TWISTED SISTER
Big Hits and Nasty Cuts
1992 - Atlantic Records
SIMONE D'ANGELO SERICOLA
02/08/2020
Introduzione Recensione
Scopo dei greatest hits è, da sempre, quello di condensare in un unico dischetto il meglio del meglio della produzione di un gruppo, di ripercorrerne le tappe, dai primi, a volte incerti, passi dal periodo della nascita, arrivando a quello della maturazione, passando per la fase della crescita. Altre volte è un espediente utilizzato dalle bands per riprendere un attimo il fiato da un ciclo ininterrotto fatto di album-tour-album, per ricaricare le batterie e trovare il tempo per riordinare le idee in vista di quello che sarà il prossimo lavoro in studio. In molti casi è una semplice, a volte sfacciata, operazione commerciale delle case discografiche messa in atto per sfruttare al massimo il successo di un gruppo puntando sulla forte eco generata dal nome di turno, pubblicando spesso raccolte identiche fra di loro, con solo un diverso titolo o, al più, solleticando la curiosità e la "fame" degli appassionati inserendo qualche inedito rimasto sepolto negli archivi e ripescato per l'occasione. Nonostante queste manovre, un altro più nobile scopo è, soprattutto lo era in passato, quello di far conoscere il gruppo ai potenziali nuovi fans, i quali possono farsi un'idea dello stile dell'act oggetto dell'operazione. Come avrete capito dal titolo, quello di cui parliamo oggi è un greatest hits degli statunitensi Twisted Sister, la più ingelese delle Glam Metal bands a stelle e strisce [vedremo poi perché] e nome fondamentale per la scena Metal tutta, essendo stati Snider e soci fra i massimi esponenti del genere e fra i protagonisti più conosciuti del Suono Duro, giunti alla ribalta proprio quando l'Heavy Metal stava crescendo, conquistando radio e canali musicali, Mtv in testa, per poi affermarsi su scala mondiale divenendo, immancabilmente, il nemico pubblico numero uno, il suono abbracciato dai teenagers come quello che esprimeva la loro rabbia e il rifiuto delle regole, quello che faceva tremare di paura i genitori, soprattutto quelli statunitensi, convinti che la cosiddetta "musica del diavolo" trascinasse i loro figli in una tremenda spirale fatta di alcol, droghe e sesso sfrenato. Ad aiutare i Twisted Sister a raggiungere la fama fu ovviamente l'immagine con cui si presentavano, un make-up forse eccessivo anche per i colleghi del Glam che li rendeva immediatamente riconoscibili ed oltraggiosi, nonché una formula musicale che non badava tanto a virtuosismi e fronzoli vari, ma puntava all'essenziale, andava subito al sodo, canzoni non così elaborate e lunghe, dotate di una linea melodica facilmente memorizzabile e con ritornelli concepiti per aggrapparsi come uncini ai padiglioni auricolari degli ascoltatori. C'è onestamente da dire che l'inclusione in tale calderone loro non la vedevano proprio di buon occhio ed infatti, come ci teneva a precisare J. J. French: "Non sono d'accordo quando la gente dice che siamo una band degli anni '80: semmai siamo una band dei '70 che ha avuto successo negli '80. Col dovuto rispetto, siamo diversi da questo Metal patinato proveniente dalla California: vende tanti dischi ed è cosa buona, ma è lontano dalla mia idea di musica Heavy, che è molto più seventies!", senza contare il giudizio che Dee Snider avrebbe dato tempo dopo delle power ballads e di quelle che lui definiva le "W" bands, e sul ruolo che ebbero, a parer suo, in merito al declino dell'Hard'n'Heavy sul finire degli eighties, disse infatti che ad un certo punto ci fu l'invasione dei gruppi che scrivevano lenti che sembravano fatti con il medesimo stampo, con l'indubbia e colpevole complicità delle case discografiche, sempre avide di guadagni dal momento che le power ballads erano garanzia di posizioni alte nelle classifiche, con conseguente alte vendite di dischi, massiccia programmazione radio e video e quindi profitti su profitti; per dovere di completezza è il caso di dire che i cosiddetti gruppi della "W" cui il singer si riferiva erano Whitesnake, Warrant, White Lion, Winger et similia... ho accennato ai Twisted Sister come la band più british fra quelle provenienti dalla terra dello Zio Sam ed i motivi sono due: il primo è il fatto che i nostri riesumarono in pieno la tradizione Glam e glitter nata in terra d'Albione estremizzandola e, ovviamente, servendola al pubblico con un impianto [stile] più proclive verso sonorità metalliche; il secondo perché fu proprio in Inghilterra che per i Twisted Sister , dopo anni passati a suonare in patria, qualcosa cominciò a muoversi, qualcosa che lasciava sperare che la tanto agognata carriera da musicisti potesse divenire realtà. Prima di continuare, c'è da precisare un punto: è vero che quando si parla di questo gruppo a venire alla mente sono canzoni semplici e strati su strati di trucco, ma non dobbiamo dimenticare che dietro quell'immagine c'erano musicisti vecchio stampo, di quelli che si facevano le ossa suonando ovunque ed a qualsiasi ora, per tutti i tipi di pubblico, anche in uno sfigatissimo pub di una città dispersa nella sconfinata periferia americana, in cui i clienti non ti degnano di uno sguardo mentre consumano le proprie birre, anzi, se fosse per loro sarebbe un sollievo che chi sta suonando riponesse gli strumenti e si togliesse finalmente dalle scatole. Ecco, non perdere la determinazione in situazioni del genere, ma farne anzi un motivo di sfida e fortificare la propria convinzione ed il proprio orgoglio, sono stati sicuramente elementi fondamentali per acquisire l'esperienza e la "sfacciataggine" giusta. Non si può ovviamente prescindere dalla figura del cantante Dee Snider, frontman assolutamente appariscente, molto estroverso, che diverrà suo malgrado uno dei volti più conosciuti dell'Heavy Metal al di fuori di questioni strettamente musicali, ma lo accenneremo più in là. Un combo tutt'altro che trascurabile quindi, fra i sicuri protagonisti di una stagione irripetibile per l'Hard'n'Heavy. Quando infatti, nel 2012, prendendo spunto dal jukebox musical "Rock of ages" scritto da Chris D'Arienzo (musical andato in scena sui teatri di molti Paesi, che racconta la storia del barista Drew Boley, aspirante rockstar e della sua storia con la ragazza di provincia Sherrie Christian, con musiche di gruppi Metal che spadroneggiavano negli anni '80, principalmente Glam) il regista Adam Shankman decise di realizzarne un adattamento per il grande schermo, due delle canzoni della colonna sonora vennero scelte dal repertorio della Sorella Stravolta (traducibile anche con "perversa", "malata"), le due poste in apertura di questa raccolta di cui vi parlo oggi... contribuiscono a descrivere un periodo che per alcuni ha raggiunto la consistenza di un mito. Questo greatest hits comprende brani dai loro primi tre album, il loro momento di massimo splendore, tralasciando quelli da "Come out and play" del 1985 in poi. Andiamo a vedere adesso qual è il prezioso contenuto di questa raccolta.
