TWISTED SISTER

Still Hungry

2004 - Atlantic Records

A CURA DI
SIMONE D'ANGELO SERICOLA
23/03/2021
TEMPO DI LETTURA:
9

Introduzione Recensione

"Alla fine dei Twisted Sister c'erano debiti enormi. La Winterland anticipò un milione di dollari per il tour di "Come Out And Play" che fallì miseramente. eravamo tutti sotto contratto, sia come società che individualmente, dunque vennero a cercarmi per farsi restituire il denaro. Offrii un quinto della cifra, ma gli altri non avevano un dollaro, dato che ero io a scrivere quasi tutto. Sono dovuto fuggire, andare in bancarotta, altrimenti non ne sarei mai uscito. Adesso non ho i sodi che avevo nell'86/'87, ma me la cavo!". Amici, amiche, ho voluto iniziare questa monografia con queste amare parole di Daniel "Dee" Snider perché rendono piuttosto bene anche a chi, come noi, è estraneo al mondo della musica, alle sue strambe leggi, ai suoi eccessi e, perché no, perversioni. Leggendo delle gesta dei nostri beniamini possiamo avere solo una vaga sensazione di quella che è la vita da star della musica: i primi passi da dilettanti, i primi pezzi in proprio, i primi concerti, catturare l'attenzione di una label di nome ed il primo contratto, il successo e la fama, con conseguente pioggia di verdoni. Quando poi tutto ciò viene a mancare, sia in caso di perdita improvvisa, sia in caso di "tragedia annunciata", sono dolori. Lungi da me affermare con certezza che la perdita del lavoro sia più grave per un ordinario cittadino o per una stella dello spettacolo inteso in senso lato, ma, almeno dal punto di vista delle abitudini di vita, penso siamo tutti d'accordo nel riconoscere che comperare il meglio di tutto, in quantità maggiori, cinque macchine, tre ville nei posti più esclusivi e tutto il resto e perdere tutto deve essere uno dei risvegli più bruschi che l'essere umano possa affrontare. Ecco qual era la situazione in cui i Twisted Sister si trovavano dopo la debacle susseguente a "Come Out And Play" e soprattutto "Love Is For Suckers". Non era un buon periodo per i nostri, i quali dovettero adattarsi a fare un po' di tutto per non finire a dormire sotto i ponti. Dopo lo split del 1988, atto che segnò di fatto la fine della band, che cercò con tenacia di restare da protagonista nel mondo della musica fu il carismatico cantante, il quale provò l'impresa con un supergruppo, i Desperado, comprensivo del bassista Marc Russell e due nomi ben noti d'oltre oceano, direttamente dalla Terra D'Albione, vale a dire il fu Bernie Tormé alla chitarra e nientemeno che il fu Clive Burr dietro le pelli, uno dei più amati batteristi degli Iron Maiden e dell'intero Hard'n'Heavy; questo fatto era visto con un certo favore da Snider il quale era consapevole del fatto che la presenza di cotanto batterista nell'organico potesse contribuire di molto a generare curiosità in merito alla sua nuova creatura, disse infatti del coinvolgimento di Burr: "Una scelta che aveva aumentato di moltissimo le quotazioni del gruppo. Soprattutto in Europa l'ingresso di Clive era stato salutato con grande interesse!". Purtroppo però strane ed incomprensibili scelte della casa discografica (l'Elektra) portano alla posticipazione dell'album già registrato (di cui via abbiamo proposto qualche estratto su Rock & Metal In My Blood) che alla fine uscirà sei anni più tardi con il titolo "Bloodied But Unbowed" (e di nuovo nel 2006 con il titolo originale "Ace") a gruppo ormai bello che sciolto ed avventura conclusa. Snider espresse l'amarezza per la chance persa con la seguente dichiarazione: "Non fu solo l'umiliazione di non vedere il disco pubblicato, ma la cosa che mi ha spezzato il cuore è stata non fare tour e non portare queste canzoni sul palco, perché lo meritavano davvero!", ma non era certo disposto a darsi per vinto e ci riprovò subito, dando vita ad i Widowmaker, con ancora a bordo Marc Russell, il batterista James Franco (che fu il primo chiamato per i precedenti Desperado) ed Al Pitrelli alla chitarra, proveniente dagli Asia e transitato poi per Savatage, Megadeth e Trans-Siberian Orchestra su tutti. Questa formazione realizzò due platter, "Blood & Bullets" del 1992 e "Stand By For Pain" del 1994, entrambi di matrice Street, ma vitaminizzata, che però non solleticano più di tanto nemmeno la curiosità dei fans storici dei Twisted Sister. Quando anche questo secondo tentativo fallì a Snider divenne chiaro che l'unica strada percorribile era una sola, riproporre il repertorio della band madre. Così, a capo dei Dee Snider's SMF (Sick Mother Fuckers) pubblicò nel 1997 "Live: Twisted Forever" che pescava a piene mani dai lavori del periodo d'oro; il cantante osservò: "Era quello che la gente voleva e mi sono arreso: all'inizio non è stato facile, perché capisci di aver fallito in quello che credevi, ma bisogna rispettare il pubblico!". A quel punto la reunion sembrava inevitabile e, dopo l'esibizione del 2001 allo "Sweden Rock Festival" ciò che era un'idea divenne realtà, anche se materiale inedito non ne scaturì, limitandosi i nostri ad esibirsi dal vivo, con spettacoli travolgenti come e forse più che in passato e questo "Still Hungry" di cui ci occupiamo oggi e del quale procediamo alla consueta analisi track by track, lavoro che è una nuova registrazione del loro terzo full-lenght (della cui produzione si occuparono gli stessi membri del gruppo, nelle figure di Mark Mendoza e Jay Jay French, affiancati da Phil Carson ex Vice Presidente della Atlantic Records), comprensivo di sette bonus tracks, e distribuito dalla Spitfire per il mercato statunitense, la Drakkar per quello europeo e la Armoury per quello nipponico.

