THE CULT
Under The Midnight Sun
2022 - Black Hill Records
ANDREA CERASI
07/11/2022
Introduzione Recensione
A un certo punto, le luci dei riflettori si sono affievolite. Un po' per via del mercato musicale stravolto dall'arrivo di nuovi sottogeneri, un po' per via di problemi vari con le etichette discografiche, e un po' per l'indole meditativa del profeta Astbury. L'ascesa dei Cult negli anni 80 e la discesa negli anni 90 è stata veloce e imprevedibile e, come migliaia di altre band hard rock, anche il gruppo inglese ha dovuto rivedere i propri piani. Dopo l'omonimo album, tra l'altro bellissimo, per i Cult sembrava la fine. Una lunga pausa, poi alla fine degli anni 90 il grande ritorno con Beyond Good and Evil, un disco strepitoso, potentissimo, e che riconnetteva a un sound primordiale gotico, seppur aggiornato al terzo millennio. Nonostante la qualità altissima del disco e il rilascio di una sfiziosa compilation, battezzata Rare Cult, raccolta di inediti e di demo, il come back non era stato il successo premeditato. Ian Astbury decide di mettere in pausa la band e di unirsi, dopo tante insistenze, ai Doors, una delle sue band del cuore, per un lungo tour. Ciò non dovrebbe sorprendere, dato il timbro molto simile a quello del leggendario Morrison.
Poi, il rientro in scena con l'ottimo ed energico Born Into This, il richiamo a corte del chitarrista Billy Duffy, unico membro fisso, insieme al vocalist, in tutta la carriera. Questa volta, il nuovo album viene presentato nel migliore dei modi, spinto dalla rispettabile Roadrunner Records, e raccoglie i consensi commerciali mancati dal precedente lavoro. Negli anni 2000 era chiaro che i Cult mancavano a tanti ascoltatori e che la fanbase era ancora solida. Certo, i milioni di copie vendute negli anni 80 appartenevano al passato, così come i mega singoli in circolazione in TV e nelle radio, ma c'era fame di Cult. Choise of Weapon, prodotto dalla Cooking Vinyl Records, metteva in chiaro il ritorno a pieno regime della band, accolto con calore da pubblico e critica. Con la formazione ormai stabile, i Cult registrano Hidden City, ennesimo ottimo album, molto energico e frizzante. Dunque, il relativo tour e poi un lungo silenzio.
Nel 2018 le prime indiscrezioni, Duffy confida alla rivista Guitar World che i musicisti stanno lavorando sul nuovo materiale, seguite poi dall'intervista a Ian Astubry nel 2019, durante il tour per i 30 anni di Sonic Temple, uno dei dischi più fortunati della band. Il processo per il nuovo lavoro è stato lento, frammentato dalla pandemia. Quattro anni di lavori discontinui, ma che alla fine si sono concretizzati nel nuovo album dei Cult: Under the Midnight Sun, presentato durante alcune tappe inglesi in compagnia di Alice Cooper.
Il nuovo album riporta la band su territori gothic, riagganciandosi a primi due album, i toni sono cupi e leggiadri, ma non manca certo l'energia. Come lo aveva definito lo stesso leader, il sound presenta un mix tra Led Zeppelin, Doors e Joy Division. Come sopravvissuti, Astbury e Duffy riescono a mantenere alta l'asticella, dando in pasto al proprio pubblico un disco raffinato e mistico, con i riffoni inconfondibili del Cult-sound e la voce profetica di uno dei grandi vocalist del rock. Atmosfere cupe e solenni, distese su otto brani vincenti, con alcune punte in grado di scaldare i cuori di tutti i fans del combo inglese. Dopo il singolo di lancio, la bellissima Give Me Mercy, e la seguente, altrettanto bella, A Cut Inside, ecco che finalmente il nuovo lavoro firmato Cult raggiunge il mercato. Un'opera che guarda al passato, ma che, contemporaneamente, è uno stimolo per il presente. Prodotto e distribuito dalla Black Hill Records, Under The Midnight Sun è un sole nero che si staglia alto in cielo, dimostrando la classe enorme di un gruppo estremamente sottovalutato, che non si è mai perso per strada, anzi.
Le canzoni che scolpiscono il nuovo lavoro recuperano il fascino misterioso e austero degli esordi, facendo intuire un certo processo introspettivo, una certa elaborazione di talune tematiche, in grado di dipingere ritratti intimi e di rappresentare il mondo contemporaneo. Under The Midnight Sun è un album malinconico, astratto, disincantato, come sottolinea la minimale copertina, dove un serpente rosso sangue brilla su uno sfondo nero, ipnotizzato da un sole dorato che si staglia nella parte alta del ritratto. Un grande ritorno, forse ormai per pochi eletti, ma che non delude le attese.
