U2
October
1981 - Island
ANDREA CERASI
25/01/2018
Introduzione Recensione
"Boy" rivela al mondo intero il talento di una giovane band proveniente dall'Irlanda; il relativo tour, concentrato in poco più di tre mesi, mostra quattro ragazzini scatenati sul palco e in piena sintonia col pubblico. Alla fine del 1980 una parte della storia della musica sembra già scritta: l'ascesa degli U2 è repentina, rocambolesca e sorprendente, ma avviene talmente in fretta che Bono, Larry, Adam e The Edge, poco più che ragazzini, non hanno il tempo di metabolizzare la loro fortuna, tantomeno sanno gestire il successo inaspettato, anche se tutti, compreso il manager Paul McGuinnes, poco più grande di loro, sono ben consapevoli delle proprie doti artistiche, doti che richiamano una sorta di magia e di magnetismo, elementi che sono prerogativa soltanto dei grandi. L'hanno di transizione è il 1981, quando la formazione irlandese torna in patria per concentrarsi sulla stesura del secondo album, ma il successo, esploso nel giro di pochissimi mesi, va a scontrarsi con un momento di forte crisi mistica e di problemi interni al gruppo, legati alla comunità proletaria dei quartieri poveri di una Dublino troppo piccola e troppo arretrata per i sogni selvaggi di una rock band giovane e irrequieta. I dubbi dovuti alla crescita e alla maturità improvvisa, già evidenziati nel disco di esordio, si vanno a concentrare in un breve ma intenso lasso di tempo, forse scaturiti da un avvenimento tanto banale quanto significativo: a Portland, durante una delle ultime date del tour, qualcuno entra nel camerino degli U2 e ruba la valigetta del vocalist contenente il taccuino con i testi elaborati per il nuovo album. Il gesto, apparentemente di poca rilevanza, getta nello sconforto Bono e compagni, costringendoli a ricominciare tutto daccapo. Ma la fatica accumulata nel massacrante tour e il desiderio di un lungo riposo incidono sulla psiche dei ragazzi. Una volta tornati a casa, a Dublino, emergono le prime insidie che minano il cammino della formazione: Bono, The Edge e Larry Mullen, che fanno parte del gruppo integralista cattolico Shalom, cominciano a prendere parte agli incontri organizzati dal gruppo religioso, durante i quali vengono analizzati e discussi i passi dei testi sacri. Ciò influenza profondamente i musicisti, ad esclusione di Adam Clyton, non credente, facendoli sprofondare in una fitta crisi spirituale. Il chitarrista The Edge è quello che ne risente maggiormente, e viene talmente colpito dai rimproveri degli adulti appartenenti alla setta che decide di abbandonare la band. Ormai il nome U2 comincia ad essere popolare e l'attitudine tipica di una rock band si scontra fortemente con la setta di Shalom, tant'è che in molti chiedono ai ragazzi di sciogliere il progetto, frantumando per sempre i loro sogni di gloria. Clayton, il più lucido e già abituatosi al successo, litiga furiosamente con i compagni cercando di farli ragionare e di riportarli alla realtà, la stessa che nelle ultime settimane è andata perduta. La salvezza arriva qualche tempo dopo, in estate, grazie allo Slane Castle Festival, dove gli U2 vengono invitati ad aprire per i Thin Lizzy; questa è l'occasione giusta per dimostrare fermezza e unione, oltre che per mettere in luce un amore incondizionato per la musica che si dimostra più forte delle regole e delle imposizioni religiose. Durante il concerto viene presentato un nuovo singolo "Fire", registrato alle Bahamas durante il tour di "Boy", un pezzo davvero infuocato. È da questo momento che gli U2 decidono di tornare più forti di prima e agguerriti come non mai, gettando anima e corpo per la creazione di nuovo materiale, lo stesso che prende forma nel giro di pochissime settimane. Bono, nel breve tempo che ha a disposizione, reinventa daccapo i testi che aveva perduto l'inverno precedente, facendo tesoro degli accadimenti avvenuti durante quei mesi, le crisi, i rimproveri, la rigida disciplina inflitta da Shalom, i litigi tra membri e, in più, un rinnovato vigore pronto ad esplodere. "October" esce nell'ottobre 1981, anticipato dai singoli "Fire" e "Gloria", il cui ritornello in latino viene composto dal vocalist riprendendo un salmo biblico. Il secondo album degli U2 dimostra una diversa maturità rispetto al debutto e un interesse per i testi sacri, ma anche per i vizi che corrodono l'animo umano. Gli istinti ribelli e le turbolente situazioni narrati in "Boy" sono qui sostituiti da momenti più riflessivi, da composizioni più intimiste e adulte che si sposano perfettamente con la stagione autunnale, dove le melodie sembrano distendersi sul panorama come fitta nebbia e le ritmiche rievocano sobborghi smorti e una malinconica poesia di fondo. Il post-punk si tinge di colori prettamente autunnali, legandosi ad attimi più cupi incentrati sulla morte e sulla guerra, oppure sulle preziose riflessioni mistiche che ritroveremo in forma ancora più marcata e lucida in album altamente spirituali quali "The Unforgettable Fire" e "The Joshua Tree".