Stay Hungry

Come scelsero nel 1984 di dare avvio al loro album più importante e come si apre anche questa ristampa? con "Stay Hungry" (Sii Affamato), la potente e veloce title-track, sempre ed assolutamente ancora validissima dopo anni ed anni, con trama semplice ed immediata che fa centro ancora oggi, in cui l'acciaio si respira ancora a pieni polmoni. L'improvvisa esplosione di tutti gli strumenti colpisce sorprende ancora quasi di sorpresa, nonostante noi si conosca il brano ormai da tempo. La batteria di A. J. Pero è un ottimo motore ritmico che detta la linea e la velocità su cui gli altri ricamano la melodia; il basso che pulsa potente e gareggia con le pelli, le due asce con accordi che danno vita ad una trama senza fronzoli e che potrebbe essere facilmente imparata e riprodotta solo mediante l'ascolto, ma notate bene, con questo non voglio affatto sminuire il lavoro di French e Ojeda, tutt'altro, l'effetto ottenuto, cioè essere diretti, è infatti proprio quello che il gruppo voleva, come del resto vale per quasi tutta la loro produzione. La strofa è potenza ed il refrain è magnifico ed assolutamente coinvolgente, intonato con sfrontatezza e fierezza; l'assolo è disadorno, privo di qualsivoglia velleità tecnica, ma è proprio quella la sua forza, non distogliere l'attenzione dalla galoppata portentosa che è questo brano, galoppata che si conclude bruscamente e brillantemente appena dopo l'ultimo ritornello. Con questo mix di Metal e Punk, due generi all'apparenza agli antipodi, uno più potente ed elaborato, più attento alla tecnica esecutiva ed uno più irruento e volutamente sguaiato, sgraziato, i cinque newyorchesi vanno a confezionare un perfetto assalto che annuncia la guerra che stanno per scatenare a danno (o a beneficio, a seconda dei punti di vista) dei nostri padiglioni auricolari. Anche il messaggio espresso tramite le liriche, l'esortazione a combattere per la realizzazione dei propri sogni, di se stessi, è ancora rilevante come in passato e di certo lo sarà per il futuro, perché è universale, nato con l'uomo e che tale resterà finché gli esseri umani cammineranno sulla terra. Il fuoco dell'affermazione che brucia dentro ognuno di noi va alimentato di continuo, bisogna restare focalizzati sui nostri obiettivi con la consapevolezza di poter fare affidamento solo su noi stessi, dobbiamo sempre sentire quella fame che ci spinge ad andare avanti. A posteriori e, ovviamente, a mio modestissimo parere, la title-track sarebbe potuta essere distribuita anche in versione 7".

We're Not Gonna Take It

Segue "We're Not Gonna Take It" (Non lo accetteremo), brano caciarone a cui il gruppo deve probabilmente la gran parte del proprio successo insieme a qualche altro, uno per cui i loro faccioni colorati divennero ben noti ai teenager del periodo. E' sempre la saltellante batteria a farsi sentire per prima condita con cowbell in bella mostra, un ritmo su cui subito Dee Snider si inserisce cantando quello che si ripeterà nel corso del brano come ritornello. Con una progressione discendente arrivano anche basso e chitarre (queste ultime in power chords) che ci guidano fino a quella che sarà la linea melodica della strofa, non eccessivamente elaborata, ma di sicura presa. Le chitarre che qui sono in palm muting si liberano nel refrain in cui vanno a ripescare schemi tipici del Rock'n'Roll prima maniera. Per quanto riguarda proprio il refrain, è del tipo che è lecito aspettarsi da un gruppo del genere: di quelli da cantare a squarciagola, quasi urlati. E' un'impostazione che prosegue senza intoppi fino alla sezione dedicata all'assolo di chitarra e qui siamo in presenza di quella che, con le dovute cautele, potremmo definire il punto più debole del brano, dato che la chitarra, nella persona di Eddie "Fingers" Ojeda non altro che limitarsi a ripetere la melodia del chorus, gradevole senza dubbio, ma niente di originale; è bello comunque come viene armonizzato. Ciò che segue è di nuovo il ritornello, ma eseguito con solo batteria e voce (quelle di tutto il gruppo), ma come lo si eseguirebbe in sede live, coinvolgendo il pubblico; poi di nuovo con tutti gli strumenti fino alla conclusione sfumata del brano. Parlare ancora del messaggio del brano sarebbe superfluo, limitiamoci a dire che musica e parole sono ormai assurte a simbolo e grido di ribellione al di fuori non solo del giro del Suono Duro, ma anche della musica in generale, venendo intonata anche in occasione di battaglie politiche e rivendicazione di diritti civili e libertà, come ad esempio successe qualche anno fa in occasione di una manifestazione pro-choice in materia di aborto.

Burn in Hell

Dopo la leggerezza ed il divertimento (ed i toni più scanzonati, anche se con inequivocabile messaggio), è il momento della "malignità" con la terza traccia "Burn In Hell" (Brucia All'Inferno). La partenza è lenta e solenne e presenta tutti gli stilemi del Metal ottantiano, vale a dire intro con accordi che tessono una trama sonora tutt'altro che benevola, completata da un breve e limpido fraseggio di chitarra di una semplicità tale che ne costituisce l'hook irresistibile. Ciò che possiamo ascoltare ha il sapore di una banda da esercito che intona una marcia di guerra. Snider declama, mentre in sottofondo possiamo ascoltare delle urla che sembrano arrivare direttamente dal Regno degli Inferi, le prime parole del suo messaggio che si traducono in una parte a metà fra il cantato ed il narrato, a completezza della linea melodica che continua inesorabile. Potrebbe sembrare un heavy slow bello ed interessante, ma la band ha un altro disegno in mente: questa breve sezione viene infatti sopraffatta dalla successiva che decisa preme sull'acceleratore ed aumenta la velocità ed il furore, annunciata dalle parole "You're gonna burn in hell". Il cambio di ritmo è repentino e potente, ancora una volta guidato dal drumming potente di Pero che stabilisce la marcia a cui gli altri non possono fare altro che adeguarsi. Il gruppo corre veloce verso il refrain (bella la breve frase della sei corde che lo precede) che completa l'opera della strofa nel catturare l'ascoltatore; quello che seguirà poi la seconda strofa se ne differenzierà leggermente per il fatto che in risposta al cantato di Snider delle voci in coro fanno da supporto alla linea melodica del brano, quasi ricalcando gli accordi delle chitarre. Gli assoli che seguono si inseriscono nel solco della lezione insegnata da combi storici del suono proveniente dalla terra d'Albione, con un duellare delle sei corde, un continuo passarsi la palla fra French e Ojeda per vedere chi dei due mieterà più vittime, ovviamente inteso nel senso di irretire i fans con la forza delle note. a fine duello segue una sorta di break con solo voce (che ripete il refrain a voce più bassa), batteria e basso e, per quanto riguarda quest'ultimo, ora che lo si sente più chiaramente ci possiamo rendere conto meglio di quanto sia pulsante e potente, ma è un attimo perché il gruppo torna subito a darsi da fare con distorsione e volume più alto, sempre scandendo il ritornello fino a concludere la traccia sfumandola. Ennesima prova da grande commediante e narratore di Snider che qui recita la parte del Demonio che irretisce le sue vittime e le attira nel suo mondo fatti di fuoco e fiamme. Lui stesso è arrivato lì dopo una vita passata fra mille peripezie scelte sbagliate, per aver vissuto al limite per anni, ma adesso quello è il suo mondo, il posto ideale, lui sa come non farsi bruciare dalle fiamme che li si levano incessantemente nel corso dei secoli. Invita le sue vittime ad entrare perché è facile, basta pagare un solo biglietto di ingresso (il cui prezzo salato si rivelerà solo in futuro) e poi lasciarsi andare. Lì, in quel momento, si decide il destino di coloro che si lasciano convincere che è, ovviamente, bruciare all'inferno. In rete trovate il brano in due versioni, quella studio ed una extended, perché usata per un videoclip in cui si alternano scene che vedono i nostri suonare per strada e scene del film Pee-wee's Big Adventure del 1985, diretto da Tim Burton, che vede come protagonista Pee-wee Herman, personaggio creato ed interpretato dall'attore Paul Reubens, che attraversa gli States in cerca della sua super accessoriata bicicletta, rubata dal vicino di casa e rivale Francis Buxton, interpretato da Mark Douglas Holton. Curiosamente il film fu descritto come una parodia, una versione farsesca, del film "Ladri Di Biciclette", capolavoro di Vittorio De Sica.