We're Not Gonna Take It
Il compito di aprire il disco spetta a "We're Not Gonna Take It" (Non lo accetteremo), uno dei brani più amati dei nostri, estratto dal terzo full-lenght "Stay hungry" del 1984, quello in assoluto più famoso e di successo della loro discografia, certificato multiplatino a casa loro. Batteria frizzante in cui non manca il cowbell, il campanaccio diremmo noi, protagonista assoluto del tempo, su cui subito Dee Snider si inserisce cantando quello che si ripeterà nel corso del brano come ritornello. Con una progressione discendente arrivano anche basso e chitarre (queste ultime in power chords) che ci guidano fino a quella che sarà la linea melodica della strofa, non eccessivamente elaborata, ma di sicura presa. Le chitarre che qui sono in palm muting si liberano nel refrain in cui vanno a ripescare schemi tipici del Rock'n'Roll prima maniera. Per quanto riguarda proprio il refrain, è del tipo che è lecito aspettarsi da un gruppo del genere: di quelli da cantare a squarciagola, quasi urlati. E' un'impostazione che prosegue senza intoppi fino alla sezione dedicata all'assolo di chitarra e qui siamo in presenza di quella che, con le dovute cautele, potremmo definire il punto più debole del brano, dato che la chitarra, nella persona di Eddie "Fingers" Ojeda non altro che limitarsi a ripetere la melodia del chorus, gradevole senza dubbio, ma niente di originale; è bello comunque come viene armonizzato. Ciò che segue è di nuovo il ritornello, ma eseguito con solo batteria e voce (quelle di tutto il gruppo), ma come lo si eseguirebbe in sede live, coinvolgendo il pubblico; poi di nuovo con tutti gli strumenti fino alla conclusione sfumata del brano. Ciò di cui si parla nel testo è il classico scontro generazionale, principalmente quello fra genitori e figli, di chi vede la vita in modi totalmente differenti. Le liriche non lasciano spazio a dubbi in quanto l'ipotetico adolescente tipo, a cui Snider presta al voce, dice chiaramente tutto ciò che a lui e tutti quelli come lui piace e cosa assolutamente no. Non accetteranno più regole imposte dalla società che vorrebbe una vita inquadrata per ogni persona, ognuna con il suo ruolo predefinito; rivendicano quindi il diritto di scegliere autonomamente il loro destino, gli spetta. Ovviamente lo scontro include anche la lista di tutte le cose che il giovane rinfaccia all'adulto, della vita di quest'ultimo scandita dalle suddette regole sociali: "ripulire" la propria immagine, cambiare e rendere più formale l'abbigliamento, trovare un lavoro e far finta di vivere una vita felice. Una vita del genere garantisce una certa sicurezza, una stabilità economica, ma è vuota e gli adulti risultano così, almeno agli occhi dei teenager, solo rancorosi per aver accettato regole imposte da altri e esprimono il loro malcontento, la loro rinuncia a seguire i propri sogni e le aspirazioni rendendo quelle norme più stringenti e meno appetibili per le nuove generazioni.
I wanna Rock
"I wanna Rock" (Io voglio spaccare) seconda traccia e secondo pezzo da novanta dal songbook dei newyorchesi, anch'esso preso dal terzo album. Inizia come una dichiarazione di guerra, urlando chiaramente il messaggio del titolo, quel "Io voglio spaccare" preso a dogma dalla gioventù dell'epoca. Come il precedente brano, l'essenzialità e l'essere diretti sono gli elementi che ne compongono il tessuto sonoro, esordendo subito con la progressione di accordi che andrà a scandire poi il ritmo del ritornello. Questo è un espediente utilizzato per fare presa in modo ancor più efficace su chi ascolta, offrire direttamente a chi si approccia al brano la sezione più riconoscibile e trascinante. In particolare è il basso a sorreggere la canzone con il suo ritmo pulsante, su cui le chitarre si inseriscono per sottolineare determinati punti, mentre A. J. Pero si limita ad un basilare ritmo in 4/4; dal canto suo, Snider si esprime con una linea vocale che a tratti rasenta il rap (prendete con le pinze questa affermazione) per il modo di esporre il testo. Il tutto procede senza intoppi fino al refrain da cantare sempre a squarciagola, concepito per essere eseguito in modalità botta e risposta con il pubblico. Quando si arriva a questo punto per la seconda volta c'è un piccolo cambiamento, nel senso che a quella che è concepita come la parte di maggior interazione con i fans viene lasciato maggiore spazio con continui incitamenti a rispondere al singer. L'assolo di chitarra qui presente è leggermente più elaborato del precedente, niente comunque che si discosti dal fraseggio rock/blues e Ojeda ricorda: "Ogni volta che dovevo registrare l'assolo - ai Lakeland Studios in California - dagli amplificatori iniziava ad uscire un sacco di casino: sembrava il rumore di un Boeing 747 in decollo! alla fine però ce l'abbiamo fatta. Quel solo in origine lo suonavo senza effetti, poi Tom (Werman, il produttore) mi disse 'Perché non ci metti un wha wha?'. E aveva ragione: lo usai e venne perfetto al primo tentativo". Ancora una volta, il messaggio che emerge dalle liriche di "I wanna rock" è la ribellione alle regole della società. Tutto ciò che qui si dice è quello che molti di noi si sono sentiti ripetere in ogni parte del mondo, allora ed ora (anche se con diversi idoli musicali) in ogni parte del mondo e anche quelle che sono state le nostre risposte. Anche io, come sicuramente molti di voi, si sono sentiti ripetere all'infinito di abbassare lo stereo (o spegnerlo del tutto), dalle cui casse usciva quella musica infernale, tanto odiata dagli adulti quanto amata da noi, presa come un simbolo, un qualcosa che ci rappresentasse, come se i Twisted Sister e colleghi fossero gli unici a capire come ci sentivamo, quello che provavamo. Anche il velato ordine di non suonare, non perdere tempo inutilmente cercando di emulare sugli strumenti i musicisti; è un copione che si ripete costante nel tempo, a me è successo con la chitarra, ad altri è successo con le console da dj... stessa cosa, probabilmente, a chi si approccia da esecutore e non semplice ascoltatore, al rap. Così, nonostante le restrizioni imposte dagli adulti in tal senso, tutto ciò che i giovani vogliono è ascoltare la propria musica preferita al massimo del volume, poter sfogare attraverso di essa la rabbia e le frustrazioni generate dall'interazione con un mondo che non li capisce. Ecco quindi quella dichiarazione di intenti del titolo, che dice: "Questo sono io, questo è ciò che voglio e farò di tutto per vivere come dico io!". Se qualcuno che non conosce i Twisted Sister avesse acquistato questo greatest hits per faresi un'idea del gruppo davanti al quale si trova, beh, dopo queste due tracce, che definire anthemiche non è affatto fuori luogo, si troverebbe investito da energia pura mista a divertimento, una cocktail esplosivo, un platter da mettere nello slot dello stereo per dimenticarsi, anche se solo per un momento, di tutto e tutti. Si è qui di fronte al gruppo nel massimo della forma, in uno stato di grazia ed infatti, come già accennato, "Stay hungry", disco dal quale sono pescate, fu la release che fece il botto. La Sorella Stravolta si imbarcò in un tour mondiale che vide come gruppo di apertura degli shows dei giovanissimi Metallica che nel Vecchio Continente avevano già un seguito enorme. Un noto aneddoto, raccontato da Snider rende possibile perfettamente la situazione: quando arrivarono in Olanda, il gruppo notò che sui manifesti affissi per i muri della città il logo Metallica era enorme, ben visibile, accompagnato sotto dalla scritta "...and Twisted Sister". Resisi così conto di chi fossero considerate le star lì, lo stesso singer concesse ai futuri Four Horsemen di esibirsi in qualità di attrazione principale.
