U2

The Joshua Tree

1987 - Island

A CURA DI
ANDREA CERASI
02/03/2018
TEMPO DI LETTURA:
9,5

Introduzione Recensione

Distese perdute nel silenzio, orizzonti rosso fuoco che bruciano i paesaggi, sabbia incandescente che si alza in polveroni assieme al forte vento dell'est e montagne rocciose a picco su vallate spettrali dove le aquile sfrecciano indomite alla ricerca di prede. Dai paesaggi piovosi, umidi, innevati e malinconici che richiamano le stagioni dell'autunno e dell'inverno, ritratti nei primi quattro album, ecco il salto di continente, dall'Europa all'America, raccontato attraverso un passaggio temporale, sotto i raggi di una torrida estate. Se nella prima metà degli anni 80 il suono degli U2 è tipicamente europeo, selvaggio, sfuocato e freddo, nella seconda metà della decade è caldo, polveroso e tradizionale. Gli U2 e l'America, un rapporto tanto fugace quanto profondo e magico. Non l'America superficiale, megalomane e futile che spesso scade negli eccessi e nel cattivo gusto; l'America dei palazzi ultramoderni che sfiorano le nuvole, l'America dei film hollywoodiani, delle industrie e dei marchi prestigiosi. No, gli U2 non cercano quell'America lì, ma scendono in profondità, scavando nella tradizione del paese, partendo dalle radici che ne hanno generato contraddizioni e divari sociali. Già dal tour del monumentale "The Unforgettable Fire", la band irlandese, partita dalla uggiosa e cupa Dublino, approda negli U.S.A. e subito resta affascinata dagli spazi vastissimi e dal clima mutevole delle città, in particolare delle città del meridione, che si rispecchiano nella visione elencata nelle prime righe di questo articolo. È qui che la band si chiude in se stessa e decide di approfondire la tematica americana, vivendola nell'intimo, avvicinando sentimento europeo e ideologia americana e cercando un compromesso razionale, al fine di dar voce alla gente di quel continente, la stessa gente che voce non ha perché radicata nella vera America, nel cuore del paese, nelle città dimenticate e lontane dalle luci dei riflettori. Niente sfarzo, niente lusso, niente industrie mondiali, niente modernità. Gli U2 ricercano dove tutto è iniziato, gli U2 cercano l'America, quella provinciale, quella sincera. Archiviate le critiche alle società europee, è con "The Unforgettable Fire" che la band comincia a guardare a ovest e a gridare il proprio pensiero sul tema razziale, omaggiando Martin Luther King e Malcom X, entrambi assassinati per la stessa causa, ma anche mettendo in evidenza il disappunto riguardante il maltrattamento degli indiani d'America. Non tutto il lavoro del 1984 è monodirezionale e le tematiche affrontate sono diverse, eppure è evidente l'intento di avvicinamento della formazione irlandese, al fine di conquistare definitivamente l'America, puntando dritti al cuore e all'anima della modernità. Il mini "Wide Awake In America", contenente due brani live e due b-side, uscito inizialmente solo in nord America, testimonia il primo passo degli U2 verso questa terra, crocevia di generi artistici e di idee avanguardiste. L'esibizione al Live Aid 1985 è l'occasione per dimostrare al mondo l'attitudine live della band, che da questo momento in poi viene vista con un'altra ottica, specie in America, dove da molti critici viene eletta come una delle più grandi band della sua epoca. Il sasso è stato lanciato e la conquista del continente è iniziata. Gli U2, assistiti da Brian Eno e Daniel Lanois, tralasciano la gelida sperimentazione affrontata nel precedente album e si fanno sedurre dai toni caldi e soffocanti del blues, per poi andare a ritroso scoprendo le radici del rock americano, non solo blues ma anche country, soul e gospel, passioni sbocciate grazie all'incontro con vere e proprie leggende viventi: Bob Dylan, Rolling Stones, Van Morrison, tutti artisti che segnano profondamente i quattro ragazzi dublinesi, inducendoli a riscoprire le radici della musica contemporanea. L'America, quella reale, quella forgiata sulla violenza ma anche sulla spiritualità, sulla ricchezza culturale e sulla bellezza selvatica, viene studiata dalla band al fine di esaminare, di smembrare la mitologia americana. Tale imponente impresa si concentrata in uno dei dischi simbolo di un'epoca e tra le opere più famose e importanti della storia della musica mondiale: "The Joshua Tree", dal nome di una piccola cittadina ai margini del deserto californiano.

