THE DOORS
Waiting for the Sun
1968 - Elektra Records
GIACOMO BIANCO
14/09/2015
Introduzione Recensione
Il 9 dicembre 1967, i Doors si trovarono ad esibirsi all'arena di New Haven, Connecticut. Poteva essere un concerto come tanti altri ma invece si trasformò addirittura in un evento epocale: fu la volta in cui la band dovette sospendere il live perché Jim Morrison venne arrestato sul palco, diventando la prima rockstar a subire un simile trattamento. Facciamo però un salto indietro per capire l'antefatto. Prima del concerto Morrison si trovava nelle docce dei camerini appartato con una sua fan. Nel frattempo tecnici e fonici sistemavano gli ultimi preparativi in vista dell'evento. Tutti stavano facendo del loro meglio per far sì che lo spettacolo si concretizzasse nella miglior maniera possibile. Per lo stesso motivo, con mansioni di sicurezza, un poliziotto si stava aggirando dietro le quinte per vigilare sul viavai dei lavoratori. Quando però rinvenne Morrison e la ragazza nel locale delle docce, il poliziotto non riconobbe assolutamente Jim, a cui venne intimato di lasciar stare la ragazza e di sloggiare dal posto. Dal canto suo (e della sua sbruffonaggine) Morrison rispose con un laconico "ciucciamelo". La reazione dell'agente non si fece attendere: estrasse un flacone di peperoncino antiaggressione e glielo puntò dritto in faccia. "Ultima possibilità": le intenzioni del poliziotto non erano delle più amichevoli. "Ultima possibilità di ciucciarmelo", la risposta del cantante. Apriti cielo. Il poliziotto spruzza il liquido urticante in faccia a Morrison a poche ore dal concerto. Le diverse testimonianze a riguardo di cosa successe dopo questo incidente sono piuttosto discrepanti. C'è chi sostiene - come Ray Manzarek - che ad esser colpiti dal getto irritante furono sia Morrison che la ragazza, mentre No One Gets Out Alive (una sorta di biografia radiofonica della band registrata dal DJ Jim Ladd) propende invece per la fuga della ragazza, col solo Morrison a sorbirsi il "trattamento" del poliziotto. Come le cose siano realmente andate nel lasso di tempo che intercorre tra l'alterco e l'esibizione dei Doors mai lo sapremo. Sappiamo che però i Doors suonarono comunque, ma, a circa metà concerto, decisero improvvisamente di smettere con l'esibizione. A quel punto Morrison inscenò quanto accaduto poco prima davanti agli occhi attoniti della gente raccolta nella New Haven Arena. Vi lascio immaginare il colorito frasario che poté adoperare Morrison, persona dotata di un ego spropositato ed ormai entrato in una fase della sua carriera (nonché vita) in cui le droghe l'avevano reso succube e a tratti "schizzato". Tra questi problemi che si portava dietro e l'atteggiamento sopra le righe nei confronti di un pur sempre agente di polizia, Morrison era arrivato ad un "punto di non ritorno". Col sangue che ribolliva per l'odio che provava nei confronti dell'agente, furioso del trattamento ricevuto, Morrison si lanciò in un'invettiva condita d'innumerevoli oscenità, mimando quanto accaduto nel backstage e sbeffeggiando le forze dell'ordine (definì più volte il poliziotto "ometto blu"). A questo punto la polizia cominciò a circondare il palco, assiepandosi ai piedi del teatrale cantante. I Doors avevano riattaccato a suonare, ma dovettero ben presto sospendere "Back Door Man" perché gli agenti si erano decisi a salire sul palco per arrestare il frontman. E così fu. Ammanettato, Morrison fu condotto dietro le quinte e massacrato di botte dagli stessi poliziotti, che per l'occasione adoperarono un trattamento degno della GESTAPO anche nei confronti dei giornalisti: tutti coloro che fotografarono o ripresero il pestaggio dovettero subire la confisca delle pellicole. A questo punto Morrison venne tradotto nelle prigioni di una stazione di polizia e lì schedato. Le foto segnaletiche andarono ad allegarsi ad un malloppo sui cui venne stampato il suo nome, con le gravi accuse di incitamento alla violenza, indecenza e pubblica oscenità. Eppure alla fine il buon vecchio Jim riuscì a cavarsela. Dopo alcune settimane, infatti, tutte le accuse contro di lui e contro i tre giornalisti arrestati durante la zuffa caddero per mancanza di prove. Jim era liberò e su di lui non pendeva più alcuna condanna. Così, dopo nemmeno due mesi, verso febbraio, la band poté entrare nei Sunset Sound Recorders per registrare un nuovo disco, il terzo della loro sfolgorante carriera. L'album che vedrà la luce, "Waiting for the Sun", fu però un disco segnato dai problemi che orbitavano attorno alla sempre più "speciale" figura di Jim Morrison, rogne in particolar modo dovute alla sua dipendenza da sostanze stupefacenti. Come se non bastasse, la band era stata chiamata nei mesi precedenti ad uno sforzo non da poco: far combaciare l'attività live a quella di scrittura. Fino a quel momento, tutti i brani che erano confluiti nei loro primi due dischi erano canzoni che i Doors avevano scritto durante gli inizi. Per due LP avevano insomma vissuto di rendita, dato che fertilissima era stata la sessione di scrittura dei Morrison, Manzarek, Krieger e Densmore delle origini. Per Waiting for the Sun la band fece così ricorso agli unici rimasugli di brani rimasti dal demo acetato degli esordi. A questi si sarebbero poi aggiunte alcune nuove composizioni. Dopotutto una manciata di brani sarebbe dovuta bastare, giacché il grosso del disco sarebbe stato occupato dall'ambizioso progetto di Jim Morrison che rispondeva al nome di Celebration of the Lizard (la "Celebrazione della lucertola"), un nuovo scritto di genere epico uscito dalla penna del singer, che ricordiamo aver frequentato la Scuola di Teatro, Cinema e Televisione all'Università di Los Angeles. Nei piani iniziali, tutte le canzoni sarebbero dovute rientrare nei limiti del lato-A, mentre l'epopea morrisoniana avrebbe da sola occupato il lato-B. Il loro produttore, Paul A. Rothchild, ritenne però assai poco commerciale questa soluzione, giudicando inadeguato lo scritto di Morrison. In questo modo il progetto non venne approvato e la band si trovò veramente alle strette, costretta sul serio a partorire qualcosa di decente da mettere nel disco. In certe