TWISTED SISTER

Stay Hungry

1984 - Atlantic Records

A CURA DI
ANDREA ORTU
21/07/2020
TEMPO DI LETTURA:
8

Introduzione Recensione

Se un ipotetico interlocutore mi chiedesse di riassumere gli anni '80 in un unico modello estetico, narrativo e musicale, potrei tranquillamente allungargli la mia consunta copia di Stay Hungry, il terzo album dei Twisted Sister. Oh, lo so, lo so: gli eighties non sono stati solo glam rock e colori sgargianti. Ci sono stati pure il post punk, l'heavy metal, il thrash, il death, le prime avanguardie black metal, la disco music; in quegli anni, molta della vecchia guardia anni '70, oramai ufficialmente imborghesita, virava verso il più innocuo pop rock, il funk andava a evolversi ulteriormente e Michael Jackson dominava tutto e tutti dall'alto, forte di numeri mai visti prima; nel frattempo, ancora ai margini della scena, iniziavano a farsi strada il rap e l'elettronica. Tuttavia, lo spirito dell'epoca è come pietrificato nell'immaginario collettivo in una grande festa spensierata popolata da un mucchio di capelloni che si drogano, fottono a destra e a manca, suonano vestiti di pelle e lustrini, deviano le giovani menti e si truccano come le donne, eppure sono più virili che mai; un modello che rappresenta la palese evoluzione di quello settantiano, ma verso derive che potremmo definire "allegramente parossistiche". I Twisted Sister, nel 1984, erano tutto questo e altro ancora: sesso, droga, libertà e tanto, tantissimo rock 'n' roll. A loro modo erano unici e irripetibili: troppo grezzi e rumorosi per i modelli estetici del pop, troppo brutti per il glam o l'hair metal, troppo coloriti per l'heavy classico e le sue derive più dure, troppo derivativi per l'hard rock vecchia maniera. I Twisted Sister erano assimilabili solo e unicamente ai Twisted Sister, signori e padroni di un modello estetico tutto loro. Non gli mancava neanche una certa dose d'umana incoerenza, visto che l'aura di ribellione che si portavano appresso era asservita al formato video dettato da una nascente Mtv; per non parlare di una narrazione visiva rubata ai cliché d'innumerevoli film per famiglie, all'attitudine caricaturale, all'assenza di tematiche realmente disturbanti. Ma in fondo, una volta abbandonate non ufficialmente le crociate della beat generation, lo spirito del tempo era divenuto proprio quello: cercare d'ignorare le dita dei leader mondiali a un centimetro dai famigerati pulsanti rossi, guardare dall'altra parte alle prime avvisaglie di future crisi economiche e ambientali, e dedicarsi anima e corpo alla vita e a tutti i suoi piaceri, le sue passioni, le sue istanze più urgenti. E poi, la "ribellione" dei Twisted Sister non era più quella dell'ormai tramontata counter-culture, ideologica e sociale, ma una ribellione adolescenziale che al suo giovane pubblico voleva solamente dire: "affrancati dai tuoi genitori, cresci e diventa un adulto diverso da loro... diventa una persona aperta di mente". In tal senso, anche i Twisted Sister hanno avuto il loro peso e il loro ruolo, sulla grande scacchiera del rock 'n' roll.

"Stay Hungry" veniva annunciato a un solo anno di distanza da "You Can't Stop Rock 'N' Roll", un album che aveva confermato la salda presenza della "Sorella Contorta" sulla scena heavy metal, che era riuscito a vendere un buonissimo numero di copie, e che aveva pure piazzato una manciata di singoli in posizioni più che discrete. Cosa altrettanto importante, il secondo album di French e compagni era stato molto apprezzato da una critica innamorata del loro sound, insieme classico e aperto alle novità, al loro look da "brutti ma vincenti", e pure alle loro tematiche, disimpegnate ma oneste; i Twisted Sister non cercavano di spacciarsi per ciò che non erano, al contrario di tante realtà del variopinto calderone hard rock. I musicisti si presentavano come dei grandi intrattenitori, e il pubblico otteneva esattamente quanto promesso: grande intrattenimento. Comunque, pur senza essere oggettivamente migliore dei predecessori, anzi, semplificando alcune soluzioni stilistiche, "Stay Hungry" rappresenterà la svolta della band e la chiave per una porta dorata che chiamiamo "ricordo". È infatti grazie a quest'album che oggi il grande pubblico si ricorda dei Twisted Sister; è grazie a "Stay Hungry", senza ombra di dubbio, che milioni di ex adolescenti hanno ritagliato un posticino speciale apposta per loro, tra le vecchie nostalgie e i bei ricordi un po' appannati. Un successo che la band deve a una concomitanza di pochi ma determinanti fattori: l'interessamento alla loro musica da parte dei Metallica, all'epoca già dei giganti noti ben al di fuori della metallica nicchia; il duro lavoro dal vivo, culminato in un memorabile tour di grande successo; e infine, l'avvedutezza da parte di Atlantic Records d'intercettare l'importanza del media televisivo, nonché d'un certo modo di promuovere una band nell'era delle immagini. A tutto questo bisogna aggiungere l'intuizione del gruppo di smussare qualche spigolo, di aggiungere melodie accattivanti e pulire un poco la produzione, riuscendo così a conquistare quella parte di pubblico rimasta fino a quel momento indifferente ai loro primi due album. Nonostante tutto la band non rinunciava però ad andare giù pesante quando necessario, né alla grinta e l'energia l'avevano sempre caratterizzata.