I Am (I'm Me)
Non è da meno (e non si discosta affatto dalla stessa formula) la successiva "I Am (I'm Me)" - Io sono (sono fatto così), perla facente parte di "You can't stop Rock'n'Roll", il secondo album, pubblicato nel 1983, addirittura più semplice delle due precedenti, ma più cromata. L'attacco è bello deciso, un accordo di Si in power lasciato suonare a lungo su cui la voce si inserisce con le parole "I am". Il cambio di accordo è altrettanto gagliardo, un classico Mi power su cui si innesta il passaggio "I am me". La ritmica è intrigante come la renderebbero gli AC/DC ed infatti ricorda molto gli Aussie di metà anni ottanta: batteria ordinaria alla Phil Rudd e chitarre in palm muting sul Mi basso, mentre il basso sovrasta tutti gli altri strumenti. E' su questo incedere lento ma perentorio che inizia il cantato, una bella linea melodica che insieme agli strumenti ti cattura ed inizia a farti battere il tempo con il piede per poi estendersi a tutto il corpo così, senza nemmeno rendertene conto, stai partecipando con tutto te stesso. Quando giunge il refrain, fiero e coinvolgente, la gioia ti pervade; questa scorrevole musicalità viene interrotta per un solo momento da quattro note secche che precedono il cambio Si-Mi già ascoltato in apertura. dopo la canonica ripetizione di strofa e chorus giungiamo quindi all'assolo che, pur se semplice (aspetto che in futuro farà considerare a Dee, esclusivo songwriter del combo, l'idea di apportare qualche cambiamento ad un songwriting che si era adagiato sugli allora), è un'autentica goduria. Se dal punto di vista della "challenge" non richiede una tecnica esecutiva da Guitar Hero, è una scelta un po' di comodo, ma che non fa affatto storcere il naso, se si prende il gruppo in questione dal corretto punto di vista, quello della fun band; sulla stessa progressione di accordi di strofa e refrain si svolge appunto il solo, dapprima con una sola linea di chitarra subito raggiunta da una seconda armonia, che va a concludersi con una gustosa scala ascendente. Come da copione, il tutto torna a ripetersi per l'ultima volta prima di avviarsi verso la conclusione sfumata. Le liriche qui sono del tipo da "the last man standing", da chi fieramente afferma di essere ciò che è, quale è la sua volontà, di chi non permette a nessuno di guardarlo dall'alto in basso, di non essere criticato nelle proprie convinzioni e nei propri ideali. Può vedere nel volto degli altri che lo stanno soppesando, giudicando, lo sa perché è come se potesse leggere nella loro mente. Non si accettano giudizi altrui qui, è un'eventualità che non sarà più ammessa. C'è stato un momento in passato in cui ha cercato di uniformarsi a certi dettami, in cui ha cercato di dare agli altri ciò che si aspettavano, di essere la persona che qualcun altro aveva deciso dovesse essere. Tutto ciò però adesso non è affatto ammissibile, perché, proprio quando sembrava ormai inquadrato, improvvisa è arrivata la folgorazione, il risveglio, che lo ha fatto alzare in piedi, inteso come sollevare il capo, guardare dritto negli occhi tutti coloro il cui sguardo aveva timore di incontrare prima. E' quindi tempo di stare dritto sulle sue gambe, dritto con le spalle, camminare orgogliosamente a testa alta e cominciare una nuova esistenza, a vivere davvero, dichiarando con forza "Sono io! Sono così!". Mettiamoci per un attimo nei panni di un ragazzino che timido si avvicina alla musica di questi artisti con la raccolta di cui ci stiamo occupando e che si trova di fronte ai tre brani appena ascoltati. La reazione non può che essere positiva; tre anthem; tre centri perfetti che non possono non invogliare a proseguire nella scoperta.
The Price
"The Price" (Il prezzo), da "Stay hungry", è l'unica power ballad di cui ci è concesso di godere su "Big hits and nasty cuts", in cui sono presenti tutti i canoni delle ballads metalliche degli anni '80, perfetta per ricordare tempi ormai andati. Sobria rullata di batteria ed il pezzo può partire in tutto il suo splendore, con chitarra ritmica e basso che ne costituiscono l'ossatura mentre la seconda chitarra ci fa omaggio di un fraseggio assolutamente melodico e dai suoni perfetti. Anche l'arpeggio che segue, e su cui entra la voce, è di quelli che già allora si stavano affermando come tipici di questo tipo di proposta più delicata e romantica, ed infatti il leggero effetto chorus cominciava ad essere massicciamente utilizzato già a quei tempi. Snider con grande passione e con una dolcezza che sarebbe stato quasi impensabile aspettarsi da lui basandosi su tutto ciò che ha preceduto questo lento. Nella seconda parte della strofa e nel refrain fa ingresso in tutto il suo splendore l'elemento che ha consentito di categorizzare le ballads Metal come power, vale a dire una distorsione bella presente, ma non invasiva che ne enfatizza il messaggio. L'assolo, nella sua semplicità, è un autentico capolavoro: la scala con cui Ojeda esordisce, il modo in cui cioè la esegue, farebbero pensare a un qualcosa di leggermente più rapido, ma poi si adagia sul tempo scandito dagli altri e riprende la melodia del ritornello per poi spiegare le ali e volare su una linea tutta sua; una prova che è il colpo di grazia per far sgorgare la passione nei cuori degli appassionati e le loro fanciulle. Il finale è da copione, la tipica conclusione sfumata. Come per la gran parte delle ballads i toni sono dimessi e si parla di qualcosa di molto diverso dal divertimento, si parla qui di un qualcosa di non facile interpretazione, non ci sono nomi o qualcosa che faccia riferimento ad una persona ben precisa, oltre il narratore, ma è presumibile che si tratti di questioni di cuore. Un amore che si è sognato a lungo, che si è voluto con tutte le proprie forze, ma che proprio nel momento in cui si avvicina già dà l'impressione di essere un qualcosa di sfuggente, qualcosa di molto diverso da come lo si era immaginato. Adesso che il sogno si sta per avverare sembra impossibile che le cose stiano andando per una direzione del tutto diversa, al punto tale che ci si chiede valesse davvero la pena lottare, illudersi di arrivare alla meta. E' un gioco che non si può vincere, ci si può forse illudere, la mente umana è spesso vittima di illusioni, di storie immaginate con un diverso svolgimento, ma non è possibile cambiare il destino.