situazioni la fretta è cattiva consigliera, ma questo i Doors parevano non saperlo ed infatti, in pochissimo tempo, la band ri-confezionò un album in gran parte stravolto e modificato. Il 3 luglio 1968 uscì il definitivo Waiting for the Sun, sempre edito dall'etichetta che li aveva lanciati, l'Elektra. Dal punto di vista strutturale, otto nuovi brani si accostavano ai due ripresi dal demo acetato del '65, mentre della pièce di Morrison venne salvato un unico scampolo. Sotto il profilo tecnico, l'album segnò importanti novità all'interno della band. Ray Manzarek, tastierista ed organista della band, abbandonò il Vox Continental per approdare finalmente al Gibson G-101, l'organo diventato poi marchio di fabbrica dello stesso Manzarek. La rinuncia ai suoni più brillanti della Vox non fu totale, giacché continuò ad essere utilizzata, seppur in misura notevolmente minore. È possibile poi apprezzare il chitarrista Robby Krieger alle prese con una chitarra flamenca, ricordando come la musica tradizionale spagnola fosse una delle sue maggiori influenze sin da quando s'aggiunse a Morrison e soci. Il ruolo di bassista venne affidato principalmente a colui che già l'aveva ricoperto nel precedente Strange Days, Douglas Lubahn. Accanto al session musician ci sono però altri due bassisti, Kerry Magness e Leroy Vinnegar, che performano entrambi una traccia a testa. Completano la formazione ufficiale il batterista John Densmore e, ovviamente, Jim Morrison. Dal punto di vista commerciale, Waiting for the Sun si rivelò un incredibile successo. Considerato da molti come il disco più abbordabile della band, fu l'unico album dei Doors a raggiungere la posizione numero uno della Billboard 200 negli Stati Uniti. Stesso risultato fu raggiunto in Francia, mentre in Canada la marcia trionfale s'arrestò al terzo posto. Ancora una volta, però, i Doors ebbero difficoltà a sfondare nel Regno Unito, dove il disco non riuscì a superare la sedicesima posizione. Waiting for the Sun vendette complessivamente circa 9 milioni di copie e fu certificato disco di platino negli USA e nel Canada, due volte disco d'oro in Francia, disco d'oro in Germania e Gran Bretagna. Seppur fosse un disco con tratti particolarmente spigolosi, temi scottanti e testi arditi, l'album venne accolto generalmente in maniera positiva dall'audience, forse attratta da un suono reso più soft e meno arzigogolato. Certo è che la differenza rispetto ai due album precedenti non passò inosservata alla critica di allora. Si trattava di un prodotto sicuramente Doors, ma non al 100%: erano una sorta di Doors con gli "angoli smussati". E così, dalle pagine della rivista Rolling Stones, Jim Miller lanciò una frecciatina al cantante della band: "dopo un anno e mezzo di pose" e di atteggiamenti "di Jim Morrison, si potrebbe logicamente sperare in una sorta di crescita musicale, e se la nuova registrazione non è davvero terribile, non è che sia particolarmente eccitante". Parole affilate come lame di rasoio. Anche nell'analisi di Richie Unterberger di AllMusic non c'è spazio per elogî. Qui si legge infatti che il loro terzo disco aveva sollevato aspettative così alte che la delusione fu ancora più grande rispetto ai precedenti album. La causa di tutto ciò era, secondo Unterberger, il materiale molto più dolce rispetto agli standard della band. Ma poiché tutto il male non viene per nuocere, Unterberger notò che effettivamente qualche buona ballata melodica c'era, anche se non vi era comunque ragione per negare che il songwriting non fosse così "impressionante come lo era stato per i primi due dischi". Fu però Sal Cinquemani di Slant Magazine a mettere in risalto il vero problema dei Doors di Waiting for the Sun: "nonostante il fatto che Morrison stesse diventano un 'pasticcio' autodistruttivo, Krieger, Ray Manzarek e John Densmore non erano mai stati così lucidi, forse per compensare. Questa era una band al proprio [apice] dell'abilità, della creatività e della variabilità musicale". Cinquemani dà l'idea d'aver fatto centro, ma occorre ricordare che il recensore di Slant scrisse non sul finire degli anni Sessanta, quand'era appena uscito il disco, bensì nel 2007, in occasione della ristampa del cd. La postazione privilegiata dalla quale Cinquemani osserva l'originale release dell'album è lontana nel tempo di circa quarant'anni, e gli permette d'adottare un occhio certamente più critico (e cosciente del contesto e dei fatti) di quanto poterono fare i suoi colleghi dell'epoca. Tra le schiere di chi supportava la band per la decisione d'ammorbidirsi e di chi invece ripudiava il passo fatto, i fan si trovarono tra le mani un disco d'indubbia fattura, che accrebbe il proprio valore tra i collezionisti grazie ad una particolare tecnica con cui venne prodotto. Waiting for the Sun è infatti uno dei più rari dischi pop e rock ad esser stato inciso con la tecnica monofonica, fatto che l'ha reso una sorta di "miraggio" tra i collezionisti di rarità musicali. Infine, per quanto riguarda la copertina, l'artwork immortala i Doors in un campo di prima mattina. Le quattro figure si stagliano su di un fondale appena appena screziato dal rosso del sole che doveva ancora nascere. All'eleganza di Densmore e Manzarek (entrambi in abito), si contrappone l'attitudine più sbarazzina di Morrison e Krieger. Se il secondo sfoggia un look decisamente casual, è Morrison ad entrare ancora una volta nella leggenda. Si dice infatti che il pullover nero che indossava per l'occasione appartenesse in verità a Glen Buxton, il celebre chitarrista della formazione originale della band di Alice Cooper. La notte prima della sessione fotografica, Jim aveva fatto baldoria come al suo solito con un gruppo d'amici, tra cui Buxton. Svegliato di buon'ora dal resto della band - che voleva ad ogni costo sfruttare le condizioni atmosferiche favorevoli per la fotografia -, Jim cominciò ad andare fuori di testa perché non aveva abbastanza tempo per tornare a casa e mettere dei vestiti puliti. Fu così che prese in prestito a Buxton il suo pullover. Ogni attimo, ogni gesto con Jim entrano nel mito. Il sole è ormai alto, non dobbiamo più aspettarlo sorgere: godiamoci Waiting for the Sun.
