U2
The Best Of 1990 - 2000
2002 - Island
ANDREA CERASI
18/07/2018
Introduzione Recensione
Dall'Europa agli Stati Uniti e ritorno. Per gli U2 gli anni 90 hanno rappresentato una sorta di ritorno a casa, in un continente così familiare e amorevole quanto diverso e snaturato. Il vento del cambiamento ha fatto piazza pulita di tutto ciò che negli anni 80 si conosceva. La caduta del muro di Berlino ha aperto una nuova dimensione sociale, inaugurato nuove concezioni artistiche, inediti scenari e nuove ideologie. Gli U2 hanno fatto quello che quasi tutte le band del mondo hanno pensato di fare: evolversi, sperimentare, cambiare pelle, senza rinnegare se stessi, ma puntando dritti al futuro, alla modernità, alle nuove generazioni. Se gli anni 80 sono stati il decennio da record nel quale la band irlandese si è affermata in tutto il mondo, venendo addirittura definita da molte riviste come la band più grande della sua epoca, è negli anni 90 che questa oltrepassa qualsiasi limite, assorbendo le influenze di un Europa vitale, nevrotica, agitata, colorata e rivoluzionaria. Gli U2 trovano una nuova identità sonora, abbracciano l'elettronica, i campionamenti, il trip hop, l'ambient, trasformando il loro rock, indurendolo a dismisura per renderlo tagliente e gelido, inoltre, assieme all'evoluzione musicale, vi è anche un approccio lirico differente dal solito, più cinico e sprezzante, più distruttivo, meno sacro. La nuova fede da venerare è la tecnologia, i canti gospel e le armonie soul, di natura sacra, vengono sostituiti da inni alla modernità, da elegie a divinità materialistiche. Le canzoni degli U2 cambiano struttura ma non modificano il proprio messaggio: la società viene derisa, fortemente criticata, la band si pone sullo stesso piano dei propri dissacranti nemici, comportandosi da ribelle, divenendo provocatoria, sregolata, estrema, esagerando in tutto, dall'adozione di determinati suoni alla colorata e kitsch messa in scena, tra cui la costruzione di palchi enormi e ipertecnologici dove ospitare concerti da brividi e la scelta di un look non più sobrio ma carnevalesco, cyber-punk, futuristico, attraverso il quale scioccare il pubblico. Gli anni 90 sono anni di grande sperimentazione, di abbattimenti tradizionali e di nuove costruzioni, sono un susseguirsi di idee, di novità, di mix esplosivi. Il rock tradizionale viene spazzato via, contaminato da un miliardo di sfumature inedite, e allora gli U2, che non sono mai stati fermi sul posto e che invece sono sempre stati attenti ai cambiamenti sociali, cambiando stile di album in album, salgono su questo carrozzone in movimento, ispirati come non mai, regalando al mondo una trilogia di lavori fantastica, con una manciata di album altamente sperimentale che distrugge ciò che erano stati negli anni 80 e li reinventa daccapo, senza però tradirne le origini. "Achtung Baby", "Zooropa" e "Pop", in più ci aggiungiamo l'album ambient dei Passengers, ovvero gli U2 insieme a Brian Eno alle tastiere, dal titolo di "Original Sountracks 1", un lavoro molto particolare composto come ipotetica colonna sonora per dei film di fantascienza, e ancora alcuni singoli prelevati di qua e di là da varie colonne sonore di film, ed è tutto qui l'esercizio dei nostri in dieci anni, a dire la verità non molto, sicuramente meno prolifici rispetto alla decade precedente, ma sempre di grandissima qualità. Gli anni 90, per gli U2, significano sperimentazione, un decennio importante immortalato nella seconda raccolta in carriera, uscita nel 2002 a nome "The Best Of 1990-2000", che segue a ruota quella dedicata agli anni 80 uscita qualche tempo prima. In questa ricca compilation, infatti, figurano tutti i singoli rilasciati durante la decade, il tutto confezionato in un disco dalla copertina in bianco e nero, come da tradizione, con due bisonti che si fronteggiano in un fotogramma tratto da uno dei tre video di "One", forse quello più bello e poetico, che evoca delicatezza, senso della vita, natura selvaggia, e inaugurato da un brano inedito, lanciato nell'ottobre 2002, sicuramente il miglior singolo degli U2 dall'inizio del millennio: "Electrical Storm", un capolavoro di sognante rock il cui videoclip, con Larry Mullen protagonista, scala le classifiche mondiali piazzandosi tra i primi posti e figurando in tv per tutto l'autunno 2002, facendo lievitare abbondantemente le vendite dell'album, che rientra tra i più venduti di quegli anni.
Even Better Than The Real Thing
Il quarto singolo estratto dall'opera magna degli U2, ossia "Achtung Baby", è Even Better Than The Real Thing (Anche Meglio Delle Cosa Reale), cavalcata elettro-rock, il cui videoclip vede presenti dei sosia di cantanti e spezzoni di tv spazzatura. Infatti, è proprio la cultura del trash, del cattivo gusto e del degrado il soggetto preso in esame nelle liriche. Il riff portante è tanto glaciale quanto affascinante, pungente come un ago che entra nelle carni, affilato come lama di rasoio. Clayton e Mullen affiatati come non mai nell'elaborare un tessuto sonoro rigido e penetrante, dunque la suadente voce di Bono Vox, narratore di questo degrado culturale. Le linee melodiche sono subito avvolgenti e calde, e contrastano non poco con una base ritmica fredda, creando un effetto particolarmente affascinante e moderno. "Dammi un'altra possibilità e sarai soddisfatto. Non rifiutarmi un'altra occasione. Il mio cuore è lì dove è sempre stato, la mia testa è da qualche parte lì in mezzo. Lascia che sia il tuo amante, stanotte", recitano i primi criptici versi che insinuano un dubbio nella mente dell'osservatore, dubbio poi chiarito nel clamoroso ritornello: "Tu sei la cosa reale, anche meglio della cosa reale", nel senso che la replica è considerata migliore dell'originale, la copia ha soppiantato l'originale, facendosi largo tra stereotipi e cattivo gusto, cavalcando l'onda della cultura trash. È come restare incantati davanti alla vetrina di un negozio che vende repliche usate e in cattive condizioni e pensare che queste siano meravigliose. Il mondo è in costante declino e nessuno fa nulla per combattere, per riportare a galla la verità. The Edge esegue una serie di fraseggi affilati, si stagliano alti nel cielo terso dominato da sciocchezze e superficialità e contornato da nubi velenose che intossicano le persone, plagiandone le menti. "Dammi un'altra occasione e ti farò cantare. Dammene mezza per cavalcare le onde. Sei miele per uno sciame d'api, concedimi un ballo per scivolare sulla superficie delle cose". Il miele è un elemento prezioso, che dovrebbe restare sempre puro e incontaminato, Bono invita la sua partner a unirsi a lui per un ultimo ballo, mano nella mano, sorvolando la distesa di rifiuti prodotti dalla società. È il momento del chitarrista, capace di creare un'atmosfera futuristica da brividi con un assolo tanto elementare quanto coinvolgente. "Siamo liberi di volare nel cielo cremisi. Il sole non scioglierà le nostre ali stanotte", tranquillizza Bono, cercando di farci capire la realtà delle cose e la differenza tra originale e sosia, mentre continua a muoversi lungo questa danza elettrica assieme alla chitarra e ai solenni giri di basso.
