TWISTED SISTER
Ruff Cuts
1982 - Secret Records
NIMA TAYEBIAN
20/06/2020
Introduzione Recensione
Twisted Sister. Un nome ormai divenuto leggenda tra i fanatici del metal, la cui leggenda potremmo far partire proprio dal loro primissimo passo "compiuto", ossia Ruff Cuts, un Ep di quattro tracce del 1982, dato alle stampe dopo un paio di demo (l'omonimo del 1979 e il Demo 81, per l'appunto del 1981) e qualche singolo, coevo al primo leggendario disco dei Nostri, Under The Blade. Nel suddetto Ep, trattato in questa recensione, ritroviamo, tra l'altro, ben tre tracce destinate ad essere riproposte proprio in quel primo capolavoro: What You Don't Know, Shoot'Em Down e Under The Blade. La quarta traccia è una di quelle chicche che potrebbero invogliare i fanatici completisti a cercare questo mini dischetto, non essendo presente, al contrario delle altre tre, nel disco d'esordio: sto parlando di Leader Of The Pack, cover di un celebre brano delle Shangri-Las, gruppo pop all-female newyorkese. Un dischetto, come accennato, di importanza sicuramente storica per la band dato che si tratta del primo parto "non dimostrativo" (insomma, non è una demo) sciorinato dai Nostri, e probabilmente di importanza minore per chiunque si voglia avvicinare alla band o per chi si sente già pago con la propria raccolta di full-lengths. Ben diverso il discorso per i completisti: chiaramente il suddetto Ep potrebbe essere una chicca ghiotta, e la presenza di "quella cover" rende il prodotto non come un semplice florilegio di classici brani poi riproposti ma come un "florilegio dotato di un elemento di differenziazione". E quando uso termini - che altrove potrebbero suonare a sproposito - come florilegio, non esagero, data la bellezza, la grandezza dei brani di cui sto parlando. Tre autentiche gemme, tre esplosioni di energia destinate a spiccare anche nell'album di esordio, dove mediamente tutti i brani sono grandiosi. Del resto il primo album è solo il primo dei capolavori di una band che per alcuni anni non ha smesso di stupire, e che trova il suo apice assoluto nel periodo 1982/1985 (quindi nel periodo che va da Under The Blade e arriva a Come Out And Play). Una carriera caratterizzata da un numero esiguo di dischi (sette), che finisce "ufficialmente" nel 2016 nonostante una fine "di fatto" molto precedente. Addirittura - non amando i "dischi natalizi" delle metal bands - potrei decretarli finiti ben prima del 2006. Con un prosieguo portato avanti tra live albums e raccolte fondamentalmente inutili. Ma qui siamo ancora distanti da tutto questo, e quello che ci viene presentato è l'esatto contrario della scia fioca di una cometa in stato di esaurimento. Ci viene presentata una stella che sta irradiando i suoi primi bagliori accecanti. Una stella nascente che porta il nome di "Twisted Sister". E il suo primo prodotto è questo mini dischetto messo in piedi su quattro tracce perfette, esemplari spaccati dell'energia che i nostri avrebbero messo a breve a disposizione di parti discografici ben più completi ed esaustivi. Prima di dilungarmi sulle varie tracce, come al solito nell'immancabile analisi traccia per traccia, è opportuno fornire a voi lettori un breve spaccato biografico dei nostri. La nascita dei Twisted Sister si fa risalire al 14 febbraio 1973: conseguentemente alla fallita audizione del chitarrista Jay Jay French con i Wicked Lester (praticamente i futuri Kiss) questi, sotto lo pseudonimo di Johnny Heartbreaker, fondò una band inizialmente chiamata Silverstar. Nella formazione "primordiale" c'erano il chitarrista Billy Diamond, il batterista Mel "Starr" Anderson e il cantante Michael Valentine. Fu proprio Valentine a suggerire il cambiameneto del monicker in Twisted Sister. Dopo non molto comunque Valentine e Diamond lasciarono la band, e French assunse ufficialmente la carica di leader oltre che di chitarrista/cantante. Nel 1985 Eddie Ojeda, un amico di French, fece il suo ingresso come secondo chitarrista, mentre John Grace sostituì Andreson alla batteria e Kenny Neill divenne il suovo bassista. Con questa formazione totalmente rinnovata i nostri iniziarono ad esibirsi con un repertorio di cover di artisti glam rock dell'epoca. Nel 1976 ci furono due nuovi cambi, con Tony Petri alla batteria, e Dee Snider alla voce (a posto di French). Dee Snider divenne quasi il cardine della band, grazie al suo apporto scenico e le sue innegabili doti canore. Successivamente ci furono diversi cambi di formazione: Neill decise di mollare (alcuni rumors parlano di una sua probabile conversione al cristianesimo), presto sostituito da Mark "The Animal" Mendoza, dei Dictators; anche Petri, il batterista, diede forfait e il suo posto venne preso prima da Ritchie Teeter, quindi da Joey Brighton e infine da A.J. Pero. Si arrivò dunque alla classica formazione della band. E siamo quasi alla fine della parte biografica che ci interessa, dato che da lì a poco (siamo nell'aprile del 1982) due redattori di Sounds consigliarono ai nostri di andare a firmare un contratto nel regno unito con la Secret Records, minuta etichetta specializzata in musica punk. Nel giugno dello stesso anno i nostri tirano fuori l'Ep oggetto della nostra recensione: Ruff Cuts. Il resto è storia. Magari anche risaputa, che comunque può interessarci relativamente in questa sede. Mentre risulta più attinente quanto vi sto per proporre, ossia l'analisi delle varie tracce di questo dischetto.