Hello, I Love You
L'album si apre con "Hello, I Love You", una delle due tracce conservate dalla sessione di registrazione ai World Pacific Studios del '65 per la realizzazione dell'Original Acetate Demos. Secondo singolo estratto dall'album, la canzone venne rieditata per la sessione lavorativa del nuovo disco, e nacque in un periodo a dir poco burrascoso. Ai problemi d'alcolismo di Morrison, che rendevano di fatto impossibile il lavoro di scrittura in saletta, s'aggiunse infatti la minaccia a lasciare di un Densmore palesemente scocciato per l'andazzo preso dal frontman. I poveri Manzarek e Krieger cercarono allora di mediare tra le parti e per far sì che procedessero i lavori pescarono "Hello, I Love You" tra i vari brani che avevano già inciso nel corso degli anni. L'idea che sta alla base della canzone si rifà ad un episodio che vede coinvolti sia Morrison sia Manzarek, che, appena ventenni, stavano seduti lungo la spiaggia a guardare le ragazze che passavano. L'atmosfera introduttiva della canzone è infatti visibilmente raggiante e festosa, con le tastiere di Manzarek estremamente sintetiche e ronzanti. La breve rullata di batteria lascia spazio ad un riffing di chitarra e tastiera insolitamente lineare e poco intricato. Sia la distorsione della sei-corde che i suoni effettati delle tastiere donano alla canzone un particolare retrogusto, abbastanza straniante e fuori contesto se pensiamo a ciò che i Doors avevano inciso fino a pochi mesi prima. L'attitudine da spiaggia è però chiaramente percepibile, le linee melodiche sono felici e assolate e vagamente ricordano le atmosfere happy dei Beach Boys. La "commercializzazione" della band è dunque udibile sin da questi primissimi momenti e piuttosto che del psychedelic rock che li ha resi famosi sarebbe più opportuno parlare di psychedelic pop. Dal punto di vista lirico, la canzone, a sfondo chiaramente amoroso, non si discosta invece più di tanto dai cliché tematici cui ci ha abituato la band. All'insolita maniera (piuttosto sfacciata) con cui Jim si presenta ad una ragazza ("Ciao, ti amo"), l'istrionico singer fa seguire altre sfrenate richieste, come quella di farlo entrare nel "suo gioco" (qua l'allusione è piuttosto chiara). Più e più volte le chiede il nome, ma la ragazza sembra quasi interdetta, pietrificata dinnanzi a cotanta sfacciataggine da parte del ragazzo. La struttura della canzone è altrettanto insolita giacché inverte il canonico susseguirsi di strofa e ritornello. Questa volta è il chorus ad aprire le danze, mentre alle strofe tocca dare più informazioni riguardo alla bella ragazza. Ed ecco che così si legge di come ella sia "cieca ad ogni sguardo che incontra", sicura di sé e della sua bellezza. Morrison a questo punto pone a se stesso una domanda cruciale: "pensi che sarai il tipo/che farà sospirare la regina degli angeli?". La canzone continua poi con un'altra serie di richieste: "ciao, ti amo/mi dici il tuo nome", "ciao, ti amo/fammi entrare nel tuo gioco". La seconda strofa esalta ancora di più la sua bellezza "scultorea": non a caso ella "mantiene la sua testa così in alto/come una statua nel cielo". Tutto ciò che la riguarda è un chiaro invito sessuale: "le sue braccia sono peccaminose, le gambe lunghe". Uno schianto. E proprio per questo motivo "quando lei si muove" il cervello di Morrison "urla fuori questa canzone". Musicalmente parlando, il continuum s'interrompe proprio in concomitanza di quest'ultimo versetto, in favore di un break che ben esemplifica il vuoto che si ha in testa quando si è in fissa con qualcosa. Rumori discendenti ed ascendenti ironizzano sul vuoto che c'è nella testa quando si pensa ad una bella ragazza. La canzone riprende poi prontamente re-instradandosi sulla medesima strada finora battuta. Gli ultimi versetti (quelli della terza strofa) risalgono direttamente alla più antica versione della canzone, essendo stati scritti dal pugno di un Morrison ventenne. Nello scriverli, quest'ultimo si rifaceva ad una bellissima ragazza afroamericana di cui Jim si era invaghito quando abitava ancora dalle parti di Venice Beach. Deve essere molto affascinante, giacché "il marciapiede si accoccola ai suoi piedi/come un cane che prega per qualcosa di dolce". L'immagine è molto chiara ed efficace. Parecchio allusive sono poi le successive linee: "speri che te la farà vedere, sciocco?/speri di afferrare questo cupo gioiello?". Il "cupo gioiello" è una metafora della bella ragazza dalla pelle nera, mentre sul "cosa te la farà vedere" penso non ci sia bisogno di spiegazioni. Dopo il climax ascendente che culmina a 1:34, la composizione si lascia andare in una serie di "ciao" ripetuti infinite volte, conditi con tanto di "ti voglio" e di "ho bisogno di te, tesoro". Il beat di batteria si fa più intenso. I riff paiono irritarsi nota dopo nota. In questa maniera, decisamente convulsa, la canzone s'avvia verso il fade out finale, grazie al quale i suoni s'impastano sempre più. Un ottimo singolo apripista, musicalmente magari un po' fuori dal contesto dei Doors, ma dannatamente catchy ed efficace. In conclusione, va inoltre menzionata l'accusa di plagio mossa ai Doors da parte degli inglesi Kinks. Questi ultimi, quattro anni prima, avevano inciso "All Day and All of the Night", canzone che, effettivamente, ricorda molto quella dei Doors, specie nella linea del cantato. Sebbene Manzarek avesse provato a difendersi dalle accuse sostenendo che la vera fonte d'ispirazione fosse stata piuttosto "Sunshine of Your Love" dei Cream, la causa per plagio venne comunque affidata ad un tribunale inglese, che riconobbe effettivamente la somiglianza e non poté che esprimersi in favore dei Kinks. Per questo motivo i Doors furono costretti a versare alla band inglese ogni royalties che fosse derivata da "Hello, I Love You", ed essendo stato un singolo di grande successo, i Doors ne ebbero davvero da pagare ai Kinks. Il brano, infatti, raggiunse il primo posto negli USA, dove vendette la mirabolante cifra di un milione di copie, oltre che scalare sino al vertice la classifica canadese ed arrivare al miglior piazzamento mai ottenuto dalla band in Inghilterra (sedicesimo posto).
Love Street
Lo slide di basso introduce la delicata melodia di "Love Street", la "Via dell'amore", ovvero Rothdell Trail, nella quartiere losangelino di Laurel Canyon, California. Qui, al civico 8021, viveva Jim Morrison con la sua storica fidanzata, Pamela Courson, l'unica vera donna della sua vita. Della sua biografia basta sapere due cose, e cioè che fu l'unica persona assieme al medico Max Vasille ad assistere alla morte di Jim, e che venne nominata erede unica del patrimonio del cantante dei Doors. Dopo la morte dell'amato compagno (con cui però non contrasse mai matrimonio), la vita di Pamela fu un vero inferno, segnata da disturbi alimentari e da problemi mai risolti con la droga. Fu proprio un conto in sospeso con la dipendenza da eroina che mise fine alla vita della Courson a Los Angeles nel '74. Il peso della mancanza di Jim era riuscito a sopportarlo per soli tre anni, ma alla fine la depressione la spinse al drammatico gesto. Ritornando alla canzone, quand'ancora le cose erano felici, si diceva che a Rothdell Trail i due vivessero felicemente assieme nella loro tana d'amore. Nelle vicinanze correva l'importante Laurel Canyon Boulevard, il vero soggetto della canzone. La bozza originaria del brano era una poesia di Morrison dedicata proprio a quel quartiere. La "Via dell'amore" veniva così definita perché Pamela e Jim erano solito sedersi sul balcone per ammirare gli hippy che passavano di sotto, inneggiando i soliti slogan su "pace e amore". Ritornando alla musica, detto dello slide di basso, la canzone prende subito la piega di una ballata davvero molto soft e gentile. Gli arpeggi di chitarra sono dolci e delicati, così come i tocchi di Manzarek sui tasti si fanno meno compulsivi e molto meno violenti. Il basso è maggiormente percepibile rispetto all'opener, mentre la batteria rimane sempre in secondo piano, pur risultando comunque utilissima nel supportare il tessuto melodico. L'assolo di piano è in assoluto la prima sezione solistica dell'album. Al minuto 1:00, Manzarek ha così l'occasione di sfruttare un pianoforte come mai aveva fatto prima. Da tutto il contesto è facilmente percepibile il perché la critica abbia smontato la band, accusandola d'essersi eccessivamente ammorbidita. Fino a Strange Days mai avremmo immaginato da parte dei Doors una ballata pacata e suadente come questa. Eppure la composizione di Morrison stravolge qualsiasi previsione e coglie nel segno. Constatate le differenze della loro musica rispetto a quanto fatto fino al disco precedente, "Love Street" si conferma comunque come una canzone piacevolmente interessante. La prima strofa è dedicata da Morrison alla dolce Pamela. "Lei vive in Via dell'Amore" dove "ha una casa e un giardino". E ancora: "possiede abiti e scimmie", "possiede saggezza, e sa cosa fare/possiede me e possiede voi". Il quadro che tratteggia per la compagna è lusinghiero e, a tratti, la dipinge come una femme fatale: un classico esempio della donna-tipo delle liriche dei Doors. Il flusso della canzone scorre via che è un piacere, ma ci lascia un certo qual sapore di malinconia, vuoi per la voce leggermente nostalgica, vuoi per la musica non esattamente euforica come invece nella traccia precedente. L'assolo di pianoforte è una gemma che impreziosisce la traccia e che varia la proposta. La canzone non viene comunque stravolta dalla sezione solistica, che anzi s'esaurisce in una manciata di secondi. Strutturalmente, la composizione consta di quattro strofe e nessun ritornello. Ognuna delle unità costituisce a sua volta un blocco narrativo, che descrive efficacemente la vita a Rothdell Trail, alias la "Via dell'amore". Morrison, con fare parlato, affresca efficacemente uno spaccato della vita del quartiere, citando pure un "negozio dove si incontrano le creature". Si tratta del Canyon Country Store, un alimentari tutt'ora in attività, situato proprio nelle immediate vicinanze della casa di Jim. Purtroppo di questo ameno quadretto oggigiorno rimane poco, giacché il 30 dicembre 2011 un fatale incendio distrusse parzialmente la zona e pure parte della casa di Morrison (il rinomato balconcino non esiste più). Concludendo, il brano è un piacevole ricordo messo in musica di una situazione familiare piuttosto anonima, ricordata però con affetto perché risalente ad un'epoca felice e spensierata. Utilizzato come b-side di "Hello, I Love You", la canzone venne soffocata dal suo alter ego molto più reclamizzato. A "Love Street" venne così concesso pochissimo airplay e la canzone svanì nel nulla, a differenza dei bei ricordi della "Via dell'amore" che ancora sono impressi nella mente di Morrison.
