U2
The Best Of 1980 - 1990
1998 - Island
ANDREA CERASI
18/07/2018
Introduzione Recensione
Dieci anni per celebrare il mito. Dieci anni di musica incendiaria, di attitudine ribelle, di canti di protesta contro una società meschina e cinica. Dieci anni di grida, di inni alla pace, di dolori repressi e di gioie mai celate. Dieci anni di ascesa inarrestabile per cementare la nascita di una leggenda tutta irlandese e la definitiva conquista del mondo. Nel 1998, proprio nel momento di maggiore sperimentazione, quando la trilogia elettronica messa in scena con "Achtung Baby", "Zooropa" e "Pop" sta terminando la sua folle corsa, raccogliendo i frutti di una decade sfavillante e colorata, gli U2 fanno un passo indietro, tornando alle proprie radici, rimettendosi in linea con ciò che sono stati nel decennio precedente. Nonostante i capolavori partoriti negli anni 90, gli eccessi visivi e sonori, gli spregiudicati concerti milionari in giro per il globo e un'esperienza ben consolidata, sintomo di una band ormai matura e affermata, è negli anni 80 che gli U2 costruiscono il proprio mito, la propria mitologia musicale e lirica, ed è negli anni 80 che diventano storia da raccontare nei libri di scuola. "La band più grande degli anni 80" li definisce all'epoca, e siamo intorno al 1984, la rivista Rolling Stone, prevedendo un cammino lungo costellato da successi continui, vendite milionarie, concerti stratosferici e album significativi per la musica mondiale, di qualsiasi genere essa sia, prevedendo perfettamente quanto accaduto negli anni successivi. Di strada gli U2 ne hanno fatta tanta, anzi, tantissima, imponendosi sulle masse album dopo album, singolo dopo singolo, senza mai perdere un briciolo di celebrità, senza mai perdere un appuntamento con le classifiche, senza mai farsi da parte per osservare il mondo della musica da un'altra angolazione. No, la band di Bono, The Edge, Larry e Adam è sempre stata al centro dell'attenzione, cavalcando le decadi nel segno del successo, fin dove nessuno si è spinto mai, riuscendo nell'impresa, che ha del miracoloso, di restare in vetta per ben quattro decenni. Se dal nuovo millennio la band irlandese ha cominciato a mostrare segni di stanchezza, di invecchiamento, pur mantenendo, nonostante le insensate critiche, una qualità artistica invidiabile, è nei primi venti anni di carriera che gli U2 producono magia, evolvendosi disco dopo disco, opera dopo opera, andando contro tutto e tutti, realizzando lavori che oggi sono pietre miliari della storia del rock. Prima dell'inversione di marcia e del conseguente ritorno alla sobrietà e subito dopo il ruggente periodo sperimentale, che fonde talento e coraggio in un mix strepitoso, gli U2 danno alle stampe la prima raccolta: "The Best Of 1980-1990", raggruppando tutti i singoli che in questa decade li hanno resi immortali. E allora ecco che, all'interno di questa bella compilation, trovano spazio brani che hanno fatto la storia degli anni 80, dai primi inni post-punk alle profonde riflessioni ambient, dalle seducenti e polverose note blues alle sacre sfuriate rock e soul. L'essenza stessa dei primi U2 è racchiusa in questo disco, gli elementi della poetica dei primi sei album sono elencati egregiamente in questa track-list, facendo una panoramica su tutta la prima parte di carriera della band: dagli albori, ricchi di rabbia, di odio e di frustrazione, della periferia di Dublino, racchiusi in album quali "Boy", "October" e "War", che indagano sulle coscienze giovanili, adolescenziali, alla consacrazione con "The Unforgettable Fire", che li porta ad affrontare tour sempre più importanti, e dove, tra splendidi ritratti autunnali e analisi intimiste, i nostri collaborano per la prima volta con Brian Eno. E ancora l'inaugurazione di un nuovo ciclo stilistico con il definitivo approdo in terra americana, durante il quale gli U2 abbracciano nuove sonorità con album leggendari come "The Joshua Tree" e "Rattle And Hum", opere folk rock piene di significati, dalla natura estiva e desertica, dove a dominare sono le tonalità incandescenti della sabbia e i messaggi luminosi della fede. Dall'Europa, malinconica e uggiosa, agli Stati Uniti d'America, solari e liberatori, gli U2 percorrono un sentiero lungo dieci anni.
Pride (In The Name Of Love)
Scritta in onore di Martin Luther King e inserita nel capolavoro "The Unforgettable Fire", Pride - In The Name Of Love (Orgoglio - Nel Nome Dell'Amore) è una delle canzoni più famose e glorificate degli anni 80 e non solo, uno di quei pezzi entrati di diritto nella storia. Un brano senza tempo, illuminato dall'attacco di The Edge, il cui fraseggio è diventato immortale, avendo travalicato generazioni e generazioni di ascoltatori per colpire dritti al cuore. La batteria di Mullen ritrova il vigore degli anni passati, proiettandoci in questa marcia d'amore, dal testo semplice ma profondo e dalla struttura quadrata, fatta a blocchi di quartine dove strofe e ritornelli si alternano le une con le altre. "Un uomo arriva in nome dell'amore, un uomo va e viene. Un uomo arriva per giustificare e un uomo per rivoluzionare". In queste parole si sta delineando la figura leggendaria di King, che ha aperto gli occhi al mondo intero sul problema razziale. Esplode subito il magnetico ritornello, dove Bono urla il suo amore e la sua voglia di libertà: "Nel nome dell'amore, cos'altro nel nome dell'amore?". In effetti, cosa c'è di più importante dell'amore stesso? Niente è paragonabile alla potenza e al desiderio di amare. I fraseggi di chitarra si scontrano e si incrociano con i grassi giri di basso, intavolando un movimento seducente: "Un uomo imprigionato in un recinto di filo spinato, un uomo resiste. Un uomo finito su una spiaggia vuota, un uomo tradito con un bacio", ed è qui sottile l'accostamento tra Luther King e Gesù Cristo, entrambi traditi e morti per liberare gli uomini. The Edge esegue il profetico assolo, trasmettendo gioia ed entusiasmo, mentre Larry Mullen conduce la base ritmica con foga e perizia, almeno fino a quando non interviene Bono a stemperare gli animi con vocalizzi che si traducono nella resa finale, accompagnati da coretti in sottofondo che danno la sensazione di gioia e di speranza. "Mattina presto, il 4 di aprile. Uno sparo risuona nel cielo di Memphis. Libero infine, ti hanno preso la vita, ma non hanno preso il tuo orgoglio". È il 4 di aprile, infatti quando Martin Luther King viene colpito a morte da un colpo di fucile poco prima di un comizio nella città di Memphis. Nel testo, però, c'è un piccolo errore, forse voluto per problemi di metrica, ma King muore nel pomeriggio, intorno alle 18.00, e non in mattinata. La frase intonata da Bono, inoltre, riprende le stesse parole del politico, recitate nel suo comizio più importante e incise persino sulla sua lapide, che recitano: "Libero infine, grazie a Dio, sono libero infine". Un brano semplicemente incredibile e che, nella sua semplicità, è diventato un canto di libertà e di pace; lanciato come primo singolo del disco del 1984, "Pride" ha saputo scalare le classifiche mondiali sin dal giorno di uscita, garantendo agli U2 la gloria eterna diventando uno dei pezzi più famosi degli anni 80.