Where The Streets Have No Name

Durante un viaggio organizzato da Amnesty Internetional Bono visita l'Etiopia. In questa povera terra non solo si rende conto dei gravi problemi del mondo, ma li vive lui stesso per parecchie settimane. È qui che una sera, pensando alla sua patria, l'Irlanda, pensa alle differenze sociali che si intuiscono guardando i vari quartieri delle città, e allora ecco l'idea di Where The Streets Have No Name (Dove Le Strade Non Hanno Nome), uno dei brani più famosi della storia, un inno all'uguaglianza razziale e civile. Le leggiadre tastiere, suonate dal produttore Brian Eno, creano una delle intro più suggestive mai ascoltate, una introduzione studiata maniacalmente da tutta la band per intere settimane, al fine di renderla al meglio, proiettando l'ascoltatore nel cuore dell'America. La chitarra di The Edge interviene lentamente, facendo rivivere quei mistici paesaggi paludosi e aridi, il caldo soffocante e il sapore della terra. Adam Clyton e Larry Mullen seguono la chitarra e i sintetizzatori dando inizio a un pezzo rock, lontano dalla sperimentazione degli album precedenti e dotato di una struttura classica. Questo è rock puro e le parole di Bono sono intense e pregne di magia: "Voglio correre e nascondermi, voglio abbattere i muri che mi imprigionano, voglio toccare la fiamma. Voglio sentire la luce del sole sul mio viso, voglio veder scomparire le nubi di polvere e ripararmi dalla pioggia avvelenata". Due strofe quadrate ma altamente significative: la libertà, l'uscita dalla prigionia di una vita misera, la fuga da una guerra, sotto cieli tempestati da bombe e nubi tossiche. Arriva il leggendario ritornello, una vera delizia melodica, dove Bono grida al mondo che le strade non hanno nome. "Dove le strade non hanno nome, le stiamo costruendo". Una città immaginaria, dove non esistono differenze di razza o differenze sociali, dove tutti gli uomini saranno uguali e vivranno d'amore. Quel posto è la terra promessa della bibbia, ancora in evoluzione, ancora in costruzione, ma arriverà prima o poi. Questa è la promessa degli U2. La batteria di Mullen è marziale, il basso di Clayton svetta alto, ma è la mitica chitarra di The Edge a fare la parte del leone, inventando un giro di sei note tanto semplice quanto speciale, ricco di nostalgia e rimpianti. "La città è sotto al diluvio, il nostro amore diventa ruggine, siamo tutti sbattuti e sospinti dal vento come granelli di polvere". Bono sottolinea la caducità della vita, ma anche la speranza in un futuro radioso. Su di una collina deserta, isolata dalla civiltà, nascerà una nuova era, dove gli uomini si ritroveranno e godranno di pace e armonia, senza leggi, senza mansioni, senza strade ad indicarne posizione civile. La canzone sfuma così come è iniziata, impuntandosi col quel magico giro di chitarra, lasciando un piacevole sapore sulla lingua, un tocco morbido e una grandissima poesia da raccontare. Il relativo videoclip, preparato per lanciare il terzo singolo dell'album, viene girato a sorpresa sopra il tetto di un negozio di liquori a Los Angeles. Gli U2, così come fecero i Beatles tanti anni prima, improvvisano uno show davanti a una folla accalcata per le strade della città, bloccando e mandando nel panico il traffico. Deve intervenire la polizia a interrompere la performance, ristabilendo così, ma con molta difficoltà, l'ordine in quell'incrocio nevralgico. Una messa in scena perfetta, che dà, come se ce ne fosse bisogno, ulteriore visibilità alla band irlandese.

I Still Heaven't Found What I'M Looking For

Il rock di matrice country si trasforma in una semiballata gospel a tinte folk con I Still Heaven't Found What I'M Looking For (Non Ho Ancora Trovato Ciò Che Sto Cercando), secondo singolo di "The Joshua Tree". Qui è presente tutta la carica e l'energia tipica della musica black e del popolo afroamericano, non solo per quanto riguarda il sound, ma anche per quanto concerne il testo di ispirazione religiosa. L'idea nasce durante una festa, nel trambusto della serata, tra gente ubriaca che balla in pista e musica dance a cannone, mentre Bono e The Edge provano qualche accordo. Attorno, almeno a detta dei due musicisti, la musica dance e le urla divertite dei presenti spariscono all'istante. Rimane il riff di chitarra e il ritornello, cantato come fosse un inno gospel, quasi a cappella. L'origine della canzone è quantomeno curiosa, e non è un caso se durante il tour i nostri la riadattano come canto gospel, assieme a un coro di voci nere, come del resto immortalato nel disco semi-live "Rattle And Hum". "Ho scalato le più alte montagne, ho corso per i campi solo per stare con te. Ho strisciato e scalato le mura di questa città, solo per stare con te". L'andamento è quasi gioioso, sicuramente sereno, il nostro protagonista sta rivelando la sua fede, dicendo di fuggire dalla città-prigione. Ancora una volta troviamo il tema della città-fortezza dalla quale fuggire. Il richiamo della civiltà primitiva, la vita selvaggia, la libertà dei paesaggi desertici americani sono espressione di fede e di speranza. "Lontano dagli uomini si ritorna ad essere uomo", poiché da soli non vi è corruzione. Chitarra e basso costruiscono una leggiadra cantilena, la batteria è delicata e mai invadente, la sacralità è tutta nella voce di Bono, questa volta accompagnato da cori (cantati da Eno, The Edge e Lanois) nell'intonazione del bel ritornello dal sapore gospel. La musica preme sull'acceleratore, gli strumenti si gonfiano nella seconda metà, Bono riprende a raccontare la sua più intima sensazione: "Ho baciato labbra di miele, ho sentito la guarigione sulle sue dita. Ho parlato la lingua degli angeli, ho stretto la mano al diavolo, lei era calda nella notte ed io freddo come pietra". Ci sono tutte le tematiche care al popolo nero: la fede in Dio, l'amore per una donna, il senso della vita e quello della morte, il richiamo al diavolo, il desiderio di libertà. Mullen colpisce i piatti con più grinta, poi arriva The Edge e intavola un grandissimo momento strumentale con la chitarra acustica, che riprende lo stesso giro di quella elettrica. Mentre i cori in sottofondo aumentano d'intensità, torna Bono a intonare l'ultima fase, quella più concitata. "Io credo che il regno verrà, tutti i colori saranno mescolati in uno solo. Tu hai rotto ogni vincolo, hai sciolto le catene, hai portato la croce con i miei peccati sulle spalle". il riferimento biblico è esplicito, dunque la religione come canto di liberazione, come sfogo dalla vita terrena. Uscito nel maggio 1987, il secondo singolo della band scala le classifiche mondiali, posizionandosi direttamente al numero uno della Billboard; il videoclip, invece, viene girato per le strade Las Vegas, Nevada, uno degli Stati girati in lungo e in largo dagli U2 per catturarne le attitudini, le atmosfere desertiche e il caldo assoluto. La scelta di girare in bianco e nero non è casuale, in quanto la "filosofia del bianco-nero" è sempre stata considerata da Bono e compagni un vezzo intelligente, affascinante e prezioso, soprattutto se deve indicare malinconia, fierezza, poesia e protesta. Basti guardare le copertine di "Boy" e "War" per rendersene conto, oppure i futuri lavori, come il film-documentario "Rattle And Hum", o alcuni videoclip come "Stay", "All I Want Is You" o "Please".