Horror Teria: Captain Howdy and Street Justice

"Horror-Teria (The Beginning), divisa in due parti, a) Captain Howdy (Il Capitano Howdy) e b) Street Justice (...), ci offre (o meglio, offriva all'epoca) un primo assaggio della versatilità di una band giudicata troppo superficialmente ponendo l'attenzione su altri aspetti che non avrebbero dovuto essere i principali da prendere in considerazione, ma il gruppo in quel senso ci mise comunque del suo. Una strana sirena annuncia il brano che attacca subito lento ed insidioso, una linea melodica catramosa ed ossessiva, rigida nel ritmo,che fa da perfetta base per un primo fraseggio di chitarra, appena accennato, che consiste in un accenno di tipico pattern blues seguito da una nota lasciata suonare a lungo. E' su questo impianto che Snider si inserisce risultando quasi strafottente alle nostre orecchie nel fare la sua parte mentre sotto il suo cantato il tema passa da meno rigido, meno "stiff", a più ritmato, giusto per una piccola frazione di tempo per tornare subito alla modalità precedente su cui i nostri intonano ora il refrain con voci che sembrano provenire da persone in preda ad una sorta di allucinazione tanto sembrano prive di volontà propria; poi si riprende come niente fosse con la stessa progressione e lo stesso passaggio strofa-ritornello al termine del quale, però, un breve ed incisivo assolo di chitarra si prende per un attimo la scena, diviso fra una parte tutta bending e svisate blueseggianti ed una bellissima scaletta discendente che va a ripescare un po' dai sapori che Kirk Hammett ci ha fatto ascoltare in alcune sezioni di "The Call Of Ktulu", non certo una scopiazzatura (anche perché "Stay Hungry" precede "Ride The Lightning" in quanto a data di pubblicazione), quanto piuttosto una scelta potremmo dire "obbligata", che ben si sposa col mood del brano. Quando il brano riprende il suo cammino si può ascoltare una voce narrante che apporta al tutto un pizzico di cupezza che presto restituisce la scena a strofa e ritornello, con il chorus ipnotico che sfuma lentamente e da quel punto si allaccia direttamente alla parte B della traccia, che con chitarre in crunchy tone comincia a delinearsi poco per volta, su cui la voce entra immediatamente, lasciando da parte le tipiche intro più o meno lunghe (a seconda del caso) del genere. La scelta del livello di distorsione è appropriata al modo in cui la trama è strutturata, in quanto pensata per edificare un crescendo che carica la tensione come una molla che viene portata al livello massimo di compressione per essere poi rilasciata e liberare la sua potenza. E' proprio quello che succede dall'inizio di "Street Justice", ma poi l'ingresso di basso e batteria comincia ad aggiungere una dose di dinamismo ritmico, elemento che con le chitarre iniziali va a costruire un bel discorso che trova sbocco direttamente nel refrain in cui la tensione di prima viene abbandonata, la linea melodica raggiunge egregiamente lo scopo di invadere il corpo degli ascoltatori e catturarli definitivamente, costringendoli a dimenarsi a ritmo della musica. Snider guida sicuro la sua ciurma che sotto la sua direzione divora letteralmente lo spartito fino a giungere al bel refrain, catchy come sempre, intonato con quella sicurezza di chi sa che ha tutta l'attenzione concentrata su di se, è facile infatti immaginare che nessuno potrebbe resistere alla tentazione di fare eco con la propria voce a quelle dei membri del gruppo. Per un brano che si è sviluppato in questo modo, con questa bella e limpida progressione, l'assolo di chitarra non può non essere fiammeggiante ed infatti le dita di Ojeda corrono agili sul manico della sua sei corde, dando fuoco alle polveri già accese nelle fasi precedenti, offrendoci una versione accelerata dei pattern blues, molto adatto alla bisogna. Il tempo di ripetere per l'ultima volta strofa e ritornello e si giunge alle battute finali, con il chorus intonato più e più volte e la chitarra solista che si scatena per l'ultima volta sottolineandone l'impeto e poi il tutto sfuma, lasciandoci ascoltare come ultima cosa delle voci concitate chiara immagine di disordini per strada. Un brano che, dati il titolo, la durata e la divisione in due parti, potrebbe far pensare a qualcosa di più "progressivo", almeno nella struttura, ma così non è; trattasi infatti di due brani quasi del tutto distinti che però si amalgamano efficacemente e vanno a costituire, come dicevo più su, un primo tentativo di sperimentazione che devia un po' dalla canonica impostazione del gruppo. Dedicato a Stephen King, il brano sarà la base su cui verrà realizzato il film "Strangeland" del 1988, nato da un'idea del cantante che voleva essere il nuovo Freddy Krueger (si segnala la presenza di Robert Englund nel cast), diretto da John Pieplow e scritto dallo stesso Dee, che reciterà la parte di un sadico che si fa chiamare Captain Howdy appunto, che adesca adolescenti su Internet per eseguire su di essi esperimenti di modificazioni corporee. Il vocalist affermò qualche hanno più tardi, in un'intervista del 1999, che faceva uno strano effetto andare al cinema e vedere se stesso sullo schermo.

I Wanna Rock

Dici "I wanna rock" (Io voglio spaccare) ed immediatamente diventa chiaro cosa sta per succedere: una festa, un'esplosione di gioia, entusiasmo ed energia. Altro episodio a cui il combo di New York deve molto in termini di successo esposizione e notorietà, qualcuno anche in royalties. Il suo ruggito iniziale non è affievolito di una virgola da allora, dovuto certamente al fatto che ci sarà sempre qualcuno che sentirà il bisogno di rivoltarsi contro qualcun altro, chiunque esso sia, i genitori, la scuola, la società, ogni entità che ha la caratteristica di essere un'istituzione. Quell'essere essenziale e diretto è ciò che ha garantito la longevità del brano, proprio come accaduto per il "gemello" "We're Not Gonna Take It". Come sempre è il basso dell'abile Mendoza a costituire il saldo punto d'appoggio di tutta la canzone con il suo ritmo pulsante, su cui le chitarre si inseriscono per sottolineare determinati punti, e A. J. Pero mette da parte le sue doti tecniche limitandosi a tenere un semplice ritmo che più si adatta alla canzone. Snider è comunque l'elemento più in evidenza ed in alcuni frangenti le parole che compongono il testo sembrano uno scioglilingua per il modo in cui le comprime tutte insieme dentro la battuta. Il tutto procede senza intoppi fino al refrain da cantare sempre a squarciagola, concepito per essere eseguito in modalità botta e risposta con il pubblico. Quando si arriva a questo punto per la seconda volta c'è un piccolo cambiamento, nel senso che a quella che è concepita come la parte di maggior interazione con i fans viene lasciato maggiore spazio con continui incitamenti a rispondere al singer. Anche qui spiegare per l'ennesima volta cosa Dee e soci volessero dire a chi li ascoltava sarebbe superfluo, è ormai arcinoto, non possiamo che osservare ancora una volta come il significato non sia affatto cambiato.