What You Don't Know
L'Ep si apre alla grande con "What You Don't Know"(Ciò che non conoscete), pezzo apparso in precedenza solo nella Demo del 1981 e destinato a fare la sua bella ricomparsa nel primo full Under The Blade. Il brano si apre con veloci rintocchi di chitarra stoppata, presto interrotti da un veloce fregio di chitarra elettrica. Si continua per parecchi secondi alternando la chitarra stoppata a brevi inserimenti della elettrica, mentre Snider si inserisce con il suo vocione tonante per introdurci letteralmente "allo spettacolo". Il testo, declamato a gran voce dal nostro animale da palcoscenico, suona come una dichiarazione di intenti: "siamo irritanti, vi faremo saltare in aria i nervi" dice con fare sprezzante, e ha ragione. Siamo appena negli anni ottanta e la loro proposta, il loro appeal scenico, il loro fare provocatorio doveva suonare sicuramente come una bomba destinata a deflagrare letteralmente in faccia a tutti gli ascoltatori ancora non troppo preparati alla rivoluzione metallica in atto. I nostri si mettono in mostra con una certa dose di goliardia e un fare da bulletti salutando il pubblico pronto a godersi tale spettacolo, mettendolo in guardia riguardo alla loro proposta ("questa non è la solita vecchia storia o la stessa vecchia canzone") e dandosi un certo lustro ("farete meglio a guardarvi intorno perché non siamo diamanti nella polvere"). Sarebbe sbagliato etichettarli - ci tiene a precisare Snider - come una specie di foto carina: non renderebbe loro giustizia. Non sono né bidimensionali come una foto né tantomeno "carini". Sono bestie da palcoscenico, autentiche furie della natura scese in campo per creare scompiglio e divertire. Dopo essersi ampiamente presentati in un lungo preambolo, si fa notare che chiaramente il pubblico non può che rimanere esterrefatto, con il cervello pieno di domande. Ed è tassativo che, se tale proposta può suscitare "sdegno" o confusione, quella parte del pubblico che non capisce o non apprezza può far fagotto ed "andarsene" (insomma, lasciar perdere e passare ad altro). Chi rimane invece deve prepararsi, perché Snider e la sua band vogliono solo una cosa: arrivare dritti ai sogni del pubblico e prenderseli senza tanti convenevoli. Sul piano musicale, dopo un lungo preambolo tutto giostrato su veloci rintocchi in palm mute, alternati a brevi passaggi di chitarra elettrica, il brano si avvia su un pattern energico impostato su un riffing incisivo scortato da una batteria veloce quanto basta (siamo agli inizi degli eighty, e già questi passaggi immagino fossero considerati estremamente tosti per l'epoca). E il tutto è reso ancor più vivido dalla voce grintosa di Snider, autentica furia della natura. Si arriva quindi ad un refrain arioso e dal forte appeal melodico, in cui la chitarra tratteggia un passaggio estremamente pregevole a fareda contraltare alla voce stentorea di Snider. In breve si ritorna al pattern basilare, sempre lineare, colmo di energia, che prosegue diretto sino ad una nuova ripetizione del refrain e un gustosissimo passaggio strumentale superati i tre minuti. Conseguentemente il brano si adagia di nuovo sulla sua texture portante arrivando ad una nuova reiterazione del ritornello (ripetuto diverse volte), e quindi alla fine.