Mysterious Ways
La molleggiata Mysterious Ways (Modi Misteriosi) è una delle hit più famose degli U2, dal ritmo funky generato dalla chitarra di The Edge e dal basso preziosio di Clayton, questa è una delle prime canzoni composte per "Achtung Baby". Intitolata inizialmente "Sick Puppy", in origine aveva tutt'altro arrangiamento, quasi del tutto sostituito da nuovi ingredienti tranne che nelle linee di basso. Alle percussioni troviamo il produttore Daniel Lanois, che ci culla con un ritmo danzereccio rievocato anche dall'utilizzo, nel videoclip, di alcune danzatrici del ventre, tra cui figura la futura seconda moglie di The Edge. La luna è metafora di donna, questo pezzo è un funky rock notturno e seducente, una lode alla notte e alla luna, e quindi alle curve e alle emozioni femminili. "Johnny, fatti una passeggiata con tua sorella Luna, lascia che la tua camera si riempia della sua luce pallida. Stai vivendo sottoterra, mangi dalla ciotola, cerchi di scappare da ciò che non capisci". Johnny è un ragazzo che, secondo le liriche, vive chiuso in casa e non si sa approcciare al sesso femminile. La luna, incarnazione di donna, cerca di filtrare tra le finestre della sua stanza per affascinarlo e sedurlo con i suoi tiepidi raggi luminosi. Johnny è un ragazzo timido, che non capisce il mondo, non osserva la realtà, ma è comunque un uomo, non esente al fascino femmineo, tant'è che nel ritornello ecco che è pronto a perdere la testa: "Lei è scivolosa, tu stai scivolando già, ma ci sarà lei quando tu cadrai a terra". La luna/donna salverà il nostro timido ragazzo, gli mostrerà il mondo, gli rivelerà emozioni infinite. Il refrain prosegue nella cantilena ormai diventata famosissima: "Va tutto bene, va tutto bene, lei si muove in modi misteriosi", perché luna è anche rappresentante di fato, colei che illumina le notti, cambia le maree, influenza l'umore degli esseri viventi. "Johnny, fatti un tuffo con tua sorella nella pioggia. Lascia che parli di cose che tu non puoi esprimere. Toccare è guarire, ferire è rubare. Se vuoi baciare il cielo è meglio imparare a inginocchiarsi". L'allusione sessuale è evidente, bisogna prima piegarsi ai voleri della donna per essere soddisfatti dopo. Il premio va conquistato, va atteso e corteggiato costantemente. "Lei è l'onda, lei cambia le maree e vede l'uomo dentro al bambino", la donna sa riconoscere l'uomo che vive dentro al ragazzino, sa come farlo maturare, sa come farlo impazzire in un'esplosione di emozioni. Gli effetti metallici della chitarra si scontrano le tastiere e con l'andamento popeggiante indotto dalla batteria, mentre il giro di basso risalta per compattezza. Bono ritorna in scena dopo la sezione strumentale, e lo fa con voce modificata per declamare il bridge: "Un giorno guarderai indietro e vedrai dove tu eri bloccato da questo amore, mentre avresti potuto fermarti e far durare di più questo momento seguendo il sentimento". La vita è un'emozione continua che va assaporata di gusto, va vissuta per non avere rimpianti, inutile è quindi farsi dei blocchi mentali, crearsi degli impedimenti.
Beautiful Day
Brian Eno torna a fare da compagnia agli U2 e si accomoda in studio accanto a loro. Le sue tastiere minimali sono riconoscibili al primo istante, queste non per servire un pezzo ambient e dalla struttura sulfurea come era avvenuto in passato, ma per costruire un brano a tutti gli effetti rock, dalla struttura più che classica. Beautiful Day (Bella Giornata) è il singolone che nel 2000 scala le classifiche, presentando la nuova veste della band, tracciando un nuovo cammino, decisamente più morbido e più sobrio, inaugurato con l'album "All That You Can't Leave Behind". Il piglio è quello giusto, dalle liquide tastiere ecco che esplode l'intera sezione ritmica, dove Mullen pesta che è una bellezza e basso e chitarra eseguono succinti fraseggi che colpiscono nell'immediato. Nell'incanto della prima parte, si staglia placida la voce di Bono, qui nel suo momento peggiore, tanto che già dai primi anni 90 il suo timbro si era fatto più sfilacciato e meno possente, stato questo che durerà fino alla fine del decennio, per poi, grazie alla risoluzione di alcuni problemi alla gola e uno studio mirato, il vocalist riuscirà ad impostare la voce, recuperando intonazione e potenza dopo il 2010. "Il cuore è un fiore sbocciato che cresce tra le rocce. Non c'è nessun luogo o spazio da affittare in questa città, c'è troppo traffico e tu non vai in nessuna direzione. Pensi di aver trovato un amico che ti porti via da questo posto". Bono ha dichiarato di aver preso spunto, per la stesura del testo, dalle brutte condizioni di salute di un suono amico imprenditore, che ha trascorso l'intera vita in ufficio, lontano da ogni piacere, senza mai uscire, vedere gente o viaggiare. Lavoro e basta, fino a quando non gli è stato diagnosticato un tumore. Da quel giorno l'uomo ha smesso di dedicarsi solo al lavoro ed è tornato a vivere per godersi gli ultimi scampoli di vita, frequentando gente, stringendo amicizie, viaggiando, ricominciando daccapo e con ottimismo, fino alla cura definitiva dal male. Un segnale importantissimo questo dato dalla band e da questa canzone. Il ritornello, pregno di melodia e saturo di elementi rock, è un vero trionfo: "È un bellissimo giorno, il cielo cade ma senti che è una giornata bellissima. Non lasciartela scappare", grida il vocalist, seguito a ruota dal riff trascinante impartito da The Edge e svettando sui sinuosi e sinceri giri del basso di Clayton. L'aspetto cosmico, quello maggiormente vicino all'ambient e allo space rock, torna nella seconda fase, dove le tastiere acquisiscono maggior peso, contornando la strofa. "Sei sulla strada ma non hai destinazione. Sei nel fango, nel labirinto della sua immaginazione. Ami questa città, anche se non suona vero. Sei stato ovunque e tutto è ricaduto su di te". Riparte il refrain, delizioso, decorato con mille orpelli in sottofondo, tra cui una valanga di coretti. Il momento è saliente, Bono urla: "Toccami, portami in un altro posto. Insegnami, so di non essere un caso disperato", e in queste parole c'è tutta la voglia incondizionata di vivere, di assaporare un futuro radioso, di scontrarsi contro la cattiva sorte e andare avanti, sognando un'altra esistenza. Il bridge è incantevole, di natura fiabesca, sormontato dalla malinconia ed effettata chitarra elettrica di The Edge che assomiglia a un jet in partenza, come evidenziato dallo stesso videoclip girato all'aeroporto di Parigi: "Vedo il mondo in verde e blu. Vedo la Cina di fronte a te. Vedo i canyon spezzati dalle nuvole. Vedo i fuochi notturni e i tonni in mare. Dopo il diluvio, tutti i colori tornano a brillare". Le parole sottintendono la visione del mondo dall'alto dello spazio, e non è un caso se, accanto al titolo del brano, all'interno del booklet, vi è l'icona di uno shuttle spaziale. Dal cosmo infinito, la terra appare così bella e pacifica, proprio un altro mondo. "Quello che non hai, adesso non conta, non ne hai bisogno", conclude il vocalist, per un pezzo eccellente, diventato famosissimo. Una vera perla di ottimismo.