You Can't Stop Rock'n'Roll
Dopo l'immancabile ballata, il compito di riportarci a fare headbanging ed alzare i pugni al cielo è affidato a "You Can't Stop Rock'n'Roll" (Non potete fermare il Rock'n'Roll), fragorosa e trascinante title-track del secondo parto discografico, dedicata a quel suono che risvegliò i giovani negli anni '50. L'inizio con quegli accordi, solenni potremmo dire, fa pensare magari ad un pachidermico heavy slow, dai suoni grassi e pieni, ma poi la velocità prende il sopravvento ed il brano cambia pelle. Sono le chitarre a dettare la linea con un potente riff che vomita metallo fumante dalle casse dello stereo (consideriamo che nei primi lavori i Teisted Sister erano più duri) e gli altri strumenti si buttano all'inseguimento creando uno sfavillante muro del suono; anche il cantato risulta più aggressivo rispetto a quanto ascoltato prima, sembra quasi di vedere Snider che, colorato ed appariscente come sempre, in piedi sugli speaker, incita la folla a darsi da fare, a partecipare cantando insieme a lui e poi, quando si arriva al ritornello, che scandisce il titolo della traccia senza pericolo di essere fraintesi su cosa si stia celebrando, concepito per coinvolgere i fans, sembra quasi di sentir ruggire questi ultimi estasiati e caricati di adrenalina. La bellezza di una traccia così energica, che ti rapisce e ti porta dove vuole lei, non poteva essere "mortificata" da un minimale assolo di chitarra ed infatti, quando giunge quel momento, le dita di French corrono agili sul manico con tutta la spontaneità del più sanguigno Rock/Blues. A metà, il ritmo rallenta, ma senza perdere in potenza e cattiveria, continuando a tirare pugni allo stomaco l'idea di ribellione punto che ascoltiamo patterns con reminiscenze della Vergine di Ferro prima maniera, fino al ritorno prepotente del riff portante. C'è quindi spazio per l'ultima sequenza strofa-ritornello, questo ancora interpretato con vigore e fa capolino di nuovo la chitarra solista prima che tutti gli strumenti concludano all'unisono il brano con l'urlo finale del cantante. Prima canzone che non sfuma, ma che si chiude con un colpo secco ed autentica bomba! Il testo celebra il Rock'n'Roll, la sua potenza primordiale ed il sentimento che da sempre si accompagna ad esso, una rivoluzione musicale e culturale che investì in pieno la gioventù della metà del secolo scorso e che fece rabbrividire i benpensanti, impauriti dalla rivoluzione che sarebbe potuta scaturirne. Vedere i propri figli mutati in una sorta di ribelli divenne il maggior incubo dei genitori, preoccupati che questa musica non "colta" potesse guidare i giovani verso sentieri tutt'altro che piacevoli. Eccola quindi questa forza straordinaria, così perfetta e decadente, veloce, talmente veloce che niente e nessuno può superarla,non può nemmeno pensare di provarci. Avanza a tutto spiano, così inarrestabile, tanto da dare l'impressione di essere un enorme toro che carica, di più, un juggernaut, un qualcosa cioè di mastodontico e quasi divino. Non si fermerà davanti a niente e nessuno ed il suo ruggito squarcia il cielo. E' rabbia, è una bestia che si sottrae agli attacchi e fieramente spavaldo ti irride e con forza risponde. Atri al posto suo soccomberebbero, ma non è possibile da incatenare il Rock'n'Roll perché è immortale. Non rimane altro da fare che lasciarsi trasportare, levare le mani e rendere lode perché questa musica non può essere fermata!
The Kids Are Back
E' la volta di "The Kids Are Back" (I ragazzi sono tornati) il mid tempo che apre il secondo lavoro, traccia introdotta da un rumore di passi pesanti ed in perfetta sincronia, che si riconosce essere quelli di un esercito, quello di cui tratta il brano. Anche qui è il basso di Mark "The animal" Mendoza a farsi sentire di più per buona parte del riff, dal momento che le chitarre intervengono per scandire alcuni passaggi e si fanno poi più presenti nell'esecuzione del refrain mentre la batteria cresce solo per quanto riguarda il suono di qualche piatto in più. Il tutto è di buona fattura e dà brillantemente modo a Snider di accantonare per un attimo tonalità più alte, il timbro è infatti più basso, ma non per questo meno minaccioso. Quando si arriva effettivamente al ritornello non si può non notare che anche questo è stato concepito con lo scopo di far scatenare la folla sotto al palco e la progressione di accordi che possiamo ascoltare qui è la stessa che fa da tappeto al bel momento solista di French, un caldo assolo che si sorregge sugli schemi del blues e ne sfrutta tutta al carica melodico/emotiva. Senza stravolgimenti di sorta si torna alla strofa, l'ultima, per poi giungere alla chiusura che ci ripropone i passi militari dell'inizio. Questo è un episodio perfetto per essere eseguito in sede live, è di quelli che hanno il giusto appeal per far sentire l'audience parte di qualcosa di bello. Si torna qui alle liriche di "protesta", con un testo battagliero come nei brani d'apertura. I passi di cui all'inizio sono quelli di un esercito di giovani (curioso ad ogni modo l'ambiente e la generazione di cui il gruppo parla, dal momento che i membri erano già piuttosto, potremmo dire agé, rispetto anche ad alcuni colleghi) che avanza fiero, con uniformi malconce ma senza nessuna intenzione di muovere guerra a chicchessia, almeno non per primi, perché quei ragazzi trasandati, col cuore da leone che batte nel petto, non lasceranno certo passare provocazioni e saranno pronti a raccogliere la sfida, qualunque essa sia. Tutti sono avvertiti, non è concesso criticarli per i sogni che hanno, nessuno, a partire dai genitori, è autorizzato a dire la sua, perché nessuno può entrare nella loro testa e non sanno cosa pensano e come. Non vogliono rimanere intrappolati nella solita, noiosa, routine, una vita regolare ma vuota, quindi che tutti stiano in campana, i ragazzi sono tornati per prendersi ciò che gli spetta.
Shoot 'em Down
Con "Shoot 'em Down" (Buttali giù), dal primo disco "Under the blade" del 1982, torna un "Aussie moment", in quanto anche qui siamo in presenza di una ritmica non eccessivamente veloce, ma inesorabilmente catchy, proprio come il grande gruppo australiano ha insegnato a generazioni di musicisti. La caratteristica di brano immediato che rifugge barocchismi è qui presente in maniera ancora più evidente che nei precedenti, salvo infatti il diverso modo di eseguirla, la progressione di accordi che lo compongono è pressoché identica dall'inizio alla fine, se si eccettua una piccola deviazione dalla linea melodica subito prima dell'assolo di chitarra. Ma vediamo in cosa consiste il diverso modo di esecuzione: l'inizio è suonato con accordi "aperti", lasciati suonare.... l'effetto dell'attacco riporta un po' alla mente quello che è possibile ascoltare in "Dirty deeds done dirt cheep", ma l'atmosfera generale è molto più solare (dato forse il diverso argomento trattato nei due brani) e, soprattutto, senza il toto beffardo di un singer come Bob Scott. Il tempo di introdurre il brano e poi via con la parte in palm muting. La sezione ritmica, che si adatta perfettamente al battito del tuo cuore, costituisce un tandem solido ed affiatato. E' dopo il secondo refrain che la piccola deviazione cui accennavo arriva, rompendo la continuità quel tanto che basta per sorprendere l'ascoltatore e non rendere la traccia un unico indistinguibile blocco. L'assolo sembra uno di quelli made in Angus, tendente molto al versante blues del Suono Duro, ma decisamente meno polveroso di come verrebbe fuori dalle dita dell'aussie. Come dicevo, ci sono delle affinità con il combo dei fratelli Young e la cosa non riguarda solo l'aspetto musicale, ci sono dei tratti comuni dal punto di vista del'attitudine, sempre French disse una volta."Eravamo una bar band,la migliore in circolazione... una bar band che ce l'ha fatta, come gli AC/DC: anche loro si fecero le ossa nei pub. Abbiamo suonato in quei posti migliaia di volte, è così che abbiamo imparato a stare sul palco!". Quando siamo colpiti da chi ha fascino e lui/lei ne è consapevole è un guaio, siamo vittime, marionette nelle loro mani. Si analizzano qui due prospettive, quella della vamp che fa girare la testa a tutti, che sa di piacere e che gioca col suo sex appeal per irretire gli uomini per gioco, senza il benché minimo coinvolgimento sentimentale. La scena è quella che abbiamo visto milioni di volte nei film, questa donna bellissima che sensuale, dal bancone del locale vede la futura vittima e gli va incontro per prendersi gioco di lui e che una volta intrappolato nella sua ragnatela e resterà con un palmo di naso. C'è poi l'affascinante ed ambito uomo di successo che ostenta la sua posizione, i suoi traguardi raggiunti ed usa questo suo charme per far cadere ai suoi piedi le donne. Sa di essere visto come la via per raggiungere un certo status e molte sarebbero disposte a rinunciare anche alla propria dignità pur di fare coppia con un uomo del genere. Lui lo sa, è consapevole dei propri mezzi e li usa per illudere le sfortunate che lascerà poi sole a piangere una volta che sarà andato via. Persone così pensano solo a buttare giù gli altri, hanno le proprie regole ed è meglio non avere a che fare con loro.