With Or Without You

Il brano più famoso degli U2 e uno di quelli più popolari di sempre, dall'indole religiosa e dal messaggio mistico, With Or Without You (Con O Senza Di Te) è senza ombra di dubbio il pezzo cardine dell'intero album, e anche dell'intera carriera della formazione irlandese. Sebbene non la consideri la miglior ballata della band, resta impossibile ignorare questo pezzo da novanta, la sua innata delicatezza e un testo da lacrime agli occhi. Brain Eno torna a suonare i sintetizzatori, introducendo un'atmosfera cupa, dal sapore amaro. Non a caso qui si parla di un amore stroncato, di un rapporto disperato che ha due chiavi di lettura: da una parte la fine di una relazione con una donna, dall'altra una crisi mistica, il dubbio sulla fede, sul contatto con Dio. Bono non ha mai chiarito la posizione, lasciando libera interpretazione al pubblico. Mullen e Eno ci conducono in una dimensione intima, la melodia è dietro l'angolo e viene sussurrata da un Bono profetico: "Vedo la pietra incastonata nei tuoi occhi, vedo la spina rigirata sul tuo fianco. Su un letto di spine lei mi fa aspettare. Aspetto? senza di te". Il riferimento religioso è chiaro, la spina conficcata al fianco come la lancia del soldato penetrata nella costola di Gesù, ma l'attesa della morte e della distruzione avviene anche per colpa di una fantomatica "lei" che non si decide a tornare. Il primo refrain è morbido, quasi sussurrato, le tastiere di natura ambient diventano più ingombranti, emerge anche l'ottimo basso di Clayton. "Attraverso la tempesta raggiungiamo la riva, tu ce la metti tutta ma io voglio di più. Ti sto aspettando". È la fede come rappresentazione di coraggio e di speranza quella che Bono sta descrivendo. Forse la fede è incarnazione femminea, vista come fosse una donna che si fa attendere. Attraversare il fiume, simbolo di vita e di rinascita, è difficile, data la tempesta che si abbatte sulla terra, ma con il coraggio si raggiunge l'altra riva, il sogno di una nuova esistenza. Bono alterna tonalità graffianti ad altre in falsetto per gridare la voglia di proseguire, con o senza la sua amata/fede. "Non posso vivere con te o senza di te". Il senso delle parole del ritornello è abbastanza paradossale, nichilista e astratto, laddove il nostro ragazzo sa che deve continuare a vivere ma è ancora indeciso se farlo con o senza fede, o anche senza l'amore della sua vita, data l'ambiguità del doppio senso. "Le mie mani sono legate, il mio corpo ferito. Lei mi stringe, non posso vincere né perdere". Tutto è in balia del destino, si vive, si esiste, si muore. È la vita, ogni desiderio concesso non è per merito nostro, almeno non tutto, ma siamo solo granelli di sabbia trasportati dal vento. The Edge irrompe a metà brano, durante il secondo ritornello, Mullen comincia a pestare e la sezione ritmica esplode in un tripudio di dolore, sottolineato dai lamenti disperati urlati dal vocalist. L'atmosfera si quieta poco dopo, restano solo tastiere e batteria a cullarci in questo mare di dolore, The Edge riprende il giro iniziale e Clayton torna a far pulsare il suo basso, sfumando nel silenzio.