Gloria
L'esperienza nel gruppo religioso di Shalom ispira Gloria (Gloria), una vera e propria lode al Signore che rispecchia il clima generale che sta attraversando la band. Il testo di Bono è una sorta di risposta alla crisi che ha colpito lui e i suoi compagni, ad eccezione Clayton, durante il 1981, crisi che ha rischiato seriamente di scindere gli U2. "Gloria" viene ispirata da questo delicato momento mistico, fitto di incertezze e di dubbi esistenziali, che attanaglia i giovani musicisti. Se il testo è un canto religioso pregno di energia salvifica e di invocazione al perdono, la sezione ritmica non può che essere altrettanto vigorosa, capace di accompagnare le immagini descritte dalla raffinata penna di Bono Vox. Le urla del vocalist e la chitarra di The Edge svettano in cielo ricalcando le forme di "I Will Follow", il possente pezzo che introduce "Boy", e subito la base ritmica esplode in un tripudio di punk rock spirituale. Mentre The Edge esegue un riffing pungente, come martello pneumatico il basso di Adam Clayton accompagna le liriche, scandite da un Bono scatenato che canta di vedersi diverso; il suo corpo sembra incompleto, gli arti amputati, la lingua tagliata per impedirgli di parlare. Il ragazzo è sconsolato e solo, limitato dagli eventi della vita, ma è in Dio che trova la forza di combattere, dunque lo invoca: "Gloria, mi affido a te. Signore, sciogli la mia lingua", declama il popolare ritornello, sospeso nel tempo, decorato dai rintocchi timidi di chitarra e dalle pulsazioni di basso. L'atmosfera è magica, suggestiva, ma il cambio di tempo è dietro l'angolo e si riprende a scalpitare condotti dalla batteria di Larry Mullen. Torna il riffing portante e allora veniamo proiettati in una stanza buia, dalle mura che non fanno filtrare alcuna luce e dove c'è una porta sbarrata per evitare che il recluso fugga. Grazie al potere divino, alla fede nel Signore, quella stessa porta viene scardinata e aperta, riuscendo a far entrare la luce celeste, aprendosi al mondo esterno, illuminando la realtà. "Se avessi da dire qualcosa, qualunque cosa, la direi solo a te", la lingua che prima era evirata, adesso è ricresciuta e si è sciolta grazie al potere della religione, grazie a una forza superiore che ci domina dall'alto. Il break centrale è suggestivo, The Edge esegue un solo significativo, talmente semplice quanto evocativo, dunque tocca a Clayton prendersi la scena, infinte Mullen che anticipa l'ultimo ritornello, ripetuto in coro come un canto da messa. Un ottimo brano che ci introduce nel mondo di "October", entrato per un breve periodo nelle classifiche di mezzo mondo, senza però raggiungere mai le vette più alte. Va detto che, grazie a questo pezzo e a un altro paio contenuti nell'album, gli U2 riescono a garantirsi se non l'appoggio totale, almeno la fiducia degli adepti di Shalom, coniugando musica rock e messaggio religioso.