Under the Blade
Quello che segue è un altro estratto da "Under the Blade" (Sotto la spada), proprio la title-track. Quel primo album fu proprio quello con cui attirarono l'attenzione, soprattutto in terra d'albione, Paese in cui fu anche prodotto e registrato, per la label Secret, sotto la guida di un non esattamente lucido Pete Way, bassista che non ha certo bisogno di presentazioni . La qualità del prodotto finale non fu proprio scintillante, ma la cosa conferì comunque al disco un suono più grezzo e spontaneo, più potente ed infatti si amalgamava piuttosto bene al tipo di suono che in quel momento stava generando sussulti con la N.W.O.B.H.M. Una chitarra ritmica dal suono secco e quasi disturbante emerge dal silenzio subito seguita dalla seconda chitarra con note singole in bending che sembrano la sirena di un'ambulanza di un parallelo mondo folle. La voce, minacciosa, reclama il suo spazio e comincia a narrare la folle storia partorita dalla mente di Snider, fino a quando un grasso fraseggio ascendente, eseguito all'unisono dalle chitarre e dal basso, ci porta verso quella che sarà la progressione della strofa, dapprima riservata solo alle chitarre seguite quindi dagli altri strumenti che fanno il loro ingresso in modo graduale, per poi cominciare a correre tutti insieme. L'acciaio elargito dalle asce è un po' stemperato dalla musicalità del basso, ma è tutto ben concepito perché la cosa non va creare una perdita nella potenza. Anche la voce si fa più presente e vigorosa. In un brano poderoso come questo come è lecito aspettarsi un chorus che ne esalti ancora di più la carica, ed è proprio così, epico da cantare con i pugni che si agitano e le chiome che roteano selvagge. L'assolo non è da meno in quanto ad irruenza, il chitarrista preme sull'acceleratore triturando la pentatonica, brutalizzandola quasi. Segue un piccolo break fatto di potenti sferzate e subito dopo di nuovo la ritmica tagliente iniziale in cui torna a farsi sentire la "sirena" di prima e poi di corsa ancora con l'infuocato che ci porta alla conclusione. E' questo uno dei brani che li fece finire sotto la lente del PMRC delle Washington Wives capeggiate da Tipper Gore, per aver frainteso il titolo credendolo un incitamento alla violenza quando invece si trattava del racconto di un'operazione chirurgica. La situazione è comunque da film thriller perché qui vediamo un povero sfortunato bloccato a letto, immobilizzato per impedirgli anche il più piccolo movimento, può solo vedere qualcosa, ma sono comunque immagini poco nitide. L'unica cosa che riesce a distinguere con una certa chiarezza è il luccichio di una lama e tanto basta per fargli capire che si trova in una sala operatoria, di quale e, soprattutto, che tipo di ospedale non gli è dato saperlo. E' spacciato, non ha vie di scampo, sente una fredda lama entrargli nel fianco e farsi strada dentro il suo corpo, la sente fredda e quella sensazione raggiunge addirittura le sue ossa. La follia si impadronisce di lui e gli fa arrivare immagini distorte, come quella di un orribile mostro con la bocca spalancata che lo minaccia, ma è solo un'operazione, nessuno vuole fargli del male, vedrà tutto in maniera più chiara al suo risveglio.
I'll Never Grow Up, Now!
"I'll Never Grow Up, Now!" (Non crescero più da ora!) pur essendo punkeggiante stempera i toni ed abbassa la velocità. Punkeggiante perché ne ricalca in un certo senso gli stilemi, intesa questa espressione come approccio semplice alla scrittura (come struttura è infatti molto simile a "Anarchy in the U.K.") ma allo stesso tempo se ne discosta per la maggiore pulizia, non essendo i suoni rugginosi e sguaiati come il suddetto genere. Se questo è il discorso che si può fare in merito alle chitarre, quello che riguarda batteria e basso è diverso, in quanto A. J. Pero dietro le pelli conferisce un ritmo saltellante e Mendoza si da fare con le quattro corde del suo strumento in un gioioso ritmo alquanto musicale, condito qua e là da melodiche infiorettature. Tutto ciò contribuisce a rendere la canzone meno statica. Il singer racconta con fare sfrontato la sua storia. L'intercalare è uno,di quelli che ormai potremmo definire tipici di questa band, cioè a presa rapida, di quelli che ti entrano in testa e ti ritrovi ad intonare per tutto il giorno. Un'attenuazione segue, in cui i suoni si smorzano leggermente e la voce si abbassa, come quando si vuole far ascoltare solo una persona vicina escludendo altri e poi un altro tratto che si distanzia dal Punk e cioè un assolo, pulito, chiaro nelle note. Fino alla fine, poi, abbiamo la tradizionale chiusura sfumata. Il testo di questa canzone potremmo definirlo un dialogo a tre, dal momento che si svolge fra un ragazzo, una ragazza ed il solito mondo adulto e responsabile. Si rimprovera in primo luogo al ragazzo di stare sprecando il proprio tempo e la propria vita, che sta la sciando scappare le opportunità di trovare una moglie e di trovare una stabilità, affettiva ed economica, di smetterla di comportarsi da persona immatura e cominciare finalmente ad agire in modo responsabile, come ci si aspetta da uno della sua età, ma lui non ascolta, non vuole crescere. E' la volta della ragazza a cui si dice di smettere di sognare e di darsi da fare, di impegnarsi con gli studi, perché altrimenti non andrà da nessuna parte e non si realizzerà. Meglio che cominci a rigare dritto o sarà sbattuta fuori casa. Come il ragazzo di prima, però, nemmeno lei vuole crescere e vedere sfumare i suoi sogni. La vita non è uno scherzo, un giro sulla giostra, ma una cosa da prendere sul serio, nelle loro menti, nei loro cuori c'è però spazio solo per la musica.
