostruire la propria casa. È un'immagine biblica quella evocata dalle parole di Bono, un segno di speranza per tutti. La band continua la sua marcia verso la libertà, non ci sono cambi di tempo, né assoli, perciò si riprende a sorpresa con un epilogo che è del tutto identico all'attacco, sottolineando una forma ciclica, così come l'evoluzione dell'umanità descritta nelle liriche. "Il tuo cuore batte piano, sotto coltre di neve e pioggia battente. Non piangere, non guardarti indietro. Finalmente sto tornando a casa". Il mondo sta rinascendo dalle proprie ceneri.

Pride (In The Name Of Love)

Scritta in onore di Martin Luther King, politico e attivista per i diritti degli afroamericani, nonché simbolo di pace, Pride - In The Name Of Love (Orgoglio - Nel Nome Dell'Amore) è una delle canzoni più famose e glorificate degli anni 80 e non solo, uno di quei pezzi entrati di diritto nella storia. Un capolavoro senza tempo, illuminato dall'attacco di The Edge, il cui fraseggio è diventato immortale, avendo travalicato generazioni e generazioni di ascoltatori per colpire dritti al cuore. La batteria di Mullen ritrova il vigore degli anni passati, proiettandoci in questa marcia d'amore, dal testo semplice ma profondo e dalla struttura quadrata, fatta a blocchi di quartine dove strofe e ritornelli si alternano le une con le altre. "Un uomo arriva in nome dell'amore, un uomo va e viene. Un uomo arriva per giustificare e un uomo per rivoluzionare". In queste parole si sta delineando la figura leggendaria di King, che ha aperto gli occhi al mondo intero sul problema razziale. Esplode subito il magnetico ritornello, dove Bono urla il suo amore e la sua voglia di libertà: "Nel nome dell'amore, cos'altro nel nome dell'amore?". In effetti, cosa c'è di più importante dell'amore stesso? Niente è paragonabile alla potenza e al desiderio di amare. I fraseggi di chitarra si scontrano e si incrociano con i grassi giri di basso, intavolando un movimento seducente: "Un uomo imprigionato in un recinto di filo spinato, un uomo resiste. Un uomo finito su una spiaggia vuota, un uomo tradito con un bacio", ed è qui sottile l'accostamento tra Luther King e Gesù Cristo, entrambi traditi e morti per liberare gli uomini. The Edge esegue il profetico assolo, trasmettendo gioia ed entusiasmo, mentre Larry Mullen conduce la base ritmica con foga e perizia, almeno fino a quando non interviene Bono a stemperare gli animi con vocalizzi che si traducono nella resa finale, accompagnati da coretti in sottofondo che danno la sensazione di gioia e di speranza. "Mattina presto, il 4 di aprile. Uno sparo risuona nel cielo di Memphis. Libero infine, ti hanno preso la vita, ma non hanno preso il tuo orgoglio". È il 4 di aprile, infatti quando Martin Luther King viene colpito a morte da un colpo di fucile poco prima di un comizio nella città di Memphis. La frase intonata da Bono riprende le stesse parole del politico, recitate nel suo comizio più importante: "Libero infine, grazie a Dio, sono libero infine". Un brano semplicemente incredibile e che, nella sua semplicità, è diventato un canto di libertà e di pace; lanciato come primo singolo del disco, "Pride" ha saputo scalare le classifiche mondiali sin dal giorno di uscita, garantendo agli U2 la gloria eterna.