I Fall Down
The Edge si sposta al pianoforte e introduce I Fall Down (Cado Giù), bellissimo brano che alterna parti acustiche ad altre elettriche e che racconta un fatto particolare: la fuga di una ragazza dalla setta di Shalom e dalla città di Dublino. Questa è una canzone che tratta del provare a combattere per realizzarsi, provare rischiando persino di fallire, candendo giù per poi rialzarsi. Un pezzo sulla forza di volontà, costruito sulla chitarra acustica e sulle note di piano di un The Edge ispirato. Il basso di Clayton è muscoloso e, assieme al pianoforte, crea un'atmosfera sognante, quasi di disillusione. A quanto pare si parla di una ragazza appartenente al gruppo religioso, Julie è il suo nome, la quale abbandona tutto, persino il suo fidanzato John, per cercare fortuna altrove. Bono declama le parole scritte e mano su una lettera inviata al fidanzato: "Ho scritto questa lettera, caro John, per avvertirti che sto cercando di realizzarmi", urla la ragazza, magari in preda alla disperazione. In prossimità del ritornello, Bono alza la voce e, dietro a lui, si impennano gli strumenti, la chitarra acustica viene sostituita da quella elettrica e Larry Mullen aumenta la raffica di colpi inferta alle pelli. Il ritmo è sincopato, poiché si smorza nuovamente, facendo emergere il basso e le note di pianoforte. Bono invoca l'amica Julie, le dice di svegliarsi, la invita a raccontare la sua storia, una storia di forza e di speranza. "Hai detto che avresti camminato nel sole, nel vento e nella pioggia, lontano da tutti, senza mai guardarti indietro, eppure stai cadendo giù". La vita è difficile, le crisi e le difficoltà dell'età adulta sono concentrate in poche righe, ma l'avventura di Julie non è poi tanto lontana da quella vissuta dai musicisti, costretti continuamente a confrontarsi con il mondo degli adulti, con la disfatta di sogni e di speranze, la disillusione e il dramma dell'essere maturi. La fase centrale vede ancora il pianoforte di The Edge che ci culla in questa dolce disfatta, accompagnato da un solo di chitarra e da alcune rullate prodotte da Mullen. Adesso Bono sposta l'attenzione su di sé, dicendo che lui è come la sua amica, sperduto e incapace di restare dritto in piedi, più ci prova e più cade giù, sconfitto: "Quando cadi tu cado anche io. Mi sto spezzando, frantumato al suolo". Julie incarna i sogni dei giovani, prigionieri di un mondo piccolo e crudele, di una realtà che rinnegano, gestita dagli adulti, limitata dalle regole; giovani che evadono, prima con la mente, poi con le gambe, uscendo da una città che non dà loro speranza. Il ritornello è cantato da un Bono dolorante, i coretti in sottofondo prodotti da The Edge assomigliano tanto a dei lamenti. La libertà è ciò che si desidera, questa è una battaglia contro il mondo, contro le regole imposte dalla società, contro il controllo di un gruppo religioso che pensa di gestire i giovani plagiando le loro menti, manovrandoli come burattini.
I Threw A Brick Through A Window
La rabbia, scaturita dal vuoto dell'animo e da un sentimento di smarrimento, è il motivo che genera la bella I Threw A Brick Through A Window (Tirai Un Sasso A Una Finestra), brano di protesta e di foga giovanile. Attraverso un testo che parla della difficile vita di periferia e di disagio interiore qui emerge l'anima punk della band irlandese. Mullen introduce una marcia solenne, poi viene raggiunto dalla chitarra elettrica e dalla voce adirata di Bono e subito prendono forma le strofe: "Stavo parlando a me stesso e me stesso parlava a me, ma non riuscivo a sentire alcuna parola". Emerge il tema del doppio, lo percepiamo chiaramente nel particolare ritornello, che più che un ritornello assomiglia a una seconda strofa perché privo di melodia o di ritmica rilevante: "Era mio fratello, gli dicevo che non esisteva altra via d'uscita da qui". Interessante notare il contro-coro sovrainciso sulla voce di Bono, come a testimoniare la presenza del doppio, del suo alter-ego. I riff dall'indole punk sono prodotti da un The Edge costantemente protagonista, ma che lascia spazio al compagno Clayton durante lo stranissimo refrain. Il senso dello smarrimento è sottolineato da un muro liquido attraverso il quale il protagonista viene inghiottito, dall'altra parte questi si ritrova in un'altra dimensione, in un mondo parallelo, dove può osservare il suo gemello. I riflessi del suo volto sono illuminati al vetro della finestra, così il giovane non sa più a quale dimensione appartiene, è smarrito, non sa più se tornare indietro oltre il muro o restare lì. Mullen dirige il break centrale con colpi pungenti che richiamano il miscuglio di pensieri che affollano la testa del ragazzo. Adam Clayton arriva a supporto creando un'atmosfera catartica, quasi soporifera, che mette in luce la sperimentazione sonora della band. Arriva il bridge, quasi sospirato, morbido, cantato da un Bono pacato: "Nessuno è più cieco di colui che non vuole vedere. Nessuno è più cieco di me". Questo straordinario momento sottolinea l'eterno smarrimento, la mente del giovane è annebbiata e gli impedisce di vedere il mondo per quello che è. Soltanto infrangendo il vetro della finestra con un sasso, l'alter-ego svanirà e il mondo esterno si paleserà ai suoi occhi. Ma egli è cieco, non vuole vedere, almeno per il momento. Una canzone particolare, condita da ottimi momenti sperimentali e da un ritornello sottile e cupo che aumenta il senso di smarrimento interiore. Tre blocchi che si succedono l'uno all'altro senza creare picchi emotivi, risultando senza continuità, rappresentando perfettamente il caos che regna nella testa del giovane, smarrito nella sua follia, nella sua claustrofobia.