Electrical Storm
Uno dei migliori singoli mai rilasciati dalla band, specialmente dopo il 2000, anno in cui viene inaugurato un nuovo ennesimo ciclo stilistico, più sobrio rispetto a quello elettrocorck e colorato degli anni 90 e meno potente, meno blues e meno punk di quello degli anni 80: Electrical Storm (Tempesta Elettrica) è una vera goduria per le orecchie, dalla melodia agrodolce e dalle atmosfere oscure costruite dalla chitarra acustica di The Edge, pronta però ad esplodere trasformandosi in elettrica quando si giunge al possente refrain, dai contorni elettronici e dai sibili metallici in sottofondo. Il sound è a metà strada tra "Pop" e "All That You Can't Leave Behind", dove l'elettronica resta sempre ma si cerca comunque un senso di sobrietà ed eleganza, elementi evocati, tra l'altro, nel bellissimo videoclip diretto da Anton Corbjin e girato sulle spiagge della Costa Azzurra, dove Bono ha casa. La canzone, decisamente rock, un rock sognante e cupo, mette in scena il dramma amoroso di una coppia, interpretata in questo caso dal batterista Larry Mullen e l'attrice inglese Samantha Morton, i quali danno vita a un'intensa storia di lite e tensione tra un uomo e una specie di sirena, paragonata appunto a una tempesta elettrica. L'acqua è protagonista assoluta della vicenda, simbolo di vita, di rinascita spirituale e di freschezza, mentre le tastiere e i pizzichi delle corde di chitarra sembrano evocare il rumore del mare che si infrange a riva. "Il mare si gonfia permaloso, la notte è sofferente. Due amanti distesi senza lenzuola nel loro letto e sta sorgendo l'alba. Nei giorni di pioggia usciremo a nuotare, nuotando nel suono", canta Bono Vox distendendo la voce sulle note della chitarra acustica, e ancora "Tu sei nella mia mente continuamente, se il cielo si può spaccare ci deve essere qualche modo per poter tornare, per amore, solo per amore". La band giunge a potenziare la ritmica, batteria e basso aiutano la chitarra a dare maggiore corposità al brano, la pungente e fredda elettronica contrasta con le note calde degli strumenti, simboleggiando questa ambivalenza: caldo e freddo, estate e inverno, sole e pioggia. "Sei sveglio e stai sognando il sogno di un altro. Il caffè è freddo ma lo butti giù, noti colori mai visti e vai in posti mai esplorati prima". Siamo all'alba e il sole testimonia una rinascita, la pace della coppia dopo una notte di litigi. La tempesta che si è abbattuta sulla loro vita sta lasciando posto alla quieta mattutina, eppure il protagonista invoca ancora la freschezza dell'acqua per sbollire i roventi spiriti: "Fa un caldo infernale in questa camera, spero che il tempo si guasti, l'aria è pesante come un camion, spero che la pioggia spazzi via la nostra sfortuna". La tempesta si abbatte ancora una volta sulla coppia, ma adesso è pacifica e sanatoria, il ritornello è diretto ma clamoroso, dai tratti che ricorda "Staring At The Sun" grazie al riff di chitarra scalfito dall'elettronica impartito da The Edge. La sirena fuoriesce dal mare e raggiunge il suo amato, i due si guardano negli occhi, l'acqua bagna la loro pelle, la rinfresca, la disinfetta. Il loro abbraccio è lungo e profondo.
One
One (Uno) è una dolce poesia che simboleggia l'anima stessa di "Achtung Baby" e il clima di una Berlino appena liberata dalla costrizione del muro. Questa strepitosa e leggendaria ballata è incarnazione della separazione europea e della conseguente riunificazione, ma è anche una disamina sul rapporto tra popoli e razze, e anche, in piccolo, un resoconto dell'amore di coppia. Il testo è applicabile a diverse tematiche, ed è anche questa la grandezza della canzone. "One" parla di tutto e tutti, e lo fa attraverso un testo breve ma intenso, tanto semplice quanto geniale. Nata nel periodo di maggior tensione all'interno della band, tra gli anni 80 e 90, divisa in due fazioni durante le prime sessioni di "Achtung Baby", è grazie all'intuizione di The Edge, che trova la linea melodica per caso, durante un esercizio, che gli U2 capiscono che devono proseguire in armonia, reinventandosi senza snaturarsi. Il riff portante del brano è ciò che salva la band dall'oblio nel quale è caduta, e da lì in poi ogni crisi si dissolve all'istante. Il delicato arpeggio colpisce dritti al cuore, Bono ha una voce angelica e ci culla in questa dimensione pacifica: "Va meglio o ti senti come prima? Sarà più facile per te, ora che hai qualcuno da incolpare", in relazione alla divisione delle due Germanie, ora finalmente riunite in un'unica identità. Il ritornello si insinua velatamente dopo pochi secondi, rapendo all'istante grazie a una melodia paradisiaca: "Un amore, una vita, quando c'è un solo bisogno nella notte. Un amore dobbiamo condividerlo, perché se non te ne prendi cura, questo ti lascia", queste sono le sacre ed emblematiche parole recitate, incarnazione di un mondo appena ripresosi dopo la guerra politica, un mondo che porta con sé le cicatrici del passato. "Ti ho deluso? O ho lasciato un cattivo gusto sulla tua bocca? Ti comporti come se non conoscessi l'amore e vuoi che io me ne vada", prosegue Bono, cantando con una dolcezza infinita su una base ritmica che si snoda sinuosa come un serpente pronto a mordere e a iniettare veleno prendendo velocità. "È troppo tardi stanotte per rimpiangere il passato. Nella luce noi siamo uno, ma non siamo uguali. Dobbiamo sostenerci a vicenda". Le liriche sono chiare, ricche di amore e di armonia, che invocano unione e pace eterna, superando i limiti e i piccoli difetti. Chitarra e basso si abbassano di volume per fare posto alle tastiere, che stendono un tappeto sonoro nostalgico che ci accompagna alla seconda parte e che rievoca emozioni profonde: l'amore di un padre per un figlio, che può indicare il rapporto contrastante tra Bono e il papà, la crisi matrimoniale che colpisce il chitarrista e sua moglie, le divergenze famigliari che tutti noi attraversiamo. Il testo è polivalente, infatti vengono girati ben tre videoclip della canzone, tutti incentrati su tematiche e soggetti diversi. "Sei venuto qui per il perdono, sei venuto per resuscitare i morti, sei venuto per giocare con Gesù e i lebbrosi? Chiedo troppo? Non mi hai dato nulla e ora il nulla è tutto ciò che possiedo. Siamo una cosa sola, non siamo uguali, ma ci feriamo a vicenda". Qui trasuda tutta la conflittualità tra due persone, probabilmente tra un padre e un figlio, e allora il testo diventa più personale. Probabilmente Bono sta parlando con suo padre, cercando di trasmettergli amore. Il brano si trascina armoniosamente fino al geniale bridge, senza prendersi una pausa, e allora ecco la miglior parte: "L'amore è un tempio, l'amore è più alto della legge, tu mi chiedi di entrare e poi mi fai strisciare. Io non posso aspettare ciò che tu hai, quando quello che hai è dolore. Un amore, un sangue, una vita. Devi fare ciò che senti", urla il vocalist con voce straziata dal dolore, ma speranzosa in un ricongiungimento.