Not to Touch the Earth
Le note plettrate del basso di Lubahn aprono "Not to Touch the Earth", ovvero ciò che è rimasto della Celebration of the Lizard di Morrison. Rothchild ritenne che la canzone in questione fosse l'unica parte salvabile della lunga poesia morrisoniana, proprio perché rappresenta uno dei pochi frangenti musicati della composizione. In realtà, la Celebrazione non era prettamente un'opera musicale, ma più propriamente un poema epico "poliforme". Così come concepito dal genio morrisoniano, l'opera doveva costituirsi di poesie, sezioni musicali, parti recitate e passaggi allegorici. "Not to Touch the Earth" ricade così nella schiera delle sezioni musicali, e probabilmente è uno dei passaggi più significativi dell'epopea. Il giro di basso è quasi ipnotico e claustrofobico, sensazione ben acuita dal funebre organetto di Manzarek, cui si aggiungono spettrali suoni sintetici. Il charleston ed il rullante di Densmore battono un tempo incalzante e ansiogeno. Le stesse liriche cantate dalla cupa voce di Morrison non servono certo a levarci brutti pensieri dalla testa, ma anzi conferiscono un tocco di ancora maggiore oppressione alla canzone. Questi versi riprendono pari-pari quelli del saggio Il ramo d'oro dello scrittore scozzese sir James Frazer. Le parole "non per toccare la terra/non per guardare il sole" arrivano direttamente dal sessantesimo capitolo del suddetto libro, sezione intitolata Tra il paradiso e la terra. Secondo la biografia No One Escape Out Alive, il lavoro di Frazer avrebbe influenzato in maniera decisiva la vena artistica di Morrison. Il ramo d'oro è infatti una sorta di studio sulla magia e sulla religione da parte dell'illustre autore scozzese. In particolar modo i sotto-capitoli Non per toccare la terra e Non per guardare il sole elencano certi tipi di tabù che solitamente vengono messi in relazione a determinati tipi di persone, come i reali oppure i sacerdoti. Queste sono persone che camminano sì sulla nostra stessa terra, ma sono al contempo "baciati dalla luce del sole", vuoi per meriti conseguiti, vuoi per mera fortuna. All'interno del suo saggio - un lavoro abbastanza criptico e di difficile comprensione -, Frazer ha notato che queste superstizioni ricorrevano in molte civiltà primitive, e che erano oltretutto correlate a determinate tradizioni o tabù riguardati il menarca (il primo ciclo mestruale di una donna) e i riti d'iniziazione femminile. Essendo un argomento oscuro e a tratti esoterico, è quasi scontato immaginare come Frazer abbia fatto colpo su Morrison, che sappiamo essere non un semplice fricchettone anni Sessanta, ma una persona estremamente intelligente, creativa e, soprattutto, assetata di sapere. La recitazione di Jim scandisce ritmicamente le liriche, che evidenziano come "non possiamo far altro che/correre, correre, correre". I versi "la casa sulla collina/al cospetto della luna sdraiata nel cielo", con "le ombre degli alberi" che frusciano, ritraggono un paesaggio oscuro e misterico, che ben richiama alla mente un qualche tipo d'ancestrale rito d'iniziazione. Gli elementi paiono esserci tutti: la notte, simbolo dell'oscuro mistero che avvolge solitamente i riti iniziatici; la Luna, simbolo per eccellenza della femminilità; la vetta della collina, luogo "in alto" e dunque più vicino ai cieli, alla divinità. Poi, in concomitanza dell'invito di Jim a scappare con lui, la canzone acquista quella vena psichedelica che ben ricorderanno i fan dei primi Doors. Le allucinate tastiere di Manzarek sono ubriacanti e stordenti, ci avvolgono come vapori dolciastri ed inebrianti. La chitarra rimane invece nell'ombra, alla stregua della voce della coscienza che pare essere soffocata dalla foga del momento. La seconda strofa è poi l'ermeticità fatta canzone. Alla descrizione della lussureggiante magione arroccata sulla collina ("la villa spande un'aureola di calore sulla fronte della collina/le stanze gongolano di preziose comodità/le poltrone sono orgogliose dei propri braccioli rossi/non si può capire il sapore di questo lusso senza entrarvi") seguono dei versetti che definire enigmatici è riduttivo. Non si capisce affatto a cosa Jim voglia riferirsi quando parla del "cadavere del presidente" che "giace crivellato nella vettura dell'autista" oppure del "motore [che] funziona a forza di colla e catrame". Che sia un'allusione all'assassinio Kennedy? La terza strofa riprende poi l'idea del rituale: "la figlia del reverendo smania per il serpente/appostato nel pozzo sul ciglio della strada", quasi come a simboleggiare la vittima sacrificale di un ancestrale demone intrappolato in un'arcana cavità. Infine, la fretta e la concitazione aumentano progressivamente quando Jim incalza la ragazza: "svegliati, siamo quasi a casa". Prima di concludere, sono da menzionare gli assoli di chitarra e di tastiera che si dipanano da 2:33 in avanti. Alla fine del testo si leggono le linee "Io sono il Re Lucertola/i miei poteri non hanno limiti". Il soprannome di Jim era appunto The Lizard King ("il re lucertola") ed aveva a che fare con il suo interesse verso la cultura indigena pellerossa. Sin dagli studi scolastici, Morrison aveva infatti sviluppato quasi un'ossessione per animali come i serpenti e le lucertole, oltre che per il deserto e per i corsi d'acqua, tutti elementi che pullulano le leggende dei nativi e che ricorreranno in futuro nella sua poetica più matura. "Not to Touch the Earth" è sicuramente un episodio sui generis che colpisce e confonde, ma comunque ben serve per staccare da quello che alcuni fan avrebbero potuto definire un eccessivo ammorbidimento dei suoni.