New Year's Day
Adam Clayton, quasi per gioco, inventa un giro di basso clamoroso, chiede al compagno The Edge di passare alle tastiere e insieme generano uno degli attacchi più famosi di sempre. New Year's Day (Capodanno) è uno dei più grandi capolavori mai composti dagli U2, scelto come primo singolo per lanciare "War" e dedicato al sindacalista polacco Lech Walesa, fondatore del sindacato indipendente Solidarnosc che, tra la fine degli anni 70 e i primi anni 80, si batte per i diritti dei lavoratori. La rivolta popolare polacca tocca profondamente Bono, scuote la sua coscienza, soprattutto quando l'attivista Walesa viene fatto arrestare dal primo ministro Jaruzelski nel dicembre 1981. La carica oscura della new wave emerge prepotente in questa canzone, dove basso e tastiere flirtano per tutta la sua durata, creando un momento intenso e magico. Bono si augura che il politico venga rilasciato col nuovo anno, perciò intona questo canto di pace in suo favore: "Tutto è quieto a capodanno, un mondo bianco si rimette in moto. Voglio essere con te, giorno e notte. Ma niente cambia a capodanno". Il primo giorno dell'anno è ben illustrato nelle liriche, la neve della Polonia, l'atmosfera calma e sonnolenta delle città, la nazione che sta per rimettersi in moto per incominciare un nuovo anno. The Edge esegue un magico fraseggio e si pone al microfono, facendo da corista, il basso di Clayton continua sparato la sua corsa e Mullen accelera il passo. Il ritornello è storia della musica, tanto semplice quanto meraviglioso: "Sarò di nuovo con te" dice Bono gridando al cielo, in modo tale che l'amico sindacalista possa sentirlo. La melodia si smorza quasi subito, restituendoci il suggestivo e riflessivo momento della strofa: "Sotto un cielo rosso sangue, una folla si è radunata a braccia conserte. Insieme possiamo fare breccia, possiamo essere uniti". Ancora una volta, la band ci sprona ad unirci, perché l'unione fa la forza. La forza può cambiare il mondo intero, sovvertire le folli regole imposte dai potenti, restituire giustizia a una società corrotta. Mentre Bono grida, dimostrando la sua potenza vocale, The Edge esegue un assolo breve e pungente, gelido come la neve accumulata in Polonia durante l'inverno, gelido come le riprese del relativo videoclip effettuate in Svezia durante una giornata glaciale che ha debilitato i quattro musicisti a causa dell'esposizione all'aria fredda per troppe ore. Gli effetti metallici di The Edge creano un momento suggestivo, incrementato da un Adam Clayton in grande spolvero che dà il via alla seconda fase strumentale, per poi essere ripreso da Bono che ripropone il trascinante chorus. "Ci hanno detto che questa è l'età dell'oro e l'oro è la ragione per cui facciamo le nostre guerre", in questa frase geniale c'è tutta l'amarezza dei ragazzi, la disillusione di un mondo di pace e di armonia. Il brano sfuma ed è bello apprendere che, per una strana coincidenza, proprio nel capodanno 1983, cioè quando esce il singolo, la corte marziale viene abolita in Polonia, e quindi Lech Walesa viene rimesso in libertà. Inoltre, nello stesso anno, all'uomo viene assegnato il premo Nobel.
With Or Without You
Il brano più famoso degli U2 e uno di quelli più popolari di sempre, dall'indole religiosa e dal messaggio mistico, With Or Without You (Con O Senza Di Te) è senza ombra di dubbio il pezzo cardine di "The Joshua Tree" e anche dell'intera carriera della formazione irlandese. Una delle migliori ballate della band, resta impossibile ignorare questo pezzo da novanta, la sua innata delicatezza e un testo da lacrime agli occhi. Brain Eno suona i sintetizzatori, introducendo un'atmosfera cupa, dal sapore amaro. Non a caso qui si parla di un amore stroncato, di un rapporto disperato che ha due chiavi di lettura: da una parte la fine di una relazione con una donna, dall'altra una crisi mistica, il dubbio sulla fede, sul contatto con Dio. Bono non ha mai chiarito la posizione, lasciando libera interpretazione al pubblico. Mullen e Eno ci conducono in una dimensione intima, la melodia è dietro l'angolo e viene sussurrata da un Bono profetico: "Vedo la pietra incastonata nei tuoi occhi, vedo la spina rigirata sul tuo fianco. Ti aspetto. Su un letto di spine lei mi fa aspettare. Aspetto? senza di te". Il riferimento religioso è chiaro, la spina conficcata al fianco come la lancia del soldato penetrata nella costola di Gesù, ma l'attesa della morte e della distruzione avviene anche per colpa di una fantomatica "lei" che non si decide a tornare. Il primo refrain è morbido, quasi sussurrato, le tastiere di natura ambient diventano più ingombranti, emerge anche l'ottimo basso di Clayton. "Attraverso la tempesta raggiungiamo la riva, tu ce la metti tutta ma io voglio di più. Ti sto aspettando". È la fede come rappresentazione di coraggio e di speranza quella che Bono sta descrivendo. Forse la fede è incarnazione femminea, vista come fosse una donna che si fa attendere. Attraversare il fiume, simbolo di vita e di rinascita, è difficile, data la tempesta che si abbatte sulla terra, ma con il coraggio si raggiunge l'altra riva, il sogno di una nuova esistenza. Bono alterna tonalità graffianti ad altre in falsetto per gridare la voglia di proseguire, con o senza la sua amata/fede. "Non posso vivere con te o senza di te. Tu ti dai via ma io ti aspetto". Il senso delle parole del ritornello è abbastanza paradossale, nichilista e astratto, laddove il nostro ragazzo sa che deve continuare a vivere ma è ancora indeciso se farlo con o senza fede, o anche senza l'amore della sua vita, data l'ambiguità del doppio senso. "Le mie mani sono legate, il mio corpo ferito. Lei mi stringe, non posso vincere né perdere". Tutto è in balia del destino, si vive, si esiste, si muore. È la vita, ogni desiderio concesso non è per merito nostro, almeno non tutto, ma siamo solo granelli di sabbia trasportati dal vento. The Edge irrompe a metà brano, durante il secondo ritornello, Mullen comincia a pestare e la sezione ritmica esplode in un tripudio di dolore, sottolineato dai lamenti disperati urlati dal vocalist. L'atmosfera si quieta poco dopo, restano solo tastiere e batteria a cullarci in questo mare di dolore, The Edge riprende il giro iniziale e Clayton torna a far pulsare il suo basso, sfumando nel silenzio.
