THE DOORS

The Soft Parade

1969 - Elektra Records

A CURA DI
GIACOMO BIANCO
21/11/2015
TEMPO DI LETTURA:
7

Introduzione recensione

Inebriati dal successo raccolto grazie a Waiting for the Sun e sfiancati dalla tournée intrapresa per l'Europa (fatta in compagnia dei Jefferson Airplane), i Doors decisero di prendersi una pausa. Nel settembre del 1968, Ray Manzarek, Robbie Krieger e John Densmore presero l'aereo che li riportò a Los Angeles, mentre Jim Morrison - in compagnia della compagna Pamela - si stabilì per un mesetto a Londra. Jim necessitava di questo soggiorno non tanto per rilassarsi dallo stress o per evadere dalla realtà di rockstar che sempre più lo attanagliava: la "vacanza inglese" gli serviva per concentrarsi su un progetto che aveva molto a cuore, che aveva sempre più guadagnato punti rispetto all'attività con la band. Morrison non aveva mai fatto mistero di quanto l'entusiasmasse la poesia, passione coltivata sin dai tempi delle scuole superiori. Eppure, fino a quel momento, aveva dedicato ai Doors qualsiasi energia, ogni singolo attimo dal '65 in avanti. Era così arrivato il momento di prendersi una pausa. Stando così le cose, fu proprio a Londra che Morrison conobbe il poeta americano Michael McClure, figura centrale del movimento beat che tanta fama aveva raggiunto in quegli stessi anni. Dall'alto della sua eminenza, McClure si rivelò una figura assai importante nella vita di Jim. Alla stregua di un vero e proprio mentore, il poeta americano riuscì ad instillare in Morrison la fiducia necessaria per compiere il grande passo: pubblicare le proprie poesie. A partire da quel momento, Morrison non era più soltanto un musicista: diventava anche poeta a tutti gli effetti. Non che prima non lo fosse, ma ora lo era ufficialmente. A pensarci bene, un qualcosa lo si era già potuto intuire dai lavori coi Doors. Le liriche della band non erano mai state propriamente solo dei testi: la profondità e la sensibilità che le contraddistinguevano erano sempre state sotto gli occhi di tutti. Giusto per fare un esempio, un brano come "The End" deve gran parte del proprio successo alla vena poetica di Morrison, in perenne bilico tra evocativo e dissacrante. Se dunque i testi rappresentavano un'arma che indubbiamente giocava a favore della band, ciò era possibile perché il Jim-scrittore era perfettamente complementare con il Jim-cantante, ma non solo: infatti, se vogliamo, possiamo anche estendere questo concetto al Jim-uomo. Morrison, d'altro canto, era tutto questo: genio nella vita, nella saletta e sul palcoscenico. Ora però Jim avvertiva un bisogno ancora più profondo ed intimo: la poesia gli chiedeva di fuoriuscire dalla sua anima. Per coronare questo desiderio (o bisogno?) era però necessario agire senza il resto della band. E qui sorgeva un problema. Che fare precisamente? Mandare a monte quanto di buono fatto coi Doors, dedicandosi così a tempo pieno alla poesia, oppure cercare di far coesistere il tutto? Pur essendo Jim una persona molto particolare, il leggendario frontman decise d'intraprendere, saggiamente, la via di mezzo. D'altro canto non era proprio il caso di sconquassare un progetto - i Doors - rivelatosi vincente sin dall'inizio. Con questa idea per la testa, Morrison trovò nella fine della tournée il pretesto perfetto per prendersi del tempo, per stare con sé e con l'amata, per dar sfogo al suo desiderio di scrivere. A questo innalzamento vertiginoso del bisogno di isolarsi per scrivere poesie, corrispose inevitabilmente un progressivo disinteressamento per l'attività della band vera e propria. Fu così che gli altri tre musicisti, tornati alla base losangelina, cominciarono a porre le basi per quello che sarebbe dovuto essere il loro quarto album, privi per la prima volta dell'apporto - finora rivelatosi essenziale - dell'istrionico frontman. Sotto l'ala protettrice di Paul A. Rothchild, il loro storico produttore, la band aveva già cominciato a frequentare i nuovissimi studios della Elektra sin dal maggio '68, salvo poi abbandonare la frequentazione per trasferirsi in Europa per la parte conclusiva del tour. E così a settembre, dopo il fatidico rientro, Manzarek, Krieger e Densmore ripresero coi lavori lasciati in sospeso. Prima di entrare nel mood del quarto album, occorre però fare qualche passo indietro, per capire effettivamente come la band era arrivata a questo ulteriore passo. Sul finire del lunghissimo periodo che li aveva visti "costretti" in studio per terminare i loro lavori (era praticamente dal febbraio del '68 che erano in sala di registrazione), i Doors decisero di promuovere l'appena uscito Waiting for the Sun con un imponente tour per gli States. La strategia era quella di suonare il più quanto possibile dal vivo, così da ottenere la tanto agognata visibilità ed il sostegno della critica di settore. Tutto sembrò però sfumare il 1° marzo 1969, il giorno del cosiddetto "misfatto di Miami". La data in questione segna una tappa fondamentale all'interno del quartetto losangelino. All'apice della loro carriera e con tre ottimi dischi alle spalle, la band si trovò ad esibirsi al Dinner Key Auditorium di Coconut Grove, nei dintorni di Miami, Florida. Prima d'immergerci nei fatti che segnarono quella notte fino a consegnarla alla leggenda, lasciatemi giusto dire due parole sulla location. L'Auditorium non era altro che un hangar per velivoli convertito in un salone polifunzionale abbastanza decadente. In quanto ex capannone, l'impianto non disponeva ovviamente delle cosiddette facilities, come ad esempio l'aria condizionata, un numero sufficiente di uscite di sicurezza, ecc. L'organizzazione - la Thee Image Productions, qui rappresentata nella persona di Ken Collier - non badò comunque alle spese, finendo per reclutare la band sulla base di un contratto assai generoso: ai Doors sarebbero infatti andati 25.000 dollaroni. Collier riuscì in questa maniera a garantirsi i servigi della band per uno show che avrebbe fatto sicuramente registrare il tutto esaurito. Oltre a ciò, l'organizzazione, fiutato il colpo della vita, pensò bene di rimuovere anche tutte le poltroncine, così da permettere il contenimento di una folla decisamente maggiore rispetto al consentito (per quella sera vennero venduti 12.000 biglietti, a fronte dei 7.000 posti massimi dell'Auditorium). Fu così che Bill Siddons, manager della band, prese gli accordi direttamente con Collier, il quale astutamente lo tenne però all'oscuro dei truschini che la Thee Image aveva in mente. Se questo era quello che succedeva nei pressi dell'Auditorium, come procedeva l'attesa della band in vista di un così importante evento? Quello stesso giorno Morrison, a causa di una "giornata no", aveva perso tutte le coincidenze aeree possibili per essere a Miami sul far della sera. In questa maniera, il frontman dei Doors arrivò con un'ora abbondante di ritardo, presentandosi sul palcoscenico in netto ritardo ed ubriaco fradicio: come potete vedere c'erano insomma tutti i presupposti per una serata a dir poco vulcanica. Siddons, letteralmente sbalordito per l'incredibile audience, chiese spiegazioni a Collier: com'era possibile che ci fosse tutta quella gente? Collier, dotato di una mente davvero "malvagia", affrontò a muso duro un Siddons che minacciava addirittura di stracciare il contratto, e quindi d'annullare l'evento. Collier, con fare sarcastico, quasi sorrise rispondendo al manager della band: "tu pensi che potrai portare via tutta questa attrezzatura da qui come se nulla fosse? Voi dovete fare questo show. Eccovi dell'attrezzatura nuova di zecca e una sala piena di gente che urla". Era come se Collier stesse puntando una pistola alla tempia di Siddons. Il manager non aveva scelta: il concerto si doveva fare. Nel mentre i due battibeccavano sul da farsi, orde di fan senza biglietto continuavano a riversarsi nell'auditorium, ormai al limite del collasso. La temperatura schizzò alle stelle, fintanto che la gente dovette arrampicarsi sulle travi per cercare un po' di sollievo grazie alla brezza che entrava dai finestroni, posti alla sommità dei muri. A condire ulteriormente questo piatto già piccantissimo, fu proprio in quella notte che Jim cominciò a dare le prime avvisaglie del disinteressamento che covava nei confronti della sua stessa band. Comunque sia, nonostante il ritardo, la folla rispose benissimo ai quattro di Los Angeles, travolgendoli con un'ondata di genuino entusiasmo: d'altronde erano tutti lì solo per loro. La band attaccò allora con "Break On Through (To the Other Side)", ma Jim mostrava già segni i primi segni "d'incertezza" (si dice che, mentre la band eseguiva più e più volte l'intro, Morrison bighellonasse ai lati del palco, quasi come ad aspettare in eterno). Quello che successe da quel preciso momento è poi entrato nel mito. Sulle note di "Back Door Man" il pubblico andò realmente in visibilio, ma ecco che Jim cominciò a delirare sul serio. Era troppo ubriaco. Si era spinto davvero oltre i suoi limiti. Ovviamente ne consegue che l'applicazione del cantante non era, come dire, soddisfacente: pareva addirittura cantare stonato, come se fosse completamente assorto dai suoi pensieri. Come se non bastasse, Morrison era pure del tutto disinteressato del feedback del pubblico. Memore di quanto aveva visto alcune settimane prima, quand'aveva assistito ad una recita del gruppo teatrale The Living Theatre, promotore di uno stile di recitazione "antagonistico" e diretto, Morrison cominciò allora a sbraitare frasi come "Amatemi. Non ce la posso fare senza il vostro amore. Datemi un po' di amore. Nessuno vuole amare il mio culo?". Il pubblico, dal canto suo, pareva non darci poi più di tanto peso, sempre e comunque in estasi per il concerto dei mitici Doors. I restanti tre membri della band non sapevano più come muoversi: Morrison continuava a spiazzarli. La band riattaccò con altri brani, ma Jim sembrava avere un fuoco inestinguibile dentro di sé. E così riprese col suo sermone: "Lasciate che vi si dica cosa fare, lasciate che vi comandino a bacchetta". Il pubblico era il vero destinatario della sua invettiva. Il tempo di eseguire un'altra canzone e i Doors vennero nuovamente stoppati dal loro cantante, che necessitava ora di correggere il tiro della precedente affermazione: "non sto parlando di nessuna rivoluzione. E non sto parlando di nessuna dimostrazione. Sto parlando di passare bene il tempo. Sto parlando di trascorrere una buona estate. Ora venite tutti a L.A. Dovete uscire da qui. Andremo a coricarci sulla sabbia e a bagnare i nostri piedi nell'oceano e a passare bene il tempo. Siete pronti? Siete pronti? Siete?ahhhhh". Jim era un fiume in piena, ed un fiume in piena è inarrestabile. Su "Five to One", Morrison cominciò ad incespicare sulle parole, salvo poi farsi ritornare in mente gli insegnamenti del Living Theatre. Iniziò così ad insultare il pubblico: "siete tutti una banda di fottuti idioti". Il pubblico cominciò a rumoreggiare. Non pago, Jim rincarò