The Price

In un platter che fa della velocità e della potenza i suoi punti di forza, l'unica power ballad presente, "The price" (Il prezzo), ci consente di respirare un attimo e rilassarci, magari stringendo fra le braccia la nostra dolce metà. Non era in fondo quello uno dei motivi principali per cui quel tipo di lenti vennero creati!? Certo, uno degli altri nomi con cui venivano indicate, vale a dire canzoni "strappa-mutande", non era certo il più elegante, ma va bene lo stesso, in fondo è anche quello lo specchio di un'epoca che aveva una ben precisa direzione in cui muoversi e dei modi per procedere in ciò. Sobria rullata di batteria ed il pezzo può partire in tutto il suo splendore, con chitarra ritmica e basso che ne costituiscono l'ossatura mentre la seconda chitarra ci fa omaggio di un fraseggio assolutamente melodico e dai suoni perfetti. Anche l'arpeggio che segue, e su cui entra la voce, è di quelli che già allora si stavano affermando come tipici di questo tipo di proposta più delicata e romantica, ed infatti il leggero effetto chorus cominciava ad essere massicciamente utilizzato già a quei tempi. Snider con grande passione e con una dolcezza che sarebbe stato quasi impensabile aspettarsi da lui basandosi su tutto ciò che ha preceduto questo lento. Nella seconda parte della strofa e nel refrain fa ingresso in tutto il suo splendore l'elemento che ha consentito di categorizzare le ballads Metal come power, vale a dire una distorsione bella presente, ma non invasiva che ne enfatizza il messaggio. L'assolo, nella sua semplicità, è un autentico capolavoro: la scala con cui Ojeda esordisce, il modo in cui cioè la esegue, farebbero pensare a un qualcosa di leggermente più rapido, ma poi si adagia sul tempo scandito dagli altri e riprende la melodia del ritornello per poi spiegare le ali e volare su una linea tutta sua; una prova che è il colpo di grazia per far sgorgare la passione nei cuori degli appassionati e le loro fanciulle. Il finale è da copione, la tipica conclusione sfumata. Come per la gran parte delle ballads i toni sono dimessi e si parla di qualcosa di molto diverso dal divertimento, si parla qui di un qualcosa di non facile interpretazione, non ci sono nomi o qualcosa che faccia riferimento ad una persona ben precisa, oltre il narratore, ma è presumibile che si tratti di questioni di cuore. Un amore che si è sognato a lungo, che si è voluto con tutte le proprie forze, ma che proprio nel momento in cui si avvicina già dà l'impressione di essere un qualcosa di sfuggente, qualcosa di molto diverso da come lo si era immaginato. Adesso che il sogno si sta per avverare sembra impossibile che le cose stiano andando per una direzione del tutto diversa, al punto tale che ci si chiede valesse davvero la pena lottare, illudersi di arrivare alla meta. E' un gioco che non si può vincere, ci si può forse illudere, la mente umana è spesso vittima di illusioni, di storie immaginate con un diverso svolgimento, ma non è possibile cambiare il destino.

Don't Let Me Down

Mentre le dolci note di "The Price" ci risuonano ancora nelle orecchie (e nel cuore) "Don't Let Me Down" (Non Deludermi) costituisce un piacevole "risveglio", con la sua attitudine tardo Hard settantiano, più orientato verso i brani dei Rainbow della fase "Cappa e Spada" del periodo Dio. Non posso certo dire con certezza che si tratti di un tributo, voluto almeno, più probabilmente spontaneo, date le redici della band ben salde nella musica di quel decennio, non dobbiamo infatti dimenticare che, anche se "Stay Hungry" fu la loro terza pubblicazione ufficiale, stiamo parlando di un gruppo che, seppur in varie incarnazioni, era comunque in giro a farsi le ossa in ogni tipo di locale già da un decennio. Fatte queste considerazioni, non si può certo non notare come il suono in generale rimandi ai seventies, già nell'attacco di batteria e nella scelta degli accordi utilizzati dalle asce, derivanti dalla lezione del Man In Black e mastermind Blackmore, lezione ripresa da una miriade di axemen. La voce di Snider è sofferente, straziante a tratti, sembra proprio che il brano sia particolarmente sentito dal vocalist tanto sembra immedesimarsi nel le parole del testo, forse frutto di una cocente esperienza personale. Tutti insieme i nostri procedono verso il brillante chorus che presto lascia spazio ad un classico metallico duello delle asce fra French ed Ojeda che si imboccano l'un l'altro. Se non dal punto di vista tecnico, lo scambio si segnala per la buona intesa fra i due chitarristi. Si termina nel più canonico dei modi, vale a dire una terza strofa seguita a ruota dal bel refrain sfumato, il congedo di una traccia che sicuramente rende ancora di più dal vivo, in coinvolgimento ed in furore. Cosa non si farebbe per tenersi stretta una donna che si ama? Vediamo qui un uomo, che potrebbe essere uno qualsiasi di noi, fare di tutto per raggiungere un obiettivo che si è imposto di prefiggere da tanto tempo e chiede alla sua donna di avere pazienza, di stare al suo fianco fino a quel giorno di non deluderlo andando via. Il fatto è che, mettendo tanto impegno in quello che fa per realizzare il suo sogno, non si rende subito conto che il primo a mettere da parte amore e condivisione è proprio lui. Accecato dal bagliore di quel traguardo non vede probabilmente la sofferenza e il senso di solitudine di lei. E' una storia che si è ripetuta nel corso dei secoli e che ancora si ripeterà, la classica situazione di chi decide di fare un percorso di vita con una persona dall'agenda degli appuntamenti fitta di appuntamenti che riempiono quasi del tutto la giornata. Solo una grande forza di volontà, la decisione di stare un passo indietro per non ostacolare la corsa dell'altro, può vincere contro tutto ciò.