Shoot'em Down
Si continua decisamente bene con "Shoot'em Down" (Abbatteteli), altro pezzo apparso originariamente sulla demo del 1981 e piazzato successivamente nel loro primo album in studio. Dopo essersi ampiamente presentati al pubblico, con un brano che suonava come un manifesto programmatico, i nostri ci deliziano con pezzo il cui testo è incentrato su una donna che ama circondarsi di maschi giocando con loro senza alcun ritegno. Questa viene presentata sin dalle primissime battute come una donna carina, come il vino e lo champagne, e si sottolinea che nessuno l'ha mai posseduta. Una donna astuta pronta a giudicare come stupidi i maschi disposti a lasciarla andare, che ama pescare dal mucchio l'allocco di turno per poi trattarlo come il suo buffone personale. E il maschio del momento è trattato come un gadget, una borsetta, un accessorio di cui fare sfoggio per poi buttarlo via una volta stufa. Lei è un elemento di lusso, di quelli che fanno gola a tutti: come il caviale o un'auto di lusso straniera. E il suo abbigliamento è sempre tremendamente sexy, con quelle t-shirt che la rendono un bocconcino estremamente appetibile. E tutti sbavano come lumache in sua presenza. Tutti strisciano mentre lei gode nel vederli piangere, divertendosi dall'alto della sua ottusa vacuità. Ma - recita fuori campo Snider - non è detto che uno dei "maschi oggetto", ormai stufo di simili trattamenti, non finirà per ucciderla prima o poi. Stavolta, differentemente dal precedente, il brano si caratterizza per una struttura giostrata sul mid tempo: meno irrequieta dunque e più cadenzata. Si palesa in maniera evidente un notevole gusto hard rock (e non si è lontani anni luce da certi prodotti dei Kiss) davvero godereccio e destinato a fare immediatamente breccia in qualsiasi rocker che si rispetti. Il pezzo inizia sin da subito la sua marcia su tempi non sostenuti scortato da un chitarrismo arrembante, per proseguire in maniera lineare e senza scossoni, arrivando al refrain superlativo in cui Snider declama tonante "Abbattili, abbattili... quando sono a terra!!!". Un brano come già accennato molto lineare ma che riesce a fare della sua linearità un cavallo di battaglia. Ho già accennato al fatto che questo è uno di quei pezzi destinato a fare immediatamente breccia, e confermo la cosa. L'irresistibile melodia, il refrain gustosissimo, un chitarrismo immediato e ficcante fanno di questo pezzo una piccola gemma, una perla preziosa nel repertorio dei nostri.
Under The Blade
Arriva uno dei brani cardine dei nostri, "Under The Blade" (Sotto la lama), title track del loro primo full length già piazzata nella loro primissima demo (quella del '79). Dopo averci deliziato con una efficace storiella imperniata su una donna abituata a "giocare" con i maschi, stavolta i Nostri ci sollazzano con un plot a suo modo "seminale" nella musica metal: il brano, infatti, è focalizzato su un maniaco che tormenta minacciosamente un uomo, impugnando una scintillante lama pronta a far scempio delle sue carni. Il malcapitato non può sfuggire all'ira persecutoria dell'oscuro protagonista, che intuiamo, non essere un maniaco ma un personaggio che vorrebbe a suo modo portare giustizia (in uno dei passaggi viene declamato "Non puoi fuggire dal male che hai commesso") dato che il vero antagonista sembra essere il perseguitato. Seguiamo dunque lo svolgersi della vicenda, con il malcapitato malfattore che viene individuato, e una sciabolata di luce (crediamo possa trattarsi del riflesso della lama) che lo mette in piena evidenza: "non è un'altra allucinazione, stavolta è tutto vero" ammonisce il protagonista-giustiziere, trovandosi faccia a faccia con quell'uomo. Non è una visione data dalla paura, non è un incubo. Il destino del malcapitato è ormai segnato, e infatto l'uomo viene catturato e legato. In preda alla disperazione, questi, intuisce quella che sarà la sua triste fine. Ucciso dalla lama scintillante del persecutore, che finalmente è riuscito a fare giustizia. Il brano prende stavolta il via con un ricamo nevrotico di chitarra stoppata, presto raggiunto da un sibilo serpentino di chitarra elettrica e dalla voce stentorea di Snider. Presto viene abbozzato un riff, che, successivamente all'entrata in scena in pompa magna della batteria, si pone come riff portante. Il brano scivola dunque verso un grintoso e arrembante pattern hard, giostrato su un chitarrismo efficacissimo e una batteria parecchio dinamica, che ci trascina in maniera parecchio lineare verso un refrain saturo di energia, declamato a gran voce dal solito, immenso Snider. Quanto segue non fa che mantenere e premesse iniziali: un brano molto lineare, molto diretto incapace di perdersi in fronzoli. Un'autentica mazzata in fronte gentilmente concessa dai nostri. Un brano il cui termine "brano" risulta anche troppo riduttivo: più facile chiamarlo "leggenda", "pilastro". Uno dei pezzi da 90 dei nostri e di tutto il "rock duro".