Miss Sarajevo
Dal progetto Passengers, in compagnia di Brian Eno in qualità di tastierista, che ha dato vita a un solo buonissimo album, "Original Sountracks 1", di natura ambient, tutto adagiato sull'elettronica e sui toni morbidi ed evocativi di melodie sulfuree, viene estratta la ballata Miss Sarajevo, probabilmente l'unica canzone smaccatamente pop del disco, l'unica in grado di entrare in classifica causa una forma-canzone apparentemente normale, a differenza delle altre tracce fin troppo strane e aleatorie, poco adatte a MTV o alle radio. Come sottintende il titolo del brano, si tratta di un gioiellino scritto nel 1995, nel pieno della guerra in Jugoslavia, il cui ricavato viene dato in beneficenza alle popolazioni colpite dalla tragedia. L'ospite d'eccezione è un certo Luciano Pavarotti, che si presta volentieri al duetto con Bono, cantando però in italiano. "Miss Sarajevo" è una ballata particolare, perché alterna strofe di musica leggera ad altre liriche, inoltre è per metà cantata in lingua inglese e per metà in italiano, per una fusione di due stili linguistici e stilistici di grande fascino. Scritta per l'omonimo documentario, prodotto dallo stesso Bono, del reporter Bill Carter sulla guerra in Jugoslavia e incentrato su un concorso di bellezza avvenuto nel 1993, durante il conflitto, al fine di raccontare una normalità tanto sognata nonostante le macerie, le bombe sulle città e le popolazioni in fuga, la canzone testimonia lo spaccato di una società distrutta, ma che nella distruzione cerca comunque un barlume di luce per ripartire. Riappropriarsi di una quotidianità strappata via, è questo il senso del documentario e della canzone, il cui videoclip non è altro che una serie di immagini riprese dal giornalista Carter tra la primavera e l'estate del 1993, quando egli stesso fu costretto a rifugiarsi in un palazzo diroccato, con poco cibo e poca acqua, per diversi mesi. Le immagini senza colore, in un bellissimo e malinconico effetto seppia, fanno da sfondo a una musica leggiadra, profonda e poetica: "C'è un tempo per mantenere le distanze e un tempo per distogliere lo sguardo. Un tempo per tenere giù la testa e un tempo per proseguire la giornata. C'è un tempo per il rossetto e per tagliare i capelli e un tempo per trovare il vestito giusto nelle vie del centro" dice Bono, soffermandosi sulle cose quotidiane che a noi sembrano tanto scontate ma che per chi vive in territori di guerra sembrano così lontane. "C'è un tempo per correre al riparo e un tempo per vantarsi dei baci dati, un tempo per bandiere diverse e un tempo per nomi difficili da pronunciare", canta con toni soffici il vocalist, accompagnando immagini a tratti terrificanti, come quelle delle macerie di città distrutte e incendiate, a tratti dolci, come quelle del concorso di bellezza e di un gruppo di ragazze sorridenti che festeggiano bevendo e fumando. La chitarra acustica conduce in una dimensione sognante, cullandoci nella morbidezza e nella tristezza, ma anche nella speranza di un futuro migliore. "Eccola, la bellezza gioca a fare il pagliaccio. Eccola, surreale che reclama la sua corona" è il fugace ritornello, dalla bellezza che mozza il fiato che dà il via all'attacco in italiano di Pavarotti, che ci ricorda che l'amore vince su tutto: "Dici che il fiume trova la via del mare, e come il fiume tu giungerai da me. Oltre i confini e le terre assetate, come un fiume giungerà l'amore, un amore che non so più aspettare".
Stay (Faraway, So Close!)
Stay - Faraway, So Close! (Resta - Lontano, Così Vicino) è uno dei singoli scala-classifiche di "Zooropa" e fa parte della colonna sonora del film "Così Lontano, Così Vicino" di Wim Wenders, amico della band, il quale nel 1993, proprio quando esce l'album, gira il seguito del capolavoro "Il Cielo Sopra Berlino". La poesia delle immagini estratte dalla pellicola è qui immortalata dalla musica degli irlandesi, attraverso un susseguirsi melodico di grande raffinatezza. La batteria di Mullen batte colpi metallici mentre The Edge esegue delicati arpeggi che vanno dritti al cuore dell'ascoltatore. "Luce verde, Seven-Eleven. Ti fermi per comprare le sigarette, non fumi e non ne hai nemmeno voglia. Controlli il resto, le ruote girano ma tu sei sottosopra. Dici che quado lui ti colpisce a te non importa, ma quando ti ferisce ti senti viva". Il Seven-Eleven è una catena di negozi che vendono un po' di tutto, qui la protagonista delle liriche si ferma non appena scatta il semaforo verde per comprare le sigarette. Proprio mentre afferra il resto si ricorda del suo uomo, deceduto non molto tempo prima e trasformatosi in angelo custode, come suggerisce poi il film. Questo angelo si aggira in città, siamo sempre a Berlino, una città cupa, lacerata da un muro che ora non c'è più ma che ancora presenta tracce, anche se ci si sta riprendendo. La malinconia di un tempo è però ancora presente, le linee vocali sono trascinanti, tanto evocative, tanto poetiche, capaci di creare immagini potenti, quasi filmiche. "Luci rosse, mattinata grigia. Inciampi in una buca sul suolo, un vampiro o una vittima, dipende da chi c'è in giro. Eri solita restare ferma a guardare lo schermo, tanto che avresti potuti doppiare i talk-show". I colori sono importanti, sono le sfumature della città, un posto dai colori smorti, slavati, nei quali si aggirano anime in pena, afflitte dal dolore. In giro si intravedono queste anime, sono vampiri succhia energie, oppure vittime in balia del destino. Umani e angeli, tutti nello stesso mondo terreno. Il pre-chorus è nobile, dove l'angelo si palesa davanti alla ragazza e riesce a percepire i suoi pensieri, prova persino a toccarla, attraversando il suo corpo di carne: "Se tu guardi, guardi attraverso me. Quando parli, tu parli a me, quando ti tocco, tu non senti nulla". I cori si rafforzano, così la chitarra e il basso, intanto la batteria resta glaciale, espressione sonora della città. Bono ci delizia con il ritornello, da cantare a cuore aperto e con tutta la voce in gola: "Se potessi rimanere, allora la notte ti lascerebbe in pace. Resta e il giorno manterrebbe le sue promesse, resta e la notte sarebbe abbastanza". I toni si smorzano, le strofe riprendono da dove avevano lasciato, anche se adesso The Edge è più presente con la sua ascia, creando una serie di toccanti fraseggi. "Lontano, così vicino. Su con l'elettrostaticità della radio, con la tv satellitare puoi andare ovunque: Miami, Londra, Berlino, New Orleans, Belfast. E se tu ascolti io non posso chiamare, se salti potresti cadere, se gridi io sento appena". Lo spirito degli angeli è come energia elettrostatica indotta dagli strumenti elettronici, radio e televisori satellitari che creano queste onde magnetiche che riverberano nell'aria e di città in città. L'angelo fa la guardia alla sua amata, ma è stremato perché non la può toccare e lei non può sentirlo. Sono tanto vicini quanto lontani. "Resta con i demoni che hai affogato. Resta con lo spirito che ho trovato. Resta e la notte sarà abbastanza" l'implora la celeste figura, ma sa già che si tratta di un amore diviso e impossibile. Tra i cori in sottofondo, Bono declama l'ultima struggente nota: "Tre in punto del mattino, è calmo e non c'è nessuno. Solo il colpo di un angelo che precipita a terra". Il tonfo amaro di un cuore spezzato.
Stuck In A Moment You Can't Get Out Of
La semiballata pop arriva con Stuck In A Moment You Can't Get Of (Paralizzato In Un Istante Non Puoi Liberarti), tratta da "All That You Can't Leave Behind", che vede un brano il cui punto di forza è tutto racchiuso in una melodia orecchiabile e magnetica e su una metrica semplicemente perfetta, anche se poi, alla fine dei conti, risulta essere solo un pezzo discreto dall'attitudine soul. Chitarra e tastiere si uniscono in un vincolo sacro e serioso per rendere omaggio a un amico della band, il cantante degli INXS Michael Hutchence, morto suicida nel novembre del 1997. Bono una volta aveva discusso con lui riguardo all'atto del suicidio, considerandola una mossa da sciocchi, per poi pentirsi delle sue parole dopo aver appreso del folle gesto dell'amico. "Non ho paura di niente in questo mondo. Non c'è nulla che io non abbia già sentito. Sto solo provando a trovare una melodia decente da poter cantare in compagnia di me stesso", recita il primo verso, dal sapore religioso, come fosse un inno da chiesa, per poi passare al pre-chorus, anch'esso disteso su una dolce melodia popeggiante. "Non ho mai pensato che tu fossi uno sciocco. Mio caro, devi stare dritto in piedi, col peso bilanciato. Quelle lacrime non vanno da nessuna parte". Bono si rivolge direttamente al suo ex amico defunto, chiedendo scusa per il diverbio, per non averlo capito al momento giusto e per non averlo aiutato. Le note delle tastiere sono soffici, sembrano gocce d'acqua che si frantumano a terra, su un solido terreno, batteria e basso sono pacati, mentre la chitarra è quasi del tutto assente, preferendo lasciare spazio alle tastiere e alla bella melodia. "Devi riuscire a mantenerti integro e non paralizzarti in un istante. Non riesci ad uscirne e non vedi soluzioni migliori, sei paralizzato in un istante e non puoi liberarti". La chitarra si eleva leggiadramente, Mullen insiste un po' di più col suo drumming, e allora il brano riparte. "Non rinuncerò ai colori, nemmeno alle notti che hai riempito di fuochi. Sono ancora stregato da quella luce, ascolto dalle tue orecchie e attraverso i tuoi occhi riesco a vedere". Le parole questa volta sono amare, piene di rancore, seppur si respira un clima di tranquillità e ottimismo, ribadito poi nel pre-chorus: "Sei uno sciocco a preoccuparti come fai tu, lo so che è dura, e tu devi averne abbastanza, ma ora non hai bisogno di altri problemi". Non vi è pausa né cambio di tempo, si va dritti al punto, e infatti il bridge è fugace, Bono sussurra scuse e si pente per aver agito in quel modo: "Ero incosciente, mezzo addormentato. L'acqua è calda finché non scopri quanto sia profonda. Sto cadendo verso il nulla", e si procede verso la fine, dove viene ripreso il ritornello che anticipa una coda quasi gospel, dove a dominare sono ancora le tastiere. "È solo un momento, questo tempo passerà", la band chiude con questa promessa.