Wire

Wire (Cappio) è un amaro brano che tratta del degrado dovuto all'utilizzo delle droghe pesanti. Un pezzo viscerale, oscuro, potente e rabbioso scaturito dall'affilata chitarra di The Edge che inventa un riffing assassino. Ma è il basso di Clayton a sorprendere per grinta e inventiva, dall'andamento sinistro, malefico come il testo narrato, sul quale Bono grida la sua rabbia e il suo disprezzo nei confronti delle droghe che hanno ucciso molti dei suoi amici d'infanzia. Sui colpi di basso e sui giri di chitarra, il vocalist, dalla voce sofferta, declama un canto di protesta: "Colpevole di un crimine che è in corso. Un così bel giorno per gettare via la vita, è un bel giorno per lasciarla andare". Il tossico sta gettando via la sua vita, egli è innocente ma, allo stesso tempo, colpevole di questo crimine invisibile che lo rende schiavo. La dipendenza è un crimine da combattere, da superare con la forza di volontà, ma è difficile smettere e la vita si assottiglia e si stringe attorno al collo come fosse il cappio dell'impiccato. Il ritornello è gelido, amaro e dalla melodia strana, acida e sospetta: "Il freddo nei suoi occhi. Freddo, nel suo cuore e nella sua anima". La droga è sinonimo di morte, di suicidio, una puntura che gela sangue, cuore, polmoni e anima. Clayton e The Edge sperimentano suoni, ipnotizzano l'ascoltatore con note graffianti, lo seducono grazie a un'atmosfera fantastica, ricca di tensione, e lo stendono quando giunge la clamorosa strofa gridata da un Bono in grande spolvero. "Uomo freddo dal cuore freddo. Ti guardo mentre ti distruggi, stendi la tua anima, dormi nel lungo sonno"; il lungo sonno è l'oblio che aspetta a braccia aperte la vittima di turno, autodistrutta da una vita di dipendenza, e per dare questa sensazione di oscurità e di pericolo, la band si cimenta in una parentesi strumentale di grande fascino, dominata dagli accordi di basso e dalle sferzate chitarristiche di The Edge che annebbiamo la mente e la confondono, come in preda a stupefacenti. La chitarra ritorna al fraseggio iniziale, dal tocco gelido e metallico che risalta su tutto, e Bono prosegue: "Adesso fa la tua scommessa sul tempo che ti rimane, vinci o perdi? Scegli". La dipendenza è una mera scommessa con la morte, il vocalist ci invita a scommettere, a puntare sulla durata di vita del tossico. L'andamento sinuoso e letale si estende nel ritornello, specie quando Bono intona il bridge, riproducendo l'agonia della vittima in cerca dell'ultima dose: "Sei a terra, cerchi l'ultimo bacio, quello schifo bianco che compri col contante e sai che ti taglierà la gola. Qui c'è la corda, ora dondolaci sopra". Bastano un po' di soldi per farsi l'ultimo viaggio solo-andata per l'inferno, le chitarre riproducono un suono metallico che identifica il cappio che si stringe attorno all'esile collo del tossico e che gli taglierà la gola, portandolo alla morte per impiccagione.

The Unforgettable Fire

Dal titolo di una mostra fotografica di Chicago riguardante la bomba atomica americana sganciata sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, The Unforgettable Fire (Il Fuoco Indimenticabile) è il pretesto, per Bono, per parlare di un amore stroncato. Il fuoco indimenticabile, in questo caso, non è quello della bomba ma è la passione ardente che brucia il cuore del giovane protagonista. Le liriche sono astratte come un quadro impressionista, un puzzle di immagini poetiche che ci cercano, si toccano, si sfiorano e si collegano tra loro concatenandosi in diverse sensazioni intime. Il delicato tocco di The Edge raggiunge qui il suo apice, la sua chitarra svetta nell'aria con morbidezza, il basso di Adam Clayton crea empatia con il pubblico, descrivendo questo tetro ma romantico paesaggio autunnale. Un attacco da capogiro, tra i sospiri del vocalist e le cupe atmosfere ritagliate da Brian Eno, dove Bono intona questa seducente semi-ballata: "Ghiaccio, i fiumi scorrono freddi, le luci della città brillano come argento e oro. Scavati nella notte, i tuoi occhi sono neri come il carbone", ecco il ritratto della donna amata, più che di natura umana si può parlare di immagine infernale, una belva femminea spietata dal cuore gelato e dagli occhi neri e profondi. Il pre-chorus è sublime, dalla melodia intensa che tocca l'anima: "Camminami di fianco, cammina fino a correre. Non voltarti perché io sono qui". Bono si rivolge all'amata, le dice che si stanno allontanando perché hanno un passo diverso, ma non bisogna mai voltarsi, basta guardare dritto, avanti nel futuro e vivere la vita senza rimpianti. "Carnevale, le ruote girano in cielo colorate per via dell'alcool. Vino rosso che punge la pelle". L'allontanamento è spietato, disperato, l'uomo si getta tra le braccia dell'alcool per dimenticare, ha la mente così confusa e la gola così secca che, per le vie della città, gli sembra sia carnevale. È il momento del grandioso e memorabile ritornello, un capolavoro assoluto: "Resta questa volta, resta nella bugia, resisti. Te lo sto chiedendo ma penso tu lo sappia già. Vieni a prendermi e portami a casa". L'uomo invoca l'aiuto della sua donna, la situazione si è fatta drammatica, dall'apparente calma iniziale tutto è precipitato ed ora il giovane sa che sta sprofondando. Cerca un appiglio, invoca la sua amata per fare ritorno a casa. Bono intona le ultime parole in falsetto, come a trasmettere sofferenza. Qui entra in scena il jazzista irlandese Noel Kelehan, alle prese con gli archi, che si diletta accompagnando The Edge in un intenso momento che dona poesia e drammaticità al pezzo. Un momento astratto, fenomenale, che anticipa lo struggente bridge: "Se la montagna dovesse crollare e sparire nel mare, non verserei una lacrima. Ma tu resta stanotte, riserba il tuo amore per sempre", Bono chiede perdono alla donna, la chiede di restare con lui, di non abbandonarlo tra le lacrime, poi gli strumenti si spengono lasciando il vuoto, lasciando la pacatezza intima di un uomo distrutto dal dolore.