la dose: "lasciate che la gente vi dica cosa fare. Lasciate che vi maltrattino. Quanto tempo pensate possa durare? Quanto tempo avete intenzione di lasciarla andare avanti? Fino a quando lascerete che vi maltrattino? Magari vi piace. Magari vi piace essere bistrattati. Magari vi piace avere la faccia immersa nella merda? siete tutti un mucchio di schiavi. Mucchio di schiavi. Lasciare che tutti vi maltrattino. Che intenzioni avete? Che avete intenzione di fare al riguardo? Che farete?". E così continuò, ancora ed ancora. È infatti grosso modo questo il copione della serata, con la band che viene ripetutamente interrotta dall'inizio alla fine e con un Morrison oramai deragliato. Ma il meglio doveva ancora venire. Ad un certo punto, non contento di quanto successo a New Haven, Morrison prese il cappello di un agente di polizia che stava lì davanti al palco e lo gettò sul pubblico. Il poliziotto non era evidentemente una testa calda, e di tutta risposta prese il cappello di Morrison e lo scagliò anch'egli sulla folla. Pochi attimi dopo una fan riuscì a salire sul palcoscenico, andando a versare dello champagne su Morrison. Con la maglietta tutta inzuppata, Jim disse: "vediamo un po' di pelle, svestiamoci tutti". E ancora: "non sto parlando di rivoluzione, non sto parlando di pistole e rivolte, sto parlando di amore. L'amarci l'un con l'altro. Ama tuo fratello, abbraccialo. Toglietevi i vestiti ed amatevi l'un l'altro". Ogni singola persona nell'auditorium era invitata a levarsi i vestiti - che "mascherano" chi realmente siamo - e a vivere autenticamente. Le testimonianze degli astanti rendono bene l'idea di quanto stava accadendo. Bill Siddons descrisse il concerto come un qualcosa di simile ad un circo, con le persone più pazze che avesse mai visto. Sotto le note della conclusiva "Light My Fire", Morrison barcollò sul palcoscenico fino a quando non cadde in ginocchio davanti a Krieger, intento nell'assolo. Voci dicono che cominciò a mimare un atto di sesso orale, anche se i pareri sono in effetti piuttosto discordanti. Certo è che tutto fa brodo. Jim urlava soltanto più "NON CI SONO REGOLE!", salvo poi scagliare qualche frecciatina alla città di Tallahassee, Florida, dove aveva frequentato le scuole: "c'è qualcuno qui di Tallahassee? [la gente rumoreggia di sì] Bene, io vissi lì finché non mi feci furbo ed andai in California". Scacco matto ai suoi vecchi concittadini. Questo clima rovente toccò il proprio apice quando Jim rivelò quello che realmente gli balenava per la mente: "voi non siete qui per la musica, vero? Siete venuti per qualcos'altro, vero? Non siete venuti per il rock 'n' roll, siete venuti per altro, vero? Siete venuti per altro. PER CHE COSA?" Il pubblico impazzì letteralmente nel proferire ogni tipo di risposta possibile. Nessuno sapeva quale fosse stato esattamente il motivo per cui si erano spinti sino a Coconut Grove. I Doors, certo, mi direte voi. Ma a cosa si riferiva di preciso Morrison? Jim stava per scioccare tutti. "Volete vedere il mio cazzo, vero? È per questo che siete venuti qui, vero? YEAHHH!!!". Il capotecnico Vince Treanor pare far luce in mezzo a migliaia di opinioni diverse, asserendo che Morrison, una volta nudo, cominciò a mimare strani gesti con la mano all'altezza del suo inguine, coperto solamente dalla maglietta appena levatosi. Masturbazione, profanità o quant'altro non si potrà mai sapere. Nel ripetere il chorus del loro inno, i Doors assistettero ad un'invasione di campo: schiere di fan s'accavallavano l'un l'altra, con le gente che cercava d'arrampicarsi sul palco. Persino Collier ne ebbe allora abbastanza. Infastidito per come si erano messe le cose, raggiunse la postazione del frontman della band, prese il suo microfono e cercò di mitigare la situazione. In qualche maniera - si dice a seguito di una breve colluttazione con Collier - Morrison venne scagliato sulla folla. In mezzo ai suoi "sudditi", il Re Lucertola cominciò con una danza del serpente (un antico rito indiano in cui si imitavano le movenze del rettile), coinvolgendo tutti coloro che facevano ormai parte di un vero e proprio girone dantesco. Con una mossa degna del miglior illusionista, Morrison scomparve in mezzo a tanto trambusto, salvo poi riapparire su un balconcino interno, da dove poteva ammirare lo spettacolo che poc'anzi aveva inaugurato. Da questo momento, l'enfasi sembrò sempre più venir meno. La gente cominciava a rincasare, e gli stessi Doors poterono rinchiudersi nei camerini dopo quell'autentica maratona. Il servizio di sicurezza cercava di tener lontani tutti coloro che erano lì assiepati per gli autografi, poliziotti compresi. Siddons ripagò il cappello all'agente. L'atmosfera irreale vissuta quella sera portò Manzarek a definire il tutto come "un'allucinazione religiosa di massa". Nemmeno i Doors stessi riuscivano a comprendere bene quello che era successo. Ad ogni modo, poche ore dopo, all'alba, i quattro salirono su un aereo che li avrebbe portati ai Caraibi, secondo un piano già stabilito da diversi giorni. Quello del primo marzo era l'ultimo di una tranche di concerti, quindi un po' di meritato riposo non avrebbe certo guastato. E visto com'era andata quella sera, i Caraibi giungevano come manna dal cielo. Peccato che però quel viaggio venne giudicato in malo modo dai servizi segreti. Senza voler qui ripetere l'excursus storico affrontato nella recensione di Waiting for the Sun, basta sapere che gli anni a cavaliere tra i Sessanta ed i Settanta erano stati dei veri e propri anni di fuoco. L'intero assetto politico-sociale era diventato più e più volte il bersaglio preferito delle manifestazioni hippy (o comunque giovanili), dato che era visto come un sistema solo a prima vista salutare e sicuro per i suoi cittadini. In verità gli USA di quei tempi - anni di boom economico ma anche di gravi sconquassi sociali - erano fautori di una politica estera assai criticata da tutti coloro che cominciavano allora ad emancipare le loro coscienze. Alla stregua dei bambini che si fanno adolescenti (ovvero quando cominciano a sviluppare una sensibilità critica nei confronti di ciò che sta loro attorno), i ragazzi degli anni Sessanta si sentivano in dovere di dire la loro, di far sentire che esistevano. Il governo - qualunque fosse il presidente in carica - era il principale nemico: quel governo che aveva finito per mandare al macello un'intera generazione grazie alla guerra del Vietnam. Argomento sicuramente spinoso e delicato, fu questo uno dei tanti pretesti che fecero sì che le forze di polizia ed i servizi segreti attuassero una sorta di "caccia alle streghe" in chiave moderna. Se una volta si braccavano presunte fattucchiere e maghi, in nome di una religione che andava salvaguardata da eresie e diavolerie d'ogni sorta, negli anni Sessanta le nuove streghe erano i personaggi pubblici destabilizzanti. E Jim Morrison era uno di quelli. Il misfatto di Miami aveva fornito le prove necessarie per imbracciare i forconi e dar la caccia ad un musicista, colpevole del fatto d'aver essenzialmente aizzato la folla alla rivoluzione. Anche se il frontman losangelino, come abbiamo visto, aveva diverse volte smentito il suo intento di fomentare la moltitudine in nome di una rivolta, il 5 marzo il Procuratore di Stato di Dade County accusò comunque Morrison di sei diversi capi d'imputazione: una denuncia penale per comportamenti osceni e lascivi ed altri cinque reati minori (due capi d'imputazione per atti osceni, due per volgarità ed uno per ubriachezza in pubblico). Volendo scavare ancora più in profondità, le "colpe" di Morrison che emergono dai rapporti dell'FBI spaziano dall'incitamento della folla a fini rivoltosi all'impulso alla ribellione nei confronti di un sistema totalitario, passando pure per la lotta al governo schiavista. Parolone grosse, quasi anacronistiche se pensiamo esser state scritte su documenti dell'FBI negli anni Sessanta. Non parliamo di Ottocento, ma di cinquant'anni fa, quando sulla carta gli Stati Uniti d'America si autoproclamavano "terra di libertà". Come se non bastasse, le "parole sediziose" e le "possibili violenze razziali" (tra virgolette perché è quanto emerge dagli archivi dei federali in merito all'episodio), oltre ai gesti osceni, fornirono alle forze di sicurezza il modo di giudicare il viaggio verso i Caraibi alla stregua di una vera e propria evasione al di fuori dei confini, una fuga per evitare processo e carcere. Fu così che, nemmeno un mese dopo, Morrison venne dichiarato a tutti gli effetti fuggitivo, con tanto di mandato di cattura diramato non solo alle forze di polizia ma anche ai servizi segreti militari. Come vi spiegate un tale dispiegamento di forze per un solo uomo? Parliamoci chiaro: Morrison né era un terrorista né aveva compiuto atti così gravi. Eppure era in questa maniera che quel sistema metteva alla gogna i suoi nemici. Quel sistema non poteva tollerare che ci fossero voci fuori dal coro; pertanto, alla prima avvisaglia, bisognava subito mozzare gli arti infetti. Occorreva rimuovere il problema dalla radice. Peccato che però quello stesso sistema fosse a dir poco marcio - il Watergate fungerà da conferma negli anni a venire - ed insano. Come un'enorme barca che però faceva acqua da ogni parte, i governi passavano il loro tempo a cercare dei capri espiatori, e Morrison finì con l'essere uno di questi. Sinceramente, degli altri tre musicisti non è che gliene importasse molto. Morrison era però un potenziale "nemico pubblico", proprio a causa del suo magnetismo, del suo modo di porsi, del suo essere libero. Come in ogni mondo corrotto che si rispetti, la stampa giocò un ruolo fondamentale nell'infangare la figura di Morrison. Sulle pagine del «Miami Herald» vennero scritte intere colonne atte a denigrare la persona di Jim, giudicandolo soprattutto per i suoi atti d'oscenità (quando invece abbiamo detto che sulla presunta masturbazione di Jim aleggia ancora oggi il dubbio della sua effettività). Bigottismo e indignazione sorsero ovunque. Per prime vennero interrogate le forze dell'ordine, ree d'aver lasciato correre troppi fatti che invece andavano fin da subito fermati e puniti. Gruppi studenteschi dei cosiddetti "figli di papà" organizzarono un "Raduno per la Decenza" nel famoso stadio di Miami, l'Orange Bowl. La comunità benpensante si destò sgomenta e richiamò addirittura l'interesse di tutta la nazione. Lo stesso presidente Nixon fu indotto a scrivere una lettera in cui prometteva il suo interesse per la questione. Come un devastante effetto domino, ecco che pure la stampa di settore - quella musicale - s'unì all'ignominiosa campagna antimorrisoniana, il cui peggior esempio è fornito dalla gravissima caduta di stile della rivista «Rolling Stones», specie se consideriamo che fino a qualche giorno prima erano i primi ad idolatrare il "nuovo messia" del rock americano. Qualche loro geniale mente ebbe tuttavia l'idea di sbattere in copertina un primo piano di Jim, con tanto di cornice