Summer's Almost Gone
Con "Summer's Almost Gone" i Doors pescano per l'ultima volta dal demo del '65. Sin dalle prime note di pianoforte, la sensuale voce di Jim comincia ad accompagnarci ed a cullarci tra le sue evoluzioni. Ma il testo, ahimè, non è dei più felici. Il titolo, emblematicamente piazzato in prima linea, quasi si erge ad essere una dichiarazione rassegnata: a Morrison non resta che ammettere che "l'estate è quasi finita". Leggendo velocemente le liriche, ci sono diversi spunti che ci lasciano supporre che l'intera composizione sia effettivamente una metafora della vita. Dato che, da sempre, all'estate si associa la rigogliosità della vita, quando la stagione calda finisce, ecco che sopraggiunge quel senso di smarrimento, di apatia, d'illusione. Sotto un punto di vista allegorico, la fine dell'estate simboleggerebbe addirittura l'arrivo della vecchiaia (e quindi dell'autunno), seguito inevitabilmente dal freddo dell'inverno, dalla morte. Ecco che allora Morrison si domanda: "dove saremo/quando l'estate sarà finita?". La musica dei ragazzi accompagna benissimo l'andazzo triste della canzone. Densmore segue ritmicamente il pianoforte di Manzarek, che assieme alla squillante chitarra di Krieger è lo strumento principale della traccia. Basso e batteria costruiscono un buon impianto di base, con le mansioni melodiche affidate a chitarra e tastiera. Ma è la voce di Morrison che, ancora una volta, ruba la scena a tutti. In questa breve composizione, le vocals risultano calde, suadenti, addirittura affascinanti. Verso 0:40 la voce discendente del singer decora una bella immagine tripartita. Se "la mattina ci ha trovati tranquillamente inconsapevoli" (ovvero abbiamo passato una giovinezza spensierata), se "il mezzogiorno ha bruciato oro sui nostri capelli" (e cioè abbiamo vissuto una vita piena, ricca), se "la notte nuotiamo nel mare ridente" (affrontiamo con caparbietà le difficoltà della vita), "dove saremo quando l'estate sarà finita?" È questo il quesito principe che tartassa la mente di Jim. Dove finiremo quando saremo morti? Tra queste spinose domande, la canzone scorre via "dolorosamente", anche se nel dolore sappiamo trovare conforto grazie alle bellissime melodie della band. Ad esempio, a 1:30, una valida sezione strumentale centrale arricchisce la canzone, dotandola di un certo fascino "maledetto". Dopo questo momento è tutto un ripetersi di strofe essenzialmente simili, fino a che la canzone non si chiude in mezzo agli ultimi, tristi vocalizzi di Morrison.
Wintertime Love
Con le rullate di Densmore si apre la quinta traccia, "Wintertime Love". Se la canzone precedente era incentrata sull'estate, sulla sua fuggevolezza, ora il brano pare incentrarsi su tutt'altro. La stagione invernale, coi suoi freddi ed i suoi rigori, è paradossalmente la stagione migliore per "subire" le cure amorose di qualcuno. "Venti invernali soffiano in questa stagione/innamorato, spero di esserlo": se l'antefatto è questo è normale che seguano poi versetti come "il vento è così freddo, è questa la ragione?/mantenerti calda, le tue mani mi toccano". Con queste poche linee, Morrison racconta di come non sia veramente spaventato di tutto questo freddo. È vero, inizialmente sembra averlo colto di sorpresa. Eppure, nella tormenta, è riuscito a trovare una ragione di vita: il suo scopo è infatti quello di "mantenerti calda", di trasmettere tutto l'amore alla propria compagna. E così, in un reciproco gioco di sentimenti, di sguardi e di tocchi, Morrison invita la ragazza a ballare in sua compagnia. Dopo tutto, "l'inverno è così freddo quest'anno". Poi, all'improvviso, accade qualcosa. Il "giocattolo" si rompe e nulla sarà più come prima. I venti gelidi che provenivano dalle lontane tempeste del nord son riusciti a spazzar via un amore autentico. O meglio, sono riusciti, attraverso le intemperie, a dividere due persone amate, che ora non possono più incontrarsi. Apparentemente la trama della canzone s'interrompe con questa strofa, dato che d'ora in poi ci saranno solo più ritornelli. Il brano, che si connota per alcune ardite soluzioni, è decisamente particolare, molto melancolico a tratti. Seppur sembri a prima vista decisamente triste, in prossimità dei ritornelli sia il testo che la musica diventano nuovamente allegri e festosi. Il ritmo di batteria è lineare per tutta la canzone, con un incedere decisamente folkloristico in alcuni tratti (sentite, ad esempio, verso 0:24). La chitarra è leggermente in ombra, a causa di un ruolo maggiormente preponderante di Manzarek. Quest'ultimo si trova infatti a padroneggiare organo e tack piano (una sorta di pianoforte di tipo verticale dal suono più brillante e metallico). Verso 1:18 si apre poi una sezione in cui la voce di Morrison ripete diverse volte un leggero e vellutato coro, proprio nel mentre Manzarek si lascia andare all'ennesimo, azzeccato assolo. Per la prima volta riusciamo anche a sentire distintamente il basso di Lubahn, che col suo plettro rende ogni nota estremamente definita e pulita. Il brano si conclude poco dopo, all'alba dei due minuti, diventando la traccia più corta del platter.
