U2

No Line On The Horizon

2009 - Island

A CURA DI
ANDREA CERASI
06/06/2018
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione Recensione

Una cosa è certa: quando gli U2 sperimentano, offrono grande musica. Il fuoco indimenticabile ora viene ammirato nella meravigliosa foto dell'artista giapponese Hiroshi Sugimoto, scattata nel 1993 presso il Boden Sea, ossia il lago Bodanico di Costanza, sul fiume Reno. Un'immagine che evoca solitudine, ricca di sfumature che vanno da bianco al grigio. Tutto ciò che resta del paesaggio viene ridotto a una sottile linea sfuocata che taglia a metà cielo e acqua. Gli U2, molto probabilmente, hanno scelto questa fotografia per esprimere una natura potente che, nel primo decennio del millennio, non è andata esaurita, sottolineando un fuoco che ancora non si è spento, una creazione ancora passionale e viva. Per tracciare questo ipotetico ponte tra "The Unforgettable Fire", che appunto omaggiava il sacro fuoco della passione, e il nuovo lavoro, gli U2 richiamano in famiglia i seguaci Brian Eno e Daniel Lanois, oltre a Steve Lillywhite, rifiutando i servigi di Rick Rubin che, tra il 2006 e il 2007, appaiono inconcludenti. La band irlandese ha bisogno di muoversi, di cambiare pelle, di rinnovarsi, soprattutto alla luce di due album piuttosto semplici nell'approccio e fortemente criticati dal pubblico, e allora non accetta di restare paralizzata sulle stesse idee, come suggerito da Rubin, a dire il vero non proprio memorabili, decidendo per una virata stilistica. Il ritorno a casa dei due storici produttori porta una boccata di ossigeno ai Windmill Studios di Dublino, e finalmente i musicisti capiscono che l'arte è una creatura da domare, in costante evoluzione, una metamorfosi continua che va sostenuta e plasmata. "Sono finiti i tempi della semplicità, i ragazzi adesso hanno capito che una grandiosità romantica e fuori dalle righe è lo stile che più si addice alla loro musica", scrive un giornalista, ascoltando in anteprima il dodicesimo album della formazione irlandese, e ciò non è affatto sbagliato, come se Bono e company siano riusciti a trovare, dimenticata chissà dove, magari sul fondo di qualche cassetto, quella polverina magica cercata a lungo negli ultimi dieci anni. Quella polvere di stelle trasformata nel sacro fuoco indimenticabile capace di richiamare a sé l'antica spiritualità, la gelida sperimentazione di natura ambient, i sofisticati passaggi invernali offerti dall'elettronica e un'ispirazione lirica, ricca di simboli, totalmente rigenerata. Le fiamme divampano ed esplodono come una bomba atomica, la stessa che la band ha cercato di disinnescare nel disco precedente, e tracciano un solco profondissimo, ricco di immagini e di tematiche, così come di suoni e di strumenti. "No Line On The Horizon" è un album difficile, nel quale rock, pop, elettronica e musica etnica si amalgamano, plasmandosi in un lavoro intelligente, intriso di varie influenze che si abbracciano su uno strato desolante e malinconico che richiama le placide acque della bella copertina. I produttori fanno trasferire gli U2 a Fez, in Marocco, poi agli Olympic Studios di Londra, dunque ai Platinum Sound di New York e infine Dublino, per il missaggio finale. Tante tappe, immortalate tra l'altro dalla macchina fotografica del sempre presente Anton Corbijn, e tante destinazioni, evidenziate all'interno del booklet, che richiamano una forte sensazione spirituale nella quale i quattro musicisti sono raffigurati come veri e propri pellegrini, smarriti nelle lande deserte. Un viaggio intimo dettato dalla fede, dalla passione per la musica e dalla ricerca di se stessi, affrontato in modo tale da osservare il mondo con occhi diversi e per raccontare ciò che succede. Bono cambia il suo stile di scrittura, focalizzandosi su temi più generici, non parlando più in prima persona ma in terza, utilizzando diversi personaggi, cambiando di continuo l'io narrante, The Edge sperimenta come non faceva dai tempi di "Pop", Brian Eno diventa membro effettivo e contribuisce non solo con le tastiere ma soprattutto con la sua filosofia, donando all'album una dimensione maggiormente psichica, proprio come era stato per il grande "The Unforgettable Fire", venticinque anni prima. Anticipato dal singolo rock n' roll "Get On Your Boots", ottimo per la sezione ritmica, dinamica e pressante, ma orrendo dal punto di vista melodico e piatto nel refrain, "No Line On The Horizon" non si presenta benissimo agli occhi e ai timpani del pubblico, salvo poi riprendersi col secondo singolo, "Magnificent", davvero magnificente, che riesce a far percepire le dinamiche dell'album, le atmosfere evocate e le tematiche affrontate. Indubbiamente un lavoro che spiazza, che ci riconsegna gli U2 coraggiosi di un tempo, quelli sperimentali e spirituali di una volta, ma contemporaneamente, li allontana dal gradimento delle nuove generazioni, che magari li conoscono solo per i dischi più immediati e commerciali dei primi anni 2000. Un'arma a doppio taglio che ha il pregio di riconsegnarci una formazione che ha ancora molto da dire.