"Stay Hungry" usciva finalmente il 10 maggio del 1984, l'anno della distopia di Orwell,  del primo computer Apple, della morte di Enrico Berlinguer e dell'ascesa di Pablo Escobar. Usciva con una copertina semplice e un poco non-sense, con Dee Snider accovacciato in un angolo mentre tiene in mano un osso spolpato, il viso distorto in una smorfia folle e un po' animalesca, come a dire: "questo non mi basta affatto, ho ancora fame!". Il 1984 era pure l'anno di "Jump" dei Van Halen, di "Ghostbusters" di Ray Parker Jr, di "Dancing in the Dark" di Bruce Springsteen e, soprattutto, di "When Doves Cry" di Prince e "What's Love Got to do with It" di Tina Turner; eppure, in mezzo a questi e molti altri giganti di quell'epoca così satura di leggende, i Twister Sister riuscivano comunque a ritagliarsi uno spazio speciale nel cuore di milioni di fans vecchi e nuovi, quasi tutti adolescenti. Quegli stessi adolescenti oggi sono tutti più che adulti, molti sono diventati genitori. Se alcuni di loro sono stati davvero capaci di mantenere aperta la propria mentalità, di essere migliori di quelle generazioni prese causticamente in giro da "Stay Hungry", lo devono un poco anche ai Twisted Sister. E, in particolare, alle nove canzoni di cui andremo subito a parlare.

Stay Hungry

Come da collaudatissima tradizione, il brano d'apertura è anche la title track dell'album. Stay Hungry è un'esortazione traducibile letteralmente "resta affamato", un titolo evocativo e facilmente applicabile a una varietà di contesti in linea con l'immaginario della rock star: rimanere affamati di successo, rimanere affamati di ribellione, rimanere affamati di sesso. Rimanere, ovviamente, affamati di musica. "Stay Hungry" è una mezza corsa dal passo sostenuto, una cavalcata heavy metal vecchio stile, già classica perfino a metà anni '80. Le percussioni di Anthony Jude "A. J." Pero sono quindi fondamentali non solo alla definizione della ritmica, ma anche della personalità e dell'attitudine stesse del brano. Mentre basso e chitarra rimangono pienamente entro righe piuttosto anonime, con un solo di chitarra che neanche ci prova a sorprendere l'ascoltatore (nonostante alcune finezze quasi invisibili), il cantante offre una prova che fa davvero la differenza, e che trasforma un heavy schietto e figlio del rock 'n' roll, molto americano, in un pezzo dai contorni epici che sembra quasi intercettare le più raffinate tendenze europee. Dee Snider, fra le righe del testo, non racconta una storia in particolare, non parla neanche in prima persona o in termini autoreferenziali. Piuttosto, incita il giovane pubblico a mantenere vivo il proprio appetito in ogni senso possibile, a combattere e a non arrendersi, a non mostrare segni di debolezza. Il cantante sceglie le sue parole con una durezza che quasi non t'aspetti, da un gruppo di trentenni dall'atteggiamento alquanto autoironico. Eppure, nonostante non manchi pure d'una certa goliardia, "Stay Hungry" non si rifugia granché nel disimpegno del sarcasmo, anzi: ci racconta che la vita è dura e con durezza va affrontata, che siamo soli, che siamo prede e predatori in un mondo in cui più siamo "affamati", più riusciremo a spuntarla. E così, forse, a sopravvivere. Una chiave di lettura generale e facilmente condivisibile da chiunque, almeno all'apparenza, ma che per i Twisted Sister ha un valore profondamente autobiografico, come scopriremo in seguito.

We're Not Gonna Take It

- What do you want to do with your life?

- I wanna rock!