I Still Heaven't Found What I'm Looking For
Il rock di matrice country si trasforma in una semiballata gospel a tinte folk con I Still Heaven't Found What I'M Looking For (Non Ho Ancora Trovato Ciò Che Sto Cercando), secondo singolo di "The Joshua Tree". Qui è presente tutta la carica e l'energia tipica della musica black e del popolo afroamericano, non solo per quanto riguarda il sound, ma anche per quanto concerne il testo di ispirazione religiosa. L'idea nasce durante una festa, nel trambusto della serata, tra gente ubriaca che balla in pista e musica dance a cannone, Bono comincia a suonare la chitarra classica, praticamente inventando un giro perfetto. The Edge ha un'intuizione, grida subito il primo titolo che gli viene in mente e comincia a intonarlo a casaccio su quel giro. Attorno, almeno a detta dei due musicisti, la musica dance e le urla divertite dei presenti spariscono all'istante. Rimane il riff di chitarra e il ritornello, cantato come fosse un inno gospel, quasi a cappella. L'origine della canzone è quantomeno curiosa, e non è un caso se durante il tour i nostri la riadattano come canto gospel, assieme a un coro di voci nere, come del resto immortalato nel disco semi-live "Rattle And Hum". "Ho scalato le più alte montagne, ho corso per i campi solo per stare con te. Ho strisciato e scalato le mura di questa città, solo per stare con te". L'andamento è quasi gioioso, sicuramente sereno, il nostro protagonista sta rivelando la sua fede, dicendo di fuggire dalla città-prigione. Ancora una volta troviamo il tema della città-fortezza dalla quale fuggire. Il richiamo della civiltà primitiva, la vita selvaggia, la libertà dei paesaggi desertici americani sono espressione di fede e di speranza. "Lontano dagli uomini si ritorna ad essere uomo", poiché da soli non vi è corruzione. Chitarra e basso costruiscono una leggiadra cantilena, la batteria è delicata e mai invadente, la sacralità è tutta nella voce di Bono, questa volta accompagnato da cori (cantati da Eno, The Edge e Lanois) nell'intonazione del bel ritornello dal sapore gospel. La musica preme sull'acceleratore, gli strumenti si gonfiano nella seconda metà, Bono riprende a raccontare la sua più intima sensazione: "Ho baciato labbra di miele, ho sentito la guarigione sulle sue dita, lei bruciava come il fuoco, ardente di desiderio. Ho parlato la lingua degli angeli, ho stretto la mano al diavolo, lei era calda nella notte ed io freddo come pietra". Ci sono tutte le tematiche care al popolo nero: la fede in Dio, l'amore per una donna, il senso della vita e quello della morte, il richiamo al diavolo, il desiderio di libertà. Mullen colpisce i piatti con più grinta, poi arriva The Edge e intavola un grandissimo momento strumentale con la chitarra acustica, che riprende lo stesso giro di quella elettrica. Mentre i cori in sottofondo aumentano d'intensità, torna Bono a intonare l'ultima fase, quella più concitata. "Io credo che il regno verrà, tutti i colori saranno mescolati in uno solo. Intanto sto correndo, tu hai rotto ogni vincolo, hai sciolto le catene, hai portato la croce con i miei peccati sulle spalle". il riferimento biblico è esplicito, dunque la religione come canto di liberazione, come sfogo dalla vita terrena. Uscito nel maggio 1987, il secondo singolo della band scala le classifiche mondiali, posizionandosi direttamente al numero uno della Billboard; il videoclip, invece, viene girato per le strade Las Vegas, Nevada, uno degli Stati girati in lungo e in largo dagli U2 per catturarne le attitudini, le atmosfere desertiche e il caldo assoluto. La scelta di girare in bianco e nero non è casuale, in quanto la "filosofia del bianco-nero" è sempre stata considerata da Bono e compagni un vezzo intelligente, affascinante e prezioso, soprattutto se deve indicare malinconia, fierezza, poesia e protesta.
Sunday Bloody Sunday
Il 30 gennaio 1972, nella cittadina nordirlandese di Derry, l'esercito britannico spara su una folla radunata per una manifestazione pacifica contro il governo di Londra. Il risultato di tale scempio, passato alla storia col nome di "Bloody Sunday", è di quattordici civili uccisi e altri quattordici feriti. All'epoca, i componenti degli U2 hanno soltanto undici anni ma l'impatto mediatico e il trauma devono essere stati davvero forti per dei ragazzini irlandesi di periferia, tanto che dieci anni dopo Bono rievoca quella drammatica sensazione di disgusto attraverso il brano Sunday Bloody Sunday (Domenica Sanguinosa Domenica), estrapolato dall'album "War". Non si tratta di una canzone di ribellione, come specificato durante i live, piuttosto del resoconto incredulo da parte di un giovane, scandalizzato da cotanta violenza. Il rifiuto alla violenza è indirizzato non solo agli unionisti, cioè gli inglesi che hanno tentato di assoggettare l'Irlanda del Nord, ma anche verso gli stessi irlandesi, terroristi dell'IRA che in tanti anni hanno sparso sangue innocente. Presentata in anteprima proprio a Belfast, "Sunday Bloody Sunday" viene accolta con grida di giubilo e applausi scroscianti. Larry Mullen introduce la marcia, poi la chitarra di The Edge si stende in un canto malinconico che rievoca quella maledetta domenica. Adam Clayton interviene producendo strani effetti in sottofondo, come dei lamenti, dunque emerge la potente voce di Bono Vox: "Non riesco a credere alla notizia di oggi, non posso chiudere gli occhi e dimenticare. Per quanto tempo dobbiamo cantare questa canzone? Stanotte dobbiamo essere uniti", recita la prima incredibile strofa, dove la domanda "Per quanto tempo dobbiamo cantare questa canzone?" proviene direttamente dal salmo numero 40 della bibbia, e sarà ripresa anche nell'ultimo brano dell'album: "40", appunto. Mullen prende il sopravvento con una raffica di colpi, la chitarra elettrica svetta nell'aria accompagnando dei cori epici in lontananza, allora si attacca con la seconda strofa. "Bottiglie rotte sotto i miei piedi, corpi sparsi ai lati della strada, la lotta mi mette con le spalle al muro ma non darò ascolto a quel richiamo". È qui che emerge il senso di "resa", di negazione della violenza. Il non volere prendere parte alla guerra, alla battaglia scoppiata in strada, è significativo. Bono ci invita ad abbassare i pugni, a unirci in un canto di protesta, ma pacifico e consolatorio dopo tanto sangue versato. La chitarra si quieta, rimane il basso che gronda sangue e sudore come fosse vivo, The Edge accompagna in coro un Bono scatenato che intona il leggendario refrain. Interviene l'ospite in studio, Steve Wickham, col suo violino elettrico che aumenta il sentore epico attraverso delle "pizzicate" metalliche, rendendo il tutto più folkloristico. Procedendo con lo stesso passo, chitarra, basso e violino, ci conducono nel campo di battaglia: "La battaglia è iniziata, ci sono molte perdite, ma dimmi, chi ha vinto? Trincee scavate nei cuori, madri, figli, fratelli e sorelle separate dalla sanguinosa domenica", dove viene rievocato il dramma di quel giorno non troppo lontano. Famiglie separate, cuori spezzati, lacrime versate. Il basso di Clayton si prende la scena in una lunga parentesi strumentale, poi la batteria di Mullen ci porta al bridge: "Asciuga le lacrime dagli occhi", suggerisce Bono, ripetendo la frase molte volte. Chitarra e violino tornano alla ribalta per il gran finale, dove il vocalist canta di una società perduta, che ha confuso realtà e finzione, che ha affamato i propri cittadini, li ha costretti al pianto, e conclude dicendo che la battaglia vera è appena iniziata: quella per la pace.