Mirror
La chitarra elettrica squarcia l'oscurità e si inerpica in un riff malinconico, sembra un serpente che striscia velenoso nell'ombra, pronto all'attacco. L'energia, però, è stemperata, questi non sono i Cult di fine anni 80, ma quelli più meditativi e gotici. La chitarra si ritrae e lascia spazio alla batteria e al giro di basso. Poi entra in scena la voce di Astbury e declama Mirror, ossia un canto introspettivo di fronte allo specchio. "Dimentica quello che sai, ho una visione di te sospesa in un sogno febbrile. Le ombre lunghe che si insinuano nella camera. La notte è nostra, le luci sono spente, fiorisce il silenzio". L'ambientazione è notturna, come si poteva già intuire dal titolo dell'album, nonché dall'artwork, tanto semplice quanto misterioso, con un serpente rosso che brilla su uno sfondo nero. Le strofe sono delicate, meditative. Un canto d'amore e di pietà nel cuore della notte. "L'uccello notturno canta di un amore, riflesso in uno specchio. Violenza e verità, ma anche inganno. Gli uccelli della notte cantano di amore e di allucinazioni, dove la natura si esaurisce". La melodia colpisce subito al cuore, ipnotizza, come il serpente stregato dal sole di mezzanotte. È un brano vincente, un pezzone di gothic rock sensuale che dà il via a una danza tribale. Ed è solo il primo tasse di un percorso lugubre e misterioso. Il ritornello è un'implorazione che esplode al tramonto e che conquista al primo ascolto.
A Cut Inside
Il richiamo al recente passato, a dischi quali Born Into This e Choise Of Weapon, arriva già al secondo brano in scaletta, con A Cut Inside, costruita su un riffing roccioso, ma pur sempre dotato di un'anima nera. "Non voglio essere intrappolato nel tuo mare, è rimasto così poco di me. Ti ho dato tutto, ho strisciato, ti ho visto ballare. Ho bisogno di qualcosa in cui credere". Ancora un canto di amore, questa volta, però, si tratta di un amore disilluso, pronto a divorare. Una passione cannibale che si nutre di tutto ciò che incontra. Astbury è inghiottito, completamente travolto dall'emozione, dalla delusione. L'uomo ha perso la fede, ha perso persino la sua personalità, tanto da non ricordare più il proprio nome. "Non conosco più il mio nome, mi assumo le colpe, sono cieco e senza respiro, ingannato. Piango, sento le spine della vita, come un taglio interno". Se le strofe sono energiche, il ritornello propone una melodia astratta, bellissima, tra l'altro mettendo in risalto l'ottimo lavoro della batteria di Tempesta. "Nessun premio in paradiso, nessuna dolce resa, siamo tutti stranieri. Viviamo una vita da fantasmi, perduti nella fede, in ginocchio, abbiamo perduto tutto, le ossa rotte". In questa porzione di testo, c'è la chiave di lettura dell'intera opera. Una vita da fantasmi, perduti nel mondo. Esistono soltanto le illusioni di una vita futura. Ma il Paradiso non concede premi. E si sprofonda nel trascinante assolo di Duffy.
Vendetta X
Vendetta X entra lentamente, poggiando su uno scambio tra voci e basso, poi il leggiadro fraseggio di chitarra. In questo caso, facciamo un balzo indietro nel tempo, all'epoca di Love, il capolavoro della band. Il brano è rock velenoso e cupo, che promette un clima uggioso. "Strappa la tua carne, ruba la tua mente, succhia il sangue dalla lama sporca. Combattiamo per amore e per odio, lecchiamo la lama sporca. Combattiamo contro il terrore". L'ambientazione è infernale, ma non parliamo di un mondo astratto, piuttosto di un mondo fin troppo concreto, dove gli uomini combattono, si scontrano fino all'ultimo sangue, e cercano di sopravvivere. "Vendetta, un coltello, un pugno, un amo, un artiglio, combattiamo la paura" si canta del chorus, infondendo coraggio nell'affrontare la vita. Ma la canzone, come un serpente, si attorciglia su se stessa, ripetendo il testo in maniera ipnotica. Un grande pezzo, ancora una volta, ma che mette in mostra anche una certa semplicità di fondo. Si va dritti al punto la band non cerca di stupire, ma di fare ciò che sa fare. Cattura l'attenzione, nonostante una strutta elementare, ma l'andazzo del disco è questo: brani pungenti, dal breve minutaggio. Tre minuti e via. Ma contano l'impatto e l'atmosfera, e i Cult in questo sono imbattibili ancora oggi.