Ancora come da consolidata tradizione, ad una opener grintosa ma volutamente contenuta, segue il vero pezzo forte dell'opera: We're Not Gonna Take It. Parliamo del biglietto da visita dell'album, dunque di un pezzo già uscito in veste di singolo nell'aprile dell'84, nonché di uno dei tre o quattro brani più rappresentativi dei Twisted Sister, e, in generale, di una delle tracce heavy metal più riconoscibili e amate di tutto il decennio. La notevole fama di "We're Not Gonna Take It" è dovuta a pochi ma decisivi elementi: la grande semplicità compositiva, unita ad una bella prova vocale e strumentale, una struttura complessiva a metà strada tra la filastrocca e l'inno da stadio, capace di stamparsi nella testa di chiunque (volente o nolente), e il videoclip diretto da Marty Callner. Quest'ultimo, trasmesso da una Mtv in rapidissima ascesa e già da un paio d'anni icona del suo tempo, è d'importanza fondamentale: non solo è ben realizzato in termini stilistici e coreografici, ma riesce, con una manciata di dettagli fondamentali, a suggerire pienamente lo spirito e le intenzioni del gruppo americano. Lo sfondo è quello della famigliola medio-borghese americana, padre duro e severo, madre succube, figli che sembrano come lobotomizzati. Uno di questo figli, però, è il classico ribelle in erba, quello con un sogno nel cassetto e una passione per la chitarra elettrica. Ovviamente, il padre lo becca mentre suona alla chitarra il riff di un altro futuro classico dei Twisted: "I Wanna Rock" (prefigurando così l'imminente secondo singolo del gruppo). Al termine di una lavata di capo di quelle d'una volta, schiumando di rabbia, il paparino domanda a suo figlio: "cosa vuoi farne della tua vita??", e quello, citando di nuovo l'altro pezzo-simbolo dell'album, risponde: "voglio fare rock!"; da qui in poi ha inizio una serie di gag in puro stile slapstick, modello "Mamma ho perso l'aereo" o "Piccola Peste". Il figliolo ribelle si trasforma in Dee Snider, e gli altri marmocchi, ben presto "traviati", nei restanti membri dei Twisted Sister, dando inizio al tormento del povero padre di famiglia. La chiave allegorica è tanto elementare quanto geniale. Il protagonista del video in realtà non è né il gruppo, né il marmocchio ribelle, ma suo padre. Il severo e solenne idiota, malmenato e sballottato dappertutto, è interpretato meravigliosamente dall'attore americano Mark Metcalf, già noto per aver impersonato Douglas C. Neidermeyer nel cult movie "Animal House". Il suo personaggio, non a caso, è proprio un'evoluzione dello stesso Neidermeyer, come se l'odioso studentello fosse cresciuto e si fosse sposato, trasformandosi in un altrettanto odioso capofamiglia. Un personaggio che a modo suo sa farsi incredibilmente amare, e che sarà un po' il simbolo delle proteste che colpiranno i Twisted Sister. All'alba dell'era delle immagini, un video così memorabile svolge un ruolo d'importanza fondamentale, ma per i Twisted Sister è la musica che deve rimanere centrale. "We're Not Gonna Take It" gode d'una formula che riesce ad essere insieme melodica e galvanizzante, ruvida e orecchiabile. A fare la differenza è qui soprattutto il basso di Mark "The Animal" Mendoza, anima ritmica d'una melodia che ispira immediatamente gioia ed energia vitale. Il ritornello, coi suoi cori, ha la carica d'uno slogan molto azzeccato, la carica d'un esercito di hooligans. Ogni momento chiave è affidato a questi due elementi, ritmica e ritornello, il resto è puramente ornamentale: perfino l'irrinunciabile solo di chitarra (qui a opera di Ojeda) è posto in secondo piano, mera ripetizione strumentale del refrain, in favore dell'immediatezza del brano. Quanto al testo, non esiste nulla di più semplice, e in certa misura, di più abusato. Perfino nel 1984. Dee Snider canta di ribellione adolescenziale, blandisce la fetta più importante del suo pubblico attraverso un'identità che va formandosi, come sempre, anche attraverso il rigetto del vecchio. Ad ogni banalità imposta dai genitori, il cantante risponde "we're not gonna take it!": "non lo accetteremo!". Il conflitto generazionale, l'ostilità dei figli nei confronti dei genitori, era fisiologicamente parte della controcultura degli anni '60 e '70, ma è solo negli anni '80 che diviene così centrale, forse anche a causa d'uno stallo sulle questioni più concrete (e più serie) portate fino a poco tempo prima avanti da quella stessa controcultura. E così, l'adulto inserito nella società è percepito come un mezzo schiavo, un individuo noioso la cui fatica non ha portato a nulla se non alla reiterazione di errori e schemi antiquati. A tutto questo, il cantante oppone rabbia, senso di libertà e una certa sfacciataggine (anche perché potrebbe quasi essere lui, ormai trentenne, il "cattivo" del video). Nonostante tutto l'ironia, così come l'incapacità di prendersi sul serio della band, salva la faccia a tutti quanti, e la canzone brilla della luce del più vero rock 'n' roll: caustico, ribelle e maledettamente divertente. Il bello di questa canzone, però, non è né la musica, né il video oppure il testo, bensì tutto il casino che ha provocato negli anni '80 e la sua curiosa storia recente. Ma, tutto questo, lo vedremo in seguito.

Burn in Hell

Burn in Hell, letteralmente "brucia all'inferno", cambia le carte in tavola e punta sul piatto un po' di sano heavy metal di quello serio: prima lento e minaccioso, decisamente sabbathiano, poi più rapido, cattivo e affilato. Stavolta, i protagonisti assoluti sono Eddie Ojeda e Jay Jay French. Le due chitarre formano un muro di suono onnipresente che definisce ogni momento di tensione, ogni variazione significativa, ogni accelerazione. Quando, alla risata demoniaca di Snider, il pezzo esplode in tutta la sua reale potenza, sono le sei corde a regalare al diavolo tutto il suo infernale carisma. Anche la sezione ritmica, comunque, è in assoluto stato di grazia, specialmente un assatanato A.J. Pero. Il buon Snider si cala nella parte del Maligno e fa sì che sia lui, a cantare al suo posto, ma senza variare il tono naturale della sua voce - dopotutto, non è ancora il tempo per quel genere di cose. Il testo è semplice, nella sua rappresentazione insieme oscura e sarcastica dell'inferno, o nei modi ironici e velatamente crudeli del "demonio". Il cantante pare solo volerci confondere sull'idiozia della morale comune e condannarci comunque all'inferno, facendosi oltretutto beffe di noi. È possibile, tuttavia, intravedere una seconda lettura insieme soggettiva e culturale, in cui l'inferno è la società contemporanea con i suoi tarli, le ipocrisie, gli insopportabili dogmi morali, mentre il diavolo, ovviamente, è lo stesso Snider, uno che col male ha imparato a flirtare, uno che ha familiarità con le fiamme dell'inferno ma che, nella sua maligna furbizia, ha capito come fare a non scottarsi. Di questo brano esiste anche un video (che sul Tubo trovate alla voce "censored video", ma vi assicuro che non era censurato affatto), ispirato al film cult di Tim Burton "Pee-Wee's Big Adventure", e diretto da Tony Ayala. Sostanzialmente, ad alcune scene del film se ne alternano altre con i Twisted Sister che suonano in mezzo alla strada, come facessero parte della scenografia. Gli abiti dei nostri sembrano ora più sobri, più che altro un po' più "maschi", a rimarcare la maggiore possanza del brano stesso. Dopo il successo di "I'm Not Gonna Take It", l'idea era che il film e il videoclip si "spingessero" a vicenda, e... beh, ha funzionato: i Twisted Sister sarebbero rimasti ancora a lungo sulla cresta dell'onda, mentre il film avrebbe incassato cinque volte le spese di produzione e sarebbe divenuto un piccolo cult (nonostante le recensioni discordanti).

Piccola chicca finale: gli studi di registrazioni newyorkesi in cui la band stava registrando le parti di questa canzone presero fuoco, costringendo i Twisted Sister a finire il lavoro a Los Angeles. Quando si dice "parli del Diavolo".