Gone
Da "Pop", ecco che arriva Gone (Andato), che si mostra come un accorato appello intimista, un percorso rock introspettivo dalle forme nere come la pece, nel quale si riflette sui dilemmi derivati dal successo, sui compromessi fatti per raggiungerlo, e sui problemi che questo causa. È ancora il basso di Adam a dettare legge, dunque entra in scena Larry Mullen con colpi sicuri e ben calibrati e infine arriva Bono che canta senza l'ausilio della chitarra di The Edge, la quale fa capolino solo a tratti, se non nella deriva strumentale che anticipa strofe e che si scatena nel ritornello. "Ti senti così colpevole, hai avuto così tanto per così poco. Poi scopri che questa sensazione non andrò mai via, ti aggrappi ad ogni minima cosa finché non resta niente di te". È bastato poco per ottenere un successo incredibile, ci si sente in colpa, è una strana sensazione che si appiccica addosso al vocalist e che lo stritola come un serpente a sonagli. Non c'è una via di fuga, bisogna accettare il compromesso, fortuna, certo, ma anche disillusioni e critiche. Il chorus è da capogiro, adrenalinico, che si alza in volo come un razzo spaziale e che si consuma in aria in breve tempo: "Addio, puoi tenerti questo vestito di luci, mi alzerò con il sole ma non mi schianterò giù". È un monito, bisogna fare attenzione, perché più in alto si va e più è rocambolesco lo schianto. La sezione strumentale è spietata e violenta, poi si stempera per la seconda fase, che vede l'ingresso delle tastiere che addolciscono il tutto, rendendo più romantico il verdetto. "Desideravi arrivare da qualche parte così in fretta che hai dovuto perdere te stesso lungo la strada. Hai dovuto persino cambiare nome, va bene, ma quello che ti sei lasciato alle spalle non ti manca". Bono sta parlando della sua vita, del suo soprannome, del successo che ha ottenuto ma che lo ha fatto uscire di strada, rinnegando quasi il suo passato. Il successo è un'arma a doppio taglio, più se ne ha e più ci si dimentica di come si era. Arriva l'incanto sonoro, i toni si annebbiano, il tutto diventa astratto, emergono le tastiere dal rintocco funebre: "Sono già andato via, mi sono sentito così per tutto il tempo, ogni giorno più vicino a te che non lo volevi nemmeno". Non si sa di chi si sta parlando, forse della mamma deceduta, donna schiva e discreta, che non voleva per il figlio una carriera da rockstar. Lo spettro della chitarra elettrica aleggia misteriosamente in sottofondo, la batteria acquista potenza per una coda finale da brividi. "A ogni passo vengono le vertigini, ma questa sensazione alla fine ti piace, ti fai del male, lo fai anche a chi ami, poi scopri che la libertà che volevi è solo avidità. Addio, nessuna buonanotte commovente". Alla fine, Bono accetta il suo status e ci fa il callo, il successo gli procura piacere e lo rende schiavo e dipendente come una droga, tanto che non è deciso a scendere dalla cima, crogiolandosi negli allori. Sa bene che la libertà di cui si vanta in realtà è avidità, e ciò lo ferisce, gli fa male davvero, ma è troppo ambizioso per scendere.
Until The End Of The World
La parabola biblica viene servita con la perla Until The End Of The World (Fino Alla Fine Del Mondo), il capolavoro più selvaggio di "Achtung Baby", incentrato sul dialogo tra Giuda e Cristo e inserito nella colonna sonora dell'omonimo film di Wim Wenders "Fino alla fine del mondo". È qui che gli U2 ritrovano la rabbia dei primi lavori e l'attitudine provocante tipica di molti loro brani. La danza tribale eseguita dal drumming di Larry Mullen apre a un mondo ancestrale che ci conduce dritti indietro nel tempo, poi subentrano le asce di The Edge e di Adam Clayton e allora succede il delirio. Strutturato su tre lunghi e compatti blocchi, il pezzo è un tripudio di suoni e di sfumature che indicano una band coraggiosa, che osa sperimentare e che lo fa con grande gusto. "Non ti vedo da un po', sono stato giù, aspettando che il tempo trascorresse. L'ultima volta che ci siamo incontrati è stato in una stanza male illuminata. Eravamo vicini, mangiammo e bevemmo vino. Tutti si divertivano tranne te. Tu parlavi della fine del mondo". Giuda rievoca l'ultima cena degli apostoli, in compagnia di Cristo. Tutti si divertivano, bevendo e mangiando, ma Cristo sapeva già dell'imminente tradimento, presagiva già la fine di un'era. Le plettrate di The Edge sono fugaci, pungenti, danno la sensazione del rimorso, del tradimento, del dolore inflitto al profeta. "Ho preso i soldi, ho drogato il tuo drink, ho perso tempo dietro a te, mi hai ingannato con quegli occhi innocenti. Nel giardino stavo giocando, ti ho baciato le labbra e spezzato il cuore. Tu ti sei comportato come se fosse la fine del mondo". Giuda non sembra rattristato dal tradimento, lo rievoca con grande chiarezza e lucidità. È nel giardino dei Getsemani dove tradì Gesù per 30 denari, lo baciò in bocca giurandogli fedeltà, per poi colpirlo alle spalle facendolo arrestare dai soldati romani. La fase strumentale è intensa, travolgente, l'assolo di chitarra magnetico, intriso di poesia, la voce di Bono soffocata di dolore per chiudere l'ultimo blocco. "Nei miei sogni stavo annegando i dispiaceri, ma i miei dispiaceri impararono a nuotare, circondandomi e affogandomi, traboccando in onde di rimpianto e di gioia. Ho cercato di raggiungerti ma tu hai detto che avresti atteso la fine del mondo". In questo caso, Giuda è titubante, da una parte si pente per ciò che ha combinato, dall'altra sa che il dolore e il rimpianto non possono essere cancellati e che proprio da questi verrà strangolato. Clayton e The Edge si lanciano all'unisono in un duello di note metalliche che creano il putiferio, Larry accelera il passo proiettandoci nella foga sonora, nella mente turbolenta e annebbiata del traditore, dove riecheggiano echi di frustrazione, balbettati dallo stesso Bono. Un pezzo tripartito, che fa della sua compattezza la sua vera forza. Bello, elegante, selvaggio, uno dei migliori brani mai composti dal quartetto irlandese.