Bullet The Blue Sky

La rabbia per la guerra civile in centro America, finanziata, tra l'altro, dagli stessi U.S.A. con l'appoggio al potere militare, è il soggetto della cattivissima Bullet The Blue Sky (Un Proiettile nel Cielo Blu), delirante canzone rock di protesta che riporta gli U2 ai tempi di "War". Bono racconta del terrore per le vie di El Salvador, visitato da lui stesso nel 1986, dove la popolazione, ridotta in miseria, viene letteralmente schiacciata dall'esercito al comando di un dittatore. Il folle basso di Adam Clayton si impone sin da subito come ascia assetata di sangue, mentre in sottofondo The Edge si diverte a far emettere strani effetti metallici alla sua chitarra, causando caos e straniamento. Mullen dà man forte ed ecco che esordisce la voce graffiante di Bono Vox, in questo canto intriso di politica e anche di citazioni religiose. "Nel vento ululante giunge una pioggia pungente, la vedi piantare chiodi nelle anime sull'albero del dolore". Si tratta di uno scenario di guerra, i militari sparano sulla folla per ristabilire l'ordine. Le forze armate massacrano civili innocenti solo perché in protesta, stufi del proprio governo e di essere ridotti in schiavi. Attacca il ritornello, breve e diretto, che si presenta quasi come un'esplosione nucleare, tanto è cattivo. Sembra un proiettile che sfreccia in volo, anche grazie ai cori di The Edge in sottofondo che rievocano la traiettoria di un proiettile che fende l'aria. Si riparte dalla strofa, bella compatta, quadrata e rocciosa, dove risulta chiara la citazione biblica: "Giacobbe lottò contro l'angelo e l'angelo fu sopraffatto. Pianta il seme del demonio e nasce un fiore di fuoco che brucia croci fino al cielo". Nella Genesi, Giacobbe lottò contro un angelo per un'intera notte, fino a quando l'uomo non vinse, mettendo in fuga l'angelo. Dopo la vittoria, Giacobbe si fece benedire dalla stessa creatura magica, testimoniando la natura altamente simbolica dell'impresa. Una competizione da superare per avvicinarsi a Dio. Il basso di Clayton è terremotante, la chitarra di The Edge torna per emettere grida di disperazione, dunque Bono inizia a recitare una lunghissima parentesi, accompagnato da questa cantilena tenebrosa che comporta paura e confusione, suggellata da un assolo notturno e graffiante del prode The Edge. "In giacca e cravatta mi viene incontro, viso rosso conta le banconote di dollari. Le sbatte a terra, intanto gli aerei da guerra sorvolano l'aria, sopra baracche di fango dove i bambini stanno dormendo". La descrizione è tremenda, talmente realistica da mettere i brividi, una città in guerra, gli innocenti che muoiono per mano di un solo potente che gioca con le loro vite e che conta i soldi, le bombe che cadono nelle vie del paese. Ma è ciò che si afferma dopo a far tremare le gambe "Lì fuori c'è l'America" grida Bono, gemendo come in preda a dolori lancinanti o a un forte disgusto "Il cielo è squarciato, la pioggia scende sulla ferita aperta. Donne e bambini corrono tra le braccia dell'America", schiavi di questa inutile prova di forza. In questo caso, l'America è dipinta come un continente violento, mosso soltanto dal potere e dai soldi, che tutto abbraccia pur di sottomettere.

Running To Stand Still

È ancora una volta l'eroina ad essere protagonista in Running To Stand Still (Correndo Per Restare Fermi), un tema già affrontato in precedenza in molte altre canzoni degli U2. L'espressione del titolo indica perfettamente la condizione del tossico, costretto continuamente a correre per procurarsi dosi per placare i sensi e sopravvivere. La protagonista è una giovane donna di Dublino che, assieme al suo compagno, è costretta a vendere tutto ciò che possiede per procurarsi la dose quotidiana, fino a quando la coppia, non avendo più nulla, decide di fare da corriere per una grande partita di droga, venendo beccata in aeroporto con una quantità spropositata di sostanze stupefacenti, dal valore enorme. Questa vicenda, realmente accaduta, colpisce molto Bono e lo interroga sul perché una giovane e bella coppia abbia deciso di rovinarsi la vita in questo modo. Chitarra e basso emettono una specie di ticchettio, come una sveglia, forse per evidenziare l'urgenza nel procurarsi la dose e il tempo che trascorre inesorabile. Il tutto però è adagiato sulle note del pianoforte, suonato da The Edge, che rendono più delicato l'andamento di questo pezzo country. "Lei si alzò da dove era distesa immobile, decise di dover fare qualcosa e di andare da qualche parte, scappando dalle tenebre della notte". Bono è cauto nell'intonare le prime note, la sua voce è morbida anche nella descrizione di questo incubo a occhi aperti, come se accettasse la disperazione della giovane. Si sentono quasi gli echi, sonori e lirici, di un brano clamoroso come "Bad", "Vedo sette torri e una sola via d'uscita. Devi piangere, esprimerti senza parlare, urlare senza alzare la voce, hai preso il veleno dal torrente avvelenato e sei volata qui". La sensazione di stordimento godereccio dato dall'assunzione di eroina è perfettamente illustrato in questo blocco narrativo. Il tossico si è avvelenato prelevando dal torrente, adesso è infetto, sdraiato a terra, stordito, e non può far altro che piangere e contorcersi, senza riuscire a parlare e a urlare. Le sette torri del testo sono i sette edifici più alti della periferia nord di Dublino, nel quartiere di Ballymun, dove Bono è cresciuto. Oggi le torri non ci sono più, demolite nel 2003 per riqualificare la zona. L'andamento ha una breve accelerazione, sotto gli acuti del vocalist, dove Mullen inizia a picchiare i tamburi con più foga, conducendoci nella fase finale. "Lei corre per le strade, con gli occhi iniettati di rosso, con sé porta oro bianco e perle rubate dal mare. Patirà il gelo dell'ago". Finalmente la ragazza è riuscita a procurarsi la sua amata dose, da oltreoceano hanno portato il carico di droga (l'oro bianco e le perle rubate), e adesso può iniettarsi l'eroina per placare i suoi istinti, facendo svanire la rabbia che poco prima l'ha assalita. Piove e lei è in strada bagnata fradicia, ma non le interessa, ha altro a cui pensare. Quando sei in astinenza pensi solo a quello, lo sottolinea la band nel ritornello, concludendo il testo proprio con le stesse parole "Correndo per restare fermi", dopodiché Bono suona l'armonica a bocca, conducendo le danze, facendoci assaporare questa amara ballata country che si esaurisce in un soffio, meno di tre minuti.