Rejoice
L'attualità di una Dublino costantemente in conflitto, di una città dalle periferie degradate che vanno incontro a una sorta di riqualificazione, e il problema della gestione politica dei cittadini sono trattati nel testo di Rejoice (Gioisco), una delle migliori tracce dell'album. Dall'indole post-punk, "Rejoce" si avvale dell'ospite Vincent Kilduf che, affiancando Larry Mullen, suona il bodhran, un particolare tamburo della tradizione celtica che dona intensità e vivacità alla base strumentale. "Il palazzo sta crollando, una donna e il suo bambino vengono buttati fuori. Il tipo dice che cambierà il mondo". Il problema è piuttosto chiaro, Bono, in uno slancio adrenalinico, canta di come tutti i suoi concittadini debbano accontentarsi riponendo fiducia nelle parole del politicante di turno. Tanto è inutile protestare, nessuno può farci nulla, questa è la politica e questo è il piano sanatorio di una città decadente. Ma se tutto il mondo sta crollando, Bono appare ottimista e contento, anticipando di venti anni il testo di "Beautiful Day", una delle hit più famose degli U2, e canta la sua gioia nel conciso ma convincente ritornello "I Rejoice", e lo ripete a lungo per stamparlo bene a mente. "Stamattina sono caduto dal letto, sono troppo pigro per restare sdraiato. Cosa posso fare? Non posso cambiare il mondo ma posso cambiare il mondo dentro di me", nel caos emerge la personalità dell'ottimista, la sua incorreggibile voglia di vita che gli permette di affrontare le difficoltà. È come se Bono dicesse ai suoi concittadini di non arrendersi, di vivere sempre col sorriso, poiché i brutti momenti finiranno presto. Intanto, nel suo quartiere a nord di Dublino gli operai continuano a demolire le case e i palazzi per fare spazio a nuovi edifici, più lucenti e curati, più puliti e costosi. La foga della folla aggregata sulla strada in attesa della demolizione si rispecchia negli accordi di chitarra che assomigliano a grida isteriche e alle rullate dei due batteristi che sembrano intavolare una marcia terremotante, oppure una massa di gente urlante contro le autorità che permettono tutto ciò. Le rullate si scontrano con le asce di The Edge e di Clayton, mentre Bono gorgheggia quasi senza fiato, per poi prepararsi a intonare il rocambolesco refrain, conducendoci alle ultime battute.
Fire
Il primo singolo estratto si chiama Fire (Fuoco), concepito parecchi mesi prima dell'uscita ufficiale dell'album e presentato anche, in playback come andava di moda, alla popolare trasmissione Top Of The Pops. In questo pezzo emerge una certa foga sonora che rappresenta lo spirito ribelle dei quattro ragazzi, qui molto più vicini alla filosofia di "Boy" che a quella, più riflessiva, di "October". Dei cori emergono dal nulla e la chitarra si prende il posto che le spetta. Bono non eccede mai in potenza vocale, risultando piuttosto calmo, facendosi trasportare dalle corde di chitarra e da quelle di basso per intavolare un pezzo dalla struttura particolare che si snoda come una serpe. "Il sole sta bruciando, batte sulla mia schiena come fuoco. La luna è rosso sangue, si schianta su di me come fuoco". Sin dalle prime battute è chiara l'allegoria con l'animo umano che arde di passione e di amore nei confronti della vita. Si tratta di un fuoco interiore che non smette di bruciare anche quando il giorno e la notte si alternano. Tutto ciò viene ribadito nel bellissimo ritornello, dotato di una spiccata melodia agrodolce e sostenuto dai colpi di Mullen: "C'è un fuoco che dentro me che mi fa precipitare, c'è un fuoco che arde mentre urlo". La situazione dei giovani irlandesi è messa in evidenza in queste parole cantate dal vocalist, giovani scapestrati, selvaggi e desiderosi di eccessi, controllati a vista dagli adulti, soggiogati dalle regole imposte dalla società e costretti a limitarsi. Eppure, quello stesso fuoco che arde in loro sta per esplodere in milioni di scintille. Adesso è la volta delle stelle a scaldarsi e a piovere sulla testa del nostro protagonista. Bono intona la terza strofa, mentre The Edge si esprime in falsetto attraverso un inquietante coretto in sottofondo, per poi scatenarsi in un assolo che delinea un paesaggio autunnale, freddo, solitario e depressivo. Il basso di Clayton lo segue a ruota, la vena sperimentatrice della band è sempre presente, specie nella coda finale dove i nostri si divertono a inserire strani effetti sonori, come colpi di ferro e sfregolii di corde metalliche che producono una situazione straniante. Avendo raggiunto l'undicesimo posto nella classifica del Regno Unito, "Fire" può essere considerata la vera hit del disco, anche se suonata soltanto nei primi anni e poi abbandonata per sempre, sia dal vivo che in studio, visto che non fa parte di nessuna raccolta sfornata dagli U2 divenendo, oggi come oggi, una traccia conosciuta soltanto dai fan più incalliti.