Bad
Arriviamo al terzo singolo estratto di "The Unforgettable Fire", al capolavoro a nome Bad (Cattivo), altra perla che parla di droghe, nel cui testo emerge la consapevolezza del male procurato dalle sostanze stupefacenti, quasi un'accettazione del calvario umano come sacrificio biblico da affrontare per la redenzione. Il cattivo qui è l'eroina, veleno pericoloso in grado di distruggere corpo e mente. Le nostalgiche atmosfere degli U2 travolgono l'ascoltatore, la chitarra di The Edge è unica e riconoscibile in mezzo ad altre mille, segno di uno stile personale inimitabile. Bono intona la prima parte della canzone dalla struttura particolare, che prende slancio lentamente crescendo di intensità e ponendosi a metà tra una ballad e un'elegia rock. "Se potessi gettarti questa corda di salvataggio per afferrare il tuo cuore d'argilla. Ti vedo camminare nella notte, andare via, attraverso la pioggia, nella penombra e nella fiamma". Ancora un personaggio divorato dall'eroina, dal fisico massacrato, gli occhi spiritati, i muscoli deboli e il cervello in pappa, al quale il nostro uomo cerca di dare aiuto, anche se in maniera limitata. "Se potessi, attraverso me stesso, liberare il tuo spirito, guiderei il tuo cuore lontano. Ti vedrei lontano nel bagliore della luce". Mentre la base strumentale comincia a fare forza sul drumming di Mullen e sulle sferzate di chitarra elettrica, Bono gorgheggia quasi spensierato, sereno nonostante il tracollo dell'amico. Non è un canto di resa questo, ma la semplice accettazione dell'imprevedibilità della vita stessa. Il refrain è amarissimo, laddove il cantante urla: "Lascialo andare e dissolversi lontano", ammettendo che non c'è più speranza per il tossico divorato dalla droga, come se Bono lo stesse accompagnando al suo triste destino, vegliando sugli ultimi secondi di vita del morente. E poi, con rabbia incontrastata e voce potentissima, il vocalist grida al vento: "Sono sveglio, completamente sveglio. Non sto dormendo", a indicare che sta vegliando sull'amico agonizzante, ma anche che l'eroina è un incubo a occhi aperti. Si procede aumentando la marcia funebre, emerge il basso e la chitarra rinfresca il suo fraseggio, mantenendo un tempo costante tramite la guida di Mullen. "Se tu potessi chiedere qualcosa, ti direbbero ciò che avrei voluto dirti io. Colori accesi volano nel blue e nel nero, in un cielo di seta contornato da bandiere in fiamme. I colori diventano due occhi rosso sangue". La vita è una strada piena di colori, che vanno da quelli più accesi e quelli più sbiaditi. È come se la band stesse dipingendo un quadro, prendendo i colori dalla tavolozza, per dipingere un paesaggio astratto, dominato da diverse tonalità. La salute e la bellezza sono formate da colori vividi, solari, mentre la morte, la sofferenza e la distruzione del fisico sono indicati con colori cupi. In poche parole si sta raccontando la vita di un uomo divorato dall'eroina; non a caso, subito dopo il secondo ritornello, Bono declama a gran voce il drammatico finale. Mentre la sezione ritmica accelera nevroticamente, rievocando lo spettro della dipendenza, Bono rigetta parole a profusione: "Disperazione. Confusione. Separazione. Condanna. Rivelazione. Tentazione. Isolamento. Desolazione. Lascialo andare via", elencando tutte le emozioni provate dalla vittima. Emozioni oscure, piene di paure, desolanti, sinonimi di morte.
Where The Streets Have No Name
Durante un viaggio organizzato da Amnesty Internetional, Bono visita l'Etiopia insieme a sua moglie Allison. In questa povera terra non solo si rende conto dei gravi problemi del mondo, ma li vive lui stesso per parecchie settimane. È qui che una sera, pensando alla sua patria, l'Irlanda, pensa alle differenze sociali che si intuiscono guardando i vari quartieri delle città. In base a dove sia collocata l'abitazione, si possono intuire lavoro, appartenenza religiosa e stipendio di qualsiasi cittadino. Insomma, sono le strade a identificare l'individuo. Certamente si tratta di un fatto curioso, ma questa teoria non è poi così distante da qualsiasi altra città del mondo, basti guardare i quartieri ricchi e le periferie, e allora ecco l'idea di Where The Streets Have No Name (Dove Le Strade Non Hanno Nome), uno dei brani più famosi della storia, un inno all'uguaglianza razziale e civile che apre un disco epocale come "The Joshua Tree". Le leggiadre tastiere, suonate dal produttore Brian Eno, creano una delle intro più suggestive mai ascoltate, una introduzione studiata maniacalmente da tutta la band per intere settimane, al fine di renderla al meglio, proiettando l'ascoltatore nel cuore dell'America. La chitarra di The Edge interviene lentamente, facendo rivivere quei mistici paesaggi paludosi e aridi, il caldo soffocante e il sapore della terra. Adam Clyton e Larry Mullen seguono la chitarra e i sintetizzatori dando inizio a un pezzo rock, lontano dalla sperimentazione degli album precedenti e dotato di una struttura classica. Questo è rock puro e le parole di Bono sono intense e pregne di magia: "Voglio correre e nascondermi, voglio abbattere i muri che mi imprigionano, voglio toccare la fiamma. Voglio sentire la luce del sole sul mio viso, voglio veder scomparire le nubi di polvere e ripararmi dalla pioggia avvelenata". Due strofe quadrate ma altamente significative: la libertà, l'uscita dalla prigionia di una vita misera, la fuga da una guerra, sotto cieli tempestati da bombe e nubi tossiche. Arriva il leggendario ritornello, una vera delizia melodica, dove Bono grida al mondo che le strade non hanno nome. "Dove le strade non hanno nome, le stiamo costruendo. L'amore sta bruciando ed io devo andare lì, ci andrò con te. È tutto quello che posso fare". Una città immaginaria, dove non esistono differenze di razza o differenze sociali, dove tutti gli uomini saranno uguali e vivranno d'amore. Quel posto è la terra promessa della bibbia, ancora in evoluzione, ancora in costruzione, ma arriverà prima o poi. Questa è la promessa degli U2. La batteria di Mullen è marziale, il basso di Clayton svetta alto, ma è la mitica chitarra di The Edge a fare la parte del leone, inventando un giro di sei note tanto semplice quanto speciale, ricco di nostalgia e rimpianti. "La città è sotto al diluvio, il nostro amore diventa ruggine, siamo tutti sbattuti e sospinti dal vento come granelli di polvere. Ti mostrerò un luogo speciale sulla vallata deserta, dove le strade non hanno nome". Bono sottolinea la caducità della vita, ma anche la speranza in un futuro radioso. Su di una collina deserta, isolata dalla civiltà, nascerà una nuova era, dove gli uomini si ritroveranno e godranno di pace e armonia, senza leggi, senza mansioni, senza strade ad indicarne posizione civile. La canzone sfuma così come è iniziata, impuntandosi col quel magico giro di chitarra, lasciando un piacevole sapore sulla lingua, un tocco morbido e una grandissima poesia da raccontare. Il relativo videoclip girato a sorpresa sopra il tetto di un negozio di liquori a Los Angeles. Gli U2, così come fecero i Beatles tanti anni prima, improvvisano uno show davanti a una folla accalcata per le strade della città, bloccando e mandando nel panico il traffico. Deve intervenire la polizia a interrompere la performance, ristabilendo così, ma con molta difficoltà, l'ordine in quell'incrocio nevralgico. Una messa in scena perfetta, che dà, come se ce ne fosse bisogno, ulteriore visibilità alla band irlandese.