Horror-Teria (The Beginning)

Snider e soci non fanno mancare davvero nulla, al loro catalogo. La quarta traccia di "Stay Hungry" è una mini-opera rock divisa in due parti: poco meno di otto minuti per quelle che sembrano due canzoni distinte, più che due parti dello stesso pezzo, ma che in fondo descrivono al meglio le due contrastanti anime dei Twisted Sister: quella oscura e settantiana, messa meravigliosamente in evidenza da "Burn in Hell", e quella ottantiana, goliardica e scanzonata, di pezzi come "We're Not Gonna Take It" e "I Wanna Rock". Horror-Teria, sottotitolata "The Beginning" - l'inizio - è una piccola variazione dai soliti schemi che segue però le solite corde - e per fortuna, potremmo aggiungere. Dopotutto, qualsiasi sbandierata pretesa intellettuale guasterebbe l'attitudine squisitamente ruvida e smargiassa dei nostri.

La prima parte s'intitola Captain Howdy (Capitano Howdy), ed è quella di gusto anni '70, ancora una volta in linea con certo materiale di Ozzy e compari. La tematica "horror" è posta subito in evidenza fin dall'inizio,  con una citazione a Psyco che anticipa l'apertura di una sezione ritmica baritona e incombente, la risata malefica di Snider e il suono "tossico" e cattivo delle chitarre. Il refrain, corale e guerresco, riflette l'attitudine della band, mentre è la chitarra di Ojeda a definire con maligna puntualità i momenti salienti del brano, compreso un breve ma fondamentale solo. Ancora una volta, Snider si diverte a mettersi nei panni del demonio: "Captain Howdy" è infatti il nome con cui viene identificato il diavolo nelle prime scene de "L'Esorcista", quando la protagonista e sua madre ancora non sanno con chi veramente hanno a che fare (rivedetevi, se volete, la scena della tavola ouija in lingua originale). Il Diavolo di Snider è come un bambino sadico che gioca con le sue vittime , taglia loro ogni via di fuga e le intrappola in un gioco di sofferenza senza fine, mentre un malefico coro recita, quasi fosse un mantra: "stai lontano dal capitano Howdy".

All'improvviso però è come se le luci si accendessero e, piano piano, i colori iniziassero a riprendere vita. Street Justice, letteralmente "giustizia della strada", ha inizio con il ruggito della sei corde di Jay Jay French, seguita dal sussurro malizioso di Dee Snider, per poi esplodere in una corsa ansiogena e carica di tensione. Una tensione che, comunque, esplode tutta sul catartico ritornello solo per tornare ancora più carica di prima, mentre il brano acquista velocità come una macchina lanciata sull'autostrada. È la chitarra ritmica a definire i contorni del pezzo, sebbene questo si chiuda con un canonico solo di Ojeda, tra cori e le tante voci di fondo, rumorose e minacciose. Fra le righe del testo, ciò che Snider definisce "giustizia della strada" è sostanzialmente giustizialismo, di cui il cantante tesse le lodi. Il frontman narra la vicenda di un assassino di bambini rilasciato da una giustizia neanche corrotta, ma proprio inefficiente e pigra, e di un piccolo esercito di genitori e persone comuni che, armi alla mano, si fanno giustizia da soli. "Ti vedo scuotere la testa, ma cosa faresti se fosse tuo figlio?", chiede il cantante all'ascoltatore, mentre la folla inferocita insegna a tutti cosa succede quando "si sceglie il male". Una retorica necessariamente semplicistica che tuttavia è perfettamente in linea sia con la "tradizione americana", sia con la filosofia anarco-libertaria di Snider. E in linea, soprattutto, con una musica caustica e diretta che non ammette tante giri di parole, ma solo istinto ed emozioni primordiali.

Le due parti del brano si completano così a vicenda sia musicalmente, esponendo due lati molto differenti della stessa band, che narrativamente; è infatti probabile che l'uomo torturato all'inferno nella prima parte, sia lo stesso individuo eliminato dalla folla nella seconda, e che Snider, nel suo odio nei confronti delle ingiustizie, si sia divertito a tormentarlo "personalmente" nella sua malata fantasia infernale.

Infine, un'ultima curiosità. Nel 1998 Dee Snider scriverà la sceneggiatura di un horror diretto da John Pieplow, e la trama sarà palesemente ispirata a "Horror-Teria". Sarà lo stesso Snider a interpretare Carleton Hendricks, alias il killer conosciuto come Captain Howdy. La vicenda stavolta sarà però in antitesi con la retorica giustizialista del brano: [SPOILER] il sadico assassino di giovani adolescenti viene ben presto catturato e portato in manicomio, ma, scontata la sua pena, sarà proprio l'odio della società nei suoi confronti e l'incapacità ad essere reintegrato, a riportarlo sulla strada della violenza. Da segnalare, per concludere, la colonna sonora, che oltre allo stesso Snider comprende nomi come System of a Down, Pantera, Megadeth, Anthrax, Kid Rock, Marylin Manson, solo per citarne alcuni. E, ovviamente, anche i Twisted Sister.