Bad boys (of Rock'n'Roll)
"Bad boys (of Rock'n'Roll)" - I cattivi ragazzi (del Rock'n'Roll) è il seguente pezzo, in cui l'atmosfera generale non varia di molto dal precedente, discorso diverso, però, per la musica, in quanto dal punto di vista strutturale è presente un maggiore dinamismo per quanto riguarda il susseguirsi degli accordi. Intro di batteria e subito parte il riff su cui si esprime la chitarra con un fraseggio perfettamente aderente alla sezione ritmica.; questa è caratterizzata in alcuni punti da un cambio di tono che ne spezza un po' l'incedere musicale ed è incalzato dal fraseggio iniziale che qui si ripete per poi dare avvio alla seconda strofa. Anche l'assolo di chitarra non è impegnativo, demanding direbbero gli inglesi, non essendo altro che una versione accelerata di un qualsiasi solo blues che potremmo ascoltare in uno di quei bui e fumosi locali visti tante volte in vari film. Ovviamente qui è inserito in un contesto ben differente ed è giusto così, non avrebbe senso rallentare un brano che sprizza energia e sfrontatezza come questo, non è di Progressive che si sta parlando e chi si mette all'ascolto di un gruppo così colorato e fracassone sa bene cosa aspettarsi. Giunge così la fine che non aggiunge nulla di nuovo rispetto al trend dei brani inseriti in questa compilation, vale a dire coro ripetuto all'eccesso e volume che si abbassa sempre più fino al termine. Ogni generazione ha avuto i propri ragazzacci, esempi da non seguire. E' una cosa che probabilmente succede fin dalla comparsa dei primi uomini sulla terra, è successo con il Rock'n'Roll, con il Punk, con il Metal... è successo sicuramente anche ad alcuni di voi che leggete, come è successo a me: entrare da qualche parte, ad esempio un locale, ed essere guardati di traverso a causa dell'abbigliamento tutto pelle e borchie, con magliette che recano loghi di gruppi dai nomi impronunciabili e dai disegni poco rassicuranti. La vista di una persona abbigliata in tal modo, in particolar modo nelle cittadine di provincia, è sempre stata considerata un elemento fuori dagli schemi e vista come un potenziale pericolo o, a volte, come un bersaglio per sfottò; in alcuni parti del Paese è ancora così, anche se è ora piuttosto raro, ma comunque qualcosa che mina alla base il muro di certezze che ognuno si edifica intorno. E' a queste persone "regolari" che i Twisted Sister si rivolgono, dicendogli chiaramente che se ne infischiano del modo negativo in cui li vedono e se danno fastidio urtando la loro sensibilità anzi, anzi, gli fa piacere vedere che storcono il naso alla loro vista, sono quasi contenti di dare loro fastidio' in fondo quel criticare aspramente mette semplicemente in luce le loro fragilità, le loro frustrazioni. La loro vita si è incrociata con quella di questi ragazzi ribelli e devono semplicemente accettarlo per quanto possa essere fastidioso e comunque questi ragazzacci, i cattivi ragazzi del Rock'n'Roll se ne infischiano degli altri perché vogliono solo godersi la vita.
What You Don't Know Sure Can Hurt You (live)
Dopo un episodio più scanzonato si torna ad un altro, "What You Don't Know Sure Can Hurt You (live)" (Ciò che non conosci di certo può ferirti), un altro di quei titoli che non passano inosservati agli occhi della censura, in cui il metallo e la durezza la fanno da padrone e la cosa non stupisce, dato che questo è un altro estratto dal primo platter, dove la presenza di riff trita ossa è più massiccia. Un riffing che ricalca quello di "Under the blade", in particolar modo per quanto riguarda la secchezza del suono, e che dà l'impressione di aascoltarele lancette impazzite di uno strambo orologio, ci presenta il brano; su di esso gli altri strumenti scandiscono gli accenti con colpi secchi e potenti, mentre la voce, rabbiosa, con un fantastico gioco di echi, ci dà il benvenuto introducendoci alla storia che sta per narrarci, subito sovrastata da una risata spiritata che va a spegnersi in lontananza. L'effetto di tutti questi elementi messi insieme è stupendamente torvo, una manna per i kids. Quando poi tutti i cinque elementi del gruppo si lanciano nella corsa che caratterizza "What...", l'immagine che il suono evoca è quella di un mezzo impazzito che sfreccia sull'autostrada. Il rifferama è preciso ed inarrestabile e sfocia in un refrain corposo e micidiale, non si potrebbe chiedere di meglio. L'assolo è impetuoso e le note che schizzano fuori dal manico della chitarra ci aggrediscono e ci colpiscono come schegge impazzite. La corsa cessa per un attimo e ci dà modo di riprendere fiato mentre torna a primeggiare il riff tagliente con cui il brano si è aperto, con un Dee intimidatorio a più voci e subito la corsa riprende furiosa fino a quando una breve scala blues ci porta al capolinea. I Twisted Sister mettono subito in chiaro cosa potremmo trovare ad un loro show, non crediate di trovarvi di fronte a cose simili a quelle che avete già visto, loro sono una realtà del tutto diversa, una novità. Non sono quel tipo di band che scompare senza lasciare tracce dopo un breve periodo sulla cresta dell'onda, loro sono qui per restare a lungo e non vogliono applausi finti e di circostanza. Non troviamo divertente la loro immagine o la loro musica? Li troviamo addirittura irritanti per le orecchie e gli occhi? Poco male, i tipi tranquilli non sfondano, loro invece otterranno quello che vogliono. Dobbiamo però riconoscere che vederli in azione è un bello spettacolo, un'esperienza unica, ma dobbiamo sapere di fronte a chi siamo, perché quello che non conosciamo, per cui non siamo preparati potrebbe darci qualche problema.
Destroyer (live)
"Destroyer (live)" (Distruttore) inaugura la sezione del greatest hits le cui ultime cinque tracce fotografano i nostri in sede live. La prima cosa che sentiamo è il vocalist che, da istrione qual è, incita il pubblico ad urlare fieramente "I'm a sick motherfucker!", che è il soprannome che lo stesso singer aveva dato al gruppo di sostenitori della band, un seguito che diventava sempre più numeroso. A. J. Pero con i suoi tamburi, quasi tribali, scandisce il ritmo e le chitarre danno il via ad un riff unto che si fa strada con l'incedere di un pachiderma. E' un ritmo lento e quasi ossessivo. Stare a fondo palco durante l'esecuzione di una canzone del genere deve essere una piacevole esperienza: ricevere in prima persona le forti vibrazioni dei bassi e farsi conquistare gradualmente, fino al momento in cui il battito del tuo cuore e i beat della musica diventano un tutt'uno, sembra quasi di sentirli da dietro lo schermo di un computer. Il mood del brano è concepito per accompagnare in modo appropriato la vicenda del Distruttore, che non ha fretta di svolgere il suo compito e inesorabile porta a termine la sua opera. Il testo, misto alla musica pesante e cupa, mi fa immaginare questo distruttore come un tipo di Iron Man del Sabba Nero dal momento che la storia presenta qualche affinità con quella narrata da Iommi e soci. Un distruttore micidiale, il risultato di un folle esperimento pensato per uno scopo benefico, proteggere ciò che è bene, ma che ha sortito tutto un altro effetto. Una temibile e silenziosa sentinella che ha vigilato ininterrottamente per secoli, ma inavvicinabile, perché incute un terrore nero nell'animo di ogni umano, ogni essere vivente. La sua vista è infallibile e niente sfugge ai suoi sensori. Pochi lo apprezzano nonostante sia lì per difenderli ed è così che si rivolta contro i suoi stessi creatori. Sembra quasi di sentire il suo respiro d'acciaio, arriva in città con passi dal rumore assordante, nessuno sfugge alla sua ira, il suo sguardo di fuoco incenerisce tutti coloro che non hanno fatto in tempo a mettersi in salvo, ma chi è scappato lo ha fatto invano, perché li cercherà ovunque. Arriverà all'improvviso per portare a termine la sua vendetta, un giudice spietato che ha emesso il suo verdetto: la condanna a morte dell'umanità. Bisogna scappare, cercare di mettersi in salvo in ogni modo. Non si deve incontrare in nessun modo Il Distruttore!