The Beast

"The Beast" (La Bestia) ci accoglie col suo suono sudicio ed intrigante a base di riff lento e pesante delle chitarre con sapienti colpi ben assestati da basso e batteria che vanno a scandire le battute del brano. Così concepita ricorda in alcuni frangenti il suono dei Maestri Black Sabbath. E' un parere del tutto personale, ma la mia impressione viene rinforzata dal modo in cui la strofa prende il via, vale a dire con un basso incalzante che richiama quello di Butler in "Heaven And Hell". La batteria di Pero si limita a dettare il tempo con pochi fuochi d'artificio prediligendo una direzione che fa della semplicità il suo punto di forza, le chitarre invece intervengono di tanto in tanto durante la strofa, poi la loro partecipazione si fa più frequente, fino a tornare a splendere nel chorus in cui riprendono il lavoro già svolto in fase di introduzione. Quello che più di tutti risalta è il vocalist a cui va riconosciuta la caratteristica di essere un abile narratore e di esprimere potenza anche nei brani più lenti e con toni dimessi; la sua interpretazione è il quid in più che fa fare il salto al brano. Nella seconda strofa la voce è doppiata da un'altra più cupa che si staglia dietro di essa come la minacciosa ombra di un'entità maligna e, dato il testo, la cosa non stupisce, diciamo che è una scelta che si poteva prevedere, che sarebbe stato anzi strano non aver incluso ne brano. Pure il solo, brevissimo e probabilmente il meglio che si potesse pensare per questa canzone, si rifà in una certa misura allo stile del riff maker del Suono Duro, Sua Maestà Tony Iommi", anche se il riferimento è vago, ma sufficiente a rendere certi sapori sonori. Con un testo che devia dalle tematiche tipiche della band, questa volta non si narra di gioventù ribelle che lotta per trovare la propria posizione nel mondo, quella desiderata ed invisa alle regole sociali; qui si danno consigli ai giovani su come mettere al sicuro la propria vita, il bene più prezioso, dalle insidie di questa nostra esistenza sulla terra. Il pericolo è una bestia, descritta nel brano come un felino silenzioso e pericolosissimo, che noi non vediamo, ma che sta lì da qualche parte, in agguato, con i suoi occhi costantemente puntati su di noi, che sta valutando con pazienza il momento più opportuno per saltarci addosso. Il tipo di ritmo, quell'incedere lento, è in grado di evocare le immagini di questa fiera spietata, sembra di vedere ogni singolo movimento del suo corpo: gli occhi sbarrati, le orecchie che si muovono ad ogni più piccoli impercettibile rumore, i muscoli contratti pronti per l'assalto finale. Il consiglio è quello di non fare gli eroi e combattere, ma di non perdere l'occasione di svignarsela appena possibile, perché siamo destinati a soccombere. E' un episodio del disco lento e breve che nei suoi tre minuti scarsi assolve piuttosto bene al compito di fare da tramite alla bella power ballad che lo ha preceduto ed al brano più ritmato e mid tempo che seguirà.

SMF

A chiudere la release "regolare" troviamo "S.M.F.", brano che attinge dal songbook degli AC/DC, e lo si capisce già dall'inizio, con quegli accordi eseguiti con quel groove che avrebbe trovato approvazione dal compianto Malcolm Young, un'autorità quando si tratta di chitarra ritmica che sorregge la struttura della canzone. E' un brano semplice, che va dritto al punto, senza perdersi in giochi "pirotecnici", che poi non è comunque la caratteristica principale dei Twisted Sister, più interessati a far immediatamente breccia nei cuori e nelle menti del proprio pubblico, motivi facilmente memorizzabili. Nel suo non essere veloce e furioso è comunque a suo modo aggressivo e potente e libera una contagiosa energia nel refrain, come da abitudine del combo in questione, pensato ad arte per la sede live. Non e infatti difficile immaginarsi una folla esaltata che lo intona a squarciagola mentre assiste ad uno show dei suoi eroi. Citato uno dei fratelli Young non si può non citare anche l'altro, quello più amato, vale a dire Angus, che ne ricorda lo stile incendiario, basato sul più energico Blues. Dopo questo momento si torna alla strofa, l'ultima, che ci porta direttamente alla fine che arriva secca ed improvvisa, spiazzando un po', perché mi sarei aspettato qualche ripetizione in più dell'ultimo refrain. Poco male però, l'importante è che il brano funzioni e quello appena sentito lo fa alla grande. Il testo si occupa di descrivere gli ascoltatori tipo del Suono Duro, anche se con un particolare focus sui seguaci di Dee e soci, da sempre disposti ad andare contro tutto e tutti e rispondere colpo su colpo ad ogni imposizione che viene da loro giudicata ingiusta e tutt'altro che condivisibile. Sick Mother Fuckers, ecco cosa significa quell'acronimo del titolo, un tributo dovuto a tutti coloro che hanno creduto nella proposta musicale del gruppo, che ne hanno da subito accettato il look esagerato e ne hanno abbracciato senza remore il messaggio, talmente compenetrati gli uni con gli altri fino a diventare una delle tante, caratteristiche, famiglie dell'Hard'n'Heavy.

Never Say Never (2001 re-recordings)

La prima delle sette bonus tracks, "Never Say Never" (Mai dire mai), è una bordata metallica veloce e scintillante come lucido acciaio che parte direttamente a 100 km all'ora. La batteria è il solito affidabile motore, coadiuvato dal basso con il quale costituisce ormai un tandem perfettamente rodato ed affidabile, mentre le chitarre si esprimono potenti con alternanza fra veloci palm muting, che tanto ci danno in termini di potenza, e power chords lasciati suonare un po' più a lungo lì dove serve. Il singer è aggressivo ed esegue deciso la sua parte, sempre saldamente alla guida di una band che sa di avere alle spalle un passato importante, di aver ispirato anche gruppi più estremi e qui si capisce bene il perché. I nostri procedono spediti ed implacabili come squali, macinando terreno e percorrendo con furore le tappe che guidano attraverso le canoniche strofa-ritornello-strofa-ritornello che compongono l'ossatura della più classica forma-canzone, ed è nel chorus che emerge il lato più catchy ed in una certa misura epico. In una traccia così veloce l'assolo non può che adeguarsi ed infatti è perfetta costola di uno scheletro ben assemblato. Esordisce con una nota tirata che sa di lamento, ma è solo l'impressione di un attimo perché, nel breve volgere di pochissimi secondi, le dita del chitarrista danno fuoco alle polveri si producono in energiche scale che sembrano piuttosto proiettili sparati da una mitragliatrice; anche il suono è più limpido che in passato, frutto di una produzione indubbiamente migliore. Neanche il tempo di metabolizzare la sezione solista che subito il chorus si riaggancia e riprende il discorso interrotto poco prima, lasciandoci poi di nuovo ad un'altra strofa con relativo refrain, quello finale, che chiude ottimamente il brano. Il messaggio qui è semplice: non perdere tempo ed energie con chi non merita la nostra attenzione. Quando si cade nell'errore di dare importanza a chi non ne è affatto degno, c'è un qualcosa dentro di noi, che credevamo scomparso, ma che invece era semplicemente sopito, che si risveglia, torna a galla e ci scuote riportandoci alla determinazione di un tempo. Essa è l'amico a cui fai ricorso quando avverti il timore di entrare da solo in un luogo pieno di gente sconosciuta, la spalla su cui appoggiarti e stare in piedi, resistere trovare la determinazione di andare avanti. Parole e musica si compenetrano, in quanto l'ultima apporta quell'irruenza ed energia che il testo vuole evocare.