No Line On The Horizon

Incedere da parata militare, batteria in trionfo e atmosfera goliardica: No Line On The Horizon (Nessuna Linea All'Orizzonte) è una scarica di rock elettronico che si innalza come un'onda anomala, come se il lago raffigurato in copertina prendesse vita all'improvviso e si scatenasse sulla terraferma. Registrata a Fez, in Marocco, Bono scrisse la canzone per Nelson Mandela, per poi darle un'identità più generica e surreale, addirittura un senso più oscuro e pessimista. La chitarra di The Edge si impenna in una lunga distorsione, le tastiere di Eno aprono a scenari sperimentali, Bono interviene squarciando la marea sonora intonando una strofa sognante e nebbiosa. "Conosco una ragazza che come il mare, la guardo che cambia ogni giorno, si trasforma. Un giorno è calma, l'altro è agitata". Davanti ai nostri occhi si palesa l'immagine di un mare infinito, dominato da questa sirena, dea delle acque, placida ma anche irascibile, dall'umore imprevedibile che cambia repentinamente. L'orizzonte scompare oltre la linea dell'acqua, nascondendosi tra le onde, la chitarra elettrica si alterna alle dolci note di tastiere, cullandoci in una nenia morbida e sofisticata. Il basso pulsa come se replicasse il rumore del mare che si infrange a riva, il refrain è cupo: "No, nessuna linea all'orizzonte", recita come una veglia funebre. "Conosco una ragazza con un buco nel cuore, lei diceva che l'infinito è un gran posto da dove cominciare. Lei diceva che il tempo è irrilevante, poi poggiava la lingua al mio orecchio". Spazio e tempo si dissolvono, così recita la divina sirena marina, dal cuore gelido, trafitto e mai rigenerato, all'orecchio del nostro viandante. Le sue parole hanno il sapore di una nefasta profezia, vanno di pari passo alla gelida sperimentazione della band, sorretta dagli strani effetti elettronici impartiti da Brian Eno. Il bridge è fulmineo e straziante, dove il basso di Clayton si sposa con un pesante riff di The Edge creando un'onda magnetica impressionante che si acuisce su una linea melodia splendida: "Le canzoni nella tua testa ora sono nella mia mente, tu mi metti in pausa, sto provando a riavvolgere e riprendere". Il canto della sirena è ipnotico e pericoloso, rimbomba nella mente del navigatore e lo attrae inesorabile. Questi, sperduto e spaventato, si avvicina alla creatura marina cercando di cantare insieme a lei, cerca di ricordare la melodia ascoltata in lontananza. I toni si smorzano, restano basso e tastiere a distendersi su questo mare calmo, Bono sussurra le ultime battute: "Ogni notte ho lo stesso sogno, tramo complotti e progetto piani. Sono un vigile nel traffico, le sirene attorno piangono, ma sono io che voglio andarmene". Le onde del mare sono come i sogni che fluttuano in cielo, durante la notte, e in questa notte il nostro protagonista è come sospeso nel tempo, cullato dal canto della sirena. L'uomo si sente come un vigile al centro di un incrocio, dove le auto sono i pensieri che si accavallano tra di loro, si scontrano, si mettono in fila senza logica, intanto le sirene continuano a pronunciare il suo nome, ad attirarlo, piangono e pregano per plagiarlo, ma lui vuole solo andarsene, scappare oltre quell'orizzonte invisibile. Un pezzo senza speranza, disperato, tetro e davvero affascinante.

Magnificent

La chitarra incalza con un riff tenebroso, Mullen la segue battendo colpi quadrati, le tastiere tornano vincenti emettendo rintocchi come gocce d'acqua. L'introduzione crea la giusta atmosfera astratta, destinata, dopo qualche secondo, a trasformarsi in un mid-tempo celestiale. Magnificent (Magnificente) si sarebbe dovuta intitolare "French Disco", basandosi principalmente su ritmiche elettroniche e dance, ma dopo qualche prova la band ha optato per un maggiore impatto rock, bilanciando le due anime. Il tocco di The Edge è sempre presente, sia nelle distorsioni che nei fraseggi puliti, l'energia viene contaminata dalla nostalgia, e di seguito l'atteggiamento di Bono è a metà tra rock selvaggio e veterano sapiente. "Sono per stare con te, nello spazio e nel tempo. Solo per infrangere rime, questa stupidità può lasciar un cuore coperto di lividi". La linea melodia è incredibile, pronta a caricarsi per giungere a un ritornello semplicemente monumentale. Ancora una volta troviamo delle liriche astratte, che parlano di un amore che va oltre i confini del tempo e dello spazio, che si dilata e si infrange sulla bocca dei due amanti. "Solo l'amore può lasciare un segno così. Solo l'amore può curare la cicatrice", grida Bono riportandoci ai tempi di "Pride", quando inneggiava all'amore puro e incontaminato che resta immortale. "Sono nato per cantare per te, non ho avuto scelta tranne quella di sollevarti e cantare qualsiasi canzone volevi che cantassi. Ti ho donato la mia voce, dal grembo il mio primo pianto è stato un rumore gioioso". L'amore va cantato, lodato come una cosa sacra, Bono è nato per cantare il suo sentimento, sin da quando era nel grembo materno. Le sue parole sono piene di amore e di gioia, un vero inno al rapporto di coppia, alla vita e all'arte. Bono ha immaginato di trovarsi nella New York degli anni 50, di affacciarsi alla finestra di un appartamento e di guardare tutto dall'alto, come fosse il creatore della città, come se avesse dato origine lui stesso a tutto quanto. "Giustificati finché non moriremo, tu ed io ci magnificheremo. Magnificenza, la nostra". L'amore è condivisione, è un insieme, e così l'arte; il tutto tende al magnifico, alla magnificenza, alla cosa più vicina a Dio. Ritornano protagoniste le tastiere, che fanno da ponte per il bell'assolo di chitarra, le voci dei ragazzi si uniscono e intonano un memento corale che ricorda i canti sacri. È la visione paradisiaca. Mullen si scatena con una raffica di colpi, accompagnandoci nell'ultimo ritornello, chiudendo così un gioiello.