Leader Of The Pack
Concludiamo in bellezza con "Leader Of The Pack" (Capobranco), unico brano inedito del lotto, considerando che gli altri hanno già trovato spazio o nella prima o nella seconda demo. Una cover delle conterranee (newyorkesi) Shangri-Las che viene per l'occasione leggermente "metallizzato" rispetto alla sua versione originale e presenta alcune sparute modifiche al testo, stavolta incentrato su un punto di vista maschile e non femminile (giustamente: anche se ne monicked dei Twister c'è la dicitura "Sister" non vi è alcuna figura femminile nel gruppo), e infatti parti come "Is she really going out with him?" diventano "is he really goin' out with her?" oppure il passaggio che recita "Betty, is that Jimmy's ring you're wearing?" è prontamente trasformato in "Hey man, is that your ring she's wearin'?". Dettagli a parte in questo caso si parla di un'incontro tra un "capobranco", leader - da quel che possiamo capire anche in relazione al video delle Shangri-Las - di un gruppo di moticiclisti e una donna, la sua amata. Inizialmente la narrazione è vista da un elemento estraneo alla coppia, e infatti la narrazione è in terza persona: lo spettatore - che potrebbe essere un altro motociclista - si domanda se lui sta andando veramente con lei, constatando l'arrivo del capobranco che prontamente chiama per chiedergli se l'anello indossato dalla tizia sia il suo. A quella che immaginiamo sia una risposta affermativa, l'amico del capobranco quasi si congratula dicendo che lei deve esserne piuttosto fiera. Poi gli conferma di averla vista al negozio di caramelle, dove lei, avendolo visto a sua volta (sempre l'amico) si è voltata e gli ha sorriso. E tal cosa gli conferma che lei è una tipa attenta. Lei punta il capobranco e la narrazione passa in prima persona, imperniandosi sul protagonista. Questi mostra indiscutibilmente di essersi preso una cotta, e infatti i suoi atteggiamenti finiscono sempre per buttarlo giù, magari minando le sue certezze da duro indissoluto. Nel mentre le voci girano: c'è chi farfuglia che lui è arrivato dalla parte sbagliata della città - quindi, immaginiamo, dai sobborghi o dai bassifondi - e dunque in realtà quasi non la meriterebbe. Le hanno detto che è un cattivo ragazzo, ma lei non si è lasciata plagiare da certe voci: ha intuito la verità e si è presa una cotta per lui. Ma un giorno, quando il padre di lei si è trovato davanti un nuovo ragazzo, così strano, diverso, lontano dal loro ceto sociale, non ha accettato quella storia. Lei ha cercato di mediare, ha tentato di convincere suo padre che tutto andava bene, ma lui non ha voluto sentire ragioni e ha imposto forzatamente una fine a quella storia. La banda ha visto piangere il suo "capobranco", ma a lui non importava nulla. Il suo cuore era ormai spezzato. Pur essendo un capobranco l'ha perduta per sempre. Il grande amore della sua vita che non potrà mai dimenticare. Il brano stavolta consta di un preambolo "parlato" destinato in breve a cedere il passo a una struttura semplice, molto soft, fregiata dalla voce efficace e vagamente "sgraziata" (se paragonata a quella delle Shangri-Las) di Snider. Nel giro di trenta secondi entrano in scena schitarrate parecchio hard che delimitano le distanze con il pezzo originale. Un rombo di moto avvia il brano in maniera ancor più perentoria, giostrato su una struttura tanto energica quanto semplice: si viaggia su tempi contenuti, scortati da un riffing basilare, reiterato ad libitum. La voce di Snider è frequentemente interrotta da coretti di sapore "sixties" (giustamente), capaci di donare al pezzo quell'aura retrò che sarebbe stato "criminale" omettere. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un pezzo egregio, magistralmente giostrato, e pur essendo una cover i nostri trovano il modo di renderla originale alla propria maniera, cromandola quel tanto che basta per essere in linea con il loro modus operandi.