The Hands That Built America
The Hands That Built America (Le Mani Che Hanno Costruito L'America) fa parte della colonna sonora del film di Martin Scorsese "Gangs Of New York", uscito nelle sale nel 2002, interpretato da Leonardo DiCaprio, Daniel Day-Lewis e Cameron Diaz. Così come il film mette in scena la battaglia territoriale tra bande e popoli tra i quartieri di una giovane New York, durante la guerra civile americana, nella metà dell'800, così la canzone degli U2 cerca di ricreare quel clima di tensione quando l'America stessa inizia il suo processo di costruzione e di stabilità. Ma gli U2 mettono in mostra lo spirito più intimo di quel mondo, attraverso una dedica d'amore e di speranza di una giovane coppia approdata in America dalla vecchia Europa, alla ricerca di affermazione e di fortuna, ma soprattutto di pace e di tranquillità. "Amore mio, ne abbiamo fatta di strada, dalle verdi colline verso i canyon di vetro e acciaio. Dai campi pietrosi all'acciaio del cielo", Bono, con estrema quieta racconta il trasferimento degli amanti, dai pascoli europei alle montagne rocciose del Nuovo Mondo, dove gli alti palazzi di acciaio e vetro fanno il verso ai canyon polverosi, raggiungendo il cielo e le nuvole. Bono è solenne nell'elogiare la terra promessa, venerata sin dai primi anni 80 e vista come terra di libertà e di riscatto, ed è lui stesso a suonare la chitarra acustica dondolando l'ascoltatore in un bel giro sofferto, mentre The Edge si sposta al pianoforte e lo accompagna con cupi rintocchi. Dunque Adam Clayton e Larry Mullen subentrano nella seconda strofa: "L'ultima volta che ho visto il tuo volto in un cielo dipinto, mentre gli uccelli bisticciavano, era per un lungo addio. Ho preso un tuo bacio e me ne sono andato. Adesso dobbiamo vivere i nostri sogni". La coppia si è riunita in una città nuova, in una terra ignota, e devono fare in modo di vivere nel sogno del loro amore, costruendosi una seconda vita. L'esistenza dei giovani è metafora della seconda vita dell'America, non più continente antico e selvaggio, ma moderno e futurista, nel quale confluire tutta la modernità del mondo. la voce di Bono è sofferta, persino nel bellissimo nebbioso ritornello, poggiato sulle tastiere e su un grasso giro di basso, che ricorda l'estrema ambizione di un palazzo che si stende fino a toccare il cielo e ad affondare le estremità tra le nuvole. "Queste sono le mani che hanno costruito l'America" si dice, e subito viene in mente l'importanza di tutta la classe operaia che ha realizzato costruzioni impossibili da immaginare fino a poco prima, ma anche, come avviene nel film di Scorsese, le battaglie tra le gang per l'identificazione dei quartieri, ricordate nell'ultima frase, significativa del clima di tensione dell'epoca: "È autunno da poco, c'è una nuvola sull'orizzonte di New York, l'innocenza trascinata". Un pezzo fenomenale, che dimostra quanto gli U2 siano ancora ispirati nonostante i tanti anni di carriera sulle spalle, almeno dal punto di vista melodico. Peccato solo che questo gioiello di melodia non è riuscito a vincere il Golden Globe agli Oscar 2002, venendo superato da Eminem per il film biografico "8Miles".
Discothèque
Suoni elettronici e distorsioni di chitarra sorvolano sul mondo, facendo una panoramica sugli ambienti dei rave e delle discoteche, dove acidi e ogni tipo di droga sono all'ordine del giorno. Come falene impazzite, accecate da luci stroboscopiche, gli strumenti stordiscono sin dai primi secondi. Discothèque (Discoteca), come tutti i brani contenuti in un disco come "Pop", è un'analisi perfetta di questo mondo superficiale, alla continua ricerca di sballo, di fuga da una realtà che, apparentemente, non permette più divertimento e leggerezza. Mentre aumenta inesorabile il volume, interviene Bono in tono lamentoso sfidando il potente riff fabbricato da The Edge: "Puoi raggiungerla ma non afferrarla, puoi controllarla ma mai farla tua. Puoi spingerla ma non dirigerla, ha movimenti circolari, regolari, che non puoi collegare". Si sta parlando di acidi, di pasticche per annebbiare la mente e caricare il corpo, in un moto ondulatorio irrefrenabile che dura tutta la serata. Clayton e Mullen raggiungono i colleghi unendo rock e disco music per un effetto allucinogeno, da party sfrenato. Il pre-chorus evidenzia l'effetto fugace ma devastante della pasticca appena presa: "Stai masticando una gomma, sai cos'è ma ne vuoi ancora, non ne hai mai abbastanza di quella cara droga". Il tono di Bono si abbassa, diventa quasi grave, come se la sua voce provenisse dalle regioni più remote dell'animo, quasi a porsi come voce della coscienza che intima al soggetto di fermarsi finché è in tempo. Ma niente, la dipendenza è troppa, la serata è ancora lunga, e allora ecco che la droga fa effetto, così come la base elettronica impostata da Howie B a fare da contorno al sanguinolento rock della band. The Edge si erge sulla massa e scuote la sua ascia attraverso dei riff muscolosi che trasmettono brividi sulla pelle, dunque Bono torna contornato da strani effetti che ne modificano il timbro, ed è puro delirio sonoro. "Sei confuso ma cosciente, soffri per avere un'altra dose, anche se non lo mostri". È tempo di scatenarsi in pista, la gente affolla il locale e inizia lo show: "Lasciami andare in discoteca, andiamo in discoteca. Stai cercando qualcuno ma sai di essere altrove. Tu vuoi essere la canzone, la canzone che senti nella testa". Una colata di acidi che sfalda menti e corpo invade le casse dello stereo, il basso è liquido, così come la batteria, dai colpi elettronici astratti, ma la chitarra resta impavida a ricordarci che questo è rock fumoso, sulfureo come acido. La melodia è trascinante, il testo è metafora di vita, dal ritmo assordante, frammentata, faticosa, delirante, dove tutti noi siamo schiavi in cerca di altro, di una via di fuga. Il ritmo si infrange sugli specchi della discoteca che riflettono la nostra immagine, giriamo intorno col sorriso stampato in volto, la testa comincia a girare, restano i lamenti di Bono, distesi su un tappeto di tastiere, poi riecco la chitarra, dal sound modificato e drogato. "Non è un trucco, puoi impararlo, è il modo in cui non paghi perché non te lo puoi guadagnare". Così è la vita, fatichiamo a trovarne un senso, abbiamo difficoltà ad andare avanti senza l'utilizzo di stupefacenti che possano darci una spinta, e intanto il nostro cervello se ne va a puttane, massacrato da allucinazioni continue. Le voci della gente che affolla la discoteca si accavallano rimbambendoci, riflettendo le immagini di una realtà distorta che evitiamo a tutti i costi. Ormai la superficialità la fa da padrone, non vogliamo più sentimenti o profondità intellettuale, vogliamo solo divertimento e spensieratezza. Il bridge è una colata di liquido cancerogeno, eroina iniettata nelle vene o fumo di canne che si espande nella sala da ballo: "Prendi quello che puoi, è tutto ciò che riesci a trovare. Tu sai che esiste qualcosa in più, tranne stanotte". I ragazzi sanno bene che esiste una vita al di fuori della festa, ma per il momento la dimenticano, lasciandosi tutto alle spalle, cullandosi in un sabato sera da brividi.