Moment Of Surrender

Il momento in cui un alcolizzato ammette l'impotenza di fronte alla dipendenza viene immortalato nello splendido gospel Moment Of Surrender (Il Momento Della Resa), lungo e drammatico inno a coloro che combattono quotidianamente contro i demoni della droga. Un tappeto elettronico mandato in loop prende forma lentamente rivelando un ritmo sinuoso e cerimoniale, le note del piano sono dolci, i battiti campionati della batteria donano quel tocco moderno in più e che strizza l'occhio alla musica ambient. In questo clima rilassato Bono irrompe coinvolgendo tutti: "Mi sono legato a una corda per lasciare correre liberi i cavalli. Giocando col fuoco fino a che il fuoco non ha giocato con me". La corda è il cappio messo attorno al collo, la droga che lentamente divora mente e corpo e porta al suicidio. I cavalli invece rappresentano gli istinti, lasciati correre liberi e selvaggi, fino a quando questi non si sono rivoltati contro, divorando, sotto forma di fuoco, la carne del poveretto. La cerimonia continua, le tastiere che crescono d'intensità, poi entra in scena l'organo e le parole del vocalist si gonfiano di significato, rappresentando un monito per tutti coloro che rischiano la vita iniettandosi veleno in corpo. "La pietra era preziosa, noi eravamo appena coscienti. Due anime troppo sveglie per essere nel reame della certezza, anche il giorno del nostro matrimonio". Le nozze sono l'unione della vittima con la droga, dove quest'ultima accompagna l'uomo nel reame dell'incertezza, dove la sua anima si perderà. Ancora la terza strofa, seguendo sempre lo stesso andamento cerimonioso: "Ci addentriamo nel fuoco, oh Dio, non respingerla. Non è se io credo nell'amore ma se l'amore crede in me". Il fuoco è sacerdote e testimone di questo infausto matrimonio. Il ritornello prende vita, si solleva come cenere di questo fuoco che arde e poi ricade giù lentamente come petali di fiori, Bono viene accompagnato da The Edge in questo momento soul, tendente al gospel: "Al momento della resa, sono caduto in ginocchio, non ho fatto caso ai passanti e loro non hanno notato me". La caduta di un uomo non interessa alla società, la gente intorno continua a vivere, l'oblio è per i dipendenti dalle droghe, schiavi sperduti. La sezione centrale mantiene la stessa melodia, ma qui le tastiere prendono il sopravvento sul basso e sulla chitarra, aumentando pathos: "Sono stato in ogni buco nero, dall'altare della stella nera. Il mio corpo è un piattino dell'elemosina, che supplica al cuore di tornare, al ritmo della mia anima, al ritmo della mia incoscienza, al ritmo distrutto del mio controllo". Se questo è davvero un inno gospel, allora ci troviamo all'interno di una chiesa, dove l'eroinomane è talmente sciatto da essere paragonato al piattino dell'elemosina. Ormai egli ha perso il controllo, la lucidità mentale, ha perso l'anima e il cuore, si vende per due soldi, pur di iniettarsi l'ennesima dose. Larry Mullen sfida Eno, tessendo questo brano etereo, delicato e tragico incentrato sul momento più cupo di una persona. "Al momento della resa, della visione oltre il visibile, non ho notato i passanti e loro non hanno notato me", in questo passaggio Bono scrive una frase molto significativa: quella del visibile oltre la visibilità, ossia quando si vede la meta ma non si sa come raggiungerla. In un'intervista il cantante irlandese ha evidenziato la potenza di questa frase, perché simbolo di tenacia, e così anche il povero eroinomane potrà, se solo vorrà, uscire dal brutto momento, puntando dritto la meta e cercando in tutti i modi di raggiungerla.

Unknown Caller

Nascondendosi dietro la metafora telefonica, Unknown Caller (Chiamata Sconosciuta) è un brano che tratta della difficoltà, da parte dell'uomo moderno e schiacciato dall'eroina, di entrare in contatto con se stesso. Ancora un'introduzione elettronica, sofistica e poetica, accompagnata dalla solenne chitarra di The Edge, sempre struggente nel suo incedere romantico. L'andamento inziale ricorda le stupende atmosfere ambient di "The Unforgettable Fire", ponendo la band a metà tra passato e presente. Il clima è comunque cupo e serioso: "Ero perso tra la mezzanotte e l'alba, in un posto senza compagnia e importanza. 3:33 quando i numeri caddero dall'orologio, componendo un numero senza segnale". Nella notte il nostro uomo si sveglia, alle 3:33, e questo non è un numero casuale perché, secondo la tradizione, è l'ora del demonio, il cuore della notte, il momento più buio. Nel religioso si insinua questo sentore macabro: squilla il telefono ma la linea è disturbata. In coro, gli U2 si fanno avanti per il dolce e sommesso refrain: "Va, urla, alzati. Scappa da te stesso e dalla gravità. Ascoltami, cessa di parlare, zitto ora. Chiuditi bene". La telefonata paralizza dalla paura l'uomo, dall'altra parte della cornetta c'è un'entità sacra, forse diabolica, forse benevola, egli non può fare altro che stare in silenzio e ascoltare. Gli effetti elettronici pungono come spilli, The Edge esegue una serie di fraseggi muscolosi: "Ero proprio lì in cima al fondo, sul confine di un universo sconosciuto dove volevo essere. Ho guidato fino alla scena dell'incidente e mi sono seduto aspettando me stesso", e ancora "Ricomincia e riavvia te stesso, sei libero di andare. Grida di gioia se ne hai l'occasione, inserisci la password proprio qui. Conosci il tuo nome, digitalo. Ascoltami, cessa di parlare e sta zitto, non muoverti e non dire una parola", insistono i cori, spingendo l'eroinomane a reagire, a non dare ascolto alle sue paure, alle voci che sente attraverso il telefono. Davanti a sé trova un universo ignoto, ma deve starne lontano o rischia di perdersi, deve reagire, non rispondere, deve liberarsi dalle catene della schiavitù. Entrano in scena i corni francesi e strumenti esotici marocchini che ci sparano dritti nel cosmo, cullati da allucinazioni e sensazioni extrasensoriali. The Edge fa languire la sua ascia che va a scontrarsi con il suono di un organo. Un brano complesso e arrangiato con classe. Questi sono gli U2 intrepidi che piacciono a noi.