a mo' di manifesto di cattura western, che recitava "Wanted in the County of Dade" ("ricercato nella Contea di Dade"). Vi avanzo l'articolo, sempre sullo stesso numero, intitolato "Il pene di Morrison è indecente". E tutto continuò così, per diciotto interminabili mesi di scherno, d'ignominia, di crocifissione pubblica, fintanto che Morrison comparve davanti alla corte per essere giudicato. Il 12 agosto 1970, al termine di quei lunghissimi giorni d'attesa, Morrison si presentò in aula. Mi permetto d'attingere al gergo della boxe per descrivere questa udienza: era l'incontro del secolo, il match tra Morrison - che incarnava le nuove leve - e l'establishment stantio degli States. Max Fink, l'avvocato dei Doors, costruì gran parte della difesa giocandosela sul fatto che quella che veniva definita "oscenità" era ormai una condotta ritenuta accettabile in Florida: film vietati a minori di diciott'anni andavano regolarmente in onda nei cinematografi della zona attorno al Dinner Key Auditorium. Perché quindi giudicare colpevole d'oscenità Jim, se la stessa oscenità veniva proiettata nei cinema? Onde evitare possibili débâcle giudiziarie, l'elezione della giuria popolare portò via addirittura due giorni, tempo in cui venne accuratamente accantonata qualsiasi persona che avesse mostrato la pur minima simpatia per le nuove leve: ne conseguì il fatto che il più giovane tra i giurati fosse di 42 anni. Tuttavia il primo colpo di scena si ebbe quando il giudice Murray Goodman si rifiutò di riconoscere le prove dell'accusa riguardo alla violazione delle norme comunitarie (ovvero delle cosiddette leggi locali della Contea di Dade che definiscono un comportamento socialmente probo e retto). L'accusa cercò allora di sfruttare a proprio vantaggio il contesto del processo. Nonostante fossero state avanzate centinaia di foto come prove dell'esposizione di nudità da parte di Morrison, nessuna di queste venne considerata realmente affidabile tale da permettere un'accusa fondata. La parte lesa tentò allora un'altra carta: puntare sull'innocenza e sulla fragilità emotiva dei ragazzini che avevano assistito al concerto e che ora deponevano come testimoni oculari. Spesso dimostratisi insicuri di quanto andavano affermando sotto giuramento, l'immagine di purezza evocata dai ragazzini avrebbe dovuto far leva sul cuore dell'opinione pubblica, ma nemmeno questo escamotage andò a buon fine. Persino il materiale video di quel processo risulta sofisticato: quando si vede Morrison parlare per deporre, possiamo vederlo muovere le labbra ma non sentiamo affatto l'audio. Tutto quello che ci è concesso sentire sono i commenti fuori campo dei cronisti. Questo lascia parecchio intendere sulla limpidità dei resoconti giornalistici. Man mano che le sedute si moltiplicavano senza cavare un ragno dal buco, lo stesso interesse pubblicò sembrò scemare. Un altro momento clou fu quando la difesa ebbe l'ardire di proiettare in aula alcuni frammenti di quella fatidica serata. Nel mentre il video riproponeva le gesta di Morrison e compagni, non una persona in sala osò proferire qualcosa, tenendo piuttosto uno sguardo basso, quasi come a vergognarsi di quanto stava osservando. Partirono poi le deposizioni degli altri Doors (tutti e tre negarono l'esposizione di nudità da parte del compagno), cui vennero poste domande davvero al limite della realtà, se volete addirittura tragicomiche. La più memorabile è quella rivolta a Manzarek, al quale venne chiesto se Jim "in qualsiasi momento [?] mentre era in ginocchio" facesse "su e giù con la lingua" (arzigogolata versione del chiedere se praticasse solitamente ed attivamente del sesso orale). Tuttavia, com'è lecito pensare, colui che stette più sulla graticola fu ovviamente Morrison, cui si chiese se lui mai fosse "quel che viene definito un cantante rock". La risposta di Jim fu sottile ed arguta: "tra le altre cose, sì". Terminato finalmente il processo, Morrison riuscì ad evitare la condanna per quattro capi d'imputazione, ma il miracolo non si compì: Jim non riuscì a schivare i reati minori di profanità e di atti osceni in pubblico. Rifiutando il patteggiamento - sotto forma di un concerto gratuito a Miami -, Morrison venne condannato a sei mesi di carcere coi lavori forzati, oltre che a pagare una multa di 500$. Jim rimase tuttavia in libertà, in attesa del ricorso in appello in merito alla sua condanna. La morte sopraggiunse però prima della sentenza. Solo a distanza di moltissimi anni, nel 2007, il Governatore della Florida Charlie Crist avanzò la possibilità di un perdono postumo per Morrison, ratificato effettivamente il 9 dicembre 2010. Come risultato di tutta questa sfortunata epopea, i Doors cominciarono a soffrire di un certo disinteressamento - più o meno forzato - da parte delle emittenti radiofoniche, così come videro cancellarsi più e più concerti già messi in agenda. Se si aggiunge poi il progressivo disinteressamento di Jim al mondo della musica, si capisce perché circa metà delle canzoni che andranno a costituire il loro quarto album furono scritte dal chitarrista Robbie Krieger, a scapito di un Morrison sempre meno coinvolto negli affari della band. Jim dimostrava un atteggiamento sempre più sopra le righe, potenzialmente distruttivo ai fini dell'economia del gruppo. Droga ed alcol erano diventati delle costanti nella vita del cantante. L'abuso di queste sostanze lo portò a non presenziare a molte delle sedute di registrazione previste. Rothchild rese bene l'idea di quanto stava accadendo, sostenendo che coinvolgere Morrison in qualcosa che non accendeva la sua curiosità era snervante come subire l'estrazione di qualche dente. La totale dipendenza dall'alcol portò lo stesso Morrison ad essere visto quasi come un estraneo agli occhi degli altri membri della band. Fu sempre in quei tempi che Manzarek cominciò ad appellarlo col nomignolo di "Jimbo", proprio per indicare Jim quando era in uno stato mentale alterato. Ulteriori dissidi vennero a galla quando Morrison si rifiutò categoricamente d'essere accreditato in relazione ad una specifica canzone che sarebbe poi dovuta confluire nell'imminente nuovo album. Per questa ragione, il quarto disco rappresenta l'unica tappa della band in cui ogni compositore è citato per nome e cognome, e non invece com'era sempre stato fino a quel momento, e cioè col nome collettivo di The Doors. A dispetto dei sei giorni impiegati per registrare il debut, The Soft Parade, ecco il titolo del quarto album, impiegò addirittura nove mesi di registrazioni. Lo stesso Morrison dichiarò che la cosa era effettivamente sfuggita di mano, lamentandosi pubblicamente dei tempi biblici occorsi. La critica più cruda - proveniente sempre dalla bocca del cantante - fu comunque quella che giudicava The Soft Parade come un album deficitario di un aspetto invece fondamentale: a sua detta, un disco sarebbe dovuto essere come un libro di racconti, tutti incatenati l'un l'altro, ma con uno stile (ed un sentimento) unitario da cima a fondo. Questo è quello che mancava a The Soft Parade. D'altro canto l'album in questione si distingueva (molto) dai precedenti lavori, anche perché introduceva per la prima volta delle sezioni di fiati e di archi, fatto inusuale per i Doors. Come se non bastasse, i brani che vi confluirono nacquero esclusivamente dalla realtà dello studio, e non come in passato, quando tutte le canzoni si erano generate da varie esperienze maturate durante i moltissimi live. Tutto questo pot-pourri giustificò l'ingente somma di 80.000$ resasi necessaria per la produzione dell'album. Le spese erano notevolmente aumentate sia per i diversi costi dei nuovissimi studios, sia per il reclutamento di altri musicisti. Oltre al redivivo bassista Douglass Lubahn, Rothchild ingaggiò numerosissimi altri turnisti, che conosceremo man mano che avanzeremo con la tracklist. Una testimonianza illustre in merito alla complessità ed alla difficoltà dei lavori intrapresi dai Doors proviene da George Harrison, in visita negli studios nel novembre del 1968. Il leggendario chitarrista dei Beatles dichiarò infatti di notare molte somiglianze tra la sessione di lavoro di The Soft Parade e quella di Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band del quartetto di Liverpool. Era infatti proprio quest'album ad aver spinto Rothchild ad agire in quella maniera. Memore del successo a dir poco sensazionale mietuto dal masterpiece dei Beatles (numero uno in tutte le maggiori classifiche nazionali, 27 settimane da primo in Inghilterra e 15 negli USA), Rothchild tentò di replicare coi suoi Doors tale boom, ma per farlo reputava altrettanto necessario accorpare alla band una vera orchestra, così da far propri elementi finora esterni al loro mondo (come le influenze classiche e jazzistiche). Rilasciato il 18 luglio 1969 ed edito dalla Elektra Records, The Soft Parade inanellò l'ennesimo successo per conto dei Doors, anche se, ancora una volta, l'album fallì la scalata in Inghilterra. Trascinato in patria dall'enorme successo del singolo "Touch Me", l'album scalò posizioni su posizioni fino ad assestarsi alla sesta posizione della Billboard Chart. Ad onor della cronaca, The Soft Parade segnò anche una variazione nella strategia di promozione dei singoli da parte della band. Se fino a quel momento ogni album aveva visto l'elevazione a singolo di sole due tracce per disco, The Soft Parade si concesse uno strappo alla regola, estraendo ben quattro singoli. Ne conseguì che, se ognuno di essi era accompagnato da una b-side, quasi l'intera totalità della tracklist era stata rilasciata due volte, l'una come lato-a o b dei vari singoli, l'altra con l'album vero e proprio. Escludendo la title-track e "Shaman's Blues", tutte le canzoni finirono in effetti con l'essere dei singoli. Altro dato importante è il fatto che le quattro hit vere e proprie fuoriuscirono dalla penna (e dalla chitarra) di Robbie Krieger, ormai figura davvero nevralgica di questo Soft Parade. Come recepì tutto ciò la critica del tempo? Male, se non malissimo. I nemici di recente fattura del «Rolling Stone» non risparmiarono ancora una volta durissime critiche. Il loro recensore Alec Dubro definì l'album "esasperante" oltre che "triste". Giustificò quest'ultima definizione con l'atteggiamento degenerante della band, rea d'aver permesso l'introduzione di organismi estranei al rock e d'aver così contaminato definitivamente il loro sound. Il voto, di conseguenza, fu un non-voto: inclassificabile. La strada verso il declino era stata appena imboccata. Per essere oggettivi, occorre però ascoltare sempre l'altra campana, qui rappresentata dalla giornalista Patricia Kenealy-Morrison di «Jazz and Pop», che lodò invece il tentativo volto alla sperimentazione e alla non-fossilizzazione delle medesime sonorità. Fedeltà alla propria identità o sperimentazione evolutiva, bellezza o non bellezza, The Soft Parade è tendenzialmente l'album più chiacchierato dei Doors. Non resta che tuffarvici dentro.