Hold Me, Thrill Me, Kiss Me, Kill Me
Dalla colonna sonora del brutto "Batman Forever", uscito nel 1995, ecco la splendida e spietata Hold Me, Thrill Me, Kiss Me, Kill Me (Stringimi, Eccitami, Baciami, Uccidimi), una traccia assassina costituita da un riffing audace, dal piglio hard rock e dalle seducenti linee vocali, in gran parte modificate e stratificate. Dopotutto siamo a metà anni 90 e gli U2, in questo periodo, non si pongono limiti, sono nel pieno della loro rivoluzione sonora. Chitarra affilatissima, basso in primo piano, violino campionato e strani effetti elettronici da accompagnamento, il tutto amalgamato per un pezzo da brividi, uno dei più feroci mai realizzati dalla band irlandese. Le sinistre linee melodiche si sposano perfettamente con il cinismo del testo, nel quale Bono mette se stesso nei versi, ironizzando sulla sua figura di star planetaria: "Non sai come l'hai preso, sai solo che lo possiedi, stavi rubando ai ladri e sei stato preso da una limousine. Ora sei una star. Ti vesti come tua sorella, vivi come una puttanella, loro non sanno che stai facendo, nemmeno tu, ma sei una star". Il testo ironico e anche duro, se vogliamo, è accompagnato da una solida base strumentale, fatta di riff vertiginosi che ipnotizzano, dai suoni tetri e gelidi che puntano dritti al cervello, inoltre la stratificazione di voci effettate, che contornano la voce di Bono, riescono nell'intento di ammorbare l'ascoltatore. Viene una certa inquietudine nel sentire questa perla musicale, cattiva al punto giusto, spietata nella descrizione della star-puttana. "Non sai come ci sei entrato, sai solo che vuoi uscirne, credendo solo in te stesso. Non essere timido, stringimi, eccitami, baciami, uccidimi" implora Bono ai suoi fans. Li implora per essere ucciso, in modo tale da abbandonare per sempre la figura della star, la sua professione, e vivere una vita normale. "Loro ti venerano, vogliono che tu sia Gesù, si inginocchiano, ma rivogliono i soldi, sei vivo, hai superato i trentatré anni e stai facendo trucchetti col tuo crocifisso". La metafora di Cristo crocifisso e in balia del pubblico è sempre funzionale, utilizzata dall'autore già molte volte in carriera. Tale brano viene scritto e composto durante le sessioni di "Zooropa", e infatti comporta tutte le caratteristiche dell'album, dagli affascinanti suoni industrial e dalle atmosfere ossessive, per poi sfortunatamente essere scartato e riciclato come colonna sonora del film di Joel Schumacher, due anni dopo. Nel relativo videoclip, oltre alle immagini della pellicola, possiamo osservare la band esibirsi in una oscura Gotham City e combattere contro i propri alter-ego cartonati.
Staring At The Sun
Le chitarre svettano nel cosmo e danno inizio alla cavalcata elettro-rock Staring At The Sun (Fissando Il Sole), splendida e molto sottovalutata perla, secondo singolo dell'album "Pop", forse quello più famoso. Sulle note della chitarra acustica, Bono prende in mano il microfono e lo fa suo: "L'estate si distende sull'erba, dei vestiti estivi passano sotto l'ombra di un salice. Qualcosa striscia verso di me, verso di me e di te, uniti con il tocco di Dio. È stata una lunga estate calda, ripariamoci adesso e non sforzarti di pensare". "Uniti col tocco di Dio" è il titolo ripreso da un album del 1990 dei Something Happens, una rock band di Dublino. I toni sono amari, nonostante una melodia pazzesca, il vocalist è grintoso nel descrivere liriche criptiche, dai diversi significati, e intanto, in sottofondo, c'è il rintocco elettronico che assomiglia a gocce d'acqua e che rende tutto più liquido, cosmico. Attacca il famoso ritornello, una vera goduria, dove la chitarra di The Edge sperimenta un suono fantastico, sdoppiandosi in elettrica e acustica: "Non sono l'unico che sta fissando il sole, spaventato di ciò che potresti trovare se ci guardassi dentro. Non solo sordo e stordito, fissando il sole sono felice di accecarmi". Il sole è forse la sacra divinità, la fede che tutto purifica, che fa diventare sordi e ciechi, lontani dalle tentazioni terresti. Si alza un leggiadro sentore malinconico non appena termina il refrain, condotto da basso e chitarra, mentre la voce di Bono è corrosa dalla nostalgia, quasi tremolante. "C'è un insetto nel tuo orecchio, se ti gratti non se ne va, ti pungerà e ti brucerà. Le onde mi trascinano al largo, schiacciandomi sulla tua schiena divenuta spiaggia, vivremo mai in pace? Quelli che non agiscono devono predicare". L'insetto è la voce della coscienza che gratta e brucia, cercando di consigliare su come vivere la vita, ma è difficile darle retta in questo sistema. Le tentazioni sono come onde che si propagano forti trascinando corpi, il mondo è una spiaggia sulla quale sbattono le maree. Se non si può agire allora meglio predicare. Le tematiche sacre, sempre care agli U2, sono qui sommerse da una produzione ultramoderna che ha poco di cerimonioso. La sensazione che emerge nell'ascoltare questo brano è quella di trovarsi alla deriva nel cosmo, fluttuando nell'universo, tra le stelle. I fraseggi composti da The Edge sono come stelle comete che illuminano il buio con la loro energia lucente. Si avverte una sorta di elettricità, soprattutto quando parte il ritornello. L'ultimo verso mantiene la stessa melodia dei precedenti, ma viene lasciato solo, condotto dalla soffice voce di Bono e dagli effetti sonori di contorno che lo rendono ancora più straniante. "Intransigenza intorno, i militari sono in città. Giacche cravatte e corazzate. Dio è buono, ma ci darà mai ascolto? Qualcosa ci mancherà sempre". Il dilemma è chiaro: non saremo mai completi, gli umani non sono esseri perfetti, mancherà loro sempre qualcosa per sentirsi pieni e finiti. Dio è tanto buono quanto assente e non cede alle nostre richieste, siamo noi quelli che dobbiamo predicare, fissando il sole per scrutare le nostre paure, le problematiche che affliggono il mondo, sondare l'ignoto che ci divora. Ma in città si aggirano burocrati, politici e militari, il pianeta è controllato a vista. L'ancestrale sicurezza nella fede, tipica della band irlandese, in questo album latita, e infatti vengono sollevati molti questi ai quali non v'è riposta, né speranza. L'amarezza, la nostalgia e la confusione avvolgono tutto.
Numb
Torniamo a "Zooropa", dove ci ritroviamo schiavi del messaggio proclamato dalle televisioni del mondo intero, idoli entrati nelle nostre case, alla volta di Numb (Stordito), nevrotico e nichilista rap che contamina mente e corpo e li liquefa sotto una montagna di immagini e messaggi criptici. Il protagonista, questa volta, è The Edge, che intona con freddezza glaciale e una certa monotonia una serie di divieti. I messaggi subliminali inferti dalla tv sono palesi nel relativo videoclip, dove il musicista resta seduto su una sedia, di fronte allo schermo, cibandosi impassibilmente e ossessivamente di pubblicità, telegiornali e programmi, mentre, attorno a sé, il mondo continua a girare inesorabile cercando di disturbarlo. L'effetto elettronico si snoda assieme al giro di chitarra, proiettando in una dimensione buia e statica. "Non muoverti, non parlare del tempo, non pensare, non preoccuparti. Non prendere, non stringere, non sperare, non respirare, non rattristarti". L'elenco è lungo e snocciolato con freddezza senza accenno di vita, poi giunge Bono in falsetto, per il sottile ritornello: "Mi sento stordito, il troppo non è mai abbastanza. Dammene ancora di quella roba, dammi ancora quella roba". Si sta parlando ovviamente delle immagini subliminali scandite dai mass-media, che attraverso queste tendono a sottomettere il popolo, a dominarlo per i comodi di pochi. Il rap si spegne, come a cambiare canale, per qualche istante, la batteria prende il controllo cercando i tasti del telecomando, dunque delle note elettroniche si avventano sullo spettatore, rappresentano i neuroni che si stanno fondendo. La tv si riaccende e con essa anche la serie di divieti e di ordini: "Non ascoltare musica, non ballare, non teorizzare, non cambiare, non mentire, non scusarti", ma il falsetto in sottofondo prosegue ipnotico fino alla fine. La sperimentazione degli U2 qui raggiunge il suo apice, così come la critica sociale, davvero spietata in questo caso. Le voci si amalgamano, si dividono, diventano astratte, mano a mano che si procede l'elettronica sovrasta tutto, distorcendo ogni suono come se ci fosse un'interferenza. La ZooTv è attiva e veglia su di noi, sul nostro pensiero. Una chicca ipnotica e irrequieta non troppo apprezzata appena uscita, capace di spiazzare fans e critici, ma che col tempo è riuscita a rivelare la sua anima, a supporto della quale, la band sceglie di non rilasciare un vero e proprio singolo in versione cd o vinile, ma preferendo smerciarlo solo in vhs, tenendo legati musica e video. Certamente una politica commerciale bizzarra, ma piuttosto significativa.