I'll Go Crazy If I Don't Go Crazy Tonight

La parte centrale del disco, quella più scanzonata e anche meno riuscita, si apre con I'll Go Crazy If I Don't Go Crazy Tonight (Diventerò Pazzo Se Non Farò Pazzie Stasera), un discreto pezzo rock che avrebbe potuto far parte in uno dei due precedenti album. Smaccatamente orecchiabile, il brano è stato estratto come terzo singolo, il primo ad essere lanciato sulla nuova piattaforma Youtube. Piano e chitarra collaborano nella tessitura della composizione, il cambio di tempo arriva dopo qualche secondo, trasformando quella che apparentemente sembrerebbe una ballad in un brano fresco e popeggiante. "Lei è l'arcobaleno e ama una vita tranquilla, sa che impazzirò se non farò pazzie. C'è una parte di me che è tranquilla nonostante il caos, e c'è una parte di te che vuole che io mi ribelli". Influenzato dalla campagna politica di Barak Obama alla Casa Bianca, Bono ammette che ha immaginato il titolo come fosse uno slogan e le liriche, che comunque trattano di amore di coppia, come uno sfogo per superare gli ostacoli e realizzarsi. "Ognuno ha bisogno di piangere o di sputare, ogni goloso vuole un assaggio, ogni bella ha bisogno di uscire con un idiota. Come puoi star così vicina alla verità e non vederla? Un cambiamento nel cuore avviene lentamente". Insomma, ognuno di noi ha i propri vizi e ognuno di noi, prima di realizzarsi, ha bisogno di fare esperienze, anche le più folli e scriteriate, per poi mettersi con l'anima in pace e accettare il destino. Ma questo avviene lentamente, anno dopo anno. Su un delicato giro di basso e sul solito romantico fraseggio di The Edge, Bono intona, a mò di cantilena, un ritornello orecchiabile che rivela un cuore dolce e raffinato: "Non è una collina, è una montagna. Quando cominci l'arrampicata ci credi in me o hai dei dubbi? Arriveremo alla luce e ce la faremo, ma so che che diventerò pazzo se non farò pazzie stanotte". La vita non è una semplice collina, è una vera montagna che va scalata con pazienza e coraggio, la cui cima rappresenta la tanto attesa realizzazione personale, dalla quale guardare il mondo dall'alto, alla luce. In scena subentrano gli archi campionati che creano un ritmo ondulatorio e astratto che accompagna il drumming quadrato di Larry Mullen. "Ogni generazione ha la possibilità di cambiare il mondo, povera quella nazione che ascolterà i tuoi figli, perché la più dolce melodia è quella che non abbiamo mai sentito. È vero che l'amore perfetto scaccia le paure? Ho il diritto di sentirmi ridicolo prima che il mio cuore cambi lentamente". La dolce melodia è la voce della coscienza, quella che alberga in tutti noi e che soltanto noi possiamo udire. Ogni generazione ha i suoi perché e le sue battaglie da combattere, ma prima di farlo è bene comportarsi da sciocchi, da giovani, fare follie. La maturità può attendere. Il break è ricco di ricami, archi, effetti sonori, coretti: "So di non essere solo", grida Bono diretto alla sua compagna mentre The Edge esegue un timido assolo che va a sfumare nel silenzio.

Get On Your Boots

Get On Your Boots (Indossa Gli Stivali) è il pezzo più potente dell'album, dall'incedere di basso davvero muscoloso e dai taglienti riff di chitarra. Mullen pesta duro e illude facendoci credere di ascoltare un brano hard rock, purtroppo i toni si stemperano subito nella prima strofa e assistiamo a una linea vocale davvero piatta che fa storcere il naso e che riadatta la melodia di un pezzo leggendario di Bob Dylan, "Subterranean Homesick Blues". Melodicamente parlando, forse ci troviamo di fronte a uno dei brani più brutti partoriti in carriera dagli U2, nonostante la primaria fonte di ispirazione, mentre a livello strumentale ci si accorge che sotto c'è una certa ricercatezza sonora. Si tratta di un garage rock vecchio stile e secondo la band è concepita come una sorta di lettera nella quale è scritto il passaggio di testimone da una società governata da uomini a una governata da donne. Il sesso maschile ha fallito miseramente, condannando il mondo intero, e allora è giunto il momento di lasciar fare alle donne. "Il futuro ha bisogno di un bacio, i venti soffiano con foga. Mai vista una luna così, vuoi vederla anche tu? La notte sta calando ovunque, i ragazzi sono al luna park, Satana ama le bombe, ma lui non vuole spaventarti", recita Bono su una base leggera dagli effetti elettronici, poi la chitarra di The Edge riemerge dalle nebbie con un riff abrasivo e anticipa il ritornello: "Hey, stivali sexy. Indossa gli stivali". Melodia piatta, chitarra feroce e uno strano suono in sottofondo. Si riprende: "Mi liberi dal sogno oscuro, gelato e zucchero filato. I nostri bambini stanno urlando, ma i fantasmi non sono reali. Dobbiamo restare qui, amore e comunità, se la gioia è reale una risata sarà eterna". A questo punto il ritornello viene sostituito da un altro chorus, più potente e ricco di cori, ma dalla stessa linea melodica: "Tu non sai quanto sei bella, non lo sai, vero?". Adam Clayton irrompe con un giro di basso imponente e che aleggia nell'etere come una zanzara, producendo un effetto straniante, sotto i suoi colpi ritorna l'ennesima strofa: "Siamo in crescita, le donne sono il futuro, loro possiedono grandi rivelazioni. Ora avete la benzina", ed ecco la consegna del nostro destino alle donne, sperando in un futuro migliore. Il ritmo accelera, la band si scatena, la lunga coda è vincente e ipnotica, Mullen pesta ferocemente mentre The Edge si lancia in una serie di riff vorticosi che si ripetono all'infinito, di pari passo alle parole pronunciate dal vocalist, le stesse che ritroveremo nell'intro di "Fez-Being Born" e che recitano: "Fammi entrare nel suono".