Tomorrow
Il momento più profondo dell'album, l'acme musicale dell'ingegno della band e della penna di Bono Vox si raggiunge con Tomorrow (Domani), gioiello folk di grandissima intensità emotiva. Introdotto da cornamusa irlandesi, il brano racconta il giorno del funerale della madre del cantante, morta di cancro quando lui aveva solo quattordici anni. Torniamo indietro nel tempo, in una amara e uggiosa giornata primaverile, quando l'adolescente Paul, attende il carro funebre che deve prelevare il corpo della mamma Iris. Il ragazzo si chiude in camera e si affaccia alla finestra fissando quel cielo umido. "Non tornerai domani?" ripete Bono in un'atmosfera surreale e spezzata dal pianto del giovane, quando sotto casa si avvicina un'auto lunga e nera. Il basso di Adam Clayton rimbomba nella foschia, dipingendo i passi delle persone che si avvicinano in cortile per porgere l'estremo saluto alla donna. "Qualcuno sta bussando alla porta. Un'auto nera è parcheggiata di fronte, sulla strada. Sto uscendo, mamma, sto uscendo", ma Bono non ha alcuna voglia di uscire per recarsi al funerale, preferirebbe rintanarsi in casa a piangere a dirotto, lontano da occhi indiscreti. Forse è proprio lui a dare in escandescenza, sfogandosi in camera, strappando tende, poster, sbattendo porte, divorato dal dolore. "Chi sana le mie ferite? Chi guarisce le mie cicatrici? Riuscirò più a dormire?". Il ragazzo è in preda allo sconforto, sentimento che emerge lentamente sottolineato dalla chitarra di The Edge, fino a questo punto assente, che si fa largo tra il basso e le cornamuse, intonando con queste una danza celtica di grande pathos. La sezione ritmica è pronta ad esplodere: "Voglio che torni domani. Io credo in Dio e al suo amore" grida Bono in lacrime quando realizza che sua madre è andata per sempre, e allora affida il suo desiderio di rincontrarla al volere di Dio, al suo amore eterno, alla sua pace ultraterrena. È il canto di un uomo che non si rassegna alla perdita, un uomo straziato dal dispiacere. A questo punto tutta la sezione ritmica è in piena foga emotiva, The Edge lancia un assolo sovrastando tutti gli altri strumenti, le cornamuse si fanno più decise, e il brano va a sfumare nel nulla. Una traccia che si carica lentamente, secondo dopo secondo, che parte con un ritmo blando e che poi si potenzia lungo il cammino. Un vero capolavoro che gode di una seconda interpretazione, accreditata da alcuni, secondo i quali il testo parlerebbe dell'ansia di una madre nordirlandese preoccupata che il proprio figlio esca la sera, data la pericolosità degli attentati terroristici che tempestano l'Irlanda del periodo.
October
October (Ottobre) è l'intermezzo dell'album, di una sensibilità e di una poesia che mettono i brividi in corpo e che tratteggiano perfettamente le atmosfere dell'album. Due minuti per una ballata struggente, dove viene trasmessa tutta l'emozione dell'autunno. The Edge si siede al pianoforte e inizia a suonare una nenia drammatica e nostalgica che dipinge immagini forti. Secondo Bono Vox, la canzone rappresenterebbe un'epoca, gli anni 80, visti come decadenti, freddi e privi di contatti umani. La situazione in Irlanda del nord e la guerra fredda incidono profondamente sulla poesia del brano, che si avvale di due sole terzine per descrivere un mondo in conflitto, stanco e amareggiato. Le liriche sembrano richiamare la poesia "Soldati", di Giuseppe Ungaretti, poiché rappresentano un mese e una stagione altamente significativi: quando gli alberi si spogliano dei loro frutti e delle loro foglie, rivelandosi per quello che sono realmente. Si possono vedere le cose come sono: un mondo sempre in guerra, dove la tecnologia viene utilizzata per fare del male, per costruire bombe, per sottomettere popoli. Ottobre è una parola minacciosa, ricca si significato. Quasi una strumentale, dato che le note di piano si diffondono a lungo e la voce di Bono interviene solo per pochi istanti: "Ottobre e gli alberi sono spogliati della loro veste. Ottobre e i regni cadono, ma tu vai avanti", recita la poesia crepuscolare, intima e straziante. Tutto qui, due minuti incredibilmente affascinanti, sottovalutati dagli stessi U2, che avrebbero potuto sviluppare il brano in un minutaggio più consistente al posto di relegarlo a semplice intermezzo, lo stesso che troveremo come traccia-fantasma nel best of 80-90.