Promenade

La pacatezza del dolore emerge nella placida e mistica Promenade (Lungomare), traccia ispirata dagli scenari marittimi che si stendono sulla nuova casa comprata da Bono e dalla moglie Alison dopo il successo del fortunato "War". La nuova casa, dalla forma di un piccolo castello, sorge sulle sponde del mare d'Irlanda, a sud est di Dublino, in un villaggio che, per la sua calma e la sua bellezza, ha stregato il cantante sin dal primo momento. Adam Clayton dirige i compagni, il suo basso rievoca i granelli di sabbia della spiaggia e la chitarra di The Edge il vento che soffia sul molo, mentre Mullen colpisce delicatamente i tamburi, quasi sfiorandoli per non spezzare l'incantesimo del brano. La magia è tutta nelle corde vocali di Bono che parte sussurrando sugli effetti sonori sperimentati alle sue spalle dai compagni: "Cielo e terra. Uomini di paglia, una sala biliardo, fango, sabbia e pietra, un recinto di filo spinato e una scala a chiocciola che sale al piano di sopra", Bono sta descrivendo casa sua, immersa tra cielo e terra in un paesaggio spettacolare, dalla struttura fatta di pietra e adagiata sulla sabbia, dove si erige una piccola torre che si raggiunge salendo delle strette scale a chiocciola e dove vi è collocata la camera da letto della coppia. La casa della star è ricavata riutilizzando le rovine di un vero muro celtico, il Martello Tower, eretto in antichità per sorvegliare gli sbarchi. La melodia si accende in concomitanza dell'ascia sulfurea di The Edge ed ecco il secondo blocco/verso da intonare a gran voce: "Come fuoco d'artificio, io esplodo nel bagliore di una candela accesa al cielo. Inciampo nelle strade rovinate e cado sul marciapiede. Ti guardo mentre ti avvicini e nascondi il viso". La musica comincia ad invadere gli spazi, a farsi più vigorosa mentre Bono continua a raccontare la sua quotidianità, le sensazioni provate in quel magico luogo, accanto alla moglie che lo vede inciampare e cadere a terra, magari nascondendo una risata. Si attacca con l'ultimo blocco: "Balla con me, fammi girare intorno stanotte, intorno alla scala a chiocciola, mentre la radio parla di sport e pubblicizza bevande". È la prima notte trascorsa in quella villa, la coppia sta festeggiando il nuovo acquisto, l'inizio di una nuova vita in quella splendida dimora. È una serata romantica, felice e calma. Due minuti stupendi, altamente significativi che aprono una finestra sull'intimità dell'uomo, sulla sua famiglia.