Stand Up Comedy

Il riff iniziale di Stand Up Comedy (Commedia In Piedi) odora di rock anni 70, dall'impronta Led Zeppeliana e dall'andamento tipicamente Who. Peccato sia destinato a trasformarsi in un brano sempliciotto, in linea con i due precedenti, chiudendo una fase centrale davvero poco mirata e che abbassa notevolmente la qualità dell'album. In questa composizione troviamo dei mandolini e la voce di Bono effettata, specie nel refrain campionato e mixato su uno strato chitarristico fumoso, mentre il testo parla di un comico, in piedi davanti alla platea, che racconta sciocchezze. La figura del comico però simboleggia quella del politico che, durante la sua campagna elettorale, pronuncia una lunga serie di bugie per intortare la folla, risultando patetico. Il ritmo è vagamente funky, col basso in primo piano e i mandolini in sottofondo: "Mi alzo e faccio un passo, tu ed io abbiamo dormito per ora, perciò ora mi alzo. Il cavo è tirato tra due torri che circondano questo mondo vertiginoso. Precipiterò se non riuscirò a stare in piedi per il tuo amore". È tempo di svegliarsi, basta sonnecchiare, il mondo ci reclama, ci sta schiacciando con le sue minacce, bisogna stare svegli e attenti a non cadere giù dal cavo tirato da un'estremità all'altra del pianeta. Questo è il monito di Bono Vox, restare svegli, alzarsi e combattere per l'amore. "Alzati, questa è una commedia, la lotteria del DNA ti ha reso brillante ma riesci ad essere bella anche nel cuore? Io posso alzarmi in nome della fede, della speranza e dell'amore". La lotteria del DNA sarebbe Madre Natura che ha donato la bellezza estetica ai pochi fortunati, ma la fortuna è essere belli dentro, nell'animo, perciò bisogna alzarsi e lottare per i propri ideali, che possono essere la fede, l'amore o la speranza. il ritornello non è malvagio, ricco di effetti e sostenuto dalla scalciante chitarra di The Edge: "Fuori dai vostri letti, andiamo gente. Alzatevi per il vostro amore". La folla deve ribellarsi alle false promesse del politicante di turno, ciò è evidenziato nel seguente passaggio, dove Bono cita Napoleone Bonaparte e sua moglie Joséphine de Beauharnais, in piedi davanti alla platea, lui con i suoi alza-tacchi per sentirsi più alto e che cerca di plagiare le persone con le belle parole. Ma Bono avverte, dubitare sempre di uomini piccoli con grandi idee, loro sono i più pericolosi di tutti. L'assolo è esilarante, solare, schizzato, l'elettronica entra in gioco con zanzarosi effetti, dunque il finale: "Dio è amore, e l'amore è evoluzione quotidiana. Muoviamoci, siamo fatti di stelle, alziamoci".