I Will Follow
Un riff si erige nella penombra, accompagnato dal magico e fiabesco rintocco di campanelli che ci conducono indietro negli anni per osservare un determinato momento. I Will Follow (Io Ti Seguirò) è un brano amarissimo e allo stesso tempo coraggioso, perché parla della morte di Iris, la tanto amata mamma di Bono, deceduta per cancro nel settembre 1974. Bono torna a quando aveva quattordici anni e riporta in vita il ricordo della madre, lo stesso ricordo che ispirerà tantissimi altri brani della band. Mullen ci dà dentro con mano pesante e poi Clayton giunge in aiuto col suo basso muscoloso per intavolare una cavalcata post-punk diventata un vero cavallo di battaglia. Le rasoiate di The Edge evocano quel tragico momento, il momento dell'addio di una donna al proprio figlio: "Guardo me stesso, un ragazzino cieco e bisognoso di aiuto. Provavo ad essere un uomo e tu mi tenevi la mano. Riflettevo e poi scoppiavo a piangere". Bono tiene per mano sua madre, prima di darle l'ultimo saluto, e scoppia in lacrime al pensiero di perderla. È ancora un bimbo e già sente di dover diventare un uomo. Il basso di Adam Clayton rifinisce le strofe seguendo la graffiante chitarra di The Edge, costruendo poi il leggendario ritornello, fatto di echi e di ripetizioni che incantano: "Se te ne vai, io ti seguirò", grida un Bono deluso e in preda al panico. E se il refrain ipnotizza grazie alla ripetizione della stessa frase e al rintocco dei campanelli, nel bridge seguente sono gli occhi di Iris a stregare per intensità e profondità, oltre i quali si intravedono le ombre della morte. Bono si getta dentro la proiezione di quegli occhi vitrei, sprofondando in essi, perdendosi nell'infinito. Dopo il funerale, il ragazzino è rimasto tutto il giorno affacciato alla finestra a guardare il cielo e i tetti delle case di una Dublino grigia e triste. Nel break restano soltanto il basso e i dolci rintocchi di campanelli a cullarci in questo amaro e struggente ricordo. "I Will Follow" è un pezzo energico e diretto, capace di infondere una carica emotiva degna di nota, nonostante un testo piuttosto aspro che potrebbe gettare nello sconforto. Quando si intona il ritornello, infatti, quello che viene evocato è l'abbandono alla resa, la sconfitta di fronte all'incedere della vita. La morte che divora tutto e tutti. Bono cerca in tutti i modi di spronare la mamma a resistere, ma nulla può contro il male che la divora, e così decide di arrendersi, di abbandonarsi anche lui all'oblio. Il quattordicenne attraversò un periodo buio, sprofondando in una profonda depressione che lo rese un ribelle irrequieto e senza regole, ma che riuscirà a superare soltanto con l'aiuto della musica. Secondo singolo dell'album, questo famosissimo brano è diventato sin da subito il simbolo stesso di un album storico come "Boy".
The Unforgettable Fire
Dal titolo di una mostra fotografica di Chicago riguardante la bomba atomica americana sganciata sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, The Unforgettable Fire (Il Fuoco Indimenticabile) è il pretesto, per Bono, per parlare di un amore stroncato. Il fuoco indimenticabile, in questo caso, non è quello della bomba ma è la passione ardente che brucia il cuore del giovane protagonista. Le liriche sono astratte come un quadro impressionista, un puzzle di immagini poetiche che ci cercano, si toccano, si sfiorano e si collegano tra loro concatenandosi in diverse sensazioni intime. Il delicato tocco di The Edge raggiunge qui il suo apice, la sua chitarra svetta nell'aria con morbidezza, il basso di Adam Clayton crea empatia con il pubblico, descrivendo questo tetro ma romantico paesaggio autunnale. Un attacco da capogiro, tra i sospiri del vocalist e le cupe atmosfere ritagliate da Brian Eno, dove Bono intona questa seducente semi-ballata: "Ghiaccio, i tuoi fiumi scorrono freddi, le luci della città brillano come argento e oro. Scavati nella notte, i tuoi occhi sono neri come il carbone", ecco il ritratto della donna amata, più che di natura umana si può parlare di immagine infernale, una belva femminea spietata dal cuore gelato e dagli occhi neri e profondi. Il pre-chorus è sublime, dalla melodia intensa che tocca l'anima: "Camminami di fianco, camminami vicino, cammina fino a correre. Non voltarti perché io sono qui". Bono si rivolge all'amata, le dice che si stanno allontanando perché hanno un passo diverso, ma non bisogna mai voltarsi, basta guardare dritto, avanti nel futuro e vivere la vita senza rimpianti. "Carnevale, le ruote girano in cielo colorate per via dell'alcool. Vino rosso che punge la pelle, faccia a faccia in un posto arido senz'acqua". L'allontanamento è spietato, disperato, l'uomo si getta tra le braccia dell'alcool per dimenticare, ha la mente così confusa e la gola così secca che, per le vie della città, gli sembra sia carnevale. È il momento del grandioso e memorabile ritornello, un capolavoro assoluto: "Resta questa volta, resta nella bugia, resisti. Te lo sto chiedendo ma penso tu lo sappia già. Vieni a prendermi e a portami via, portami a casa". L'uomo invoca l'aiuto della sua donna, la situazione si è fatta drammatica, dall'apparente calma iniziale tutto è precipitato ed ora il giovane sa che sta sprofondando. Cerca un appiglio, invoca la sua amata per fare ritorno a casa. Bono intona le ultime parole in falsetto, come a trasmettere sofferenza. Qui entra in scena il jazzista irlandese Noel Kelehan, alle prese con gli archi, che si diletta accompagnando The Edge in un intenso momento che dona poesia e drammaticità al pezzo. Un momento astratto, fenomenale, che anticipa lo struggente bridge: "Se la montagna dovesse crollare e sparire nel mare, non verserei una lacrima. Non io. Ma tu resta stanotte, riserba il tuo amore per sempre", Bono chiede perdono alla donna, la chiede di restare con lui, di non abbandonarlo tra le lacrime, poi gli strumenti si spengono lasciando il vuoto, lasciando la pacatezza intima di un uomo distrutto dal dolore.