With A Shout (Jerusalem)
Il tema della crocifissione di Cristo è trattato nella lettera a cuore aperto chiamata With A Shout - Jerusalem (Con Un Grido - Gerusalemme), che recupera il vigore stemperato nei due pezzi precedenti. Larry Mullen è il protagonista assoluto, capace di creare una specie di processione che riporta indietro nel tempo, mentre il buon The Edge si diverte a infliggere amari fraseggi come fossero frustate sulla schiena. Le strofe sono divise in due blocchi, il primo più veloce e poggiato sulla chitarra elettrica, e il secondo, rallentato, poggiato sull'ottima prestazione di Clayton. "Dove stiamo andando? Andiamo verso la collina dove il sangue viene versato". La collina è ovviamente il Golgotha, la collina dove venne crocifisso Gesù Cristo. Il sottile refrain giunge prontamente, Bono grida "Jerusalem", con tono di resa. La foga si smorza improvvisa e resta il prezioso giro di basso a cullare l'ascoltatore, dunque Bono torna al microfono per intonare la seconda parte del ritornello "Grida, grida forte, grida fuori", ricordandoci le sofferenze sopportate dal Signore, sacrificatosi per la nostra salvezza. Mullen e The Edge riprendono a pestare e si attacca con la seconda parte del brano. "Voglio andare ai piedi del monte Sion, su quella collina dove il sangue è stato versato e dove siamo stati inondati di amore". Il monte Sion è dove nacque la città di Gerusalemme, un monte sacro ai popoli di quelle terre. Il ritmo viene nuovamente spezzato ed ecco che arrivano ai timpani le trombe dei Some Kind Of Wonderful, band soul di Dublino ospite d'eccezione. Le trombe flirtano col basso di Adam e con la batteria di Larry generando un bel momento magico. The Edge esegue un breve assolo, ma è il basso a dominare su tutto, ponendosi come cuore di Cristo, un cuore in fibrillazione per il dolore inflittogli, un cuore che gronda sangue, tradito dagli stessi uomini che ha tentato di aiutare. Il ritmo rallenta piano piano fino ad annullarsi, come se quegli stessi battiti stessero per interrompersi definitivamente per porre fine alla vita. L'atto della crocifissione è compiuto, le trombe della band soul potrebbero rappresentare i colpi inferti dai soldati romani al corpo del nostro Signore. La morte è finalmente giunta.
Stranger In A Strange Land
Altro tema d'attualità è ben presente in Stranger In A Strange Land (Straniero In Terra Straniera), che narra dell'incontro della band con dei soldati di turno a Berlino est. Va ricordato che all'epoca la città di Berlino era ancora divisa in due dal muro e ciò che oggi potrebbe risultare banale, nel 1981 non lo era affatto. Mentre è in tour, Bono ha un incontro fugace con un soldato di guardia, i due si sorridono, ma al militare non è permesso parlare con nessuno, e allora il vocalist utilizza questo testo per riflettere sul significato di rapporto umano. "Ero uno straniero in terra straniera, lui mi guardava come se volessi scappare. Gli chiesi se poteva posare per una foto. Cercai di farlo ridere". La sezione ritmica è potente e veloce, anche se a tratti si stempera dando modo al basso di Adam di ipnotizzare l'ascoltatore. L'effetto creato dal basso è straniante, dunque Bono canta su strofe piuttosto quiete, ma pronte ad esplodere nel break. "Il soldato chiese una sigaretta, non riesco a dimenticare il suo sorriso che mi fissava dall'altra parte della strada. Vorrei che fossi qui". Il tema del confronto, dei rapporti umani è potente e induce a riflettere sul futuro. Bono vorrebbe stringere la mano al soldato, vorrebbe abbracciarlo, ma sa che il comportamento sarebbe contro le regole. Basterebbe poco, eppure è vietato. Sono le barriere create dagli stessi uomini a rendere tutto così complicato. Il basso di Clayton ritorna con prepotenza, denso come quel muro abbattuto nel 1989, poi The Edge si sposta alle tastiere e ci accompagna alla seconda fase, saltando direttamente il ritornello, in questa canzone inesistente. "Ci siamo guardati, io stavo salendo sul bus, avrei potuto dormire anche lì, per terra, per dirti come mi sentivo". Bono, mentre risale sul bus che avrebbe portato lui e la band al locale dove avrebbero suonato, indirizza ancora una volta lo sguardo verso il soldato dall'altro lato della strada. Vorrebbe parlare all'uomo, dirgli che siamo tutti uguali, che non c'è bisogno di fare la guardia a un dannato muro, nessuno dovrebbe scappare dalla propria città. Il cantante dice che vuole aspettare la fine del turno per poter parlare col militare, per aprirsi, per avere un confronto pacifico. Ma non può e allora sale sul mezzo e va via. Un brano che è piuttosto un messaggio di fratellanza, di unione, di interazione tra persone.