FEZ-Being Born

Probabilmente il miglior brano del disco, un vero capolavoro che ci riconsegna gli U2 dei vecchi tempi, sperimentali e geniali, soprattutto quelli degli anni 90. FEZ-Being Born (FEZ-Esser Nato) è una composizione suddivisa in due parti, la prima elettronica e ambient, che fa da introduzione riprendendo le parole della coda di "Get On Your Boots" e annegandole in un mare di effetti sonori prodotti dalla chitarra sinfonica di The Edge, l'altra decisamente meno avventata e più lineare, ma altrettanto struggente e cupa. Il tocco di Brian Eno è chiaro, specie all'inizio, che si adopera per dare l'immagine, almeno secondo le parole di Bono, di un fiore che sboccia lentamente. Un minuto di introduzione elettronica, poi entra in scena la malinconica chitarra elettrica che si stende in un lamento, poggiata su una base ritmica rallentata per dare un senso di spaesamento e di oppressione. Il mid-tempo si protrae, Bono grida, l'elettronica va di pari passo agli strumenti, evidenziando una band ispirata. "FEZ" è un blocco suddiviso in due, non solo per la lunga introduzione, ma anche per un testo giostrato soltanto su due strofe solenni. "Sei in punto, sull'autostrada. Gomma e cromo che bruciano, ecco la Baia di Cadice da dove parte il mio traghetto. L'oceano Atlantico è un vetro rigato illuminato dal sole africano". La canzone parla di un vigile di origine africana che lavora nel sud della Francia e che, una sera, mosso da depressione e rimpianti, decide di lasciare tutto per tornare a casa, nella città di Fez, in Marocco. A Fez gli U2 hanno registrato l'album, nelle interviste hanno rivelato di essere stati affascinati dalle atmosfere del posto e dalla grande malinconia che aleggia tra i cittadini. Una città simbolica, crocevia di culture, dal cuore profondo. Le due strofe sono intermezzate da un'intensa parentesi strumentale, da brividi sulla pelle, incentrata sugli effetti chitarristici, le note del piano, l'elettronica che emette distorsioni campionate che richiamano la sabbia o l'acqua, proiettando l'ascoltatore proprio in quei luoghi caldi e desolanti, ma simbolo di vita. Arriva il secondo blocco, intonato in coro come fosse un rituale, e rappresenta un ritorno alle origini: "Luci che sfrecciano come ricordi. Una testa veloce, un cuore che accelera. Sono nato dal sangue, ho iniziato col sangue. Il rombo dei motori che sono un lamento raccapricciante. Testa e piedi, il mio cuore salpa". L'uomo è partito, si è imbarcato, verso un nuovo futuro, o forse verso un nuovo passato. Fez è la sua casa, le onde del mare cullano i suoi pensieri, il traghetto emette strani sibili che sembrano lamenti, ma ad attenderlo, dall'altra parte della costa, c'è un altro continente, un altro posto in cui vivere. Ritorna la parte strumentale, articolata e profonda, concludendo un autentico capolavoro.

White As Snow

Gli ultimi attimi di un soldato americano ferito a morte in Afghanistan è il tema di White As Snow (Bianco Come La Neve), brillante e delicata ballata ispirata a un canto popolare medievale, dalle forme sinuose e dalla melodia agrodolce che riescono a trasmettere il candore della neve. La melodia è ripresa dal canto latino del XII secolo "Veni, Veni Emmanuel", inno natalizio cantato a più voci, qui distesa pero su corni francesi e sulle leggiadre note di pianoforte. L'aria è solenne, da cerimonia religiosa, intanto si alza placida la chitarra acustica, che ci accompagna in questa dolce cantilena: "Da dove vengio io non c'era nessuna collina. La terra era piatta, l'autostrada dritta e larga. Mio fratello ed io guidavamo per ore, come se avessimo avuto anni e non giorni, le nostre facce pallide come neve sporca". Il soldato, in punto di morte, ricorda la sua terra, il suo paese, e di quando si divertiva col fratello senza pensare a nulla. "Una volta credevo ci fosse un amore divino, poi è venuto il tempo in cui ho pensato che questo pensasse a me. Chi può perdonare quando non si tratta affatto di perdono?". L'amore divino è quello dato da Dio, i soldati americani vengono spinti al loro dovere, a combattere per la patria, anche attraverso la fede in Dio. L'America è il paese delle contraddizioni, una nazione guerrafondaia che si sciacqua la bocca con parole inappropriate quali libertà, fede, uguaglianza e amore, quando la verità è ben altra. "Solo l'agnello è bianco come la neve", l'agnello che rappresenta l'innocenza. Emerge il corno francese, sembra un allarme, i toni si acuiscono, Bono alza il tiro: "E l'acqua era ghiaccio mentre cadeva su di me, e la luna risplendeva in cielo". Il break indica una dimensione paradisiaca, dove il soldato, ormai sul punto di morte, alza lo sguardo in cielo e il suo volto è bagnato per la pioggia che cade forte sulla pelle, tanto da sembrare ghiaccio. La chitarra acustica riprende il suo giro pacato, stemperando i toni: "Ora questo arido terreno non dà frutti, solo i papaveri sorridono sotto la luna crescente. La strada rifiuta gli stranieri, la terra accoglie i semi che abbiamo seminato". La strada è nemica degli stranieri, ossia gli americani in terra afghana, andati lì per combattere e morire, come nel caso del nostro protagonista. La terra accoglie i semi del male che l'uomo ha seminato: cioè odio, morte e distruzione. Il clima è arido, plumbeo, ma nonostante ciò l'aria è serena, come se il soldato avesse ormai accettato la sua fine. Ci addentriamo nell'ultimo verso, il più doloroso: "Da ragazzi, andavamo a caccia nei boschi, dormivamo sotto le stelle. Ora i lupi sono gli stranieri che mi circondano. Ogni volto che non possiamo riconoscere, se solo un cuore potesse essere bianco come la neve". Ecco un ultimo ricordo: il soldato e suo fratello che andavano a caccia nei boschi, e dormivano tranquilli sotto il chiarore delle stelle. Adesso, da predatore, lui si è trasformato in preda, e i lupi sono i nemici che lo hanno colpito a morte e che si aggirano in quei luoghi. Potranno mai essere bianchi come neve i nostri cuori? Il genere umano è nato per distruggere, dalla natura violenta e corrotta. Non esiste il candore della neve nei nostri animi.