I Wanna Rock

È il secondo singolo estratto da "Stay Hungry". Appena uscito, è diventato il biglietto da visita degli stessi Twisted Sister, e negli anni, un brano simbolo del metal anni '80. È il perno centrale sul quale ruota l'intero disco. Parliamo naturalmente di I Wanna Rock. All'epoca della sua uscita solo un pezzo dal discreto successo commerciale, "I Wanna Rock" è stato consacrato dal senno di poi a vero e proprio Inno Metal, tutt'ora uno dei pezzi più riconoscibili e riconosciuti non solo dei Twisted, ma della musica dura in generale. Alla base del suo successo vi è come sempre una manciata di elementi determinanti. Il primo di questi è ancora una volta il video. Lo schema di questo videoclip è lo stesso già visto in "We're Not Gonna Take It", con lo stesso, meraviglioso cattivo: Mark Metcalf. L'attore di Animal House reinterpreta nuovamente il suo antagonista archetipico, ma, questa volta, nei panni di un insopportabile insegnante. Dopotutto, austeri padri di famiglia e professori sono due categorie prese storicamente di mira dalla Controcultura, e quindi dal rock... loro e i politici, naturalmente, ma sembra che i Twisted Sister preferiscano tenersi alla larga dalla politica. Il professore prende di mira lo studente all'apparenza più tranquillo, quello sovrappeso, reo di aver scarabocchiato il logo dei nostri eroi sul quaderno, ma al suo folle sermone il ragazzo risponde orgoglioso: I wanna rock!, "voglio fare rock". Quella che segue è una serie di gag tanto sceme quanto inevitabilmente amabili, tutte praticamente speculari a quelle già viste nel videoclip di "We're Not Gonna Take It". Alla fine fa la sua comparsata anche Stephen Furst, il Sogliola di Animal House, nei panni del preside, consacrando un altro dei migliori videoclip della prima Mtv Generation. Parte del successo del brano è dunque nella sua presentazione al grande pubblico, ormai iconica, e alla riproposizione del video negli anni a venire da parte della stessa Mtv. Ma se "I Wanna Rock" è divenuto più che un memorabile successo, addirittura un inno, lo deve ad una semplicità poetica e compositiva che riesce ad essere diretta, efficace e memorabile. In larga parte gli ingredienti sono gli stessi di "We're Not Gonna Take It", ma qui sono ancora più evidenti, quasi tagliati con l'accetta. Tutto il brano ruota sull'incessante riffing della chitarra ritmica, apparentemente ruvido e cattivo ma sorretto da linee di basso solari e leggere. Danzerecce, perfino. L'abilità della band è proprio in dettagli come questo: piegare il rock più duro alle sonorità più scanzonate e disimpegnate, impacchettare tutto con un canonico solo di chitarra e tutto il resto a contorno, compreso Snider. Il cantante si presta a una prova vocale tanto banale - almeno all'apparenza - quanto comunque efficace, oltre che strutturata alla perfezione: alternando strofe ritmate ad altre rapide e taglienti, Dee Snider infonde tutta la sua personalità alla base grezza, vestendola d'un elegante (a modo suo) armatura di pelle e borchie. Il finale, poco prima del solo, si trasforma naturalmente in un coro da stadio, di quelli che rimangono impressi nel cervello per giorni, e non si dimenticano mai.  

Il testo è adeguatamente semplice, anzi: "semplice" è un eufemismo. Stavolta Snider non dà nemmeno un senso compiuto alle sue strofe, o meglio, mette a nudo il significante spogliandolo di qualsiasi narrazione superflua. Tutto ciò che conta è la contrapposizione tra un mondo che impone un certo atteggiamento, certe regole, e la futura rockstar che dice No, che si oppone, che alza il volume e va per la sua strada. Il cantante continua a mettersi nei panni non già di un musicista fatto e finito, sulla cresta dell'onda e sulla soglia dei trent'anni, ma delle schiere di ragazzini adoranti dei Twisted Sister, tutti potenziali rockers in erba. La sua musica è dedicata a loro. Lui li ama e loro lo sanno, e in trepidante attesa del prossimo singolo, ricambiano. 

The Price

- Come va, Dee?

- Beh, mi sento piuttosto triste. Non vedo Suzette e Jesse da mesi, ormai.

- Beh, immagino che sia il prezzo che devi pagare.

Dall'intervista di Snider a Carl Wiser (Songfacts), estratto della telefonata tra il cantante e la sorella di Jay Jay French


Il singolo che segue s'intitola The Price, "il prezzo", ed è quel momento irrinunciabile in qualsiasi album heavy metal anni '80: la ballad. Nonostante sia un passaggio praticamente obbligatorio, i Twisted Sister dimostrano di riuscire a dar vita a sonorità evocative e memorabili anche quando rallentano la corsa, carezzando melodie più delicate e facendo uso di una poetica meno caustica. Snider e soci comunque non cercano di strafare, né di sperimentare, rimanendo su di un minutaggio contenuto (specie per una ballad), senza mai uscire dalle canoniche righe del genere. Oltre a offrire qualche sfumatura in più in una tavolozza dai colori netti e (quasi sempre) sgargianti, The Price è un pezzo buono soprattutto a far prendere fiato all'ascoltatore esausto dal troppo head-banging, ma capace, comunque, di regalare qualche emozione e uno scorcio un pelo più intimo sulla band. Così come la canzone è meno esuberante del solito, anche il videoclip rientra nella normalità: I nostri "sorellini" sono ripresi dal vivo sul palco della Veteran Memorial Arena di Binghamton, mentre suonano vestiti quasi da persone normali, senza chili di trucco o completi da drag queen. Su tutto domina la chitarra solista, come da tradizione di qualsiasi power ballad, protagonista sia dei momenti più melanconici che delle più dinamiche ripartenze. Fondamentale, infine, è anche la prova di Snider, forse una delle voci più sottovalutate dai sommelier dell'heavy metal, capace davvero di modulare il suo timbro in relazione a qualsiasi contesto, e ad essere credibile sempre e comunque; un risultato non così scontato, per chi investe la propria immagine su di un personaggio tagliato con l'accetta. Tra le righe del suo testo, Dee Snider mostra finalmente un piccolo pezzo della sua anima nuda: il "prezzo da pagare" di cui parla la canzone è quello delle rinunce, del duro lavoro, dei mesi interminabili passati lontano dalla famiglia; è il prezzo che i musicisti devono pagare anche solo per poter agognare ai palchi più prestigiosi, per arrivare al Successo. Quello con la "S" maiuscola. Pare che a ispirare Snider sia stata la sorella di Jay Jay French, e la sua pragmatica risposta al piccolo sfogo del singer. Mentre il gruppo registrava l'album precedente, "You Can't Stop Rock 'n' Roll", Snider scriveva i pezzi del futuro "Stay Hungry" riflettendo proprio su questa fame di successo, fame di soldi e di pubblico, fame d'immortalità, ma interrogandosi anche sul prezzo di tutto questo, e se davvero il gioco valesse la candela. Il risultato è "The Price", una power ballad come tante in quegli anni di metal melodico che tuttavia, nonostante possa sembrare quasi il mero adempimento d'un obbligo, riesce a innalzarsi ben al di sopra della sua apparente banalità e a toccare corde nascoste e profonde, ritagliandosi anch'essa un posto speciale nella memoria dei fans. 