Scarlet
Scarlet (Scarlatto) è una breve strumentale, sorretta dai tamburi di Larry Mullen e dalle incursioni della chitarra di The Edge, il quale, in questa occasione, suona anche il pianoforte. Una marcia drammatica che aleggia nell'aria, carica di poesia, autunnale come l'album che rappresenta, e non è un caso se, inizialmente, era stata scelta come title-track, salvo poi essere sostituita dall'altra perla melodica e semi-strumentale a nome "October". Mentre gli strumenti si cullano placidi generando immagini autunnali potenti, Bono non fa altro che ripetere, quasi fosse un fantasma intrappolato in un'altra dimensione, la stessa parola: "Rejoice", che poi è anche il titolo di un brano presente in scaletta. Data le parola pronunciata numerosissime volte, la canzone, nonostante il velo di malinconia e drammaticità sul quale si poggia, manda comunque un messaggio positivo: "Gioite" urla Bono al suo pubblico. Una strumentale delicata, morbida come neve, che avrebbe dovuto chiudere il lavoro sfumando nel misticismo e accompagnandoci al silenzio.
Is That All?
Invece tocca a Is That All? (È Tutto Qui?) chiudere un album ottimo e fin troppo maturo per dei musicisti ventenni. I dubbi legati all'attività di rock band, in forte contrasto con la propria fede e i limiti che questa impone, sono elencati in queste brevissime liriche, aggiunte a fine sessione, poco prima di lanciare l'album. Sezione ritmica in palla e urla deliranti di Bono per un pezzo discreto costruito sulla stessa base di "Cry", inedito degli U2 concepito diverso tempo prima e mai divulgato, qui arricchito da un testo modificato per l'occasione. "Cantare questa canzone mi rende adirato. Non arrabbiato con te. È tutto qui?" si canta a squarciagola suggerendo ai famigliari e agli amici religiosi di andare oltre il primo impatto suscitato dalla musica rock prodotta dalla band. "Cantare questa canzone mi rende felice. Non felice con te, ma è ciò che sento". Le emozioni provate non hanno nulla a che fare con la fede, ma sono strettamente legate al potere salvifico della musica stessa. "È tutto qui?" si domanda Bono, quasi sconcertato dalla semplicità di quelle parole, illuminando una canzone dal testo scarno e ripetitivo come la parte strumentale, che si avvale della prestigiosa chitarra di The Edge per originare delle onde sonore che scatenano un bel effetto, accavallandosi tra loro come fossero le onde del mare o il soffio del vento. Una chiusura non proprio memorabile, forse fin troppo repentina e sconclusionata; le linee melodiche non brillano e nemmeno la sezione strumentale colpisce particolarmente. Originariamente, "October" avrebbe dovuto chiudersi con "Scarlet", e invece gli U2 hanno pensato bene di allungare il minutaggio inserendo il brano "Cry" e cambiandogli nome per rispondere a tutti i famigliari e conoscenti, in particolare a quelli appartenenti al gruppo religioso Shalom, di aprire bene le orecchie e di ascoltare attentamente la loro musica, cercando di comprendere i testi, profondi e pensati per scuotere le menti. Insomma, intento riuscito, visto che dopo l'uscita dell'album molti dei conoscenti della band cambiarono opinione riguardo ai contenuti espressi dalla musica rock.