4th Of July

4th Of July (4 Luglio) è una strumentale brevissima di appena due minuti, sostenuta da un movimento ondulatorio molto particolare e indotto dai sintetizzatori suonati da Paul Barrett che riproducono suoni stranianti e, al contempo, rilassanti, stile ipnosi regressiva. L'idea per questo pezzo ambient, in pieno stile Brain Eno, viene in mente ad Adam Clayton durante un semplice esercizio; il bassista sta provando per divertimento, quando, in breve, viene raggiunto da The Edge che si affianca a lui producendo plettrate confuse, andando avanti così per parecchio tempo. Intanto, il produttore Brian Eno, registra tutta la prova di nascosto, ci aggiunge i sintetizzatori e propone il brano così come è venuto. Ai musicisti piace e allora si decide di inserire la registrazione all'interno dell'album. L'atmosfera è coinvolgente, psicologicamente spinta, tanto che strega l'ascoltatore, laddove la vena sperimentale della band raggiunge qui il suo apice. Il titolo invece non è riferito alla festa d'indipendenza americana, che cade lo stesso giorno, ma alla nascita della figlia di The Edge, Hollie, nata appunto il 4 luglio 1984, durante le sessioni di "The Unforgettable Fire". Il fascino di questa traccia è racchiuso tutto in pochissime note ripetute, che vanno quasi a spezzare in due il minutaggio del disco, creando una sorta di pausa altamente spirituale.

Bad

Arriviamo al terzo singolo estratto, al capolavoro a nome Bad (Cattivo), altra perla che parla di droghe, anche se, in questo caso, l'atteggiamento del testo è diverso da quello pregno di collera riscontrato in "Wire". Qui si ha la consapevolezza del male procurato dalle sostanze stupefacenti, quasi un'accettazione del calvario umano come sacrificio biblico da affrontare per la redenzione. Il cattivo qui è l'eroina, veleno pericoloso in grado di distruggere corpo e mente. Le nostalgiche atmosfere degli U2 travolgono l'ascoltatore, la chitarra di The Edge è unica e riconoscibile in mezzo ad altre mille, segno di uno stile personale inimitabile. Bono intona la prima parte della canzone dalla struttura particolare, che prende slancio lentamente crescendo di intensità e ponendosi a metà tra una ballad e un'elegia rock. "Se potessi gettarti questa corda di salvataggio per afferrare il tuo cuore d'argilla. Ti vedo camminare nella notte, attraverso la pioggia, nella penombra e nella fiamma". Ancora un personaggio divorato dall'eroina, dal fisico massacrato, gli occhi spiritati, i muscoli deboli e il cervello in pappa, al quale il nostro uomo cerca di dare aiuto, anche se in maniera limitata. "Se potessi liberare il tuo spirito, guiderei il tuo cuore lontano. Ti vedrei lontano nel bagliore della luce". Mentre la base strumentale comincia a fare forza sul drumming di Mullen e sulle sferzate di chitarra elettrica, Bono gorgheggia quasi spensierato, sereno nonostante il tracollo dell'amico. Non è un canto di resa questo, ma la semplice accettazione dell'imprevedibilità della vita stessa. Il refrain è amarissimo, laddove il cantante urla: "Lascialo andare e dissolversi lontano", ammettendo che non c'è più speranza per il tossico divorato dalla droga, come se Bono lo stesse accompagnando al suo triste destino, vegliando sugli ultimi secondi di vita del morente. E poi, con rabbia incontrastata e voce potentissima, il vocalist grida al vento: "Sono sveglio, completamente sveglio. Non sto dormendo", a indicare che sta vegliando sull'amico agonizzante, ma anche che l'eroina è un incubo a occhi aperti. Si procede aumentando la marcia funebre, emerge il basso e la chitarra rinfresca il suo fraseggio, mantenendo un tempo costante tramite la guida di Mullen. "Colori accesi volano nel blue e nel nero, in un cielo di seta contornato da bandiere in fiamme. I colori diventano due occhi rosso sangue". La vita è una strada piena di colori, che vanno da quelli più accesi e quelli più sbiaditi. È come se la band stesse dipingendo un quadro, prendendo i colori dalla tavolozza, per dipingere un paesaggio astratto, dominato da diverse tonalità. La salute e la bellezza sono formate da colori vividi, solari, mentre la morte, la sofferenza e la distruzione del fisico sono indicati con colori cupi. In poche parole si sta raccontando la vita di un uomo divorato dall'eroina; non a caso, subito dopo il secondo ritornello, Bono declama a gran voce il drammatico finale. Mentre la sezione ritmica accelera nevroticamente, rievocando lo spettro della dipendenza, Bono rigetta parole a profusione: "Disperazione. Confusione. Separazione. Condanna. Rivelazione. Tentazione. Isolamento. Desolazione. Lascialo andare via", elencando tutte le emozioni provate dalla vittima. Emozioni oscure, piene di paure, desolanti, sinonimi di morte.