The Unknown Soldier
Chiude il lato-A il primo singolo estratto dall'album, "The Unknown Soldier". Probabilmente è la canzone col testo maggiormente impegnato all'interno del disco, dato che ci presenta sostanzialmente il punto di vista di Jim Morrison, l'autore, riguardo alla Guerra del Vietnam, che proprio allora si stava combattendo. Il brano si apre con una leggera aria d'organo, con la solita calda voce di Morrison in primo piano. Per essere noti come una band senza bassista, finora ogni singolo album dei Doors ha avuto delle belle partiture per basso, e Waiting for the Sun non fa eccezione. "The Unknown Soldier" presenta infatti una sezione ritmica di basso e batteria decisamente più ritmata del solito, con Densmore che sovente gioca con degli stacchi sul rullante, mentre il basso (affidato per l'occasione a Kerry Magness) non si discosta più di tanto dallo stile esecutivo di Lubahn. Chitarra ma soprattutto tastiera ricamano preziosi tessuti musicali. Krieger esegue degli ottimi arpeggi (0:37), leggermente dissonanti ed ipnotici. La voce di Morrison, calda come abbiamo già detto in precedenza, parla della vita sui campi di battaglia. L'unica cosa che ti tiene ancora aggrappato alla realtà è l'obiettivo che ogni ragazzo americano si è preposto: "attendere fino a quando la guerra è finita". Il "milite ignoto" del titolo è dunque qualsiasi soldato americano "intrappolato" in quella che gli storici definiscono una delle più grandi débâcle militari della storia degli Stati Uniti d'America. Ogni ragazzo si trova lontanissimo da casa, buttato in mezzo ad una giungla farcita di soldati nemici. Ognuno deve sbrogliarsela ovviamente da solo, potendo al massimo contare sulla solidarietà tra compagni in armi. La prima strofa è particolarmente significativa. Essa recita "colazione leggendo il giornale/televisione, i bambini hanno mangiato/vita non nata, vita morta/il proiettile colpisce la testa nell'elmetto". Ecco, con questi quattro versi, Morrison affresca efficacemente il modo in cui la guerra veniva presentata agli Americani, che seguivano da distante il conflitto. Mentre i soldati combattevano già alle prime luci dell'alba, l'americano si alzava per fare colazione, leggendo poi i giornali, che accuratamente evitavano di includere la tragedia umanitaria che s'andava abbattendo sul Vietnam. Toccava poi alla TV "rifocillare" le menti dei più giovani, somministrandogli ogni tipo di sciocchezza o stereotipo per non far sembrare la guerra quello che invece realmente era. Quella dei soldati è una "vita non nata" giacché sono come dei boccioli soffocati da una coltre di terra accidentalmente gettata su di loro: non potranno mai sbocciare. Tuttavia, qualcuno può sì farcela, ma occorre che faccia sempre attenzione a quello che può succedere da un momento all'altro. Proprio come un soldato che esce da un fossato difensivo, pronto a scagliarsi all'attacco: deve far attenzione al proiettile nemico, che potrebbe centrarlo in piena testa. A metà canzone assistiamo poi ad un particolarissimo break. La band abbandona la canzone per concentrarsi invece su una cadenzata marcia militare. Si sente la voce di un fantomatico sergente che scandisce, a tempo di quattro, la marcia dei suoi soldati. Poi, all'improvviso, la marcia si ferma, col comandante che intima "Compagnia! Alt! Presentatarm!". A questo punto una lunga rullata di Densmore prelude ad una raffica dei fucili appena caricati. È interessante il modo in cui questa scenetta veniva riproposta live. In occasione dell'intermezzo, Krieger impugnava la chitarra a mo' di fucile, puntandola dritta su Morrison. A Densmore competeva poi celebrare la rullata con un suono forte e penetrante per simulare lo sparo. Per farlo colpiva il rullante sul suo bordo (tecnica detta rimshot), finendo per spaccare addirittura la bacchetta. Il tutto sotto gli occhi "impietosi" di Manzarek, colui che alzava la mano e l'abbassava per dare il segnale dell'esecuzione. A Morrison non restava, infine, che cadere a terra, morto. In altre esibizioni, Morrison si scusava col pubblico per prendere un bicchiere d'acqua. Scomparso dal set, ritornava improvvisamente buttandosi a terra, come morto per la fucilata. Dopo la sezione centrale, sempre in sede live, Morrison era solito cantare la strofa seguente in maniera ancora più triste e sentita rispetto a quella che noi possiamo sentir sul disco, per poi esplodere istericamente in concomitanza della ripetizione della stanza "colazione?". A questo punto, dopo il minuto 2:00, la canzone acquista di nuovo la spinta originaria, arricchendosi pure di un assolo di chitarra. Morrison sembra ormai uno "scemo di guerra", che sa solo più urlare "è tutto finito/ la guerra è finita", contornato da un rumore che cresce secondo dopo secondo, in cui riusciamo a scorgere perfino una campana che suona a festa. Per concludere, basta ancora sapere che la canzone dovette portare via un sacco d'energie ai Nostri, giacché il produttore Rothchild, per far sì che venisse confezionato un valido singolo, impose loro di provarla più e più volte (si dice addirittura cento!) prima di decidere quale versione tenere in maniera definitiva. Ma a discapito di questa (eccessiva) premura, il singolo si bloccò però al 39esimo posto della classifica.
Spanish Caravan
Il lato-B è aperto da "Spanish Caravan", traccia ispirata al lavoro del grande chitarrista asturiano Isaac Albéniz. Abbiamo già visto nel debut album come i Doors riuscissero a mettersi in sintonia con la musica popolare, per poi rieditare le melodie per creare nuove canzoni (Alabama Song). Ora, a distanza di due album, i Nostri rileggono un classico della musica spagnola di fine Ottocento. La "carovana spagnola" fa parte di Asturias (Leyenda), opera di Albéniz pensata per il pianoforte. A discapito del nome, che rievoca la regione delle Asturie, le melodie richiamano più il flamenco andaluso. Probabilmente per questo motivo, il brano è stato scelto poi da Krieger, che rielaborò la melodia per adattarla alla sei-corde. Ecco che la canzone si apre con una bellissima chitarra classica, suonata in maniera egregia da Krieger. Dicevamo ad inizio recensione di come egli facesse trasparire spontaneamente il suo amore per la musica spagnola: "Spanish Caravan" ne infatti è la prova. Dopo un minuto d'introduzione di sola chitarra (accompagnata sporadicamente da battute sui piatti), entra la voce di Morrison, che ci rende partecipi di quanta voglia abbia d'andare in Spagna ("portami, carovana, portami via/portami in Portogallo, portami in Spagna/Andalusia coi prati pieni di grano/devo vedervi ancora e ancora"). La chitarra è ovviamente lo strumento trainante, prima nella sua versione classica e poi elettrica. Pure la scelta dei bassisti è stata per l'occasione "doppia": mentre a Lubahn compete la sezione "elettrica" della canzone, a Leroy Vinnegar spetta il basso acustico della prima sezione. Poco dopo la metà, a 1:46, una chitarra distorta riprende il discorso da dove era stato lasciato, anche se lo fa imprimendogli connotati decisamente differenti. Il riffing di Krieger è straordinariamente moderno, turbinante, così come vorticante è pure l'aria che esce dalle note dell'organetto fatato di Manzarek. Dopo una sessione solistica che dura circa mezzo minuto, Morrison declama versetti altamente suggestivi ("alisei trovano galeoni dispersi nel mare/so dove il tesoro mi aspetta/argento e oro nelle montagne della Spagna/devo vedervi ancora e ancora"). Con un epilogo sognante come il resto della canzone stessa, il brano si chiude - come al solito - sotto i tre minuti, confermando il basso minutaggio complessivo dell'opera, ma regalandoci comunque un brano straordinariamente affascinante.