Red Hill Mining Town

Scritta dal bassista Clayton, che vuole fare il punto della situazione drammatica delle miniere inglesi, dove molti operai degli anni 80 hanno perso il lavoro a causa delle scriteriate leggi promosse da Margaret Thatcher, Red Hill Mining Town (Red Hill Città Mineraria) è ancora un grande pezzo country rock che si pone come inno alla classe operaia. Il fresco fraseggio di The Edge ci conduce nella delicata vicenda e subito Bono inizia a cantare la prima terzina "Di padre in figlio, il sangue scorre fluido. Le facce congelate contro il vento", passando poi alla seguente, ma con maggiore apporto della sezione ritmica "Le file sono lunghe, attraverso mani di acciaio e cuori di pietra la nostra giornata di lavoro è finita". Migliaia di minatori in sciopero, in fila per protesta contro la politica thatcheriana del periodo che li mette con le spalle al muro. Il testo parla proprio di questa terribile situazione, dove molti operai persero il lavoro per la chiusura delle miniere. Proprio in quel periodo abbiamo, nel Regno Unito, il picco di disoccupazione nel settore minerario. Il ritornello è fresco, ruggente e dotato di una graziosa linea melodica che trasuda paura, insicurezza e anche polvere: "Resto nella città mineraria di Red Hill, aspetto una soluzione e resto aggrappato a quello che mi è rimasto", in questa situazione disperata, tutto ciò che è rimasto è il lavoro, perciò i minatori cercano di tenerselo stretto. "Il bicchiere è rotto, l'amore diventa freddo nelle caverne della notte, siamo feriti nella paura e offesi nel buio, posso perdere me stesso ma non posso vivere senza di te". I minatori sono lasciati al buio, metafora di oblio lavorativo e civico, senza soldi per mangiare e senza lavoro per sperare di vivere. Senza sogni. Emergono i coretti in sottofondo, persino le tastiere suonate da Eno che donano un'aria solenne alla narrazione, dunque ci apprestiamo alle battute finali, dove Bono urla tutto il suo dissenso nei confronti della politica britannica: "Bruciamo la terra, incendiamo il cielo. Aspettiamo che arrivi la notte, ed ecco che arriva al galoppo, mentre l'amore degenera e le luci su Red Hill si spengono lentamente". La città mineraria di Red Hill viene avvolta dal buio, le luci vengono spente per sempre e chiusa ogni attività. Gli operai hanno perso la battaglia e il silenzio è calato sul piccolo paesino inglese. Esiste persino un video di questo brano, mai uscito se non dopo venti anni, nel 2007, per la pubblicazione del ventennale del disco e inserito nel cd bonus.

In God's Country

Il deserto, il suo significato e tutto ciò che comporta, sia a livello paesaggistico che ridotto a una dimensione intimista, è la tematica portante di In God's Country (Nel Paese Di Dio), metafora di assenza di valori, di aridità sentimentale. Inizialmente pensato come elogio alla terra natia, l'Irlanda, viene trasformato dal vocalist in un tributo ai vasti territori americani che ha avuto modo di visitare. Dalle verdi praterie irlandesi ai deserti statunitensi, Bono mette in musica le sue emozioni, e lo fa cantando un roccioso pezzo rock che, nel mood spirituale e ricco di sfumature sonore, richiama qualche estratto del precedente e solenne "The Unforgettable Fire". Questa volta l'introduzione è breve, la band parte subito in quarta, facendo prendere vita alle dune del deserto: "Cielo deserto, i fiumi scorrono ma presto si asciugano. Stanotte abbiamo bisogno di nuovi sogni, io ho sognato una rosa del deserto che mi veniva incontro gridando come una sirena". Il deserto prende vita in queste strofe; qui si dipinge un paesaggio spettrale, dominato dalle dune, dal vento tempestoso, dalle silenti rocce che nascondono insidie, dai raggi di sole cocenti e abrasivi. Ma è anche lo scenario di una notte limpida, costellata di stelle e di sogni. Il ritornello è sereno, melodicissimo, e mette in evidenza la forte fede dei popoli di queste latitudini, le cui azioni sono fortemente legate alla tradizione religiosa. Perciò questo è il paese di Dio, gli U2 sanno che la provincia americana rappresenta l'America vera, quella dominata dallo spirito religioso, quella dove tutta la comunità, la domenica, si reca a messa a sentire i salmi recitati dal pastore. "Il sonno arriva come una droga nel paese di Dio. Occhi tristi e croci piegate nel paese di Dio" scandiscono le parole del bellissimo refrain, parole dettate dal sonno durante un lungo viaggio da costa a costa che ha sollevato anche molta nostalgia per la lontananza dall'Irlanda. The Edge si lancia in una forsennata schitarrata, poche note ripetute, ma di grande effetto, tipiche del suo stile, riconoscibile tra mille. "Accendimi, con un pugno faremo un buco nella notte. Ogni giorno i sognatori muoiono per vedere cosa c'è dall'altra parte. Lei è la libertà e viene a salvarmi. Fede e speranza le sue vanità, l'oro è il suo più grande regalo". La notte è dimensione del sogno, dove i sogni e i desideri degli uomini prendono vita, terminata la quale i sognatori muoiono all'alba. La notte è incarnata dal silenzio del deserto, la fede e la speranza sono rettili nascosti sotto le rocce, questi territori sono ricchi giacimenti di oro che hanno dato da mangiare ai cittadini locali. Un break improvviso, The Edge impugna la chitarra acustica e si lancia in una cavalcata folk strepitosa, mentre viene evidenziato il possente giro di basso prodotto da Clayton. Ritorna la voce di Bono: "La fiamma è scoperta, io resto con i figli di Caino, bruciati dal fuoco dell'amore", ancora un richiamo religioso, dove Caino è, secondo la tradizione, il fratello cattivo di Abele, incarnazione di malvagità e primo traditore della storia. La band sottolinea il fatto che siamo tutti figli del pastore-contadino Caino, siamo peccatori, traditori, imperfetti. Tutti siamo bruciati dal fuoco dell'amore ma è in Dio che dobbiamo confidare. La forte spiritualità di queste terre illumina la filosofia degli U2 anche in questo brevissimo brano.