Indian Summer Sky

La foga post-punk ritorna prepotente in Indian Summer Sky (Cielo Di Un'Estate Indiana), affascinante inno dedicato agli indiani d'America e al loro spirito che ancora riecheggia in quelle valli. "Spiriti irrequieti, massacrati negli anni e intrappolati in giungle di cemento", è così che Bono, sul palco durante una data live, definisce questa splendida traccia, facendosi portavoce di un intero popolo. La band è scatenata, il basso gronda sudore, la batteria martella, la chitarra svetta alta oltre l'orizzonte che si perde in una volta celeste limpida e pura. "Nelle piaghe dell'oceano risuona profondo il cielo. Nel bosco c'è una radura, io corro là verso la luce. Il cielo è blu. Nella terra c'è un buco profondo, emerso per prendere aria e per nuotare nella corrente verso il cielo". Bono descrive una natura selvaggia, così come era intatta in tempi remoti, e dà un'importanza sacra al ritratto del cielo, visto come specchio dei defunti dove le loro anime vagano ancora oggi facendo la spola tra paradiso e terra. Il ritmo è frenetico, così come lo stile canoro adottato dal vocalist, mentre il ritornello arriva leggiadro quasi in punta di piedi, dalle linee melodiche morbide ed evocative: "Perdere lungo la strada la scintilla che accende la fiamma. Vacillare e scomparire in questo lungo giorno", la fiamma del testo è forse la scintilla dell'ingegno, o forse della ragione, perduta strada facendo a seguito dello sterminio di massa della popolazione indiana. The Edge esegue una serie di fraseggi funky, dando origine al delizioso bridge sussurrato e ripetitivo: "Così il vento passa attraverso il mio cuore. Così il vento passa attraverso la mia anima". La natura è sempre protagonista, venerata dai pellerossa e distrutta dall'uomo bianco. Ma nel vento il canto di quegli uomini così fieri e onesti si stende sulla vallata ricordandoci il loro martirio. Si riprende a spingere, il basso è muscoloso e il drumming irrefrenabile: "Due fiumi scorrono profondi, le stagioni cambiano e così faccio anche io. La luce che colpisce gli alti alberi è una luce lontana per me". Dunque si riprende l'immaginifico bridge, la ritmica funky giunge nuovamente accompagnandoci a un epilogo fugace, che smorza il tutto troncando il brano all'improvviso, lasciando i cuori palpitanti e col fiato spezzato. Un gioiello intenso, deciso e compatto, ricco di un sentimento atavico che traspare in ogni singola nota, per un canto in onore della natura, del benessere di un popolo, di un territorio un tempo pacifico.