The First Time
Il lato romantico di "Zooropa" arriva con la morbida The First Time (La Prima Volta), canto d'amore autobiografico dedicato alla moglie di Bono, Allison. The Edge esegue un arpeggio malinconico e subito entra in scena il vocalist: "Ho un amante, un amante come nessun altro. Lei ha anima dolce e mi insegna come cantare". Allison è ancora una volta protagonista di uno dei testi degli U2, donna forte dal grande fascino, dallo spirito nobile e dal carattere dolce. Il ritornello ci raggiunge etereo, timidamente ci sfiora come una carezza: "Lei mi mostra i colori quando non se ne vede nessuno. Mi dona speranze quando non riesco a credere. Per la prima volta io provo amore". Il tripudio amoroso scocca come una freccia e colpisce sia Bono che l'ascoltatore, ipnotizzati dalla morbidezza del testo e della musica. Le tastiere emergono placidamente, la chitarra crea un giro che rimanda al brano "All I Want Is You". "Io ho un fratello, quando sono in cerca di fratelli. Spendo tutto il tempo a correre e lui lo passa a correre dietro a me", questo passaggio crea dei dubbi sul destinatario del messaggio, molti pensano si tratti di una duplice dedica, da una parte all'amata moglie e dall'altra a un caro amico, considerato un vero fratello. Il secondo ritornello parla, infatti, di un uomo: "Quando mi sento giù mi basta chiamare e lui arriva subito. Per la prima volta io provo amore". L'armonia conquista lentamente, si fa largo nel cuore degli ascoltatori, ma la durata del pezzo è concentrata in soli tre minuti, e allora si passa all'ultimo verso. "Mio padre è un uomo ricco, indossa un mantello da uomini ricchi. Lui mi ha donato le chiavi del suo regno e una coppa d'oro e mi ha detto -Ho molte dimore e ci sono molte stanze da vedere-, ma io me ne sono andato dal retro e ho gettato la chiave". Bono termina tra i rintocchi sempre più invadenti del pianoforte, con un dilemma che lo ha divorato per anni: quello dell'appartenenza religiosa dalla quale lui, così come i suoi compagni, è riuscito a fuggire per dedicarsi alla musica. Non ha rinunciato alla fede, ovviamente, ma è scappato da quel mondo limitante tipico delle sette. In pochi passi il cantante ha concentrato la sua vita, il suo amore, la sua amicizia, la sua vocazione spirituale. "The First Time" è una ballata preziosa.
Conclusioni
"The Best Of 1990-2000" è una compilation variegata, che mette in luce tutto il potenziale degli U2 nella decade più eccentrica di tutte. Rock, pop, elettronica, industrial, ambient, iper-produzioni in cui i suoni vengono stratificati ma anche pezzi più sobri che riportano alle radici del combo irlandese, il tutto riunito e assemblato per una scaletta eccellente che si fa largo tra i numerosi singoli pubblicati nell'arco di dieci anni, tutti di grandissimo successo, tutti, o quasi, che fanno parte della nostra storia, della storia di fine '900, e che vanno a chiudere un decennio di importanti cambiamenti e di pura magia musicale. Come nel precedente Best Of, purtroppo vengono esclusi tantissimi capolavori amati dal pubblico, lasciando spazio soltanto ai singoli lanciati dal 1990 al 2000, ma per fortuna gli U2 di quei tempi avevano ancora la buona abitudine di pubblicare ottimi singoli, e non come oggi, dove troviamo i pezzi meno riusciti a scalare le classifiche e a trainare gli album. Di fronte a gemme del calibro di "Even Better Than The Real Thing" e "Until The End Of The World", dal piglio heavy, la funky "Mysterious Ways" e la geniale "One", tratte da uno dei dischi più grandi e fondamentali di sempre, il sempiterno "Achtung Baby", credo che tutti quanti possano accontentarsi, e anche davanti alle meravigliose "Stay" e "First Time", intrise di struggente malinconia, oppure alla fredda e morbosa "Numb", sempre tratta da "Zooropa", che ipnotizza con le sue note elettroniche e il suo rap futuristico, mentre dal possente "Pop", il disco più sperimentale in assoluto, troviamo le cosmiche, e a tratti psichedeliche, "Staring At The Sun", "Gone" e "Discothèque", rigorosamente in versione remix, come sempre voluto dalla band, scontenta del missaggio originale; e ancora la leggiadra "Miss Sarajevo", in duetto con Pavarotti, ballata poetica contenuta nell'album dei Passengers "Original Soundtracks 1", un lavoro elettronico frutto dell'incontro tra U2 e Brain Eno, la spregiudicata "Hold Me, Thrill Me, Kiss Me, Kill Me", costruita sul tagliente riffing impartito da The Edge, estrapolata dalla colonna sonora di "Batman Forever", per poi arrivare all'opera che inaugura, non senza polemiche, il nuovo millennio, ossia "All That You Can't Leave Behind", meno efficace delle precedenti ma dal successo enorme, qui rappresentata dalla natura solare di "Beautiful Day" e dalla pacatezza soul di "Stuck In A Moment You Can't Get Out Of". In più, come accennato, troviamo due inediti: la splendida "Electrical Storm", roboante rock vecchia scuola, ma con punte di elettronica moderna, il cui video è diretto da Anton Corbijn nel suo classico stile in bianco-nero e filmato sulla spiaggia di Èze, nel sud della Francia, e la suadente "The Hands That Built America", nostalgica ballata scritta per la colonna sonora del film "Gangs Of New York" di Martin Scorsese. Se nel "The Best Of 1980-1990" potevamo trovare un dischetto aggiuntivo nel quale erano assemblate diverse interessanti B-side dei singoli presenti, anche nel caso del "The Best Of 1990-2000" gli U2 non si risparmiano, lanciando una versione limitata, contenente un DVD documentario e un secondo cd di curiosi brani, non solo B-side ma anche e soprattutto remix, come ad esempio le versioni alterate di "Lady With The Spinning Head", "Dirty Day", "Mysterious Ways" o "Lemon", eccessive e danzerecce al massimo, che contrastano fortemente con le più sobrie "Summer Rain", "North And South Of The River" e "Your Blue Room", morbidissima traccia elettronica prelevata da "Original Sountracks 1". Quello che emerge è una minore qualità del bonus disc rispetto alla compilation del 1998, incentrato soprattutto su remix francamente poco utili ma che danno un'idea chiara di ciò che hanno combinato gli U2 negli anni 90, flirtando spesso con l'elettronica e la dance music e contaminando profondamente il loro rock 'n' roll di protesta. Se il cd aggiuntivo soddisfa ben poco, tranne che in un paio di occasioni, nulla si può dire del disco principale, dato che i sedici brani che troviamo sono uno meglio dell'altro, e che testimoniano la grande ispirazione della band irlandese anche negli anni 90, più coraggiosa, creativa e sperimentale che mai. Una grande collezione di pezzi che va a chiudere un cerchio (magico) e ne inaugura subito un altro.
2) Mysterious Ways
3) Beautiful Day
4) Electrical Storm
5) One
6) Miss Sarajevo
7) Stay (Faraway, So Close!)
8) Stuck In A Moment You Can't Get Out Of
9) Gone
10) Until The End Of The World
11) The Hands That Built America
12) Discothèque
13) Hold Me, Thrill Me, Kiss Me, Kill Me
14) Staring At The Sun
15) Numb
16) The First Time