Tell All the People

Prima traccia dell'album è "Tell All the People" (Trad. Dillo a tutte le persone), il brano incriminato che avevo menzionato prima per quanto riguardava la questione degli accrediti. Terzo singolo ad essere estratto dall'album, la canzone presenta specificamente come unico autore il solo Robbie Krieger. Il nodo della questione ruotava essenzialmente attorno ad un solo versetto - che recita "prendete le vostre pistole" - nei confronti del quale Morrison non voleva assolutamente che si potesse pensare che quelle parole fossero fuoriuscite dalla sua mente: Jim doveva in effetti tutelarsi in qualche modo dopo la spiacevole grana di Miami. Temeva infatti che quelle parole potessero essere fraintese dai fan e che costoro si presentassero ai concerti armati, cosa che sicuramente non avrebbe giocato a suo favore (un conto era l'oscenità, un conto l'ubriachezza: inneggiare a girare armati l'avrebbe sicuramente fatto mettere alla gogna). L'esordio musicale della canzone è alquanto stordente: un'orchestra di fiati di stampo jazzistico si staglia imperiosa al di sopra dei quattro musicisti della band (tra i quali si deve includere anche Harvey Brooks al basso). Le tastiere di Manzarek - ma soprattutto la chitarra di Krieger - paiono essere completamente assorbite dal muro del suono che si sprigiona dai fiati. Concettualmente, The Soft Parade non si discosta affatto dai dischi precedenti della band, certo che però ora i Doors paiono effettivamente fin troppo snaturati: da queste primissime note non si riesce più infatti a cogliere la psichedelia che imperversava sin dal pregiatissimo debut. Dal punto di vista musicale, la calda voce di Morrison è l'unico trait d'union che pare mantenersi integro a distanza di anni. Anche il delicato pianoforte di Manzarek si distingue come sempre per classe ed eleganza, accompagnando magistralmente la voce del singer. Gli inserti orchestrali - di competenza di Paul Harris - si fanno ben notare, ed in effetti a prima vista possono sembrare anche "scomodi" ed oltremodo invasivi. Dal punto di vista lirico, lungi dall'essere un testo guerrafondaio, la canzone si caratterizza per un ottimo impianto testuale, accomunabile al filone delle canzoni di protesta. Il protagonista del brano esorta tutti gli ascoltatori a seguirlo, ma nel farlo cerca di non metter fretta a nessuno ("ditelo a tutti quelli che vedete/che mi seguano [?] diteglielo che non devono correre/passeremo a raccogliere tutti quanti"). Questa marcia verso un posto fantastico non lascia però intendere quale sia effettivamente la destinazione, ma promette comunque una profonda ricompensa: là "ogni guaio lo seppelliremo nella sabbia". Non mancano poi gli apprezzamenti per la vita ed il dono che essa rappresenta ("ma non la vedete ai vostri piedi la meraviglia?", sottintendendo il mondo in cui viviamo). Certo che però, man mano che si scorre il testo, si ha l'impressione che il "posto meraviglioso" non lo sia poi più di tanto. E se fosse il Vietnam? E se questo "che mi seguano", ripetuto alla nausea, sia una sorta di messaggio subliminale per cercare di fare il più possibile dei proseliti in nome degli Stati Uniti d'America? La sensazione viene ulteriormente rafforzata dall'emblematico versetto "non vedete come sto crescendo, prendete le vostre pistole", oltre che dal sibillino verso di cui sopra ("ogni guaio lo seppelliremo nella sabbia"), che lascia indirettamente intendere di come in guerra esista la possibilità d'annegare in qualche modo i propri problemi (non pensandoci per qualche tempo, oppure morendo). Nonostante il testo sia indubbiamente critico e tagliente, la canzone si caratterizza per una musica piuttosto dolce, per niente aggressiva. I cambi di tempo della batteria di Densmore, per quanto arditi, vengono pur sempre mitigati dalle orchestrazioni di Harris, che rendono la canzone assolutamente atipica (sembra d'ascoltare qualcosa dei Chicago a dire il vero). Il basso se ne sta piuttosto in disparte, e nemmeno Krieger, pur essendo l'autore della canzone, è particolarmente in luce, limitandosi a partiture easy anche nell'assolo (1:46). Dopo questo momento, la canzone scema verso il finale in dissolvenza, sotto gli inviti ripetuti di Morrison a seguirlo, ancora ed ancora.