The Sweetest Thing
Durante le faticose e lunghe sessioni dell'album "The Joshua Tree", registrate negli U.S.A., Bono, immerso nel lavoro, dimentica il compleanno di sua moglie Allison. La lontananza da casa, a Dublino, non facilita le cose e il rapporto tra la coppia ne risente. La delusione di Allison è grande, anche se cerca di non darlo a vedere, ma Bono la conosce bene e sa che deve porre rimedio alla disattenzione. Nasce The Sweetest Thing (La Cosa Più Dolce), scritta in pochi minuti in un ritaglio di tempo, e poi arrangiata dalla band in pochissime prove. D'altronde, dal piano strumentale, si tratta di una dolce e spensierata canzone pop, giostrata tutta su un gustoso giro di chitarra e sulle note gioiose delle tastiere, che rintoccano per tutta la durata del pezzo accompagnate dai cori dei musicisti. La versione originale, ciò quella inserita come B-side del signolo di "Where The Streets Have No Name" differisce da quella presenta in questa compilation, ri-arrangiata dieci anni dopo in occasione dell'uscita del Best Of, dove oltre alla chitarra di The Edge e alle tastiere, vengono aggiunti maggiori coretti, specie del refrain, e delle trombe nel finale. Per quanto riguarda la struttura, invece, la nuova versione è tale e quale a quella degli anni 80: semplicità assoluta, una buona ritmica e una melodia vincente, tanto che molti la definiscono "la perfetta canzone pop". Dato il piglio melodico che si appiccica sulla pelle al primo ascolto, "The Sweetest Thing" entra subito in classifica e ci resta per mesi, aiutata anche dal simpatico videoclip girato per le vie di Dublino dove gli U2 viaggiano su di un'auto scoperta e Bono stesso, dalle pose comiche, cerca di chiedere scusa a sua moglie, seduta proprio di fronte. "Un ragazzo dagli occhi azzurri incontra una ragazza dagli occhi castani. Puoi rammendare la faccenda ma si vede ancora lo strappo. Io sono una nuvola di pioggia e il nostro amore è una vera tempesta" ricorda il vocalist nella narrazione, declamando un amore irrequieto, scosso dalla delusione di lei e dalla ingenuità di lui. L'arrangiamento è scarno, molto semplice, come del resto la traccia, scelta come singolo per la raccolta. Il ritornello è breve ma intenso: "Ti sto perdendo, non è l'amore la cosa più dolce?" dice Bono mentre il ritmo rallenta sollevando tenerezza e comprensione. Il vocalist canta con morbidezza, arrivando persino a utilizzare il falsetto, il tutto per mettere in scena il suo amore lacerato, mentre i compagni lo assistono intonando con lui quelle dolci parole di scusa, cercando di aggraziarsi l'umore di Alli. L'auto gira per il quartiere della città, lentamente, e viene accompagnata da alcune comparsate, come quella della boyband Boyzone o dall'intervento di una vera band. Tutte le comparse accompagnano le parole di Bono, rafforzando il concetto del perdono. Un pezzo davvero scarno e composto senza grosse pretese, risulta comunque vincente, estremamente orecchiabile e di successo, e riporta gli U2 ai vertici delle classifiche, trascinando le vendite della compilation.
Desire
Desire (Desiderio) è il primo singolo di "Rattle And Hum" e rappresenta perfettamente il suono ricercato e adottato in tutto l'album del 1988: blues e rock 'n' roll vecchia scuola, suonati con classe e intelligenza. Pubblicato il 26 settembre 1988, il pezzo scala immediatamente le classifiche di mezzo mondo, in particolare entra subito al numero uno in Inghilterra, tanto da essere il primo singolo della band a raggiungere la vetta in terra anglosassone. La lezione del precedente "The Joshua Tree" è stata preziosa, tanto che gli U2 rilasciano i migliori pezzi blues proprio in "Rattle And Hum", come se fossero una vera rock band americana. Il desiderio è quello che brucia costantemente nel cuore di un artista, qui vero protagonista delle liriche, che si sacrifica in nome della propria arte, si prostituisce pur di parlare a milioni di persone. La band è scatenata, Bono impugna l'armonica a bocca come un vero bluesman e dà inizio alla danza: "Amante, sono sceso in strada, devo andare dove brillano le luci della città, con una chitarra rossa sul fuoco". L'amante è ovviamente l'arte stessa e il nostro musicista, chitarra in spalla, sta per esibirsi sul palco davanti alla sua gente. "Lei è la candela che brucia in camera mia, io sono come ago e cucchiaino, un fucile carico sul tavolo. Molto presto tutti saranno assaliti da una febbre quando io sarò con lei". Lei, l'indomita figura celeste non è altro che l'arte, la musica, mentre il musicista è l'ago e il cucchiaio, ossia incarnazione di eroina che, tramite siringa, si fonde con le arterie della creazione, suscitando febbre, emozioni profonde, nei confronti di tutti i fans in delirio. Larry Mullen si scatena dietro le pelli, sovrastando il grande ritmo blues creato da The Edge e da Clayton, dunque i ritmi si placano, entra in scena il tamburello e Bono grida un bridge da paura. "Lei è i dollari, lei è la mia protezione, lei è una promessa nell'anno delle elezioni. Non posso lasciarti andare, sono come un predicatore rubacuori, sono puro spettacolo, desideroso di soldi e di amore". In queste parole è perfettamente inquadrata la funzione dell'arte e la magia scaturita da una rockstar, associata a un predicatore rubacuori, che seduce i fedeli e plagia le menti. Ma la musica rappresenta, oltre alle grandi emozioni, alle passioni e all'amore, anche il desiderio di soldi, è quasi un programma politico atto a conquistare più fedeli possibile. Bono urla indemoniato e poi suona l'armonica, il ritmo scanzonato riprende e va a smorzarsi prima che l'orologio scocchi i tre minuti. Una traccia concentrata, diretta, festaiola. Un grandissimo singolo.