Trip Through Your Wires

Quella che apparentemente potrebbe rivelarsi come una dedica a una donna arriva con la sinuosa Trip Through Your Wires (Inciampo Nei Tuoi Lacci), deliziosa canzone rock 'n' roll che trasuda calore e claustrofobia. Bono prende l'armonica, come tutti i più grandi bluesman, e attacca cullandoci con una melodia sfarzosa e danzereccia. Questo pezzo, sporcato di blues, è una lode al genere femminile, visto come dannazione ma anche come gioia inesauribile. Il tema è quello della seduzione e i lacci nei quali si inciampa sono le trame tessute delle donne al fine di conquistare gli uomini. "Agitato e dolorante tu mi rimettesti insieme, avevo freddo e tu mi hai vestito, ero giù e tu mi hai sollevato". L'uomo trova conformo nell'amore di una sola donna ma non sappiamo di che natura possa trattarsi, se sia maligna o pacifica, come viene riferito nel ritornello: "Angelo o diavolo, ero assetato e tu mi hai bagnato le labbra". Insomma, va bene tutto purché ci faccia stare bene. The Edge, oltre a sparare il solito grande fraseggio, si dedica al canto come seconda voce per tutta la durata del brano. La seconda parte del ritornello è seriosa, luminosa e anche polverosa, come da tradizione blues, dove una amara melodia spicca su tutto: "Io ti sto aspettando, tu accendi il mio desiderio, io inciampo nei tuoi lacci". Durante la fase strumentale si nota la grande passione dei musicisti coinvolti e anche la magnifica alchimia che si concentra nell'evocazione di questo deserto allegorico. "Ero spezzato e fuori forma, ero nudo e le mie labbra erano asciutte, la gola secca come ruggine, tu mi hai dato riparo dal calore e dalla polvere. Ora non c'è più acqua nel pozzo". L'uomo è stato salvato dalla donna, come un pellegrino sperduto nel deserto, senza cibo o acqua, privo di forze e di speranza. Le donne sono metafora di salvezza e di libertà dai mali, con loro il paesaggio si trasforma in vegetazione e il clima migliora drasticamente, più consono al genere umano, e ciò viene sottolineato nell'ultima strofa prima della chiusura: "Un tuono scende dalla montagna, c'è una nuvola di pioggia in cielo, sul deserto". La pioggia è finalmente giunta a dissetare la rada vegetazione e la gola del nostro protagonista, allietando tutti gli esseri che abitano queste terre impervie.