My Wild Love
Si procede allora con "My Wild Love", un altro lavoro davvero insolito. Si tratta infatti di una poesia fatta canzone, anche se di musica ce n'è effettivamente poca. Se immaginiamo la voce di Morrison come uno "strumento", questo è sicuramente quello portante. Tutt'attorno si dipanano poi cori cantilenanti e ripetitivi, scanditi ogni tanto da qualche tocco di percussioni. I cori amplificano suggestivamente quanto viene recitato da Jim, facendo assumere al brano un effetto favoloso, alla stregua di una messa cantata. L'"amore selvaggio" del titolo dovrebbe essere personificato dalla compagna di Jim, verosimilmente da Pamela. Il brano, che è un'ode all'amata, inizia con "il mio amore selvaggio cavalcava/lei cavalcava tutto il giorno", segno dell'instancabilità dell'amore tra due giovani esseri umani. Ma poi ecco che subentra la figura del "diavolo", con cui la donna aveva fatto un patto ("scrisse al diavolo/e gli chiese di pagare"). Tuttavia, si sa, il diavolo è un brutto cliente quando si tratta di fare patti o robe del genere. Ed allora, siccome "il diavolo era più saggio", il maligno tentatore le impone di ravvedersi ("è tempo di pentirsi/le chiese di restituire/i soldi che ha speso"). Con il chiudersi della prima fase della canzone, se ne apre subito un'altra, senza mai interrompere nettamente il continuum del brano. In questa stanza conclusiva, l'amata continua a cavalcare, arrivando fino al mare ("cavalcava per il mare/ha messo assieme/alcune conchiglie per la sua testa"). Poi, a furia di cavalcare, decide che finalmente è tempo di fermarsi, anche se solo provvisoriamente ("cavalcava e cavalcava ancora/cavalcò per un po'/dopo si fermò per una sera"). Con l'occasione decide infine di riposarsi ("posò la sua testa in basso"). Gli ultimi tre versetti indicano però che il viaggio della donna non è ancora finito, ma che, anzi, la porterà verso mete (reali o astratte, chi lo sa) ancora più lontane ("cavalcava verso il Natale/cavalcava verso la fattoria/cavalcava verso il Giappone"). È inutile voler dare un significato alla poesia morrisoniana, perché, ai nostri occhi, potrebbe significare tutto o niente. Accontentiamoci di leggere questa "My Wild Love" come una lirica sull'amore e sulla sua capacità di far viaggiare l'anima attraverso posti che mai si sarebbero potuti visitare altrimenti. L'album sembra essersi ormai fermato su lidi musicali davvero particolari, almeno da tre canzoni a questa parte.
We Could Be So Good Together
Quando però irrompono le note incrociate di basso ed organo di "We Could Be So Good Together" capiamo che la musica sta (nuovamente) per cambiare. Per non smentire quanto detto, Densmore accelera notevolmente i tempi sulla batteria, imprimendo un andamento decisamente più allegro rispetto al mood riflessivo e cupo di alcuni dei brani immediatamente precedenti. A basso ed organo s'aggiunge fin da subito la chitarra elettrica di Krieger, modulata attraverso una distorsione davvero ronzante. Al ritmo generalmente più concitato s'accoda poi anche la voce di Morrison, su standard decisamente più rock e blues rispetto a quelli cui ci aveva abituati in questo Waiting for the Sun. Ad inizio recensione si parlava di psychedelic pop (piuttosto che rock), ma quel che è venuto anche meno rispetto ai due album precedenti è la matrice blues della band, un loro tratto distintivo degli esordi (basta vedere brani come "Love Me Twice", tratto dall'omonimo The Doors). Per fortuna, memori degli antichi influssi, la band riesce a questo punto dell'album a sfoggiare nuovamente una dose d'elettrizzante blues rock, opportunamente omologato (ovviamente) all'addolcimento generale dei suoni voluto per questo Waiting for the Sun. Il testo della canzone ci riporta infatti agli esordi, mettendo in luce un aspetto di Morrison che finora pareva essersi dimenticato: la sua sfacciataggine nei confronti del gentil sesso. Il titolo recita "noi potremmo stare così bene assieme", ma ecco che Jim irrompe bruscamente affermando che dirà "malvagie bugie", forse per non far apparire la loro relazione così strana. Ed è così che parlerà con lei del mondo che hanno inventato, "un mondo libertino senza pianto". Con Lubahn tornato ad essere l'unico bassista, la sezione ritmica pare instradarsi su pattern più canonici di quelli sperimentali adottati in alcuni episodi precedenti. Grazie alla fermezza del duo Densmore&Lubahn, Manzarek può permettersi di rievocare antichi giri d'organo, come da tempo non se ne sentivano. Krieger corona l'influsso blues rock della canzone grazie al suo assolo di chitarra (1:07), leggermente sfasato per l'overdub. Complice un testo a tratti perverso e ad un Jim Morrison spudorato ed ingannevole, tutto il brano assume i contorni di una canzone maledetta, e proprio per questo suo carattere esercita un fascino notevole sull'ascoltatore. Infine, con le ultime misteriose strofe ("gli angeli combattono, gli angeli piangono/gli angeli ballano, gli angeli muoiono"), si chiude all'improvviso questa bella canzone (sfruttata come b-side del singolo "The Unknown Soldier"), altro episodio riuscito di questo particolarissimo album. Prima di concludere, bisogna citare qualche "voce di corridoio" che gira attorno al brano. "We Could Be So Good Together" venne scritta durante la sessione di registrazione di Strange Days, apparendo addirittura sulle primissime tracklist dell'album. In una recensione del disco sulla rivista Slant Magazine, la canzone viene descritta come un esempio del "Jim Morrison prima del successo", soprattutto a causa della linea "il tempo che aspetti viene sottratto alla gioia di vivere", evidente simbolo dell'ideologia hippy che regnava a metà anni Sessanta e che influenzò evidentemente pure Jim. Ciò farebbe presupporre al fatto che "We Could Be So Good Together" sia una delle canzoni più vecchie di Waiting for the Sun, coeva addirittura a quelle del debut.
Yes, the River Knows
Con la decima "Yes, the River Knows" si arriva ad un'altra traccia impegnata. Con il pianoforte di Manzarek, la canzone si apre in maniera inedita, rivelandosi come un brano velato di oscuri pensieri. La voce sembra ovattata; la batteria, più che battere, accarezza le pelli. Pur essendo l'unica canzone del disco ad esser stata scritta dal solo Krieger, la partitura di chitarra è piuttosto esigua, lasciando così spazio a tutti gli altri musicisti. Poi ecco che a 1:26 finalmente compare la sei-corde, con un assolo tanto delicato quanto struggente, che dà un saggio della bravura di Krieger. Il pianoforte amplifica il pathos di una canzone di per sé già molto coinvolgente, se non dal punto di vista ritmico, certamente da quello emotivo. In modo liscio e scorrevole, tutta la composizione scorre via che è un piacere, sino al suo finale decisamente malinconico. Il grosso di questa "Yes, the River Knows" è però la parte testuale. Il punto centrale della canzone è infatti il suicidio. Il "fiume che sa" ha parlato col protagonista di questa vicenda; gli ha rivelato cose scioccanti, ma in modo davvero delicato. Il contenuto del messaggio non è però altrettanto dolce. Nelle sue acque, infatti, il protagonista affogherà ("ti prometto che mi annegherò"), aspettando ed aspettando ("lo sto facendo, ma ci metto un po'") prima che sopraggiunga davvero la morte ("respiro sottacqua fino alla fine"). Su queste coordinate la canzone prosegue imperterrita, così come è imperterrito - e deciso a farla finita - è il protagonista. Dopo l'assolo di chitarra, c'è ancora tempo per un ultimo giro di note di pianoforte, questa volta accompagnato da una partitura di clean guitar. Manca però davvero ormai poco alla conclusione della canzone.