Touch Me

Il singolo apripista di questo album, "Touch Me" (Trad. Toccami), è piazzato alla seconda posizione. Sin dall'inizio il brano lascia trapelare decisamente più brio rispetto all'opener, anche se l'effetto dura troppo poco. L'allegra chitarra di Krieger, quasi funky per l'occasione, ci mette addosso la giusta energia per ballare, regalandoci attimi di foga anche grazie all'incisività della voce di Morrison. La canzone ebbe diversi titoli durante la fase di scrittura, passando da "I'm Gonna Love You" (un verso del chorus) a "Hit Me" (in quanto il primordiale contesto della canzone era il tavolo da gioco del Black Jack). Quest'ultimo titolo, in particolare, si rifaceva alla primissima linea del testo originario, che recitava "Andiamo, colpiscimi? non ho paura". Dovete sapere che però questo "colpiscimi" risulta essere quasi intraducibile letteralmente, dato che in inglese hit me, nell'ambito del suddetto gioco di carte, sta per "[dammi una] carta". Tuttavia Morrison, per timore che qualcuno prendesse alla lettera l'invito a "colpirlo", decise di variare il testo con "toccami", touch me, da cui il titolo. La canzone dispone di numerosi altri aneddoti, che vedremo però tra poco. Per ora basti sapere che, almeno dal punto di vista lirico, essa presenta un testo davvero in linea con quanto fatto dalla band negli anni precedenti. Il copione è il solito. Morrison, invaghito della tipa di turno, comincia a solleticare la sua fantasia, invitando la ragazza a toccarlo ("e dai, e dai, e dai, e su dai/toccami, bimba"). Le avances continuano senza sosta: "adesso mi preparo ad amarti/finché il firmamento non arresti la pioggia/io mi preparo ad amarti/finché le stelle non vengono giù dal cielo/per te e me". Il chorus rappresenta un momento di distensione all'interno della canzone, in contrapposizione con i versi (che sono decisamente più ritmati). Il break successivo al ritornello denota un ottimo lavoro di batteria, mentre il ruolo affidato a Manzarek, sebbene leggermente in ombra, lascia intendere sempre grande ricercatezza e gusto musicale. Ray per l'occasione si siede dietro ad un clavicembalo e tesse eleganti melodie che ricamano le vicende amorose del protagonista. L'armonia metallica del suo strumento, unito agli archi dell'orchestra ed al trombone di George Bohanan, confezionano una canzone assai sui generis, che potrebbe tranquillamente calzare a pennello per un film per tutta la famiglia; inoltre la particolare tonalità di Morrison apporta un decisivo flavour che permette d'assimilare questa "Touch Me" al genere della Christmas music, le musiche natalizie. Ad impreziosire il tutto, a 2:27 irrompe un inedito assolo di sassofono, eseguito da Curtis Amy, musicista jazz noto soprattutto nell'ambiente della West Coast degli anni Cinquanta. Le delicate note del suo ottone riecheggiano nell'aria e donano un tocco d'estrosità che ben s'innesta nel contesto festoso della canzone. Se finora abbiamo parlato dell'assoluta sperimentalità che contraddistingue questo inizio d'album, sull'altro versante è altrettanto evidente che i Doors di The Soft Parade non sono più quelli, ad esempio, di Strange Days. In particolar modo, sembrano aver perso smalto in merito soprattutto all'irruenza ed alla spontaneità delle loro composizioni. È pur vero che, se queste sono state composte tutte in studio, inevitabilmente han finito per apparire meno coinvolgenti e potenti delle loro più blasonate antenate. A dispetto di tutto ciò, "Touch Me" finì per arrivare alla posizione numero tre della Billboard, ma anche alla uno del magazine «Cashbox». Un simile successo venne raccolto in Canada (#1) ed Australia (#10). L'unica nazione in cui il singolo dei Doors fallì la scalata fu ancora una volta l'Inghilterra, dove non entrò proprio in classifica. Dicevamo prima di altri fatti che riguardano la fase compositiva del brano. Nel 1967, L. Russell Brown e Raymond Bloodworth scrissero una canzone poi resa nota dal complesso The Four Season. Il brano, "C'mon Marianne", raggiunse la posizione numero nove dei singoli americani e si rivelò un buon successo commerciale. Il riff portante di chitarra di quella canzone venne preso in prestito dai Doors, che lo trasferirono però sulle tastiere di Manzarek, facendolo così risultare leggermente mascherato e non aprendo alcun contenzioso con gli autori del brano. Una controversia, comunque, si aprì invece in merito ad un versetto non riportato nelle liriche ufficiali (e non presente nel missaggio del singolo), che recita "più forte dello sporco". Peccato che questo fosse anche uno slogan del 1962 della nota marca di prodotti detergenti Ajax, che citò in giudizio la band. La strana scelta di queste parole si deve ricercare per un mero motivo d'assonanza. Dovete infatti sapere che le quattro note conclusive di "Touch Me" erano le stesse di uno spot dell'Ajax. L'associazione di questi suoni allo slogan parre così inevitabile. Questo verso era però anche una velata critica di Morrison ai suoi tre altri compagni. Nella fattispecie, Jim si riferiva all'episodio di qualche anno prima, ovvero quello che riguardava "Light My Fire" (per la quale la casa automobilistica Buick volle offrire un'ingente somma di denaro affinché venisse incluso il nome del marchio nel ritornello, il tutto in occasione di uno spot). I tre erano d'accordo sull'accettare il denaro ed a modificare il testo, ma Morrison invece s'oppose duramente. L'accordo finì quindi per saltare e la canzone rimase invariata. A distanza di quattro anni, pare che i Doors abbiano cercato nuovamente di tirare il colpo, ma questa volta tutto ciò che attirarono su di loro fu l'ira dell'azienda. Fu così che infine il giudice diede ragione a quest'ultima e che la band dovette risarcire economicamente il marchio del colosso Colgate-Palmolive.

Shaman's Blues

Terza canzone è la già citata "Shaman's Blues" (Trad. Il blues dello sciamano), una delle due canzoni a non rientrare su di un 45 giri. In concomitanza di questa canzone, i Doors sembrano metter da parte le orchestrazioni tanto volute da Rothchild per ritornare ai vecchi fasti. Il "blues dello Sciamano" è, per ora, la canzone che ricorda da più vicino i vecchi Doors. L'incedere claudicante di Densmore sul ride, il bel riff di Brooks alle quattro-crode, l'ipnotismo del piano elettrico RMI di Manzarek e la virtuosità di Krieger sono tutti ingredienti che sembrano farci tornare con la mente al loro secondo album, lo splendido Strange Days. La voce di Morrison è straordinariamente efficace su brani come questo, specie se il contesto è (ancora una volta) quello amoroso. In quest'occasione si tratta però di un amore sfortunato, già naufragato, e pertanto il buon Jim si trova nella condizione di dover implorare il ritorno dell'amata. Tra i luoghi comuni che si sprecano in queste occasioni ("non ci sarà mai più nessuno/uguale a te/non ci sarà mai più nessuno/che possa fare quel che fai tu"), Jim è desideroso di un'altra chance. Per questo motivo invoca la donna affinché gli conceda "un'altra possibilità", un ulteriore tentativo ("non vuoi fare una prova?"). Incomincia così a ricordarle che, in fondo, erano stati bene assieme. Jim promette d'essere cambiato, d'essere un uomo nuovo e più maturo: ora saprebbe sicuramente come comportarsi ("lo so come si deve fare, con te/conosco i tuoi umori"). Un primo assolo di chitarra irrompe a 1:22, dipanandosi nelle nostre orecchie con un suono leggermente in overdrive, ma mai troppo invasivo. La canzone è molto cantata: tranne che in poche occasioni, la musica funge principalmente da contorno al sentimento di frustrazione del protagonista. Con le medesime intenzioni si procede fino al secondo assolo (2:01), questa volta ad opera di Manzarek e del suo piano/organo. È ancora poi la volta di Krieger (2:20), il quale s'innesta sulla partitura solistica di Manzarek, giusto per confezionare un ottimo assolo incrociato. La sezione strumentale, tuttavia, lascia ben presto spazio alla dannazione di Morrison, ormai poco convinto nell'inseguire la sua ex. A questo punto non gli resta che ricordarle che anch'ella proverà certamente afflizione per l'esito infausto della loro relazione ("ti ricordi?/l'arresterai/l'arresterai il dolore?"). Nel sottolineare la profondità di queste parole, l'intera band si ferma per poi prodursi in una serie di stacchi altamente enfatici. Una lunga rullata sui tom ci traghetta così all'ultima sezione del brano, dove la voce di Morrison si fa leggermente più abrasiva ed arrabbiata, quasi come se non riuscisse a deglutire l'amaro boccone.