When Love Comes To Town
Il terzo singolo estratto di "Rattle And Hum" è il duetto blues When Love Comes To Town (Quando L'Amore Viene In Città), cantato e suonato insieme a una leggenda della musica: sua maestà B.B. King. In questo caso, l'animo blues è accompagnato dalla grinta rock, per un pezzo entrato in tutte le classifiche, popolarissimo e dal grande gusto classico. Bono e King si alternano nell'intonazione delle strofe, anche se poi il refrain è sempre intonato dal bluesman. L'incontro tra la band e la leggenda della chitarra avviene un anno prima, a Dublino. Gli U2 sono ospiti al concerto di King e riescono a conoscerlo subito dopo l'esibizione, nel suo camerino. Parlano a lungo e alla fine l'americano chiede a Bono di scrivergli un pezzo. Dopo meno di un anno Bono contatta il bluesman e lo convoca per registrare la canzone. Blues fino al midollo, il ragazzo irlandese ha imparato bene la lezione e B.B. King rimane pienamente soddisfatto. Le chitarre scoppiano in una tempesta di suoni, basso e batteria fanno altrettanto, trasudando rock ad ogni nota, il pezzo prende subito quota: "Ero un marinaio, perduto nel mare, ero sotto le onde prima che l'amore mi salvasse. Quando l'amore giunge in città io salto sul treno, afferro la fiamma, non farò più errori". L'amore è un'occasione da cogliere al volo, è come un treno o una fiammata che ci passa davanti agli occhi. Non bisogna perdere tempo, non bisogna fare errori. I due vocalist si alternano, il duetto procede che è una meraviglia: "Ero abituato a fare l'amore sotto a un tramonto rosso, facevo promesse che poi dimenticavo, lei era pallida come il pizzo di un abito nuziale, ma l'ho lasciata", ed ecco l'errore fatale, abbandonare l'amore, promesse mai mantenute, l'egoismo, ma adesso è giunto il momento di porre rimedio ai propri errori. "Sono corso in un angolo, quando ho sentito il grido di una chitarra, le note mi hanno trasportato in un sogno. Mentre la musica suonava ho visto la mia vita cambiare, poi è giunto l'amore". L'amore va a braccetto con la passione della musica, anzi, è proprio quest'ultima ad aprire gli occhi e a indicare la retta via. The Edge esegue un prezioso assolo, stridente e nostalgico, poi viene sostituito da quello prettamente blues di B.B. King, e allora è anche il suo momento per declamare l'ultima strofa: "Ero là quando crocifissero il Signore, tenevo il fodero quando il soldato estrasse la spada. Lanciai il dado quando trafissero il fianco, ma ho visto l'amore vincere su tutto". La fede si rispecchia nell'amore e il blues si trasforma in inno religioso. King prosegue il suo assolo, accompagnandoci all'epilogo.
ANgel Of Harlem
Angel Of Harlem (L'Angelo Di Harlem) è un sentito omaggio alla grande cantante jazz Billie Holiday, vittima di razzismo, dalla vita difficile, contornata da droghe, malattie e pregiudizi. È lei l'angelo di Harlem, dalla voce celestiale, la Holiday in realtà godeva di grande reputazione, anche se prima di esibirsi sul palco era costretta ad entrare dall'entrata secondaria, quella riservata ai neri. La depressione, l'abuso di droghe e la cirrosi la costrinsero, a un certo punto, al ricovero in una clinica, ma alla fine degli anni 50 morì per edema polmonare e insufficienza cardiaca. La leggenda della musica nera viene tributata anche nel bel videoclip, come al solito in bianco e nero, che gli U2 impacchettano per il lancio del secondo singolo di "Rattle And Hum", nel quale la cantante americana appare in alcuni frammenti. Il solito The Edge inventa un giro blues da brividi, alle sue spalle subentrano l'organo dell'ospite Joey Miskulin e i corni suonati dal coro di Memphis, riportandoci dritti negli anni 50, quando il jazz imperava negli U.S.A. e allora Bono prende parola, dipingendo immagini ricche di melodia e di passione. "Era un freddo e piovoso giorno di dicembre quando atterrammo al JFK, la neve si scioglieva a terra e alla radio ho sentito un angelo". Bono ricorda la prima volta che sentì una canzone di Billie Holiday, non appena atterrato all'aeroporto JFK di New York. "New York era addobbata come un albero di Natale, e pensai subito che questa città mi appartenesse". Siamo sotto Natale e Bono è elettrizzato dalla Grande Mela. Attacca il refrain, trascinante, delizioso, che non si dimentica: "Amore soul, questo amore non vuole lasciarmi andare, addio, angelo di Harlem". Il saluto è rivolto alla donna, la cui anima vaga ancora tra i vicoli della città. "Birdland è sulla cinquantatreesima, la strada suona come una sinfonia, John Coltrane, amore supremo, Miles Davis e poi c'è lei, l'angelo. Lady Day ha gli occhi come diamanti, lei vede la verità dietro le bugie". La strada di New York ricorda alla band la grandezza della musica e i giganti del jazz, come Coltrane, Davis e la Holiday, soprannominata sin dagli anni 40 Lady Day, mentre il Birdland era uno storico locale jazz, posto sulla cinquantatreesima strada e che ha lanciato numerosi musicisti neri, nel quale hanno suonato anche i nomi citati. "Amore Supremo" invece è il brano più famoso di Coltrane, un capolavoro jazz di natura spirituale. Bono afferma che la donna conosceva la verità, e la verità di cui si parla è quella del razzismo, con la quale la donna ha dovuto combattere per tutta la vita. La lunga coda finale, tra corni, riff di chitarra e colpi di tamburi è una vera goduria, Bono scalcia, sbraita, amoreggia col microfono, tra acuti e falsetti: "Bicchieri vuoti, luci blu nel viale, mi perdo tra i vicoli che ti hanno avuta, mi si gonfiano gli occhi, mi perdo per strada. Sei stata come una stella che è esplosa nella notte e che ha illuminato a giorno la città. Un angelo nei panni di diavolo, la salvezza del blues". Billie Holiday è stata tutto ciò: una vera leggenda e un simbolo della lotta al razzismo.
All I Want Is You
Il profondo rapporto d'amore di coppia viene analizzato perfettamente nella ballata conclusiva di "Rattle And Hum", a nome All I Want Is You (Tutto Ciò Che Voglio Sei Tu), un capolavoro di melodia e di emozione, considerata da Bono, e anche da molti fans, il brano gemello della grande "With Or Without You". Su una splendida e soffice linea di basso erge candida la voce di Bono: "Tu dici che vuoi diamanti su un anello d'oro. Dici che vuoi che la tua storia non venga raccontata", The Edge esegue timidi accordi con la sua chitarra acustica, per poi potenziarsi appena parte il clamoroso ritornello, dalla melodia irresistibile: "Tutte le promesse che abbiamo fatto, dalla culla alla fossa, quando tutto ciò che voglio sei tu". Parole profonde e dolcissime per esprimere un amore immenso, così come si evince dal bellissimo e poetico videoclip, girato ad Ostia in bianco e nero, che omaggia la poetica cinematografia del regista Fellini e cita apertamente il leggendario film di Tod Browning "Freaks" per via dei due protagonisti circensi. "Tu dici che mi darai un'autostrada, senza nessuno sopra. Un tesoro da ammirare con tutte le ricchezze della notte. Tu dici che mi darai gli occhi di una luna cieca, un fiume in tempo di siccità, un porto nella tempesta". Continuano le promesse dei due amanti, quando l'unica cosa che conta è l'amore, una vera promessa eterna. La band è scatenata, impossibile non provare emozioni al suono lugubre e malinconico della chitarra elettrica o al ritmo sornione dettato dal drumming di Larry Mullen. Da qui comincia la lunghissima coda, che poi è una delle migliori sezioni mai realizzate dagli U2, una lunga e drammatica coda strumentale, sintetizzata sulle grida struggenti del vocalist e sulle asce dei due axe-men. The Edge attacca con un profondo assolo che si prende più di un minuto, dunque gli strumenti si quietano, restano i tamburi ed entrano in scena le tastiere e gli archi dell'ospite Benmont Tench, che creano una dimensione ambient dal fascino magnetico e straniante che ci conduce per mano e con delicatezza alla conclusione di questo viaggio spirituale dove è sempre l'amore a trionfare. Una delle miglior ballate realizzate dal gruppo irlandese, una vera e propria magia sonora e sentimentale, utilizzata per chiudere tutti i concerti del periodo, come commiato poetico e solenne.