One Tree Hill

One Tree Hill è il brano più intenso dell'album, una poesia dedicata, come del resto tutto "The Joshua Tree", alla memoria di Greg Carroll, un ragazzo maori che faceva parte dello staff della band, conosciuto in Nuova Zelanda durante il The Unforgettable Fire Tour. Purtroppo, il giovane Carroll, coetaneo dei musicisti, morì il 10 luglio 1986 a Dublino, mentre stava facendo una commissione per Bono in sella alla sua Harley Davidson. La tragedia scosse i ragazzi, li traumatizzò profondamente, specialmente Bono, in colpa per l'incidente. Frutto di tale disperazione è questo splendido brano soul, ricco di sfumature emozionali e di tanta tanta malinconia e frustrazione scaturite grazie all'utilizzo di archi suonati dagli ospiti The Armin Family. Il testo è un unico blocco che raccoglie una miriade di parole, come fosse un'elegia funebre con la quale salutare l'amico scomparso. "Giriamo intorno per esporci al freddo, al ghiaccio eterno, mentre il giorno supplica la notte di avere pietà. La luna è alta su One Tree Hill e il sole tramonta sui tuoi occhi". Ogni emozione scaturita dalla perdita è presente in queste righe: la notte gelida sinonimo di abbandono e di oblio, il tramonto che simboleggia la morte, una luna splendente che veglia la collina di One Tree, dove giace la tomba del povero Carroll. Il ragazzo proveniva proprio da Aukland, in un quartiere ai piedi di One Tree Hill, dove un grandissimo pino dominava, fino al 2000, anno in cui è stato tagliato, sull'intera vallata. Il ritornello, se così possiamo considerarlo, non è altro che una singola frase dalla linea melodica accentuata, carica di rancore e di amarezza: "Tu corri come un fiume verso il mare", un'immagine poetica di grandissimo fascino. La poesia prosegue, incastrandosi sul solito giro di chitarra e su un andamento piuttosto pacato dettato dalla batteria di Larry Mullen. "Nel mondo un cuore di tenebre, una zona di fuoco, dove i poeti parlano dei loro cuori. Poi versano sangue per averlo fatto. Jara cantava che la sua poesia era un'arma nelle mani dell'amore e tu lo sai che il suo sangue scorre ancora a terra come un fiume". Victor Jara era un poeta cileno che fu imprigionato dal governo e accusato di essere nemico dello stato. Proprio con l'accusa di essere dissidente politico fu torturato e ucciso. Bono ha sempre adorato le poesie di Jara e allora coglie l'occasione per citarlo apertamente, recitando questo verso d'amore nei confronti dell'amico Greg Carroll. La poesia è un'arma, ribadisce, e scorre come fiume verso il mare. La band si lancia in una parentesi strumentale davvero evocativa, che induce a riflettere sulle ultime parole pronunciate. Dunque Bono torna dietro al microfono e su un tappeto di tastiere intona: "Non credo in rose dipinte e cuori che sanguinano, finché le pallottole violentano le notti dei poveracci. Ti vedrò ancora, quando la luna diventerà rossa e le stelle cadranno dal cielo dritte su One Tree Hill". Questa è la promessa che il musicista fa al suo amico scomparso, ogni notte a One Tree Hill il suo nome echeggerà per tutta la vallata, sotto un cielo tempestato di stelle e sotto una luna grande e luminosa. Quando tutto sembra terminato, si stendono i sintetizzatori di Brian Eno, i quali fanno da tramite per la veglia funebre. Adesso siamo al funerale, Bono ha la voce soffocata dal pianto e, gemendo, declama le parole di commiato: "Grande oceano, grande mare. Corri verso l'oceano, corri verso il mare" come a rendere omaggio a divinità mitologiche destinate ad accogliere le anime dei defunti.

Exit

Il sofisticato basso di Adam, unico strumento costante per tutta la durata, apre la tenebrosa Exit (Uscita), uno dei pezzi più aspri mai prodotti dalla band irlandese, un vero capolavoro rock che tratta di un omicidio. Non un omicidio qualsiasi, ma l'uccisione di un uomo da parte di un religioso, accecato dall'amore. Molti pensano si tratti della storia di un prete che, in preda a un raptus di follia, assassina un suo fedele, e lo ha fa in nome dell'amore di Dio. Curioso sapere che, nel 1987, negli U.S.A. ci fu un omicidio commesso da un uomo che rivelò di averlo fatto spinto proprio dall'ascolto di questo brano. Da un uomo religioso a uomo pericoloso, questo è il concetto che si nasconde dietro questo incredibile brano, mai troppo valorizzato dagli U2, purtroppo troppo corto e appena percettibile data la registrazione bassissima. Dal vivo, suonato pochissime volte oggi, rende al meglio, con una base ritmica potentissima e una cattiveria rara per la musica degli U2. L'aria sinistra ci accompagna assieme alle parole sussurrate di Bono: "Lui aveva la cura, poi smarrì la via. Solitamente era sveglio per scacciare i sogni e credeva nell'amore", ecco che ci viene descritta la figura malata e folle del religioso, pronto a colpire la vittima in nome dell'amore. La chitarra emette alienanti rintocchi, il basso si abbandona a una lunga e sofferta cavalcata. Altra strofa: "Si sentiva la testa pesante mentre attraversava la tenuta. Un cane abbaiò e il vento ululò di rimando". Il pazzo furioso ha fatto irruzione nella tenuta del fedele che intende uccidere, il vento soffia forte e il cane da guardia guaisce. Siamo alla resa dei conti. A questo punto la traccia prende una piega inaspettata, si snoda sommessamente aumentando sia in potenza che in volume, Bono inizia a cantare velocemente alzando sempre più il tono di voce, mentre i compagni lo seguono costruendo una cavalcata cupissima che porta la band su lidi hard rock. "Lui andò giù nel buio profondo, le stelle risplendevano come chiodi nella notte. Mise le mani in tasca e prese l'acciaio. La pistola era pesante, il cuore batteva forte". Il basso è impetuoso, richiama i battiti velocissimi del cuore dell'omicida. Mullen picchia duramente le pelli, The Edge emette un riff che sembra un lamento, Bono sussurra le ultime parole "Le mani dell'amore possono anche distruggere" per poi lasciare andare la sezione ritmica dove gli pare, nel caos generale. L'atmosfera è terrificante, potentissima, preda di paure e di follia. Un pezzo unico nella discografia della band, un gioiello nero semplicemente strepitoso, segno del genio creativo degli irlandesi.