Conclusioni
I toni grigi e scuri appartenuti a un album come "Boy" vengono alimentati con altre tonalità, sempre e comunque sbiadite, richiamanti la stagione più malinconica e riflessiva dell'anno: l'autunno. Originariamente pensato col titolo di "Scarlet" e composto da testi diversi, a seguito dello smarrimento del taccuino con le liriche e dell'avvicinamento al gruppo Shalom, trasformato in "October", l'album si avvale di un titolo semplicissimo e altamente poetico, scelto per rispecchiare una stagione, metafora di decennio, fredda e solitaria, dai pensieri vaganti come foglie al vento e dagli alberi nudi, deperiti e smorti. Gli anni 80 rappresentano per gli U2 la stagione che segue le colorate e spensierate primavere ed estati, allegoria di istinti infantili e di passioni giovanili. L'autunno è il periodo della maturità, che in questo caso combacia con la crescita di quattro ragazzi irlandesi che fanno i conti, per la prima volta, con il mondo reale, uscendo dai confini di una Dublino piccola e protettiva, seppur tradizionalista e limitativa. I filtri attraverso i quali la band osserva il mondo esterno vengono tolti per sempre, superando persino la crisi mistica che li attanaglia per parecchi mesi e che li influenzerà, molto probabilmente, per tutto il resto della vita. Almeno tre componenti su quattro. "October" è un disco intimo, costruito su testi profondissimi legati al tema della religione, a quello del rapporto umano e al tema della morte, ma contornato da una grinta ancora lontana dall'esaurirsi, come testimoniano le canzoni "Fire", "Rejoice" o "I Fall Down". In questo secondo lavoro ritroviamo gli U2 audaci e dall'istinto punk, ma anche gli U2 carichi di energia rock 'n' roll, e ancora gli U2 adulti e contaminati dal folk. Giovani, irruenti e adirati col mondo, accesi dalla fiamma della passione e della ribellione, quella fiamma ardente capace di parlare a milioni di persone e di scaldarle con parole confidenziali, per poi spronarli a riflettere e, perché no, ad agire grazie a testi estremamente sintetici e diretti, frutto del poco tempo a disposizione tra l'inizio delle registrazioni e l'uscita del disco. Testi che magari, se il taccuino non fosse stato sottratto impropriamente all'autore, avrebbero contenuto diverse immagini e delineato diversi significati. Invece la storia ha detto altro: i colori che emergono tra le note di questo lavoro sono riconducibili al nero, al rosso, al verde e al marrone, ma anche al blu delle acque del mare d'Irlanda, ricordando la foto in copertina, dove il gruppo posa su un molo di Dublino, in una nebbiosa mattinata. "October" è un album maturo, e rivela una band che per la prima volta esprime le sue idee politiche e schiera la sua fede per combattere le insidie della quotidianità, ma anche per superare traumi e dolori che hanno caratterizzato l'infanzia e l'adolescenza dei singoli musicisti. Un grande e dimenticato lavoro, purtroppo poco considerato dalla critica e persino dagli autori stessi, che non gli hanno mai dato grande importanza. Se proprio vogliamo, il difetto principale di "October" non è quello di essere un disco minore, anche perché la qualità è altissima, fresca e originale (basti pensare al gioiello folk "Tomorrow", uno dei migliori pezzi in carriera), ma è quello di non avere canzoni entrate in classifica e cantate da mezzo mondo, salvo qualche timida incursione da parte dei due splendidi singoli "Fire" e "Gloria", a dire la verità mai troppo spinti dalla band e quasi mai suonati dal vivo. Se "October" vende discretamente ma decisamente meno rispetto al debutto, non riuscendo a lanciare una vera hit memorabile, il relativo tour conquista numerosi nuovi fans. La band dal vivo è una potenza. Ed è proprio durante il tour americano che gli irlandesi fanno un incontro fondamentale per la loro carriera: in questa occasione hanno modo di conoscere Anton Corbijn, fotografo e regista olandese che, da questo momento in poi, diventa il loro curatore d'immagine, dirigendo i loro videoclip, raccogliendo in libri le loro foto e impostando le copertine dei loro album, gonfiando il nome U2, unendo musica e immagine attraverso un matrimonio artistico felice e perfettamente riuscito. Nel 1981 la storia della band sta prendendo origine velocemente, subendo, come dopo un terremoto, le prime scosse di assestamento, e se "Boy" ha aperto la voragine, trascinando con sé paesi interi e inghiottendo tra le sue fauci ogni cosa, "October" è l'opera di transizione in cerca di stabilità, ma proprio per via di una natura traballante e imprevedibile, priva di certezze e logorata dai dubbi, è anche un'opera altamente affascinante, che si palesa ai nostri occhi come un bellissimo ritratto autunnale, fresco e umido.
2) I Fall Down
3) I Threw A Brick Through A Window
4) Rejoice
5) Fire
6) Tomorrow
7) October
8) With A Shout (Jerusalem)
9) Stranger In A Strange Land
10) Scarlet
11) Is That All?