Five to One
Neanche il tempo di riprenderci da questo "colpo", che il drumming di Densmore battezza l'ultima traccia, "Five to One". Il ritmo - che ricorda vagamente un tango "elettrico" - rivela una canzone potente, che poco ha a che fare col resto dell'album. La chitarra di Krieger, distorta all'inverosimile, sputa riff su riff, attaccandoci con ogni singola nota. E i colpi si sentono. Poi, quando la strofa diventa più lineare (0:38), l'organo comincia a danzare, mentre la chitarra, sorniona, si acquieta. Il basso scandisce ogni singolo battito dello spartito, mentre Morrison si presenta sotto nuove vesti. La sua voce ha abbandonato le tonalità cupe in favore di un timbro più raschiato, cattivo ed assolutamente corrosivo. D'altronde non potrebbe essere altrimenti. "Five to One", che significa "cinque a uno", indica infatti il rapporto tra gli hippy ed i cosiddetti moralisti benpensanti. All'epoca, il movimento dei figli dei fiori era davvero imperante, e pare possibile che ci fossero davvero tanti giovani che aderissero al motto "pace e amore", anche se il numero, onestamente, sembra un po' gonfiato. Tralasciando le cifre, com'è facile immaginare, la canzone è una critica che ha come bersaglio tutta quella fascia di persone che, all'epoca, stava conducendo l'America sull'orlo del collasso, anche a causa del conflitto vietnamita. Un Jim molto sicuro di sé ("nessuno uscirà vivo di qui, ora/tu con il tuo, bimba/io con il mio/ce la faremo, bimba/se ci proviamo") diventa il mattatore di questa invettiva. Da una parte sa che i benpensanti sono potenti, ma dall'altra parte il nuovo che avanza può contare su di una maggior presenza numerica ("loro hanno i fucili, ma noi abbiamo i numeri"). Sebbene la casta sia molto forte ed apparentemente intoccabile, Morrison sa che il tempo passa per tutti, anche per loro ("ci può mettere una settimana, ci può mettere di più"), e sa pure che alla fine si faranno i conti. Il cantante poi mette in riga la sua stessa generazione, assumendo la funzione di un saggio anziano che ammonisce i più giovani: "i tempi delle sale da ballo sono finiti, tesoro/la notte si sta facendo vicina/le ombre della sera/strisciano attraverso gli anni". Un altro concetto che sottende al titolo è quello secondo cui, se la gente comune lo volesse realmente, si potrebbe cambiare il mondo. Questo era un altro slogan molto diffuso all'epoca: l'impegno concreto in ambito sociale per cambiare le sorti di un mondo che solo allora mostrava i primi sintomi della sua (cronica) malattia. Un'altra strofa ("cammini sul pavimento/con un fiore in mano/dicendomi che nessuno capisce/scambi le tue ore per un pugno di centesimi/fallo, bambina, nel verde dei tuoi anni") canzona poi ancora i ragazzi che invece di combattere per il bene comune, desistono da questi nobili propositi, preferendo una vita più facile e meno complicata. Dal punto di vista musicale, dopo il primo minuto, prende il via un crescendo in cui il basso sembra eruttare fuori dagli altoparlanti. Un assolo di Krieger (1:11) erompe con altrettanta forza, accompagnato sempre dal piacevole ritmo della canzone, che ricomincia poi daccapo con un'intro reprise. Successivamente, alcuni strumenti (basso e organo) si silenziano progressivamente, lasciando solo più gli altri tre musicisti ad eseguire i loro spartiti. In seguito arriva poi il momento in cui tutta la canzone si calma di botto, con un coro di voci grevi che rimbombano sotto Morrison, che ripete ossessivamente "stiamo insieme ancora una volta". La calma è apparente, poiché una lunga rullata di batteria a crescere prelude ad uno scoppio generale (2:43), in cui tutti i musicisti pestano come matti. Il brano sembra ormai aver perso il lume della ragione, instradato sui binari della "follia musicale", e continua così fino alla fine, quando la dissolvenza porta via le ultime note di questo disco..
Conclusioni
L'album che abbiamo ascoltato è sicuramente un altro punto a favore dei Doors. L'LP, pur presentandosi sotto certe vesti più commerciali, è facile che tragga in inganno. Se dal punto di vista musicale non possiamo certo biasimare nulla alla critica (è ovvio che un ammorbidimento ci sia stato), sotto il profilo lirico-testuale non è cambiata quasi una virgola dai due precedenti lavori. Ci sono infatti canzoni piacione, come l'opener, ci sono canzoni impegnate, come la conclusiva "Five to One". Insomma, è un album completo. Purtroppo, è innegabile, i suoni di quest'ultima sessione di registrazione sono usciti differenti rispetto al precedente Strange Days (che, a dire il vero, risultava anch'esso diverso rispetto al debut). Più nel dettaglio, la prima canzone, che funge ovviamente da biglietto da visita dell'album, sperimenta infatti sonorità surf rock mai adocchiate prima nei quattro ragazzi di Los Angeles. Sarà stata l'atmosfera solare della spiaggia, saranno stati i tanti pomeriggi passati su quei lidi a cercare delle belle ragazze, fatto sta che il sole californiano ha influito su di una band, diciamolo, tenebrosa come i Doors, che nemmeno due anni prima dava alla luce brani oscuri e perversi come "The End". Un'altra cosa che stupisce di quest'album è la nutrita schiera di canzoni melodiche, se non addirittura ballate. "Love Street", "Summer's Almost Gone", "Yes, the River Knows" sono tutte canzoni lente, piazzate strategicamente all'interno dell'album. Complici anche i brani più atipici del lotto ("The Unknown Soldier" e "My Wild Love"), su di esse ricade la "colpa" di non far mai decollare il disco. Intendiamoci chiaro: non dal punto di vista dell'interesse (quello è sempre vivo), piuttosto dal punto di vista dell'energia e del movimento. Tolti pochissimi episodi, Waiting for the Sun non è un disco da scatenarsi in maniera selvaggia. Waiting è piuttosto un album più maturo, che ci presenta i Doors sotto una luce più adulta e responsabile, oltre che conscia del proprio scopo musicale. Mi piace rafforzare questa tesi guardando alla copertina: alla spontaneità dell'abbigliamento giovane di Morrison e Krieger, si contrappone quello più maturo e raffinato di Densmore e Manzarek: lo Yin e lo Yang. Il corpo (l'energia) e la mente (l'intelletto). Se il dovere di un buon artista è quello di coinvolgere emotivamente i propri ascoltatori, i Doors ce l'hanno fatta. Come artisti, non si chiudono in una bolla, non vivono nella bambagia, circondati da ogni agio. Rimangono pur sempre gente del nostro mondo, immischiati, controvoglia, in quello che l'America sta imponendo a tutti i suoi figli. Il disastro del Vietnam segnò infatti un'epoca, e non a caso furono quegli gli anni in cui esplose il movimento degli hippy, fu quella l'epoca della rottura tra genitori e figli, fu insomma il Sessantotto, l'anno d'uscita di Waiting for the Sun. Eppure i Doors presentano la loro critica non con violenza, come tutti invece s'aspettano. La loro caustica analisi viene camuffata egregiamente, sotto forma di canzoncine a prima vista del tutto innocue. Adottando una lettura più profonda, o leggendo semplicemente tra le righe, brani inoffensivi come "Summer's Almost Gone" sottendono a concetti decisamente più seri. Il tutto è però abilmente mascherato da simboli che, normalmente, rimandano a tutt'altro (in questo caso l'avvicendarsi delle stagioni oscura il vero messaggio, ovvero l'ineluttabilità della morte). È forse proprio questo il tratto maggiormente distintivo di Waiting for the Sun, un disco che ci presenta, giusto per riprendere le parole di Cinquemani, una band all'apice delle proprie potenzialità.
2) Love Street
3) Not to Touch the Earth
4) Summer's Almost Gone
5) Wintertime Love
6) The Unknown Soldier
7) Spanish Caravan
8) My Wild Love
9) We Could Be So Good Together
10) Yes, the River Knows
11) Five to One