Blastin' Fast and Loud (2001 re-recordings)

Arriviamo a quella che, parere del tutto personale, una delle tracce più belle di tutto il platter, vale a dire "Blastin' Fast & Loud" (Esplodendo Velocemente e Rumorosamente). Lo start è perentorio, non esageratamente veloce, ma energico al punto giusto. La batteria è contenuta, le chitarre giocano con l'alternanza fra ritmica più serrata su corda singola stoppata e sporadici stop in cui lasciano suonare l'accordo, sempre nel nome del power, il basso è tellurico. E' bellissima la progressione con cui sia arriva dall'inizio leggermente più serrato e di tensione alla strofa, in cui il ritmo serrato di cui prima si stempera andando a tradursi in una ritmica più saltellante e dai toni più baldanzosi. Il vecchio Dee esordisce da par suo, deciso ed istrionico come sempre, quasi danzando sulla ritmica che lo supporta, in particolare in alcuni punti in cui in cui gli strumenti ricalcano la sua linea melodica. Senza che ce ne rendiamo conto arriva il chorus, quasi improvviso, data la mancanza di un seppur lieve cambiamento nella melodia che lo possa annunciare in maniera esplicita, ed è di quelli caratteristici dei nostri, vale adire assolutamente irresistibile e con le asce in modalità accordo pieno lasciato suonare libero e fiero. Un autentico godimento. Una piacevole ed azzeccata variazione arriva nella parte dell'assolo che si esprime con tutti i crismi dei patterns del blues, questo mentre la ritmica sotto la sei corde solista va a ripescare i sapori del Rock'n'Roll della prima ora, quello del primo ruggito di rivolta che ha dato il primo imput per il genere; soprattutto il basso richiama alla mente ed alle orecchie il classico giro dei '50 ed anche l'assolo ne ricalca in qualche modo l'atmosfera. Poi si torna alla progressione della strofa e ritornello che ci accompagna alla secca fine, lasciandoci soddisfatti e carichi di energia. Ancora una tematica riguardante il successo (quasi) guadagnato col duro lavoro e con seria dedizione ed a ragione, visto che il brano in questione era presente sul demo di "Stay Hungry", ma poi non incluso nella versione definitiva. Il periodo era probabilmente pervaso da un'atmosfera di eccitazione perché c'era forse la sensazione che qualcosa di grosso stesse per nascere; il gruppo era infatti reduce da una serie di azzeccate mosse, rappresentate dai dischi precedenti, che lo vedeva fiducioso nel continuare per quella strada, in quanto nel bel mezzo di una serie di successi che nessuno poteva più negare. Il combo aveva dovuto affrontare tutta una serie di dure prove che erano sembrate una sorta di viaggio all'inferno, ma stava ora puntando dritto al successo ponendosi come il punto di riferimento della loro categoria. Avevano avuto la loro chance, avevano fatto le scelte giuste, si erano mossi con sicurezza ed a quel punto dovevano semplicemente fare in modo che la loro mossa successiva fosse la giusta combinazione per raggiungere il loro traguardo. Quella mossa si sarebbe concretizzata nel loro terzo full-lenght, quello che avrebbe raggiunto il successo, stavano infatti esplodendo, velocemente e rumorosamente. Una traccia che brilla fra le altre!

Come Back

La potenza ed il Metallo sono protagonisti anche nell'episodio che segue a ruota, la granitica "Come Back" (Torna indietro), la prima delle quattro tracce incluse nel disco facenti parte di materiale nuovo di zecca in quel 2004 ormai lontano già quasi due decadi. Gli strumenti esordiscono tutti insieme, un colpo che sembra sparato da un cannone. L'immagine che evocano alla mente potrebbe essere proprio quella, in quanto il gruppo lascia tutto in mano al sustain per una dozzina di secondi, come se seguissimo il volo del colpo di cannone fino al bersaglio ed al "One, two, three!" del singer, che dà avvio alla corsa, è come se quel bersaglio, cioè noi, sia stato raggiunto e colpito in pieno. L'assalto comincia nel migliore dei modi, il suono è compatto, quello delle chitarre è grasso, tipico delle produzioni del tempo, a differenza di quello che dominava negli anni '80. Quello che si fa notare è il basso di "The Animal" Mendoza, che divide equamente il suo lavoro fra parti in cui scalpita all'unisono con le sei corde a gustosissimi e magistralmente musicali giri che arricchiscono e valorizzano il sound, specie in alcuni punti del brano, un atteggiamento teso a far capire a tutti che il basso non è affatto uno strumento secondario, come alcuni pensano. Dee cavalca il suono potente del brano con la sua consolidata attitudine che lo fa muovere a suo agio nei vari contesti, meglio ancora se in quelli più tirati come questo, ponendosi quale istrione e salda guida al tempo stesso, intonando le strofe ed i poderosi chorus con polmoni d'acciaio. L'assolo che scaturisce da un tale arrembaggio è l'attacco finale, chiaro e veloce, rientrante a pieno nelle coordinate del genere e del gruppo, ricordiamo che qui non siamo in presenza di c.d. tecnicisti, senza voler con questo togliere qualcosa ad i newyorchesi: scale più scroscianti e bending che abbondano lì dove serve. La sorta di break che segue ha lo scopo di farci prendere un attimo di respiro, dato che ascoltando questo è come correre all'impazzata, tanto è il coinvolgimento, ma il riposo dura poco perché si torna a pestare come prima, sulle stesse sequenze con una chitarra solista chi imperversa dietro il muro ritmico. Tutto va avanti alla perfezione fino allo stop secco che farebbe pensare alla fine, ma non è così, perché quella vera arriva subito dopo, di botto, ed è del tipo che nell'Hard'n'Heavy si sono ascoltate milioni di volte e che altri milioni di volte si ascolteranno. Quanti di noi si sono trovati nella situazione narrata nel testo? Ognuno avrà la sua versione della storia, che è personale ed unica, perché personale ed unica è l'esperienza di ognuno/a di noi nelle relazioni che abbiamo avuto nel corso della nostra vita. Poche o molte, ce n'è sempre una che si distingue dalle altre per intensità, passione, feeling e tutti gli altri elementi che compongono una storia d'amore. Ecco perché quelle parole non suoneranno nuove a nessuno (a meno di non avere un cuore di pietra e piattezza nei sentimenti), anzi, molti si rivedranno in quelle parole. Ci si ritrova spesso a pensare che si sarebbe potuto agire diversamente per non lasciare che tutto finisse, ma a posteriori è sempre facile capire dove si sarebbe dovuti intervenire. Vi posso assicurare che di storie simili ne ho sentite raccontare (e ne ho anche raccontate) ed è sempre sorprendente per certi versi constatare come il tempo vissuto con quella persona così speciale nei nostri ricordi e nel nostro cuore non morirà mai.