Do It

Smaltita la delusione per gli affari amorosi, delle voci bizzarre danno il la al quarto brano, dall'emblematico titolo "Do It" (Trad. Fatelo). Le risate di Morrison vengono amplificate dal suono etereo dell'organo Hammond di Manzarek, quasi a dilatarle all'infinito. La presenza del basso di Brooks è una realtà ormai consolidata e funge molto più del semplice ruolo di raccordo tra sezione ritmica e musicale: è in questa maniera che assieme alla chitarra di Krieger dà il via ad un simpatico botta e risposta, molto audace e spensierato. Jim incomincia poi con il pregare i giovani di ascoltarlo attentamente ("per favore, per favore ascoltatemi ragazzi"): egli stesso è portatore di un messaggio molto importante. In questa maniera Morrison indossa le vesti del profeta, rivelando a coloro che oggi sono ancora dei fanciulli che un domani - poi neanche tanto lontano - saranno loro a pilotare le sorti del nostro pianeta ("siete voi che governerete il mondo"). Non c'è spazio per alcun altra rivelazione, e la cosa ci lascia effettivamente con un po' di dispiacere. Comunque sia, è importante il fatto che Jim ricordi alle nuove leve che, anche se adesso non paiono essere contemplati dal sistema, nel futuro saranno loro stessi a costituirlo. È fondamentale che loro, in quanto adolescenti, comincino a coltivare quella consapevolezza che porterà loro ad essere i nuovi padroni del mondo. Dovranno imparare che ad ogni azione corrisponde una conseguenza, buona o cattiva che essa sia. Preparare, forgiare menti giovani e fresche potrebbe essere un buon modo per dare una ventata d'aria fresca a questo mondo inquinato, ammorbato dal germe della violenza ed assetato sempre più di potere (a distanza di molti anni viene però da sospirare d'innanzi alla quasi ingenua speranza di Morrison?). Per quanto riguarda il profilo musicale, la canzone è piuttosto movimentata, caratterizzata da un certo alone elettrico che sovrasta tutte le partiture. Densmore batte forte e chiaro sui suoi tamburi, mentre Manzarek non lesina esecuzioni magnetiche ed affascinanti. Ottimo è anche il groove di chitarra e basso. Dal punto di vista strutturale, la canzone non presenta particolari complessità, giocando tutto sull'impatto e sulle evocative melodie d'organo (del resto anche l'impianto lirico non la tira tanto per le lunghe: in poche parole Morrison comunica tutto il succo del suo pensiero). Per concludere, "Do It" è insomma un brano decisamente efficace, a metà strada tra quello che era il vecchio sound e quello che i Doors si sono ora proposti di fare (pur senza un'orchestra alle loro spalle).

Easy Ride

La quinta canzone in scaletta è "Easy Ride" (Trad. Cavalcata facile). Musica e parole cominciano all'unisono, cogliendoci di sorpresa. Ciò che salta più all'occhio - o meglio, all'orecchio - è il ritmo danzereccio ed allegro, in levare, leggermente retrospettivo (viene alla mente qualche ballo tipico degli anni Venti, come ad esempio il charleston). La chitarra è guizzante, la batteria è andante. Manzarek si diverte a riempire l'aria con il suo organo Gibson G-101. Morrison, dopo le sfortunate passioni di "Shaman's Blues", sembra aver trovato finalmente una donna adatta. Il testo di "Easy Ride" si configura infatti come una dichiarazione d'intenzioni da parte del protagonista. Jim pare infatti fare sul serio: "la maschera che portavi/la esploreranno le mie dita/un costume d'autocontrollo/l'eccitazione lo scioglierà in fretta". Ciò lascia intendere una cosa ben precisa: la ragazza sembra si sia sempre mascherata per apparire diversa da come invece era. Ora, però, è arrivato Jim a smascherarla, e nel farlo sa già che non sarà difficile come si può invece immaginare: "io lo so/che sarà/una cavalcata facile, tutto ok". Partendo direttamente con il ritornello, la struttura della canzone pare invertita, con le strofe a seguire il chorus e non il contrario. Gli influssi blueseggianti della canzone si materializzano anche nell'assolo di chitarra di Krieger (0:43), dove il musicista sfrutta bene il suo flavour in termini di ricercatezza del suono e della melodia. Nel seguente break è invece l'organo di Manzarek ad attirare l'attenzione, e lo stesso basso di Lubahn (subentrato a Brooks come bassista) si fa notare in modo notevole. Morrison continua invece ad accendere la curiosità della ragazza: "come pietre lucidate/come pietre lucidate/vedo i tuoi occhi/come vetro che brucia/come vetro che brucia/ti sento sorridere/sorridi, bimba". Il corteggiamento si è portato oltre. Dal punto di vista musicale non c'è più molto da dire, anche perché il brano è ormai prossimo alla fine (voglio giusto citare il crescendo che inizia a 1:24, veramente gustoso e di classe). Sotto il profilo lirico invece pare esserci ancora qualcosa da dire. Nonostante il testo sia abbastanza diretto e privo di fronzoli, l'ultima stanza presenta qualche versetto decisamente più poetico, in cui Morrison pare dichiarare il suo amore alla donna ("Regina Coda, ora, sii ora la mia sposa/infuria al mio fianco nelle tenebre/appropriati dell'estate nella tua fierezza/gestisci l'inverno senza problemi").

Wild Child

Uno dei brani meno conosciuti dell'album, ma certamente di pregevole fattura. B-side del singolone "Touch Me" è la sesta canzone, intitolata "Wild Child" (Trad. Fanciulla selvaggia). Il dissonante riffing di Krieger introduce una canzone dal gusto molto particolare. Batteria, tastiere e chitarra sembrano seguire tutti partiture non convenzionali; inoltre l'Hammond dona quelle sensazioni psichedeliche che non s'ascoltavano più fin quasi dal debut. Se l'incipit è costituito dunque dalla pesante chitarra di Krieger, la strofa è molto alternativa, specie per la sua particolare architettura. A loro volta, alle strofe s'alternano i magici inserti di Manzarek, che spezzano giusto un po' il ritmo scandito della canzone. Morrison sembra sfoggiare le sue tonalità migliori, complice anche un testo che l'aiuta molto. La "fanciulla selvaggia" del titolo è infatti la personificazione dello stato primordiale dell'uomo, della sua ferinità repressa da millenni e millenni d'evoluzione. Questa ragazza sembra però arrivare ora in aiuto di tutti noi: "fanciulla selvaggia piena di grazia/salvatrice della razza umana/la tua faccia impassibile". Come ci possa aiutare resta però un mistero? Di lei non si sa praticamente nulla ("non figlia di tua madre o di tuo padre/tu sei figlia nostra e gridi selvaggia"), e la si può solo veder praticare un'oscura danza ("con la fame alle calcagna/e la libertà negli occhi/lei danza sulle ginocchia/un principe pirata al fianco/guardando dentro a occhi vuoti"). A 1:08 inizia una sezione centrale in cui la musica risulta preponderante rispetto al cantato. Si riesce tuttavia ad udire Morrison bisbigliare qualcosa, oltre che a ridacchiare. L'ennesimo ottimo assolo di chitarra viene confezionato da Krieger a partire dal minuto 1:25, giusto un attimo prima che Jim riprenda a cantare. Per tematiche e sonorità, la canzone sembra connotarsi come un trip, un viaggio mentale sotto l'effetto di chissà quale sostanza allucinogena. A 1:59 c'è ancora spazio per un ulteriore sezione solistica di chitarra, coi ritmi che si alzano sempre più con l'andare in crescendo della batteria, fino a cessare all'improvviso. L'ultimissimo versetto, che recita "ti ricordi/quand'eravamo in Africa?", è stato visto da alcuni esperti della band come una dichiarazione velata di Jim d'abbandonare il tutto per stabilirsi in Africa, l'unico posto dove avrebbe effettivamente potuto vivere a strettissimo contatto con la Natura. Pare che Jim avesse rivelato queste intenzioni ai suoi compagni Doors, dicendo che se l'avesse mai fatto, avrebbe mandato loro una cartolina sotto il falso nome di Mr. Mojo Risin'. I tre Doors presero Jim talmente sul serio che, quando morì avvolto nel mistero nel 1971, aspettarono invano una sua cartolina dal Continente nero...