Don't Let Me Down

Chiusa la parentesi intimista, "Stay Hungry" torna a correre ma senza esagerare, tenendosi strette alcune delle sfumature acquisite con "The Price". L'album inizia così la sua fase conclusive sulle note di Don't Let Me Down, un'espressione traducibile come "non deludermi". È la chitarra ritmica di Jay Jay French a definire il passo e la personalità della canzone, in piena sinergia sia con la sessione ritmica, sia con il collega alla chitarra solista, quest'ultimo protagonista di un solo tanto canonico quanto elevato, forse il migliore del disco fino ad ora. Il risultato è un brano evocativo e arioso, una cavalcata sofferta ed emozionante e dinamica al tempo stesso, meno orientata alle sonorità scanzonate che hanno decretato il successo di "Stay Hungry". Dee Snider rimane su corde abbastanza contenute, limitandosi a raccontare una storia all'apparenza piuttosto classica, nei canoni d'una malinconia che appartiene al vecchio blues e alle sue femmine fatali, ma, forse, più autobiografica di quanto non sembri. Come tutti gli uomini avvinti al potere del sesso femminile, anche il protagonista di "Don't Let Me Down" lavora alacremente per la una donna, una compagna difficile da soddisfare e da tenere accanto sé. A un ascolto più attento capiamo tuttavia che è lo stesso protagonista a tenersi lontano, a sacrificarsi per un sogno che porterà benessere a entrambi, e che lui, a questa donna tutt'altro che "fatale", chiede solo pazienza e forza d'animo. "Non deludermi" è quindi l'accorato appello di un uomo alla compagna d'una vita, lo stesso che ogni musicista alla ricerca del "colpo grosso" è costretto a chiedere a chi sceglie di condividere con lui una delle strade più ardue e cariche d'incognite che possano esistere. 

E così, "Don't Let Me Down" rimarca ancora una volta non soltanto un intimismo autobiografico quasi insospettabili, per questi grintosi ragazzi americani, ma anche l'abilità di Snider a scrivere testi insieme personali e generici, capaci di parlare di sé quanto di chiunque altro attraverso le medesime strofe. 

The Beast

Con The Beast, "la bestia", i Twisted Sister tornano a quelle sonorità anni '70 dal sapore "sabbathiano" cui non sanno - o non vogliono - fare proprio a meno. E va benissimo così. La voce di Snider si carica di un pathos maligno, il basso di Mendoza marcia su cingoli sporchi di fango e sangue, mentre le chitarre ruggiscono di rabbia e dolore. Il tono è quello della narrazione epica e oscura, di pochi e perdenti eroi contro le soverchianti forze del male, per un brano poco incline alle mezze misure cui perfino al solo di chitarra, come sempre obbligatorio, non dedica che uno spazio meramente simbolico. Il testo è forse l'unico di tutto "Stay Hungry" a risultare veramente criptico: Snider canta con tono cupo di un misterioso predatore che non lascia scampo, che insegue la sua preda con pazienza e con maestria, gioca con lei, con le sue paure, con le sue debolezze, e infine le salta al collo. Contro questo predatore non c'è speranza e scappare non è per niente un disonore, anzi: è l'unica cosa ragionevole da fare.

Non è affatto chiaro se con questa "bestia", questo "predatore", il cantante faccia riferimento a un mostro immaginario, come il tono e lo stile "dark fantasy" della canzone lascerebbero intendere, o a un pericoloso assassino, come sarebbe più nelle sue corde. O ancora: non ci è dato sapere se in realtà la bestia non sia altro che un espediente allegorico per parlare di tutt'altro, di una piaga sociale o di elementi strettamente connessi al vissuto del cantante e la sua band (per esempio, lo spietato showbusinnes). Dee Snider si preoccupa unicamente di confezionare liriche che possano porre enfasi su di una musica oscura, monolitica e mai così spietatamente priva di colore. E noi... beh, noi non possiamo far altro che seguirlo nell'oscurità senza porci troppe domande.  

S.M.F.