Conclusioni
Arriviamo dunque alla fine della recensione e alle consuete considerazioni finali. Cosa aggiungere in tal sede che non sia stato ribadito nell'arco della nostra disamina? In realtà ben poco: abbiamo già sottolineato come il prodotto in questione sia un freschissimo, efficace, godereccio biglietto da visita di una band che, in quel 1982, stava muovendo i propri primi passi, dopo aver pubblicato un paio di demo e qualche singolo. Buona parte del materiale proposto - con l'eccezione della cover delle Shangri Las - è tra l'altro la riproposizione di pezzi già accolti nella prima o nella seconda demo. Quindi in realtà niente o poco di nuovo. Ma vedere insieme questi pezzi, tutti di ottima fattura, con il surplus della cover di cui sopra, è senza dubbio una goduria. Un "fulminante" lotto di piccole perle destinate, all'epoca, ad introdurre degnamente i Twisted Sister e a spianare loro la strada verso la leggenda. Perché, se è pur vero che i nostri non hanno partorito dischi in maniera copiosa, e se è altrettanto vero che al contrario di certe bands non sono arrivate pienamente allo status di "stelle del firmamento metallico" (obiettivo invece raggiunto da altri capisaldi del genere come i Maiden), comunque sono riusciti a diventare leggendari pilastri di un certo metal "classico", ampiamente riconosciuti come tali dalla maggior parte dei metalheads e dai critici del settore. Del resto non poteva essere altrimenti - e con un pizzico di fortuna in più potevano arrivare ancora "più in alto" - considerata la bontà della loro proposta e il fatto di essere un "gruppo seminale". Riguardo alla qualità della loro proposta basterebbe ascoltare questi pochi pezzi presentati nell'Ep per rendersene conto: pezzi grintosi, scattanti, ruggenti, capaci di colpire in maniera immediata grazie a dei riffs estremamente efficaci, a delle strutture che fanno della loro linearità il proprio cavallo di battaglia, e alla voce (e alla propria presenza scenica in sede live) del grandissimo Dee Snider, autentico mattatore del gruppo. In realtà il meglio deve ancora arrivare (di li a poco sarebbe uscito il primo full length Under The Blade, dello stesso anno), ma questo assaggino basta ed avanza per capire chi abbiamo di fronte e quale sia la loro proposta. E pur non essendo, al giorno d'oggi, d'importanza fondamentale - come ribadito inizialmente - sicuramente Ruff Cutts ha avuto la sua notevole importanza all'epoca. Un biglietto da visita, questo, fatto per presentarsi al mondo. Cosa tra l'altro ribadita nel testo della prima canzone. Chiaramente, per chi si avvicina in data odierna al pazzo mondo dei Twisted Sister sarei più incline a consigliare i primi full in ordine cronologico: tanto già nel celebre Under The Blade c'è gran parte del materiale qui incluso. Ma per un completista, avere a disposizione questo dischetto significa avere innanzitutto quello che fu all'epoca il loro ufficiale "biglietto di presentazione", e poi poter godere di una cover - quella delle Shangri Las - davvero ottima, divertente, realizzata a regola d'arte. Una cover non ripresentata nel disco d'esordio, e che quindi rappresenta la chicca di questo Ep. Tra tante parole spese, molte a rimarcare la bellezza di questo gioiellino, mi preme comunque sottolineare uno degli aspetti vincenti dei brani, ossia i testi: lontani dall'ermetismo, dalla stringatezza, dalle astrusità di tante bands venute poi, questi sono davvero chiari, diretti, ben scritti e comprensibilissimi. Raramente mi dilungo nel parlare dei testi nelle mie track by track, approfondendoli si, ma evitando di spendere tonnellate di parole. In questo caso è diverso, dato che mi hanno veramente colpito, pur nella loro semplicità, e complice un'intellegibilità lampante, era impossibile non spendere tante parole per descriverli nella maniera più minuziosa possibile. Goliardici, divertenti, spensierati, scanzonati, hanno tutte le carte in regola per farsi amare. Dunque, a conti fatti, siamo di fronte ad una piccola gemma. Che magari non risulterà indispensabile per l'ascoltatore medio, che magari potrà essere considerabile come pezzo da completisti, ma innegabilmente è stato un tassello fondamentale nella storia della band americana. Da qui potremmo ufficialmente far partire la loro ascesa. E da questo momento in poi nulla sarebbe stato più lo stesso. Il mondo si preparava ad accogliere la Sorella Svitata.
2) Shoot'em Down
3) Under The Blade
4) Leader Of The Pack