Plastic Money

"Plastic Money" (Denaro di plastica) non si discosta granché dal precedente episodio, tanto da dare l'impressione che le due tracce siano nate come una sola e che abbiano successivamente preso vita autonomamente, come due gemelle eterozigote, potremmo dire. Mi rendo conto che nel trattare questo platter, ho più volte osservato, sia per quanto riguarda i brani della release originale, sia per il cd aggiunto a questa riedizione del 2004, l'accostamento al suono di grandi Maestri Hard'n'Hevy che hanno preceduto la Sorella Sconvolta, ma ascoltando la musica contenuta nei solchi di questo lavoro non posso che confermare le mie impressioni. E' in particolare il suono granitico del Sabba Nero dei due album con il grande Ronnie il più forte candidato al ruolo di punto di riferimento. Senza perdersi troppo in sofismi vari, l'attacco è deciso, con le sei corde che ci sbattono subito in faccia un muro costituito da pesanti mattoni sonori e subito esordisce fieramente il vocalist con la sua voce decisa e carismatica, anche se è il basso che dà corpo e colore al suono con i suoi giri armonici che vanno a porsi in contrasto con la linearità del riff di chitarra e della batteria, ma è contrasto per modo di dire, visto che il sound ne guadagna risultando più pieno. L'assolo di chitarra che segue è quanto di più azzeccato in una traccia del genere, veloce ed energico perfettamente in linea con l'impostazione generale, note veloci sciorinate con classe dal chitarrista che infiammano i tasti del suo strumento su cui si muove agile andando su e giù sfruttando più che può le sfumature che la tastiera di una chitarra ha da offrire, un solo ben integrato nella ritmica che si dà da fare in sottofondo, bello quel tanto in più nel finale, quando possiamo sentire un'altra sei corde che interviene per una breve armonia in aggiunta. La marcia riprende per l'ultima volta sempre decisa fino a terminare con un altro assolo sempre in testa al ritmo di base. Un brano perfetto in tutto, strofa ritornello, sezione solista. Argomento sempre attuale, divenuto sempre più pressante negli ultimi tempi, qui le liriche sembrano fare riferimento al potere che il denaro esercita sugli individui, in forma di tessera. Plastic money, infatti, altro non è che un diverso modo di indicare la carta di credito, questo piccolo oggetto, ma dal grande peso che sembra avere un ruolo centrale nella vita di tutti i giorni. i Twisted Sister osservano come siamo valutati in termini di cifra decimale, una scala di valori che dice già molto di noi, a partire dal nostro status e di conseguenza i sorrisi (anche se di circostanza) o meno con cui siamo accolti in determinati ambienti. E' attuale il tema perché si sta spingendo sempre più verso una digitalizzazione dei movimenti di denaro, tutti i movimenti, anche i più insignificanti e la minaccia, che alcuni paventano, che dall'oggi al domani, per una banale battuta di venti anni prima, ma giudicata offensiva oggi, il nostro potere di acquistare,anche la più piccola delle compere, potrebbe venir meno per punizione. Una totale forma di controllo.

You Know I Cry

Con un titolo del genere, "You Know I Cry" (Sai che piango), il successivo brano potrebbe far pensare ad una power ballad di quelle tristi e malinconiche. Niente di più sbagliato! La direzione è del tutto opposta, l'inizio lo mette subito in chiaro, aggredendo i nostri padiglioni auricolari senza il minimo segno di concessione zuccherosa, ma non è un male per coloro ai quali la proposta del gruppo è diretta. Come atmosfera generale lo stile rimanda alle cavalcate sonore dei grandi pezzi dei '70, eccezion fatta per la produzione ovviamente; secondo me il pezzo potrebbe essere un parente di uno dei Rainbow della Dio-era, quelli più cappa e spada, più epici e meno tendenti all'ingresso nelle posizioni alte delle classifiche più mainstrem. Se le chitarre si occupano di edificare mattone su mattone il muro sonoro che ci piomba addosso, sono il basso e la batteria che trasmettono il senso di galoppata ed il fu A. J. Pero risulta assolutamente devastante in questo, offrendoci un drumming potente ed allo stesso tempo elegante, prerogativa dei grandi. Strofa e ritornello sembrano essere un tutt'uno in quanto scorrono lisci uno dopo l'altro, spezzati da un breve fraseggio armonizzato delle asce, in cui più di prima si assapora il lato settantiano. Dopo la ripetizione della sequenza strofa-chorus il secondo fraseggio lancia direttamente l'assolo che sprizza fiamme ed energia cavalcando la forte ritmica che gli fa da base, aumentando gradualmente l'intensità nello svolgimento e terminando con lo stesso fraseggio armonizzato da cui è scaturito. Come un carro da guerra trainato da poderosi stalloni, il brano prosegue riprendendo con la ritmica da dove aveva lasciato, portandoci direttamente verso la fine. Perdere qualcuno a cui teniamo molto perché ha deciso di andarsene, sin particolare una persona amata, la propria dolce metà, è sempre dura, ed è proprio questa la situazione di cui canta Snider, guardare impotente la donna che è stata al suo fianco che gli da le spalle e se ne va, perché ha deciso di voltare pagina. A niente serve che l'uomo le ricordi dei bei momenti, degli anni passati insieme, fianco a fianco, dirle che con lei vicina le cose sono sempre andate meglio, che la sua presenza nella sua vita ha avuto un effetto benefico su di lui. Non può lasciarla andare, vorrebbe trattenerla, l'ultima cosa che vuole vedere è l'immagine di lei che varca la soglia di casa per uscire definitivamente dalla sua vita.

Rock 'n' Roll Saviors

"Rock'n'Roll Saviours" (I Salvatori del Rock'n'Roll) inizia con una ritmica che sale gradualmente, un po' alla maniera di "Children Of The Grave" dei Maestri Black Sabbath. Nello svolgimento cambia, ma come tipo di brano le similitudini ci sono, se non altro nel senso che anche questo della Sorella Sconvolta è un monolite, un imponente blocco di granito che avanza micidiale senza fermarsi davanti a niente. Ovviamente il cantato di Snider è totalmente diverso da quello del Madman, troppo caratteristico e personale, così come da quello del compianto Ronnie. Adattandosi al mood della canzone, la voce risulta impostata su registri leggermente più bassi, un po' più caldi. Frenc e Ojeda massacrano il Mi basso del loro strumento, con un palm muting decisamente pesante, al punto che il sospetto è che abbiano ribassato l'accordatura. Le corde spesse del basso si fanno sentire prepotenti mentre la batteria si limita ad un ritmo non pirotecnico, ma sicuro della direzione in cui muoversi. Non si può resistere a tanta grazia ed infatti si viene risucchiati nelle trame di questo brano che nel refrain è come se ti afferrasse e ti trascinasse fra i solchi del vinile. Il lavoro ritmico delle chitarre è impeccabile, si muovono all'unisono, in perfetta simbiosi. Si proclamano addirittura i Salvatori del Rock'n'Roll i cinque in questa traccia, che ingaggiano battaglia contro la Disco Music, vista come il nemico che pensa di aver sopraffatto il Rock. Il riferimento è alle tendenze dei '70, quando la Disco spopolava e sembrava aver oscurato la stella del genere musicale prediletto dei Twisted Sister e di tutti quelli che come loro credono nel sacro suono. Erano vari i generi che circondavano la musica dura in quel periodo, non solo disco, ma quella era sicuramente una delle più insidiose che aveva già fatto molti proseliti ed altri stava continuando a farne, togliendo pubblico a chi era venuto prima; sembra che addirittura degli insospettabili Manowar, prima di formare il gruppo per cui tutti li conosciamo, fossero stati ammaliati dalla Disco, tanto da formare una band in linea con il suono e l'immagine di un qualsiasi locale frequentato da Tony Manero. Come ho già detto altre volte, pochi generi, se non addirittura nessun altro, sono caratterizzati da un'unione così forte, una fede incrollabile che fa di musicisti Metal ed i loro fans una enorme famiglia, che sembra avere codici di comportamento, segni e modi di comunicare così distintivi che sono gli stessi in ogni Paese della tera, una caratteristica riconosciuta da molti all'infuori del genere, stupiti di fronte a tale partecipazione, soprattutto nei live shows. Non stupisce quindi un testo come questo in cui una band dichiara di lottare per il Suono in cui crede. Il "nemico", come dicevo, è la Disco Music, dal momento che la canzone risale alla preistoria del gruppo, in un periodo di tempo che va dalla fine degli anni 70 all'inizio degli 80' e inclusa nella compilation "Club Daze Volume 1: The Studio Sessions" del 1999.