Tear It Loose (live)
A seguire "Tear It Loose (live)" (Scatenato), anch'essa proveniente dal primo lavoro, una fast song senza freni . Sulla fragorosa intro di batterai Snider annuncia urlando il titolo del brano che stanno per offrire al pubblico, è a quel punto che un riff roccioso parte in quarta riversando decibel su decibel nell'etere, vomitati dai watt dei Marshall che ruggiscono. Per la prima parte della strofa ad accompagnare la voce sono solo la batteria, che dall'introduzione non ha cambiato ritmo e attitudine, e basso che ha un gran lavoro da fare per riempire il suono in assenza delle asce, ma che svolge egregiamente, mentre per la seconda parte ed il chorus arrivano a dar man forte ance le sei corde e l'atmosfera si surriscalda, anche gli altri musicisti partecipano al coro del refrain e la resa in tal modo è più aggressiva. Sullo stesso ritmo galoppante si alzano in volo due sfrenati assoli di chitarra che non fanno altro che aggiungere fiamme all'incendio scoppiato sul palco, sembra quasi che le corde si lamentino per il fatto di essere trattate a quel modo. La traccia, un rullo compressore che tutto schiaccia, non si arresta fino al momento finale, in cui Twisted Sister danno il colpo di grazia ai fans con un tripudio di scale e note. Quando hai passato tutta la settimana al lavoro, ha sgobbato come uno schiavo, hai rispettato tempi ed orari scanditi dalla timbratura del cartellino, tutto ciò che aspetti è che arrivi il fine settimana, il sabato, così puoi uscire a far follie facendoti scivolare di dosso tutte le frustrazioni e le preoccupazioni accumulate sul posto di lavoro. Quando puoi quindi esci per strada e vai a vivere la notte senza catene, senza restrizioni, e vuoi gridare la tua rabbia al mondo intero. Dovrebbe essere sempre così, questo momento di sfogo non dovrebbe finire mai, passare una vita a lavorare è come sprecarla. Sarebbe bello ed eccitante vivere libero e senza catene.
Run for Your Life (live)
Il successivo pezzo che va a fotografare il gruppo dal vivo, "Run for Your Life (live)" (Mettiti in salvo), sempre da "Under the blade", esordisce con quegli accordi e l'incedere tipici del Suono Duro, uno dei cliché del genere, che donano quel tocco di epicità che non guasta, mentre il frontman spiega qual è l'argomento della canzone, un avvertimento per la fanciulle. Il tutto è però un piccolo "inganno", perché quello che ci si poteva aspettare dal modo in cui è iniziata, un altro macigno, viene messo da parte in luogo di un ritmo più lento e scandito dal basso ed anche la voce si adagia su tonalità più basse. Anche questo primo approccio che abbiamo col brano è fuorviante perché, sul finire della prima strofa, precisamente sulle parole "You'd better run for your life", la linea melodica viene stravolta, accelerando all'improvviso, alquanto bruscamente, e la Sorella Stravolta torna a pestare come un'ossessa! Il cambiamento è radicale, le chitarre sembrano voler rompere il muro del suono, tanto sono veloci e potenti nella veste ritmica che conferiscono alla canzone, un'esplosione di energia, incalzato dai colleghi il basso di Mendoza non vuole essere da meno e segue a ruota. Quasi senza preavviso, dal momento che ci si aspetterebbe una seconda strofa alla velocità della luce, arriva un breve e veloce assolo che sfocia in una progressione ascendente in cui si accumula una tensione che verrà rilasciata nella successiva, ultima, strofa che va a terminare ripetendo proprio la stessa progressione, una logica conclusione per. Riguardo all'avvertimento di cui sopra, Snider spiega che la canzone parla di un uomo che ha cercato di uccidere una donna e per questo è finito dietro le sbarre, ma ora ha scontato la sua pena e sta per tornare libero, ma con quali intenzioni? Troviamo l'uomo che si svegli per l'ultima volta in carcere e, guardandosi intorno, vede con una diversa luce il luogo in cui è stato costretto a passare tante notti e già si pensa alla donna per cui è finito lì, chiedendosi se lei si stia mai chiedendo se lui la stia pensando. Lei non lo può sentire, ma dentro di se lui la sta già avvertendo di sparire dalla circolazione se può. La donna in passato ha giocato con la sua vita, è entrata nella sua testa, lo ha stregato e poi rovinato, ora quindi deve pagare ed il conto sarà salatissimo, farebbe meglio a mettersi in salvo finché è in tempo.
It's only Rock'n'Roll (but I like it) (live)
Figura anche una cover nei brani dal vivo inclusi in questa raccolta, in particolare si tratta di "It's only Rock'n'Roll (but I like it) (live)" - E' solo Rock'n'Roll (ma mi piace), ed è di un gruppo grande e leggendario, i Rolling Stones, title-track del loro album pubblicato nel 1974, scritta da Keith Richards e Sir Mic Jagger, ma quella che possiamo ascoltare qui è una versione lunga, il doppio dell'originale, inframezzata da una lunga sezione di interazione col pubblico, quei "Ripetete dopo di me! Io dico... e voi rispondete...", del tipo che è sempre stato popolare nel mondo del Rock e, per estensione, in quello del Metal. E' solo Rock'n'Roll recita il titolo, una musica all'epoca della sua nascita molto semplice e diretta, che andava e va suonata (ed ascoltata) senza troppi pensieri, rifuggendo sofismi vari, che risveglia istinti quasi selvaggi ed animali, ed è così che i Twisted Sister la servono ai loro adorati Sick Motherfuckers, eseguendo i patterns tipici del genere, ma con una attitudine, ancora una volta, Punk. Ovviamente questa versione sembra un brano del tutto differente, in termini di velocità e potenza, perché quanto fatto dalle Pietre Rotolanti è stato sottoposto ad un trattamento a base di vitamine che l'ha resa quella furia che possiamo ascoltare. E' difficile resistere e non essere coinvolti nel party che si sta svolgendo sul palco ed è quindi il momento di far ruggire anche le ugole dei kids che si agitano al sacro suono del Rock ed il frontman dice ai fans che se gli piace il Rock'n'Roll glielo devono dimostrare, loro sanno cosa devono fare, ma lui va comunque a spiegarlo perché, con l'occhio lungo (rodato da anni passati a suonare su ogni sorta di palcoscenico, da quelli minuscoli dei pub alle arene) che ha si è reso conto che fra la folla ci sono persone del tutto nuove nell'ambiente e che non basta indossare una t-shirt degli Iron Maiden (fa proprio il nome della ciurma di Mr. Harris) per essere dei rockers. Sprona le persone presenti lì al Marquee di Londra ad urlare il più forte possibile le parole "I like it", perché il concerto tenuto lì diventerà una registrazione che farà il giro del mondo e loro saranno protagonisti insieme al gruppo. Dopo qualche minuto di questa interazione il Rock esplode nuovamente e più gagliardo di prima e tira fuori la fiammata finale. Lo storico teatro è diventato un rodeo durante questo episodio.