Elvis Presley And America

Elvis Presley And America (Elvis Presley E L'America) è una specie di scherzo proposto da Brian Eno, il quale costringe Bono a cantare versi sconnessi e su una base messa lì a sostegno senza criterio. Il risultato è un pezzo che stordisce, stranissimo nel suo incedere, sperimentale nel suono e dalle liriche confuse che vogliono ricordare gli ultimi anni di vita del re del rock 'n' roll: Elvis Presley, all'epoca obeso, stordito dalle droghe, smemorato tanto da dimenticarsi persino le parole delle sue canzoni, pigro e svogliato, divorato dalla noia della quotidianità. Proprio partendo dalla patetica figura dell'ultimo Elvis, Bono butta giù diverse frasi improvvisate, le canta sulla base proposta dal produttore, scoprendo poi che è la stessa di "A Sort Of Homecoming", rallentata appositamente da Eno e Lanois. L'effetto sorpresa è vincente e la traccia, pur essendo un piccolo diversivo, risulta una grande pezzo punk. Bono sembra ubriaco o stordito e farnetica a casaccio: "Un lampo nero sul mio amore. Parlami dei miei occhi, del lampo nero che esce dalla mia vita". Essendo una base rallentata, ovviamente si capisce poco e niente degli strumenti, l'effetto stordente avvolge l'orecchio e si stende su un testo lunghissimo e sconnesso. "Lampo bianco vede il cielo e gira su di te. Lei mi gira la schiena e diventa triste. Il tempo è dalla tua parte, il tuo tempo è con me". Secondo alcuni, qui Bono sta parlando di un Elvis pensieroso dopo un litigio con sua moglie, adirata con lui per l'utilizzo eccessivo di droghe e di alcool. L'interpretazione è totalmente soggettiva, data la natura astratta delle parole profuse; in un certo senso, questo brano è quello che maggiormente rappresenta la definizione data dalla band a un disco come "The Unforgettable Fire": astratto, autunnale, malinconico, disperato. Un quadro impressionista ricco di immagini e, in effetti, le immagini qui proposte sono numerose, degne di un saggio di psichiatria. Su una batteria nervosa e sul suono confusionario partorito dalle due asce, si continua con questo folle elenco di immagini, quasi fosse un collage di pezzi messi a casaccio. "Senza speranza, disperato, lo faccio per te. Hai scoperto dove stavo andando e sei finita con me. Cammini nel cielo blu, dimmi di sparire nel tuo sonno". Probabilmente si parla ancora di amore, l'amore della coppia, frastornato da una serie di problemi che porteranno, di lì a poco, alla morte improvvisa del leggendario musicista americano. A un certo punto Bono lancia una serie di lamenti agonizzanti, ricordandoci della fine atroce e prematura di Elvis, ma anche della disperazione della star nei suoi ultimi momenti. Una star divorata dalla vita stessa. "Nel tuo sonno, dentro al tuo cuore e nel mio, l'intero mare è buio. Dolcemente, lasciami entrare nel tuo cuore. So che sei triste, intanto la pioggia batte come i tuoi battiti, la pioggia scende dal cielo stasera, mi vado a unire a Dio, raccogli i miei pezzi sul pavimento". È giunto il momento estremo della morte, il ricongiungimento con Dio, un pavimento che raccoglie il cadavere dell'uomo.

MLK

MLK (Martin Luther King) è una veglia funebre di due minuti cantata a cappella e con l'ausilio del sintetizzatore che genera un sottile strato di suono in sottofondo, quasi un fruscio, sul quale Bono intona il suo canto in onore di Martin Luther King, il secondo dell'album dedicato al popolare attivista afroamericano dopo il singolo "Pride". Tale perla esprime il sentore che i sogni del politico possano, un giorno, avverarsi. Il silenzio fa da sfondo alla veglia funebre e un Bono Vox delicato come non mai declama parole di pace. "Dormi, dormi stanotte e che i tuoi sogni possano avverarsi. Se il tuono e le nuvole portano pioggia, lascia che piova. E così sia". Partendo dalla celebre frase di King, pronunciata durante un comizio e che recitava "I have a dream!", il vocalist degli U2 prende spunto per scrivere questo semplice ma stupendo testo suddiviso in sole due strofe identiche tra loro. Il sonno comporta sogni, possibilmente sogni felici, in questo caso di pace e armonia, e se scende la pioggia va comunque bene, sono lacrime del cielo che piangono in memoria dell'attivista colpito a morte. "Dormi, dormi stanotte", ripete Bono, replicando la stessa strofa già ascoltata. La melodia tocca l'anima, fa riflettere sul passato e sul futuro, sull'uguaglianza dei popoli, sulle sorti di un mondo crudele e disperato. È durante la lavorazione di questo album, in particolare di questo brano, che la band si fa sedurre dal clima politico dell'America, dalla rabbia dei suoi residenti, dal fascino dei suoi paesaggi, e proprio da qui incomincia il cosiddetto "periodo americano" che si concretizzerà in due album fondamentali: "The Joshua Tree" e "Ruttle And Hum", dai suoni americani, che vanno dal blues al country, dal soul al gospel, cui seguirà una lunga tournée proprio in quei luoghi per catturare pienamente l'aria statunitense.