October
October (Ottobre) è l'intermezzo dell'omonimo album del 1981, di una sensibilità e di una poesia che mettono i brividi in corpo e che tratteggiano perfettamente le atmosfere contenute nella seconda opera degli U2. Due minuti per una ballata struggente, dove viene trasmessa tutta l'emozione dell'autunno. The Edge si siede al pianoforte e inizia a suonare una nenia drammatica e nostalgica che dipinge immagini forti. Secondo Bono Vox, la canzone rappresenterebbe un'epoca, gli anni 80, visti come decadenti, freddi e privi di contatti umani. La situazione in Irlanda del nord e la guerra fredda incidono profondamente sulla poesia del brano, che si avvale di due sole terzine per descrivere un mondo in conflitto, stanco e amareggiato. Le liriche sembrano richiamare la poesia "Soldati", di Giuseppe Ungaretti, poiché rappresentano un mese e una stagione altamente significativi: quando gli alberi si spogliano dei loro frutti e delle loro foglie, rivelandosi per quello che sono realmente. Si possono vedere le cose come sono: un mondo sempre in guerra, dove la tecnologia viene utilizzata per fare del male, per costruire bombe, per sottomettere popoli. Ottobre è una parola minacciosa, ricca si significato. Quasi una strumentale, dato che le note di piano si diffondono a lungo e la voce di Bono interviene solo per pochi istanti: "Ottobre e gli alberi sono spogliati della loro veste. Ottobre e i regni cadono, ma tu vai avanti", recita la poesia crepuscolare, intima e straziante. Tutto qui, due minuti incredibilmente affascinanti, sottovalutati dagli stessi U2, che avrebbero potuto sviluppare il brano in un minutaggio più consistente al posto di relegarlo a semplice intermezzo all'interno del disco o come atto conclusivo, sotto forma di ghost-track, di questa preziosa raccolta.
Conclusioni
Tra tanti capolavori immortali, il singolo di lancio che viene scelto per pubblicizzare questo "The Best Of 1980-1990" è un vecchio brano del 1987 uscito come B-side di "Where The Streets Have No Name": "Sweetest Thing", qui inserito in versione ri-arrangiata, reso un po' più pop e orecchiabile proprio per scalare le classifiche. Il pezzo è una dolce canzone d'amore composta da Bono verso sua moglie Allison per scusarsi di aver dimenticato il suo compleanno durante le faticose sessioni di "The Joshua Tree". Il singolo è vincente proprio per la sua semplicità di fondo e infatti resta in classifica per mesi, aiutato anche dal simpatico videoclip dove compare anche una popolare boyband irlandese dell'epoca, i Boyzone di Ronan Keating, che sale sull'auto nella quale i membri degli U2 girano per le vie di Dublino. Nonostante si tratti della "perfetta canzone pop", "Sweetest Thing" scompare a confronto con le perle inserite nella raccolta: "Pride", "Bad" e "The Unforgettable Fire", tratte appunto da "The Unforgettable Fire", capolavoro incredibile del 1984, "With Or Without You", "Where The Streets Have No Name", "I Still Heaven't Found What I'm Looking For", prese da "The Joshua Tree", il disco più venduto della band e tra i più venduti e osannati della storia, e poi "New Year's Day" e "Sunday Bloody Sunday", brani estrapolati dal possente "War", la leggendaria e struggente "I Will Follow", presa dal primo indimenticabile "Boy", "All I Want Is You", "Angel Of Harlem", "Desire", "When Love Comes To Town", tratte da "Ruttle And Hum", il lavoro che contiene più singoli di tutti, per finire con la traccia fantasma "October", prelevata dall'omonimo secondo album del 1981. Sebbene ci siano molti altri pezzi indimenticabili partoriti dagli U2 negli anni e sebbene vengano trascurati album fondamentali come "October" o "Boy", di cui troviamo soltanto un brano ciascuno, la track-list contiene tutti i singoli rilasciati dalla band negli anni 80, per una collezione di pezzi strepitosa, nella quale ogni singolo pezzo è famosissimo e ha contribuito a costruire la leggenda di questi quattro ragazzotti irlandesi. "The Best 1980-1990" è una delle compilation più vendute di sempre, forte di una serie di brani immortali che fanno parte di tutti noi e del nostro patrimonio artistico. Oltre alla musica, che tutti noi conosciamo, ritroviamo anche un'iconografia ben precisa, la stessa che ha contribuito a lanciare definitivamente gli U2 in tutto il mondo, così ritroviamo il piccolo Peter Rowan, il bambino dal viso delicato e gli occhi spauriti che campeggia sulle copertine dei primi lavori della band, gli album "Boy" e "War", il primo singolo in assoluto, del 1978, intitolato "U2-Three" e quelli di "I Will Follow", "Sunday Bloody Sunday, "New Year's Day", Two Hearts Beat As One", nonché nella raccolta del 2004 "Early Demos". La copertina di questo best of suggerisce quindi questo ritorno al passato, un passato mai dimenticato, così come la paura della guerra impressa negli occhi del bambino, che in questo caso indossa un elmetto militare, creando una specie di ponte concettuale con l'album "War" e, venti anni più tardi, con "Songs Of Experience", dove lo stesso elmetto compare sulla copertina del disco, indossato però dalla figlia di The Edge. Impossibile criticare una raccolta del genere, dal momento che troviamo un capolavoro dopo l'altro, il tutto concentrato in quindici canzoni splendide che vanno dal punk al rock più ruvido, dal country al soul, dal blues al pop, ripercorrendo una decade magica, per gli U2 e per tutti noi ascoltatori. Inoltre, se aggiungiamo anche il disco bonus dell'edizione limitata scoviamo altrettanti perle, tutte B-side dei rispettivi singoli, dall'incredibile qualità che testimonia la genialità degli U2 in quel periodo: "Spanish Eyes", "The Three Sunrise", "Silver And Gold", "Party Girl" e molte altre, tutte tracce che avrebbero meritato l'appartenenza ai vari album e che purtroppo restano confinate qui, a ricordarci l'infinita ispirazione della band in quei ruggenti anni, ormai così lontani da appartenere al mito. Gli anni 80 sono stati questo, gli U2 li hanno onorati al meglio, esibendosi in sei dischi che racchiudono un tesoro di inestimabile valore, per una manciata di inni che hanno cambiato il volto della musica e creato un colosso artistico mai tramontato. Più che una raccolta, "The Best 1980-1990" è uno scrigno contenente magia.
2) New Year's Day
3) With Or Without You
4) I Still Heaven't Found What I'm Looking For
5) Sunday Bloody Sunday
6) Bad
7) Where The Streets Have No Name
8) I Will Follow
9) The Unforgettable Fire
10) The Sweetest Thing
11) Desire
12) When Love Comes To Town
13) ANgel Of Harlem
14) All I Want Is You
15) October