Heroes are Hard to Find

Si cambia decisamente registro con la traccia di chiusura, "Heroes Are Hard To Find" (Gli eroi Sono Difficili Da Trovare), che ci permette di assaporare suoni ed atmosfere più vicini a certo A.O.R. del periodo d'oro, con cori tremendamente melodici e catchy stile Survivor. All'inizio sentiamo la voce di Snider pronunciare le parole che compongono il titolo della canzone, una chitarra segue a ruota con un riff ad effetto per poi essere raggiunta dagli altri tre strumenti, dove si impone il lavoro diviso con l'altra sei corde in termini di armonie che arrivano dritte all'anima di chi ascolta. Nella strofa il cantato è accompagnato solo da batteria in minimale 4/4 ed il basso che ha la forza di far sintonizzare i battiti dei nostri cuori al suo ritmo e, volenti o nolenti, cominciamo a muovere a tempo un piede per poi partecipare con tutto il corpo. Come nella migliore tradizione del succitato genere, tornano a farsi sentire anche le chitarre, per dare forza alla parte e renderla più ricca dal punto di vista del suono, andando a riprendere nel ritornello il riff iniziale così rotondo e ruffiano e squisitamente cantabile. Proprio nel ritornello ruffiano e rotondo l'accostamento col suono irresistibile dei Maestri di Chicago si fa ancora più intensa, anche lo stile della chitarra si scolpisce perfettamente nel grande libro della melodia tramandatoci dai lavori dei gruppi ormai leggendari, un suono che facilmente scalava le classifiche per raggiungerne le vette più alte in quasi tutto il mondo. Non c'è un attimo di questa traccia che non sia di assoluto valore, è perfetta nel suo concepimento e nell'equilibrio che ogni membro della band offre nell'esecuzione. Per un episodio che ne richiama così fortemente altri dal passato, anche il finale non può che seguire la stessa linea e concludersi sfumando con la ripetizione ad oltranza del refrain che continuiamo a canticchiare anche quando ormai dalle casse dello stereo non viene più fuori musica.

Conclusioni

"Del passato ho solo un grande cruccio: che i Twisted Sister siano usciti di scena con un colpo a salve!". Ho iniziato la trattazione dell'introduzione di questa monografia con delle parole di Snider, faccio lo stesso con le conclusioni, riportando altre parole, sempre del vocalist. Come tutti sappiamo, dopo "Stay Hungry", con i due album successivi, "Come Out And Play" (complici anche scelte sbagliate riguardanti singoli) e soprattutto "Love Is For Suckers", la stella dei Twisted Sister cominciò ad oscurarsi rapidamente ed inesorabilmente. Le ragioni, oltre a quelle che ho accennato appena un po' più su, furono diverse e comprendevano, fra le altre, fine della fase adolescenziale dei fans, nuove mode che incombevano e voglia di ascoltare qualcosa di più complesso, come i cosiddetti tecnicisti che cominciavano a spuntare un po' ovunque numerosissimi; il riferimento è alla rivoluzione in ambito chitarristico inevitabile dopo il debutto di buon successo di Yngwie J. Malmsteen, che costrinse un po' tutti ad alzare l'asticella delle capacità tecniche e spingersi oltre i limiti dello strumento, ma anche al suono sofisticato di gruppi Prog che sarebbero poi esplosi definitivamente qualche anno più tardi con i Dream Theater, senza dimenticare la forza distruttrice del Thrash. Il gruppo cominciò a perdere pezzi ed ispirazione ed all'indomani della pubblicazione di "Love..."arrivò lo scioglimento. Come se la siano passata i membri del gruppo l'abbiamo già detto, un netto cambiamento rispetto allo stile di vita del periodo d'oro, che ancora Snider racconta così: " Negli anni '80 ero seduto nella piscina della mia villa da un milione di dollari, il mio portafoglio straripava ed ero lì che pensavo a cosa scrivere nella mia prossima canzone sulla rabbia giovanile. Non potevo più cantare che 'ce la faremo', che 'non lo accetteremo', che 'vogliamo il Rock': ce l'avevo fatta, non avevo accettato imposizioni e l'avevo avuta vinta io, facendo Rock, non rimaneva più nulla. Certo, poi continui a scrivere lo stesso e magari sono anche buone canzoni, come nel caso dei Desperado o dei Widowmaker, ma ciò che ha portato me ed i Twisted Sister in alto sono stati il fuoco, la frustrazione e il messaggio della nostra musica. Il momento i cui mi piace ascoltare i gruppi è quello in cui sentono di non avere nulla da perdere, di poter spazzare via chiunque e qualunque cosa si intrometta sulla loro strada!". Proprio quel fuoco di cui avevano cantato più volte nelle loro canzoni nacque, che era solo momentaneamente sopito, si accese di nuovo e portò alla reunion, con tanto di trucco, proprio come ai vecchi tempi, con il repertorio più amato ed esibizioni anche più travolgenti che in passato. Uno dei frutti della rimessa in moto del gruppo fu appunto registrare di nuovo il loro capolavoro sul cui valore le impressioni non possono che essere positive: lo erano all'epoca della pubblicazione di "Stay Hungry", lo erano vent'anni più tardi, quando uscì questa nuova edizione estesa, lo sono oggi che le decadi passate dalla creazione della musica in esso contenuta son quasi quattro. Sono numeri da non sottovalutare affatto. Devo essere sincero ed ammettere che, fatta eccezione per i soliti brani e qualche altro, non conoscevo poi molto questo combo prima di occuparmene per l'analisi dei suoi lavori, ma l'impressione che ho ricavato soprattutto da "Still Hungry" è che questo quintetto sia stato giudicato principalmente per aspetti che non gli rendono giustizia e per brani che a conti fatti perdono decisamente il confronto con altri. Il platter è pieno di ottime canzoni e se nel 1984 fosse dipeso da me, ne avrei scelte ben altre come singolo, ma probabilmente questo mio modo di pensare dipende dal fatto che non ho vissuto quell'epoca e, anche avendo ascoltato i racconti dei protagonisti di quella stagione, non ho la piena sensibilità di sapere oggi cosa fosse buono o meno allora. Ribadisco però che tutte le tracce sono valide ed anche quelle bonus sono all'altezza delle altre, a dimostrazione che le idee della Sorella Stravolta erano buone già nei seventhies e lo erano anche dopo, nei fine novanta ed inizio del nuovo millennio. Un platter che ha retto dignitosamente bene all'urto degli anni che sono passati.

1) Stay Hungry
2) We're Not Gonna Take It
3) Burn in Hell
4) Horror Teria: Captain Howdy and Street Justice
5) I Wanna Rock
6) The Price
7) Don't Let Me Down
8) The Beast
9) SMF
10) Never Say Never (2001 re-recordings)
11) Blastin' Fast and Loud (2001 re-recordings)
12) Come Back
13) Plastic Money
14) You Know I Cry
15) Rock 'n' Roll Saviors
16) Heroes are Hard to Find
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