Runnin' Blue

Tocca alla voce di Morrison introdurre la settima traccia, "Runnin' Blue" (Trad. Malinconia che va) . Essa fu l'ultimo singolo ad essere estratto da The Soft Parade, quasi un anno dopo la pubblicazione di "Touch Me". La canzone parte con una dedica al cantante Otis Redding, considerato uno dei massimi esponenti della black music americana e venuto a mancare da pochissimo tempo (era il 1967). L'autore del brano, Robbie Krieger, volle ricordare così Redding: "povero Otis bell'e morto/mi ha lasciato qui a cantare la sua canzone/bella ragazza con su il vestito rosso/povero Otis bell'e morto". Queste linee vocali, eseguite a cappella, prendono le mosse dalla canzone "Po' Howard" di Lead Belly, rinomato musicista folk di colore. In questa occasione, Krieger sostituì semplicemente il nome Otis a quello di Howard, confezionando così il tributo della band al musicista recentemente scomparso. Quando entra tutta la band, il brano pare costruirsi sui dettami imposti dalle tracce precedenti. Purtroppo la sensazione svanisce prestissimo, dato che a distanza di cinque canzoni ritornano nuovamente gli arrangiamenti orchestrali di Harris. Il brano finisce inevitabilmente per alterarsi, perdendone anche in autenticità (sembra che il supporto dell'orchestra renda la band molto meno genuina e spontanea: tutto sembra artefatto e preconfezionato, plastico). A 0:31 si presenta un altro session musician di quest'album: Jesse McReynolds, musicista bluegrass e suonatore di mandolino. Proprio un assolo di quest'ultimo dona quell'inconfondibile gusto folk americano, quello delle campagne assolate e dei campi di grano o cotone. Al mandolino s'aggiunge poi un altro strumento classico di quelle sonorità, il violino di Jimmy Buchanan (anche se sarebbe meglio chiamarlo fiddle dato il contesto folkish). Krieger non lesina certo buone soluzioni (0:42), anche se prima o poi sopraggiunge sempre l'orchestra a falsare il tutto. Il testo riprende invece gli stilemi del blues, evocando i bei tempi andati ("giù di nuovo, voltati lentamente/provaci ancora, a ricordare il tempo/quand'era facile, riprovaci ancora/fin troppo facile ricordare quando"). Le vocals del ritornello sono invece affidate al mastermind di questo album, Robbie Krieger, il quale sembra aver recepito benissimo la lezione del maestro del folk/country americano Bob Dylan: la voce di Krieger non ha infatti nulla da invidiare ai mostri sacri del genere. Il timbro più crudo di Morrison risulta invece più adatto per scandire i ricordi del protagonista. Arriva così il momento di una significativa memoria: "bene, io ho il 'blues da corsa'/correndo via, via verso L.A./devo trovare quel molo nella baia/magari lo trovo tornando a L.A.". Questi versetti contengono un'altra citazione-tributo a Redding: la linea "devo trovare quel molo nella baia" riprende infatti il titolo del brano di Otis "(Sittin' On) The Dock of the Bay" ("(Sedendo sul) molo della baia"). Proseguendo, verso metà canzone si apre dunque una sezione di ottoni, con una serie d'assoli di trombone e di sax, arricchiti da squilli di tromba. Sebbene sia un'orchestrazione di pregevole fattura, ci tengo a sottolineare come davvero poco ci azzecchino queste soluzioni nei confronti di una band come i Doors. Passando per una ripresa dei temi folkloristici, il brano s'avvia infine verso la conclusione, non prima d'averci congedato con un ultimo ritornello.

Wishful Sinful

Il basso di Douglass Lubahn apre la strada per la penultima traccia, "Wishful Sinful" (Trad. Speranzoso peccaminoso). La chitarra arpeggia dolcemente nell'aria, mentre il basso costituisce la pasta terrosa su cui si basa l'intera melodia. Densmore scandisce il tempo battendo sul rullante con la tecnica del rim shot, mentre Harris dà libero sfogo alle arie dei suoi violini. Scritta nuovamente da Krieger e scelta come secondo singolo, "Wishful Sinful" presenta un testo che destò i dubbi di Morrison nell'eseguirlo. A differenza di Jim, Robbie come autore era decisamente più versatile, nel senso che sapeva affrontare numerose tematiche diverse; dal canto suo Morrison, invece, pareva essenzialmente concentrarsi esclusivamente sull'amore e sul tema erotico, oltre che sull'ossessione per la morte e per l'oscurità. In questo caso Krieger si occupa invece di un tema molto "ecologico" e delicato: la distruzione del pianeta Terra. Nell'analizzarlo, si possono tuttavia desumere numerosi rimandi alla Bibbia, in particolar modo alla Genesi. Nel primo libro della Sacra Scrittura viene infatti raccontato di come Dio abbia creato il mondo all'alba dei tempi. Prima del Peccato originale di Adamo ed Eva, tra Dio ed i due antesignani della razza umana vigeva un rapporto d'amore totale (rappresentato dal "cristallo pieno di speranza" della prima linea). Dopo l'aver assaggiato la mela dell'albero proibito, Adamo ed Eva vengono cacciati fuori dall'Eden e mandati come esseri finiti sulla Terra. Qui conoscono il dolore e la morte, diventando intrinsecamente peccatori. Da questo momento il testo riporta la citazione di un altro episodio biblico assai famoso: quello dell'arca di Noè. Poiché il genere umano era diventato così peccaminoso, Dio decise d'allagare l'intero mondo con un'enorme inondazione. Tra tutti gli esseri umani, venne scelto Noè come unico predestinato alla salvezza. Il suo compito sarebbe stato però quello d'accogliere su di un'incredibile arca due esemplari - l'uno maschile e l'altro femminile - per ogni specie animale, così da preservare la fauna terrestre e ricominciare un nuovo ciclo in un mondo più puro. Alcuni versetti trattano specificamente dell'inondazione ("l'acqua ricopre tutto nel blu/acqua fredda"), mentre altri rappresentano l'inevitabilità del giudizio divino ("non puoi scappare dal blu"). Altre linee sottolineano invece "il terribile magone" che affligge il protagonista: egli vorrebbe senza dubbio ritornare al rapporto di purezza ed armonia di prima nei confronti di Dio ("io so dove vorrei essere/giusto da dove provengo"), sottolineando pure come il loro amore fosse un tempo incontaminato ("il nostro amore è meraviglioso, guarda"). Già da una prima lettura, si nota come queste liriche esulino dagli standard testuali della band. La mano di Krieger c'è e si sente, arrivando a metter addirittura in dubbio la coscienza di Morrison. Cantare o non cantare queste parole? Cantare o non cantare qualcosa in cui non si crede? L'esito finale è sotto gli occhi di tutti - Jim si è infine piegato a Robbie -, forse perché ha saputo riconoscere l'efficacia di questo brano (che tra parentesi è l'unica ballata del disco). Essendo un lento, la canzone pare d'altro canto non avere molto mordente, risultando abbastanza scontata e di facile assimilazione. La poca presenza di Manzarek - uno dei punti-chiave del sound doorsiano - rappresenta un punto a sfavore per la fase compositiva, che perde all'improvviso uno dei tratti caratteristici della band. A sopperire a questa mancanza c'è purtroppo l'orchestra, che distorce fin troppo la natura dei quattro musicisti losangelini. È difficile capire come possa questa canzone esser stata scelta come secondo singolo di The Soft Parade, ma certo è che con la sua ampollosità è la perfetta traccia-manifesto del nuovo corso della band. Per concludere il discorso, ci tengo a sottolineare che, a sublimare questo trionfo dei toni morbidi, arriva pure l'assolo al corno inglese di Champ Webb (1:17), vagamente malinconico e comunque ben intessuto nell'ordito sonoro della canzone. Alla posizione conclusiva di quest'album troviamo la title-track.