Conclusioni

Definito da molti critici dell'epoca come l'altra medaglia di "War", disco robusto e piuttosto diretto, "The Unforgettable Fire" mostra una band rigenerata, che si mette in gioco e che ha voglia di sperimentare. Lo spirito post punk rimane intatto, la foga sonora trascina l'ascoltatore in molte tracce, ma lo fa in modo diverso rispetto ai precedenti album, regalando sfumature diverse, maggiormente astratte, attraverso suoni che flirtano con la musica ambient, note minimali che si amalgamano a testi profetici, su uno sfondo spirituale e impressionista, dai toni di base smorti ma che, in alcune occasioni, si accompagnano a pennellate di accecante colore. "The Unforgettable Fire" si pone a metà tra la prima fase della concezione musicale degli U2, quella più viscerale e rabbiosa, dedita al punk e agli inni di protesta, e la seconda fase di fine anni 80, quella dal suono americano, ammiccante al country blues e sostenuta da atmosfere che rievocano scenari desertici e panorami propri dell'America, con le sue vaste praterie, la ricca vegetazione, ma anche le lande sabbiose dominate da dune silenziose e da montagne rocciose che vegliano sulla vallata, illuminata da un orizzonte incendiato di rosso fuoco. È proprio il fuoco il tema che si palesa tra le note dei brani del quarto album della band, quel fuoco simbolo ancestrale di passione ma anche di ribellione che alberga nell'animo umano sin dai tempi del mito. Se la sacralità del fuoco è indiscutibile, affascinante e orgogliosa, la sua natura è altrettanto pericolosa, capace di generare morte e distruzione. Il fuoco indimenticabile è quello dell'energia atomica, custodita come segreto immortale del genere umano e sinonimo di forza distruttiva, di potenza incontrastata, di folle virilità e di assurda stupidità. Il fuoco indimenticabile si intuisce, nella veste di rabbia, in canzoni quali "Wire" e "Bad", ed è presente nei canti di pace in onore di Martin Luther King intonati in "Pride (In The Name Of Love)" e "MLK"; la sacra fiamma della passione e della nostalgia è delirante in "The Unforgettable Fire" e "Indian Summer Sky", che riflettono sull'amore e sulla morte, ed è alimentata nelle quiete "Promenade" e "4th Of July", dai toni ambienti. Ma il fuoco che arde è anche sintomo di poesia, di cuori ardenti, colmi di emozione, impressi nelle crepuscolari "A Sort Of Homecoming", ispirata al poeta ebreo Paul Celan, morto suicida nel 1970, e "Elvis Presley And America", pezzi legati dalla stessa identica base strumentale dove però, in quest'ultimo, la base viene rallentata creando uno stranissimo effetto di confusione mentale. "The Unforgettable Fire" è un disco unico nella carriera degli U2, è un'opera di transizione che si erige solenne come tramite tra due fasi ben precise, laddove il post punk suonato dalla band si trasforma in qualcos'altro, dai suoni sperimentali, astratti e raffinati. La chitarra di The Edge e la batteria di Larry Mullen trovano nuove strade per incidere nella mente dello spettatore, delineando un percorso alternativo, che sa farsi largo con la forza del rock ma che, in tante occasioni, lascia spazio a soluzioni ambient, scandite da sintetizzatori ed effetti sonori placidi e atmosferici. Il basso di Adam Clayton inventa passaggi magnetici come mai prima d'ora, fatti di esercizi e di giri appena abbozzati, delineando la natura transitoria di questo lavoro, mentre Bono è il profeta che recita, cuore in mano e ghigno da idealista, di un mondo tanto lontano quanto vicino, dove pace e violenza sono legate in un lungo abbraccio, facendo quasi prendere vita quelle antiche mura foderate di edera attraverso dieci canti ovattati, meditativi e spirituali che consegnano definitivamente gli U2 alla storia. "The Unforgettable Fire" è un album intimo, sicuramente incompleto per mancanza di tempo, dato che la band sarebbe partita subito per il nuovo tour, dai particolari poco curati e lasciati così, appena abbozzati, ma che, forse proprio per queste caratteristiche, astratte, effimere, sulfuree, questo figura come una delle vette assolute della band.

1) A Sort Of Homecoming
2) Pride (In The Name Of Love)
3) Wire
4) The Unforgettable Fire
5) Promenade
6) 4th Of July
7) Bad
8) Indian Summer Sky
9) Elvis Presley And America
10) MLK
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