Stay Hungry si chiude sui tre minuti "più rock 'n' roll" dell'intero album. Grezza ai limiti del punk hardcore, violenta e concitata come la tifoseria di qualche squadra di calcio inglese, caustica e cattiva nella giusta misura, S.M.F. dice tutto quello che deve dire già dal titolo: una sigla che sta per sick mother fucker, ovvero "malato figlio di puttana". Per una band mainstream nell'84, è quasi un azzardo. Non vi è un elemento strumentale che risalti in particolare maniera, come fosse più rilevante del solito l'esigenza d'un equilibrio generale: la sezione ritmica definisce la struttura della canzone, ma sono le chitarre e la voce a darle grinta e personalità, in un esercizio di stabilità chiaramente ideale ad accomiatare l'ascoltatore da quest'album, dando a ogni musicista il suo momento di gloria. Non a caso è proprio all'ascoltatore che Snider, ora più sfacciato che mai, rivolge le sue parole, creando un rapporto colloquiale e identitario con il pubblico della band. Nelle parole del singer, il tipico fan dei Twisted Sister è una "pecora nera", una "meraviglia ambulante" e una "macchina di metallo", una persona indifferente all'altrui opinione che persegue unicamente i suoi ideali, che pensa al presente mentre tutti gli altri hanno in mente il futuro. L'individuo descritto dal cantante incarna l'essenza stessa della rockstar, la sintesi di decenni di controcultura dalla beat generation alla Mtv generation. Non solo Snider considera se stesso quel genere d'uomo, ma tali considera anche i suoi giovani fans; che sia adulazione o il sincero rispetto che viene dalla gratitudine, sta solo all'ascoltatore. E così, l'appassionato della "Sorella Contorta", quell'adolescente che è o che vuole sentirsi differente dagli altri, lontano il più possibile dal banale mondo degli adulti che prima o poi lo divorerà, è proprio un sick mother fucker, proprio come Dee Snider, Jay Jay French, Eddie Ojeda, Mark Mendoza e A.J. Pero. Un titolo di cui andare assolutamente orgogliosi. 

Conclusioni

Trainato dalle nuove logiche della visibilità imposte da Mtv, il terzo album dei Twisted Sister si rivela un successo clamoroso. La "fame" di cui parla il titolo del disco, l'insaziabile appetito di pubblico, di soldi, d'immortalità, è finalmente soddisfatto pienamente. La band di Snider e compagni riesce a piazzare i suoi singoli in alto nelle classifiche mainstream, e col tempo, ad imporsi nel ricordo collettivo di un pubblico eterogeneo e variegato - e non più solamente tra gli appassionati di musica dura. Insieme alle gratificazioni, tuttavia, visibilità e successo portano anche guai. Molti guai. I primi singoli estratti da "Stay Hungry" vanno incontro a critiche di natura etica da parte delle associazioni dei genitori, specie nei puritani e contraddittori Stati Uniti d'America. "We're Not Gonna Take It", in particolare, si ritrova nell'occhio di un ciclone che ha le sembianze dell'ennesima caccia alle streghe: la musica presunta diseducativa è nuovamente sotto attacco da parte di mammine e paparini indignati, di brave famiglie che hanno bisogno d'incolpare qualcuno o qualcosa delle malefatte dei loro pargoletti. Un po' come per i videogiochi al giorno d'oggi, o il gangsta rap negli anni '90. Dopo il rock 'n' roll, dopo l'hard rock, dopo il punk, nel 1984 il nemico pubblico numero uno è l'heavy metal, e il singolo che spopola al momento, firmato da una band di urlatori vestiti da degenerati - come i benpensanti guardano ai Twisted Sister - è l'ideale pietra dello scandalo. Più che la canzone, forse, il videoclip. L'insieme è tanto deprimente quanto spassoso: una canzoncina commerciale e goliardica, dal blando richiamo ribelle, è considerata il simbolo della disgregazione d'una gioventù eternamente bruciata, un pericolo per la disciplina delle nuove generazioni nei confronti d'insegnanti e genitori. In più, per non farsi mancare proprio nulla, qualcuno nota l'attinenza tra la melodia di "We're Not Gonna Take" It e la cristianissima "Adeste Fidelis", mandando letteralmente ai matti le anime belle americane (di "Adeste Fidelis", in inglese "O Come, All Ye Faithfull", i Twisted Sister si divertiranno pure a fare una specie di cover cambiando le parole sacre con quelle della loro... rivisitazione, nel 2006). Un destino simile avrà "I Wanna Rock", forse il vero inno di quest'album memorabile, ma per i benpensanti oramai è troppo tardi: Mtv non la ferma più nessuno, così come nessuno può fermare i soldini con cui milioni di adolescenti comprano e consumano il terzo album dei Twisted Sister. Ben presto la bolla d'indignazione mediatica scoppia senza colpo ferire, senza danneggiare minimamente la band newyorkese, ma anzi: facendole non poca pubblicità. Tutto è bene quel che finisce bene, giusto?

Non proprio, perché non finisce qui.