Let the Good Times Roll/Feel so Fine (live)
Poteva mancare in questo succoso disco un omaggio ad uno dei gruppi che più hanno influenzato la Sorella Stravolta e cioè gli inglesi Slade? Certo che no ed infatti vengono tributati, sempre live, con l'accoppiata "Let the Good Times Roll/Feel so Fine (live)" - (Divertiamoci/Mi sento così bene), a sua volta un tributo degli Slade, incluso nell'album "Slayed?" del 1973, ai songwriters Shirley Goodman e Leonard Lee. La voce con effetto delay annuncia il titolo, la batteria dà il la ed un corposo fraseggio di basso raccoglie l'invito, poi al party arrivano anche le chitarre ed il pezzo prende così forma. E' ancora il Rock'n'Roll che va in scena al Marquee e, se qualcuno non l'avesse capito, ci mostra qual è la natura dei questo combo newyorchese, quella cioè di live band di razza. L'atmosfera è al limite dell'eccitazione e si passa senza scossoni da un brano all'altro, tra rullate poderose, interventi di basso e assoli sferzanti ed è proprio quando sembra che il gruppo potrebbe continuare all'infinito che la velocità diminuisce e la fine del brano, classica che più classica non si può, con accordi pieni e lunghi rullata finale di batteria, saluti finali e fine col botto, lo stesso effetto dei fochi d'artificio! Una canzone che è un inno al divertimento e alla spensieratezza. Un giovane chiama la sua ragazza cercando di convincerla divertirsi con lui, le dice di lasciarsi andare, di farsi attraversare l'anima da quella bella sensazione, un'occasione che non può assolutamente perdersi. Lui la vuole vicina, è contento quando lei torna a casa perché la sua presenza lo fa sentire bene, e la vuole baciare, stringerla forte a se. Non vederla anche solo per qualche minuto lo fa soffrire e non vede l'ora di riabbracciarla e divertirsi tutta la notte con lei. Song perfetta per fare festa sul palco.
Conclusioni
Cosa ci lascia questa bella compilation? Se dovessimo fare riferimento alle finalità cui accennavo in apertura di articolo, sicuramente è un ottimo mezzo per consentire a chi non conosce il gruppo in questione di approcciarsi alla loro proposta musicale. Le tracce che si sono susseguite nell'ascolto sono infatti dei grandi hits che offrono un'immagine ben precisa e completa di questi cinque musicisti. Ne abbiamo ripercorso parte della storia, dagli esordi più duri e dal suono meno levigato, agli anni d'oro, quando si contendevano l'airplay radiofonico con una foltissima schiera di colleghi, tutti affamati di successo e con la stessa determinazione di sfondare come loro. Non era certo compito facile ai tempi, la concorrenza era veramente spietata, agguerrita e moltissimi erano tecnicamente più dotati di loro, alcuni in modo notevole, ma grazie alla grinta, alla tenacia e ad una dura gavetta, i Twisted Sister riuscirono nel loro intento, inanellando una serie di successi che li resero molto popolari negli eighties. La mossa che consentì ai cinque di cominciare a far circolare il loro nome fu quella di non trascurare ciò che, nei primissimi anni ottanta, stava creando sussulti dall'altra parte dell'oceano, dove i sudditi di sua Maestà la Regina Elisabetta II avevano appena contribuito alla ennesima resurrezione del Suono Duro, che, come la fenice, tornava a rinascere dalle proprie ceneri, unendo l'irruenza del Punk con i riff di matrice Hard Rock, conditi, in alcuni casi, con qualche spezia Prog. Era in terra D'Albione infatti che circolava ed erano una cult band e sono di quel periodo alcuni interessanti ricordi ed aneddoti che i membri del gruppo raccontarono, come la prima serata al Marquee, con un pubblico davvero caloroso, che li fece sentire a casa, o come la sera del loro primo concerto in Inghilterra, a Wrexham per la precisione, impauriti per la possibile reazione del pubblico, ma il leggendario Lemmy, headliner della serata con i suoi Motorhead, intervenne e li presentò al pubblico, gesto mai dimenticato dalla Sorella Stravolta. Anche i racconti riguardanti la registrazione del primo full-lenght, avvenuta in una stalla del Sussex, sono interessanti, come quando Pete Way, che dell'album fu il produttore, invitò "Fast" Eddie Clarke come ospite su una traccia, "Tear it loose", riguardo a quell'episodio French ha svelato: "Non lo dimenticherò mai. Si portava dietro due custodie: in una c'era la sua chitarra, l'altra era piena di Jack Daniel's. Io non bevo, ma Fast mi convinse a trangugiare un grande sorso e registrare con lui nella stalla a volumi altissimi. Quegli assolo sono stati registrati con noi due che saltavamo su e giù tra balle di fieno e pile di Marshall!". Come ho già detto, una parte del loro successo arrivò anche grazie a quella stramba immagine che non passava certo inosservata, ma questo aspetto non andò certo a discapito della scrittura che era si semplice, ma non mancava di colpire nel segno. La grande esposizione fu dovuta anche all'inserimento del gruppo nella nota Filthy fifteen di cui più volte qui a Rock & Metal in my blood vi abbiamo parlato e che vide Snider comparire in Senato per un'udienza in cui si batté con valore ed argomentazioni valide ed articolate per la libertà di espressione, argomento tornato fortemente alla ribalta nel periodo attuale. Il singer spiazzò tutti con il suo intervento e, raccontando l'episodio molti anni dopo, disse: "Mi videro arrivare con i capelli lunghi e con un look trasandato, ma poi si accorsero che avevo cervello e parlavo inglese!", lasciando intendere che l'impressione che avevano avuto di lui prima che parlasse era quella di una sorta di cavernicolo. Giova ribadire che questo greatest hits lascia fuori contributi provenienti dai due album successivi. Da "Come out and play" infatti la popolarità del gruppo cominciò a tendere al ribasso. Anche se il succitato platter raggiunse comunque le 500.000 copie vendute, fu netta la differenza con il precedente e, anche a causa di scelte inopportune riguardanti cover di brani famosi da inserire in "Come out..." (da esempio "Leader of the pack" del trio vocale degli anni '60 Shangri-Las) e l'abbandono di A. J. Pero, l'organico cominciò ad avvertire crepe che ne minarono la stabilità. Non fu solo questo, si trovarono infatti a competere con una nuova legione di musicisti Metal che aveva innalzato di molto l'asticella della tecnica (spuntarono infatti in quel periodo gli shredders) e anche altri che proponevano una versione più matura, più colta del genere, mi vengono in mente Queensryche, Fates warnig e Crimson Glory, per non parlare dell'emergente Thrash. Anche il pubblico si era quindi evoluto e cercava nuove forme di espressione nel Metal. Il quinto full-lenght, "Love is for sucker" che doveva esser in origine il primo lavoro solista di Snider, fu il tentativo di adeguarsi, anche attraverso una scrittura più matura, includendo grandi chitarristi come Reb Beach e Ronni Le Tekro (quest'ultimo non accreditato), ma i tempi erano ormai cambiati. Poco male per noi che possiamo godere dell'ascolto di questo concentrato di ottimi brani, in cui trovano spazio pezzi fun, pezzi potenti e, quel che più conta, grandi melodie.
2) I wanna Rock
3) I Am (I'm Me)
4) The Price
5) You Can't Stop Rock'n'Roll
6) The Kids Are Back
7) Shoot 'em Down
8) Under the Blade
9) I'll Never Grow Up, Now!
10) Bad boys (of Rock'n'Roll)
11) What You Don't Know Sure Can Hurt You (live)
12) Destroyer (live)
13) Tear It Loose (live)
14) Run for Your Life (live)
15) It's only Rock'n'Roll (but I like it) (live)
16) Let the Good Times Roll/Feel so Fine (live)