Mothers Of The Disappeared

Nata per commemorare i rapimenti dei civili di Buenos Aires, Argentina, Mothers Of The Disappeared (Le Madri Degli Scomparsi) elogia il coraggio delle madri dei giovani attivisti arrestati e torturati dalla giunta militare e poi scomparsi misteriosamente. Le sparizioni, risalenti agli anni 70, non sono mai state chiarite dal governo e così, nel 1986, le madri dei "desaparecidos", ossia dei dissidenti scomparsi durante la dittatura militare nella cosiddetta "guerra sporca", si riuniscono a Plaza de Mayo, nel cuore di Buenos Aires, dove sfilando recando in testa dei fazzoletti bianchi e percorrendola, ancora oggi, ogni giovedì, in senso circolare, in segno di protesta contro un governo che ha massacrato intere famiglie senza mai fornire alcuna spiegazione. L'atmosfera pacata incornicia una ballata cupa e spirituale, dalle grandi immagini che si stagliano davanti agli occhi durante l'ascolto. Un delicato arpeggio di chitarra accompagna la dolce voce di Bono: "Mezzanotte, i nostri figli e le nostre figlie sono stati rapiti. Sentiamo il battito dei loro cuori trasportati dal vento. Sentiamo la loro risata nella pioggia, vediamo le lacrime". Sono i lamenti delle mamme dei rapiti a raccontare il loro dramma, Bono non fa altro che dare voce alla disperazione di queste persone, i cui figli non sono mai stati ritrovati. I cadaveri sono stati fatti sparire chissà dove. The Edge sperimenta suoni originali, oltre all'arpeggio inserisce tanti effetti in sottofondo, quasi sussurri ed echi lontani che richiamano gli spiriti dei defunti. La ballata sembra una danza indiana dotata di una poesia struggente. "La notte è sospesa come un prigioniero, distesa tra il nero e il blu. Sentiamo i battiti dei loro cuori tra gli alberi. I nostri figli sono nudi dietro quel muro, le nostre figlie piangono". La canzone sfuma lentamente, facendo da outro per un disco immortale, nel quale spicca la magistrale penna di Bono Vox, qui al raggiungimento della sua maturità completa e sempre al servizio di una musica questa volta meno sperimentale rispetto agli album precedenti e a quelli successivi. Così come era stato per "MLK" e "40", rispettivamente contenute in "The Unforgettable Fire" e "War", "Mothers Of The Disappeared" chiude il lavoro attraverso un'intensa preghiera.

Conclusioni

Inizialmente denominato "Desert Songs" per via di una natura sabbiosa, "The Joshua Tree" trae spunto dallo Yucca Brevifolia, un albero tipico delle regioni desertiche degli U.S.A., lo stesso che compare in copertina e che incornicia i desolati paesaggi e le sterminate praterie della California, dell'Arizona e del Nevada. I tentacolari rami dell'albero di Giosuè si stendono in aria come piccole braccia imploranti che, richiamando il sound americano degli anni 60, esprimono l'antipatia nei confronti del governo americano e la fierezza del popolo nero, ritrovando la bellezza di un'America umile, di provincia. A dare voce a questa tumultuosa e selvaggia natura è l'affilata penna di Bono, ormai nel pieno della maturità stilistica, dove attraverso i suoi viaggi per il mondo raccoglie materiale e spunti per le nuove composizioni, ponendo ulteriore energia nei messaggi veicolati dai nuovi brani. "The Joshua Tree" è un tributo all'America, uno di quegli album destinati a fare la storia, a restare immortali e a colpire dritti al cuore gli ascoltatori di ogni generazione. Gli U2 si reinventano, abbandonando le radici punk e post-punk degli esordi per gettarsi tra le braccia di un'altra mitologia musicale, viaggiando da est a ovest per parecchi mesi durante la lavorazione dell'album più audace in carriera, alzandosi all'alba per respirare a pieni polmoni le atmosfere di quei luoghi e nutrendosi delle parole di chi vive, cresce e muore in quei luoghi. In questa opera si fondono gli echi di un'America tradizionale e per certi versi scomoda. L'accoglienza riservata da critica e pubblico è incredibile, l'album svetta subito in classifica con i suoi singoli: l'amara ballata "With Or Without You", incentrata sulla fine di una storia d'amore ma anche su una crisi religiosa, la preghiera intimista di "I Still Heaven't Found What I'M Looking For" e la poetica e democratica "Where The Streets Have No Name", il cui videoclip viene girato sul tetto di un negozio di Los Angeles. Tre singoli per tre capolavori entrati nell'immaginario collettivo, che fanno decollare le vendite del disco fino a sfiorare le trenta milioni di copie, dieci soltanto negli U.S.A.. Ma "The Joshua Tree" è un lavoro stracolmo di hit, un disco desertico e polveroso, che si mostra lontano delle ostentate ricercatezze sonore e che invece appare altamente sincero nei messaggi che proclama. È un disco che evoca paesaggi spettrali, deserti incandescenti e spazi che hanno il sapore della libertà, ma le atmosfere sabbiose sono anche simboli concreti di dannazione. L'opera più popolare e celebrata nella carriera degli U2 rappresenta, infatti, un viaggio nella memoria, tra canti di ribellione e silenzi ingombranti che portano alle lacrime in nome di un ricordo perduto. Gli echi di tutti quei popoli costretti alla violenza, alla prigionia culturale e alla povertà più misera aleggiano in ogni singolo brano qui presente, come fossero grida di disperazione o lamenti di dannazione. Bono, attraverso i suoi testi, riesce a dar voce a un mondo solitario, arido e primitivo: il deserto è un'immagine affascinante, ma è anche paradossale, perché è in assenza di vita che si riesce a percepire il dolore, l'ombra della morte, il silenzio assoluto. "The Joshua Tree" è tutte queste sensazioni e molto altro ancora.

1) Where The Streets Have No Name
2) I Still Heaven't Found What I'M Looking For
3) With Or Without You
4) Bullet The Blue Sky
5) Running To Stand Still
6) Red Hill Mining Town
7) In God's Country
8) Trip Through Your Wires
9) One Tree Hill
10) Exit
11) Mothers Of The Disappeared
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