Breath

Dapprima sviluppata sul giro di chitarra elaborato da The Edge, ispirato dal gusto melodico di Jimmy Page, poi remixata innumerevoli volte per la forma definitiva, Breath (Respira) è un solare e fumantino pezzo rock melodico che si apre con un riff effettato che sfuma e si dissolve lentamente, mentre la batteria elettronica di Mullen entra in gioco assieme al violoncello dell'ospite Caroline Dale. L'incedere si fa più maestoso e altisonante mano a mano che si avanza, chitarra e tastiere in primo piano: "16 giugno, 9:05, il campanello suona. Appare un uomo alla porta e mi chiede se voglio vivere di più. Ci sono un po' di cose che devo spiegarti, dice". Si tratta di un religioso che cerca di convincere Bono a prendere parte alla sua setta. Il vocalist canta in modo serrato, rispondendo al tipo invadente: "Vengo da una lunga tradizione di venditori ambulanti, perché dovrei comprare ciò che offri? Non invito sconosciuti a casa mia, tu lo faresti?" e cerca di cacciare l'uomo. Si avvicina il pre-chorus con passo lento, adagiandosi sulle note del pianoforte: "Questi giorni sono migliori di quello", grida Bono, e poi si arrampica su un lungo e sofisticato refrain, ben costruito su basso e chitarra: "Ogni giorno io muoio e poi rinasco. Ogni giorno devo trovare di uscire e passeggiare in strada, a braccia abbassate. Ho possiedo un amore forte che non puoi togliermi, non c'è niente che hai tu che io voglia. Posso respirare, mi basta questo". Le parole del testo sono profondissime, sono sintomo di un ego appagato, felice di essere come è, sicuro di amare e di essere amato, sicuro di non dover combattere con nessuno, sicuro di poter girare a braccia basse, rilassato. Le parole del membro della setta religiosa non sono nulla se non una presa in giro, questi non può offrire niente che Bono non abbia già, e i suoi discorsi su una vita più lunga, bella e vera sono solo spazzatura. Bono è felice di vivere, respira, ed è quello che conta, senza l'illusione di un futuro ultraterreno impossibile da comprendere. "16 giugno, i mercati cinesi sono al rialzo e mi sto ammalando con qualche virus asiatico. Lo stregone voodoo e il dottore mi dicono invece che sto bene, la pressione è giusta ma io sono agitato, ho una banda in testa". Il 16 giugno è un giorno importante in tutta Irlanda, perché è il cosiddetto Bloomsday, festa dedicata a Leonard Bloom, personaggio dell'Ulisse di James Joyce, il più grande scrittore irlandese della storia, che nel suo romanzo, ambientato a Dublino, racconta le avventure di Bloom in giro per la città, tutte concentrate in un solo giorno, il 16 giugno 1904. "Esci in strada, canta a cuore aperto. Le persone che incontriamo sono immerse nei loro pensieri, ma tu respira, lo puoi fare". Problemi o no, bisogna essere come Leonard Bloom, sorprendersi della quotidianità, vivere con gioia, respirare, uscire in strada e osservare la realtà. The Edge esegue un buon assolo, duellando sia con il piano che con gli effetti prodotti dal violoncello. "Siamo persone nata dal suono, le canzoni sono nei nostri occhi e le dobbiamo portare come corone. Usciamo e cantiamo al sole, cercando la grazia nel suono". Il canto ci rende liberi e felici.

Cedars Of Lebanon

Il capolavoro ambient porta il nome di Cedars Of Lebanon (Cedri Del Libano), totalmente recitato da Bono, qui nei panni di un giornalista che lavora come corrispondente in Libano, durante la guerra. Il brano riprende la base elettronica di "Against The Sky", canzone composta da Brian Eno e inserita nel suo disco del 1984 "The Pearl". Una sorta di meditazione su un mondo in rovina, sulla guerra e sul male sprigionato dal cuore umano. I rumori ambient, accompagnati dal sussurro di Bono, indicano stanchezza e disprezzo del mondo moderno. I toni, dalle sfumature grigie e cupe, riportano ai tempi di "The Unforgettable Fire". Clayton accompagna il tappeto ambient, Bono recita: "Ieri ho dormito tutto il giorno, mi sono svegliato che ero vestito di sporcizia. Ho trascorso la notte cercando di rispettare una scadenza, concentrando le vite complicate in un semplice ordine". Il giornalista analizza la situazione: in Libano c'è la guerra e nessuno è al sicuro, eppure c'è questa sorta di dormiveglia che intorpidisce i sensi e fa cadere addormentati. L'uomo si meraviglia di come la gente, che vive una situazione paradossale, continui a vivere in modo semplice. "Ho il tuo viso in una vecchia Polaroid, mentre riordini i vestiti e i giochi dei bambini. Mi stai sorridendo, ho preso la foto dal frigo, non riesco a ricordare cosa facemmo dopo". Bono prosegue la sognante descrizione, più che un resoconto della vicenda è un vero e proprio ricordo di lui e della sua amata, forse deceduta, forse partita e tornata a casa. Eno si mette alle tastiere, programma alcuni suoni stranissimi assieme alla batteria programmata di Mullen. "Sembrano trascorsi anni da quando sono stato con una donna. Ho pensato a te tutto il tempo, ho pensato alle tue lacrime salate. Questo mondo di merda a volte produce una rosa, il tuo profumo aleggia per un po' e poi si dissolve". La guerra fa schifo, un mondo tempestato dalla guerra fa schifo, ma in questo mare di fango putrescente si diffonde un odore leggiadro che sa di rosa. Il fiore nato nella melma è la donna lontana, immortalata nella foto di una vecchia Polaroid. Il ritornello è sognante, astratto, dove Bono sussurra quasi in falsetto una sola frase, mentre in sottofondo si sentono i contro-cori. "Richiama a casa", afferma con delicatezza. La chitarra continua ad arpeggiare, conducendo la danza desolata intermezzata da sinistri battiti elettronici: "Il peggio di noi è una lunga stiracchiata confessione, il meglio di noi sono genuine comprensioni. Tu dici che non vuoi allontanare la verità, io sono qui perché non voglio tornare a casa" e ancora "C'è un bimbo che beve acqua sporca lungo il fiume, il soldato porta le arance tirate fuori dal carrarmato. Sto aspettando il cameriere per cenare, intanto il tramonto avvolge il Libano". C'è questa immagine paradossale, mentre in strada un bimbo povero è costretto a bere acqua sporca e un soldato a portare ai civili delle arance, il giornalista è calmo e pulito nella stanza del suo hotel, che aspetta la cena. Il sole tramonta sulla costa, il paesaggio è splendido, tranquillo, eppure il paese intero è in continua lotta. Sembra di ascoltare gli U2 dell'ambizioso progetto Passengers, quello fatto in collaborazione con Eno nel 1995 e che ha dato alla luce un buon album ambient: "Original Soundtracks 1". Una chiusura stupenda.