Ciò che di veramente interessante riguarda "We're Not Gonna Take It" è infatti la sua eredità. Il brano, negli anni, è divenuto parte dell'immaginario collettivo non solo grazie ad Mtv, ma anche passando attraverso tanti spot pubblicitari, parodie, programmi televisivi, perfino videogiochi (e tra questi spicca necessariamente GTA - Vice City, con la sua leggendaria Radio Vrock). Ma ad essere ancora più interessante è stato l'utilizzo del brano in politica, tra l'altro in tempi relativamente recenti. Nel 2012 il vicepresidente americano Paul Ryan usa "We're Not Gonna Take It" come sfondo per la campagna alle presidenziali del repubblicano Mitt Romney, costringendo lo stesso Snider a intervenire e a bloccare l'uso improprio della sua canzone (il cantante, pare, avrebbe anche aggiunto di essere intenzionato a votare Obama). Nel 2016 il brano è nuovamente materiale per la campagna elettorale dei repubblicani, stavolta capitanati da Donald Trump. Inizialmente pare che Snider avesse dato personalmente il permesso a Trump ad utilizzare la sua vecchia canzone, anche in virtù dell'amicizia tra i due (sapete, quelle amicizie che negli anni '80 nascevano di frequente tra rockstar e uomini di spettacolo/potere, di solito alle feste); in seguito, tuttavia, il cantante sarebbe tornato sui suoi passi, chiarendo di essere in netto contrasto con la gran parte delle posizioni politiche di Trump. Lo scenario si ripete nel 2019 in Australia: il protagonista guarda caso è un altro partito conservatore, lo United Australia Party. Dee Snider è così costretto a denunciare ancora una volta l'uso improprio della sua canzone, entrando nell'ennesima disputa legale della sua onorata carriera. Ad incuriosire non è tanto l'utilizzo più o meno improprio, da parte di una classe politica rinomatamente paracula, di un pezzo popolare, ma il fatto che la classe politica in questione sia proprio quella conservatrice, e la canzone, proprio una canzone dei Twisted Sister: musicisti soliti vestirsi di pelle, lustrini e calze a rete che neanche un bordello a Rio. Il rock 'n' roll vecchia scuola, buona parte dell'hard rock e del metal anni '70 e '80, sono stati movimenti largamente anti-conservatori, intrinsecamente legati alle cause della counter-culture e, spesso, esplicitamente orientati all'ala progressista (o più comodamente a istanze vagamente anarchiche). Nel caso delle rock band americane, non è raro che l'orientamento politico andasse in direzione dei cosiddetti libertarians, una specie di destra tutta americana, del tutto avulsa a qualsiasi modello europeo di "destra" e, in generale, all'idea stessa che lo Stato interferisca con le decisioni dei cittadini. Per certi versi rappresentano al meglio l'American Spirit dei cowboys e dei pionieri, tanto nel bene quanto nel male. Di solito, sono in contrasto sia con i Dem, sia con i repubblicani, sebbene li si veda spesso affiancati a questi ultimi, mancando di una efficace rappresentanza nel sistema politico U.S.A. Ora, Dee Snider è un libertarian (termine che non ha nulla a che fare con i nostri "liberali" o "liberisti"), così come lo sono, ad esempio, personaggi come Clint Eastwood o Kurt Russel. O Jeff Bezos. Nel contesto politico statunitense, i libertarians sono sempre stati una spina nel fianco per i conservatori, più che alleati: polemici, ribelli, individualisti, sempre pronti a ridere in faccia a qualsiasi imposizione morale o materiale. Negli ultimi vent'anni, man mano che la sinistra internazionale diventava sempre più "salottiera", la destra conservative ha preso ad ammantarsi di un'aura ribelle che, prima, non gli era mai appartenuta. Mandando in tilt interi sistemi di pensiero. Ecco perché caratteri politici che negli anni '80 venivano neanche tanto velatamente sfottuti in pezzi come "We're Not Gonna Take It", da un po' di tempo hanno iniziato a riconoscersi proprio in un brano del genere... o quantomeno, hanno cercato di convincere l'elettorato che questo fosse possibile. Il vestitino da cattivo ragazzo, tuttavia, non calza esattamente a pennello su donne e uomini mediamente anziani, alteri e dalle idee politiche ben più vecchie dell'hard rock stesso. Una contraddizione che confonde la vecchia guardia della musica dura, derubata un po' da tutti (anche dai progressisti Dem, ovviamente), ma particolarmente in imbarazzo nel doversi confrontare con una sorta di bug storico e culturale, o con personaggi come Trump, del tutto differenti dal repubblicano tipo (quali erano invece i Bush, per dire, padre e figlio), uno che fino a ieri era solo un personaggio amabilmente sopra le righe, e che oggi è uno dei politici più controversi della storia americana.

Ad ogni modo, nel 1984 tutto questo è ancora lontano... impensabile, perfino. I Twisted Sister pensano solo al loro immediato e improvviso successo di massa, a come conquistare ancora nuovo pubblico e a tenersi quello vecchio. Le cose non andranno come sperato. Il quarto album sarà un successo relativamente contenuto, rispetto a "Stay Hungry", il tour un fiasco e i problemi della band - sia personali che di natura commerciale - si moltiplicheranno fino alla totale saturazione. Alla fine, i Twisted Sister finiranno per sciogliersi giusto all'alba di una nuova era, un'era dominata dal movimento grunge, dal rock alternativo e dal decollo verticale dell'hip hop, per poi riunirsi come tante altre antiche glorie nell'epoca delle nostalgie e delle reunions, fino al 2015 e alla morte di A.J. Pero, seguita dallo struggente tour d'addio. Nonostante tutto, ancor oggi, il ricordo dei Twisted Sister persiste in un pubblico vasto e variopinto; persiste, soprattutto, proprio grazie a "Stay Hungry" e a canzoni come "We're Not Gonna Take It" e "I Wanna Rock", inni tanto semplici quanto immortali per chi, fondamentalmente, non accetterà mai di farsi imporre qualcosa da qualcuno. A prescindere dalla bandiera politica.

With 'We're Not Gonna Take It,' whether I was singing about my parents, my teachers, my bosses, my peers, people around me, I felt it was important not to define it by actually naming names and singing, 'Dad, you're so trite and jaded, I hate my teachers, too.' And thus, the song has had a life in sporting events, at political rallies, at protests, pretty much anybody who's not taking something from somebody else, they're going to break into 'We're Not Gonna Take It' all over the world.

"Con 'We're Not Gonna Take It', nonostante stessi parlando dei miei genitori, dei miei insegnanti, dei mie capi, dei miei pari, della gente intorno me, ho sentito che fosse importante non definirla facendo nomi e cantando "papà, sei così stanco e banale, odio anche i miei insegnanti". E così, la canzone ha preso vita negli eventi sportivi, nei raduni politici, nelle proteste; praticamente chiunque non accetti qualcosa da qualcun'altro, irromperà con 'We're Not Gonna Take It' in tutto il mondo".

- Dee Snider, intervistato da Carl Wiser

1) Stay Hungry
2) We're Not Gonna Take It
3) Burn in Hell
4) Horror-Teria (The Beginning)
5) I Wanna Rock
6) The Price
7) Don't Let Me Down
8) The Beast
9) S.M.F.
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