The Soft Parade

Alla stregua delle grandi tracce finali dei precedenti album, "The Soft Parade" si distingue da tutti gli altri brani del disco per la notevole estensione, che sfiora addirittura i nove minuti (di contro ad una media piuttosto bassa, sui circa tre minuti). Il titolo - traducibile come "la soffice parata" - è una definizione affibbiata da Morrison alla strana moltitudine di gente che affollava il Sunset Boulevard di Los Angeles (dovete sapere che alcune sue zone sono fortemente frequentate dalla passeggiatrici notturne). A Morrison piacque molto la definizione, tanto che decise di riutilizzarla anche in una sua poesia, inclusa nella raccolta The New Creatures. Canzone e poesia sembrano infatti rifarsi ad altri poeti illustri, come il "maestro" William Blake, ma anche a T.S. Eliot (nella fattispecie al componimento poetico Mercoledì delle ceneri), a Jack Kerouac (Dottor Sax) e a Rudyard Kipling (il poema The Gods of Copybook Headings). A differenza dei brani conclusivi dei precedenti dischi - che erano tutti frutto di lunghe derive strumentali scaturite dalle improvvisazioni live -, "The Soft Parade" venne definita dallo stesso Rothchild come un insieme di diverse poesie morrisoniane cementate assieme dalla band stessa. Per questo motivo, alcuni critici hanno fatto presente che le diverse sezioni della canzone (quattro, per la precisione) risultano amalgamate in maniera piuttosto sbrigativa, rivelandosi così spesso e sovente mal incastrate. Ma procediamo ora con l'analisi della canzone, la quale si apre innanzitutto con una parte recitata di Morrison. Questa sezione si connota di una forte vena anticlericale ("quando stavo là in seminario tempo addietro, c'era questa persona/che avanzò l'idea che si possono avanzare istanze a Dio con la preghiera/avanzare istanze a Dio con la preghiera, avanzare istanze a Dio con la preghiera/non si possono avanzare istanze a Dio con la preghiera!"), fintanto che la sezione stessa venne chiamata Petition Lord with Prayer ("avanza richieste a Dio con la preghiera"). Segue poi il tempo del "santuario", dal nome della successiva stanza (Sanctuary, appunto). Manzarek fa capolino con il clavicembalo e mai sonorità fu più azzeccata, talmente è decadente e triste. Sui malinconici arpeggi di chitarra acustica di Krieger, Morrison comincia ad invocare, con fare teatrale, "un santuario" dove possa mettersi al riparo: allude forse allegoricamente ad un rifugio dove possa nascondersi dai fatti della cronaca recente (New Have e Miami)? Segue poi una critica dell'egoista e pigra società americana, dentro alla quale Morrison proprio non riesce a stare ("menta, minigonne, caramelle di cioccolato, un sassofono Champion ed una ragazza di nome Sandy/ci sono solo quattro modi per cavarsi d'impiccio"). Dopo questo avvio sepolcrale, il brano s'alleggerisce parecchio, scrollandosi di dosso questo alone opprimente. A 1:31 il sound cambia radicalmente, col piano elettrico di Manzarek che ricrea strane e liquide sonorità. Densmore gioca sul charleston, dettando un tempo andante e ballabile. La voce melliflua di Morrison, unita a questi suoni "strambi", ricrea l'impressione di qualche brano fa, ovvero quella del trip, mentre il redivivo Brooks impazza su linee inconsuete per un basso. All'alba dei due minuti, Krieger si prodiga in un primo assolo, scandito sempre dall'ottima sezione ritmica Densmore-Brooks. Da 2:21 il brano cambia ulteriormente, subendo una decisa impronta jazzistica. Tranquilla e pacata, in questa stanza si possono ascoltare i tocchi di spazzola sul rullante da parte di Densmore, mentre il suono del clavicembalo continua a tintinnare allegramente. A 3:04 è ancora una volta il basso di Brooks a traghettarci verso la quarta ed ultima sezione, quella preferita da Morrison ("questa è la parte migliore del viaggio, questo è il viaggio, la miglior parte/mi piace molto, cosa dice? Sì, sì, tutto ok!"). Il basso è autore di un groove eccezionale, che ti entra subito nella testa; la stessa chitarra di Krieger lascia da parte ogni influenza esterna alla band e ritorna sui terreni che meglio conosce: quelli blues rock. In concomitanza di questa svolta, Manzarek spolvera un'ultima volta l'Hammond, deliziandoci con le sue note incensate e soffiate. I fumi salgono: l'atmosfera si fa calda e densa. Come dicevamo poc'anzi, stiamo entrando nella fase clou della title-track. Morrison ce la introduce così: "le colline del successo resteranno, le cose sempre così andranno/una strada gentile dove la gente gioca, benvenuti alla 'soffice parata'". Facendo una parafrasi di queste linee, bisogna tenere a mente che "le colline del successo" sono le collinette su cui si ergono i quartieri vip di Los Angeles (Beverly Hills, Bel Air, etc.), mentre la "strada gentile dove la gente gioca" è proprio il Sunset Bvd (dove il "gioco" preferito ve lo lascio immaginare?). I ritmi rasentano quasi la musica tribale, caratteristica acuita dalle percussioni sulla conga di Reinol Andino. Altro dato peculiare di questa zona della canzone è la tecnica della "voce raddoppiata", che amplifica la potenza evocativa della lirica morrisoniana. Il ritmo "da giungla" è a piede libero: le luci, i neon, le persone del boulevard sembrano ondeggiare sotto i nostri occhi. Gli influssi diabolici delle sostanze allucinogene stanno incominciando a fare effetto ("la gente fuori si sta divertendo, un serpente cobra sul mio braccio sinistro/un leopardo sul destro, sì/la donna cervo in abito di seta, ragazze con perle attorno al collo/baciano il cacciatore di verde vestito, che ha combattuto prima/con i leoni durante la notte"). Tutta la composizione è piena d'allusioni e rimandi allegorici. I "quattro modi" per disfarsi della scomoda situazione sono la critica al sistema (la via più impegnativa), lo scappare dai problemi (quella più facile), l'agire senza responsabilità (cioè criminosamente) oppure godersi la vita senza tanto pensare. La figura del "monaco" che si compra il cibo (invece di guadagnarselo con la supplica) ben rappresenta invece l'ipocrisia della religione dei nostri tempi. Il "leopardo" è poi simbolo di concupiscenza, mentre il "cobra" d'ostilità. Entrambi gli animali in questione fanno eco alle teoria freudiana di un subconscio umano costituito essenzialmente dall'impulso sessuale e da quello violento. "Il cacciatore di verde vestito" incarna infine la glorificazione del coraggio umano di contro al potere della natura ("il leone"). La canzone continua poi ancora con altre argute personificazioni, come "la radio mugola, richiamando i cani", che sta a simboleggiare il controllo dei mass media sulla società contemporanea. Prima di chiudere il discorso, vi propongo ancora un'ultima frase: "è sempre più difficile descrivere i marinai a chi è malnutrito". Assai enigmatica, questa linea sta a significare che, col passare del tempo, coloro che non possiedono la vera libertà non sono più in grado di riconoscere un "marinaio", ovvero colui che può essere interpretato come lo spirito libero per eccellenza, il modello incarnato della libertà. Su di questi binari - e con queste allegorie - continua così l'intera canzone, che si delinea come un'assoluta invettiva contro la corruzione della vita moderna. 

Conclusioni

Abbiamo finalmente avuto modo d'ascoltare e d'analizzare il tanto bistrattato The Soft Parade. Indubbiamente è un album particolare, alternativo a tutta la produzione dei Doors. Brutto o bello che sia, non si può non considerare lo sforzo dei Nostri (o meglio, forse, di Rothchild) nel voler ampliare la propria proposta affinché ci si potesse mettere al passo coi tempi. Se il risultato è positivo solo in parte - non mancano, come abbiamo visto, brani davvero validi -, certo è che l'apporto orchestrale è innegabilmente ostico e duro da digerire. I fan di vecchia data sicuramente si sentirono traditi da questa innovazione, assistendo impotenti ad una palese "commercializzazione" dei loro paladini. I Doors, dal canto loro, parevano tuttavia apprezzare il lavoro presentato col questo disco. Oltre alla spontanea ammissione di Morrison a riguardo della lunga gestazione, sono pur sempre da ricordare i commenti positivi di Manzarek e Krieger. Il primo ammise l'intenzione non solo del produttore, bensì dell'intera band, d'introdurre una sezione d'archi e fiati al fine d'ottenere un esempio di come potesse risultare il classico sound dei Doors, arricchito però con diverse e nuove soluzioni stilistiche; il secondo si spinse oltre, affermando che a loro "piaceva, ma, a quanto pareva" erano "i soli". Dal punto di vista statistico, oltre al buon successo commerciale, The Soft Parade sancì un singolare record per i Doors: con l'assolo di Curtis Amy, furono la prima band della storia ad introdurre una parte solistica di sax tenore all'interno di una canzone rock. Sotto il profilo estetico, per quanto riguarda l'artwork, l'album non si discosta più di tanto dal precedente Waiting for the Sun, dato che anch'esso reca nuovamente sulla copertina i quattro musicisti, questa volta però inseriti su di un fondale in prevalenza nero, che sfuma sulle tinte del blu in prossimità del titolo e del loro moniker. Per tirare le somme, The Soft Parade non è indubbiamente spazzatura (anche perché proviene da una delle realtà più leggendarie della musica rock), così com'è pur sempre vero che non rimane alcun indizio dei fasti dei primi due album. Critica e fan si sono quasi sempre approcciati a questo disco con fare prevenuto, rendendo impossibile il riconoscimento dei punti a favore che effettivamente risiedono in questo LP. La variegata e rinnovata proposta musicale dimostra sì come i Doors potessero assolutamente suonare con un'orchestra di tutto rispetto alle loro spalle, ma rivela anche come Rothchild abbia agito più per volontà d'emulare i Beatles, piuttosto che pensare al materiale umano che aveva effettivamente a disposizione coi soli quattro Doors. La sensazione è che non s'accontentasse più della musicalità lisergica della band: temeva che le mode fossero cambiate. Così facendo arruolò il meglio sulla piazza, ma finì con lo snaturare il sound stesso della band. A causa di queste critiche che si trascinano ininterrottamente ormai da quasi cinquant'anni, The Soft Parade non riesce in alcun modo ad avanzare pretese quantomeno lecite: la stessa title-track ne è un fulgido esempio. Checché se ne dica sulla sua struttura più o meno precaria, la traccia omonima è un capolavoro mancato. Mancato perché ha avuto la sfortuna di prendere posizione all'interno di un disco strapazzato, ma se fosse confluito in una delle precedenti opere, non staremmo certo qui a parlare di una "soffice parata" - come a denigrare l'ammorbidimento della band - ma dell'ennesimo colpo messo a segno.

1) Tell All the People
2) Touch Me
3) Shaman's Blues
4) Do It
5) Easy Ride
6) Wild Child
7) Runnin' Blue
8) Wishful Sinful
9) The Soft Parade
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