Conclusioni

Un disco sinuoso e poetico, coraggioso abbastanza, basti pensare all'artwork minimalista dove non compaiono neanche il logo della band e il titolo del lavoro, dove ci si lascia andare, ma solo a tratti, a vampate rock, specie nella parte centrale, prediligendo invece una dimensione elettronica magnetica e profonda, che va dritta al cuore e alla mente, evocando belle e possenti riflessioni, immagini e simboli. In "No Line On The Horizon" gli U2 si spogliano di ogni inibizione, non ponendo freno alla fantasia, parlando direttamente con l'anima, celebrando quasi un rituale esoterico sullo sfondo di questo orizzonte infinito. Nessuna linea a delimitarne i confini, nessuna costrizione stilistica, questa volta la band irlandese osa e ringiovanisce di colpo; magari non sono gli U2 folli e potenti di "Achtung Baby", né quelli selvaggi di "War", ma sono gli U2 meditativi che tutti noi amiamo, che si mettono in gioco non cercando ossessivamente le classifiche, non cercando per forza di piacere ai ragazzini, ma restando più in disparte, con l'aria di chi la sa lunga e si gode lo spettacolo a testa bassa, come è più consono per artisti di mezza età. Proprio questo profilo defilato e la particolarità dell'album, complice anche la crisi del mercato artistico e le nuove generazioni prese da altri generi, "No Line On The Horizon" è il lavoro meno celebrato, quello più snobbato dell'intera discografia, e anche quello meno conosciuti di tutti, e dato il profondo degrado culturale degli ultimi anni, forse è anche una buona cosa, perché sintomo di buona qualità. "No Line On The Horizon", infatti, fa di tutto per scrollarsi di dosso un'aria commerciale e superficiale, e, a parte un paio di brani, quelli estratti come singoli, è un disco sentito, vivo, fin troppo elaborato per le classifiche e per chi cerca semplice musica da radio. Certo è che parliamo pur sempre di U2, e anche nel 2009 le loro cinque milioni di copie vendute se le assicurano, così gli incredibili sold-out a ogni data del 360° world tour, numeri che ne fanno, per l'ennesima volta, la band con più incassi dell'anno e addirittura con i maggiori guadagni dell'intero decennio. Nel 2009 sono ancora loro i più grandi e popolari al mondo, e con "No Line On The Horizon", che di certo non è un disco miracoloso ma si fa valere eccome, Bono, Adam, Larry e The Edge timbrano il loro dodicesimo sigillo, scolpendo altra ottima musica nel cuore dei fans. Come già accennato, a parte la leggerezza della sezione centrale, orientata sul rock con la brutta tripletta "Get On Your Boots", "Stand Up Comedy" e "I'll Go Crazy If I Don't Go Crazy Tonight", non particolarmente riuscita, dove gli U2 si accontentano di comporre brani di facile ascolto e molto scarni, il resto è davvero una meraviglia, di cui almeno tre o quattro capolavori da osannare. In questo lugubre, sfocato e affascinante sentiero sonoro troviamo tanta roba: "Magnificent", l'inno gospel "Moment Of Surrender", "Unknown Caller", basata su una telefonata a se stessi dopo esser diventati preda di spaventose allucinazioni causate dall'eroina,"FEZ-Being Born", "White As Snow", la rockeggiante "Breathe" e la geniale "Cedars Of Lebanon", costruita sul campionamento di un pezzo ambient di Brain Eno del 1984 e che si mostra come un altro terribile resoconto in territori di guerra, in questo caso in Libano. In "No Line On The Horizon" c'è molta carne al fuoco e per questo è un lavoro non di facile presa, che va ascoltato diverse volte affinché riesca a insinuarsi sotto pelle, ma ci riesce, basta dargli un po' di tempo. Bisogna avere una certa lucidità mentale per affrontare il percorso, senza pregiudizi o influenze esterne; bisogna lasciarsi ammaliare da quella luce crepuscolare che si riflette sulla superficie del lago, bisogna fare qualche passo avanti per immergersi in quelle acque calme, scure e ignote, e abbeverarsi da quella sorgente. Lasciamo stare le critiche insensate ai danni di questo album, gli U2 hanno ancora molto da dire, sono invecchiati, certo, la foga si è stemperata ormai da tempo e la fiacca parte centrale abbassa notevolmente la qualità dell'insieme, ma se si guarda bene, quel fuoco indimenticabile che quattro ragazzi appena ventenni portavano giù dalle vallate irlandesi, è ancora acceso e brilla nel buio, non con la stessa intensità, ovviamente, ma c'è, è ancora presente, mai del tutto spento.

1) No Line On The Horizon
2) Magnificent
3) Moment Of Surrender
4) Unknown Caller
5) I'll Go Crazy If I Don't Go Crazy Tonight
6) Get On Your Boots
7) Stand Up Comedy
8) FEZ-Being Born
9) White As Snow
10) Breath
11) Cedars Of Lebanon
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