Give Me Mercy
Il singolo faceva presagire buone sensazioni: tematiche oscure e notturne, un grande testo, una chitarra ben delineata che cattura l'attenzione nell'immediato, una melodia fenomenale e una classe enorme. Fortunatamente, Give Me Mercy, primo singolo estratto, non è stata mera illusione, anzi. Se il primo singolo è di qualità enorme (personalmente mi fa impazzire), il resto non è certo da meno. "Vorrei che fosse tutto diverso e che finisse tutto questo. Il cuore selvaggio, il denaro rubato, il deserto perduto. È tutto così difficile da controllare, sei vittima del destino". Le liriche sono molto astratte, ma in fondo, il senso si riesce a cogliere. Il combattente di Vendetta X riesce a sopravvivere alla vita, anche se annega nella disperazione e nel pessimismo. La vita è difficile da controllare, è tutta una questione di destino. "Nella marea di questo mondo, siamo vittime. Concedimi la pietà, l'amore, una nuova lingua. Concedimi altri mondi felici. Vedo il coltello da macellaio stretto nella sua mano". La vita prende le sembianze di un macellaio, coltello stresso in mano, pronto a dare il colpo di grazia. Ma di grazia si parla, il vocalist la implora a gran voce in un refrain da pelle d'oca. Non si sa se sta chiedendo di essere ucciso per porre fine alle sue sofferenze, non si sa se, invece, sta chiedendo pietà e una seconda possibilità, in modo che possa ricominciare. "La fine di una specie, il velo scintillante. L'amore ci troverà". In tutto questa perdizione, un briciolo di speranza, è l'amore che si rivelerà ai puri di cuore, salvandoli dal triste fato. Un singolo bellissimo, dal ritornello cremoso.
Outer Heaven
Un tappeto di tastiere introduce Outer Heaven, la traccia più elettrica e psichedelica del lotto. Un tempo sospeso, una foschia che si diffonde nell'ambiente. "Il richiamo della sirena, l'innocenza perduta, le cicatrici nascoste. Lei sente il dolore in profondità, le promesse sussurrate, parole fumanti, la canzone di un uccello d'oro". Questa volta, protagonista delle liriche è una donna. Anche lei sofferente, che si muove nell'oscurità, che prova dolore. È consapevole che la sua innocenza e la sua giovinezza sono ormai lontani ricordi. Sogna una serenità che non può avere. Ritornello soffice, come nuvole in calo dal cielo, e un gioco tra chitarra e tastiere di gradevole fattura. "Abbraccia il cielo esterno, un deserto che sogna, abbraccia il cielo fuori, durante la tempesta d'amore, dove la bellezza può prosperare. Rifiuta la belva, con i suoi denti aguzzi". La donna cerca di resistere ai tranelli della vita, cerca di allontanare le tentazioni. E cerca un paradiso alternativo, il suo Paradiso interiore. Entrano in scena gli archi, che arricchiscono il suono prodotto dalle tastiere. "Presto torneremo alla terra, come fantasmi. Il paradiso è lì. La vita svanisce, dobbiamo andare". La vita scorre via veloce e tutti torneremo alla terra.
Knife Through Butterfly Heart
Arriva il momento ballata. Nella frenesia notturna si ha necessità di una pausa delicata. L'atmosfera opprimente e claustrofobica del disco non si dirada, ma si concentra in un canto delicato, un capolavoro intitolato Knife Through Butterfly Heart, introdotto da un dolce arpeggio di chitarra, poi seguito dal rintocco leggero del piano. "Il ragazzo è caduto dal cielo, schiantandosi al suolo. I testimoni si sono radunato attorno a lui, per vedere la corona insanguinata. In quell'estate è tornato da sua madre". Asbury racconta chiaramente la discesa di Cristo sulla Terra. Una ballad biblica dal sapore agrodolce, interpretata magistralmente dal profeta dietro al microfono. Il ritmo si rinvigorisce e allora parte un ritornello straordinario, che brilla nella notte. "Correndo tra la folla, informe come un sudario, la sua corona in frantumi. Tutti corrono ora, nel sole sparso, le gelosie non rivelate, la memoria risvegliata l'amore ovunque. L'amore è ovunque, anche nel caos della folla". La fase centrale è un vero miracolo, il bridge è clamoroso, peccato sia ripetuto soltanto una volta, è talmente bello che la band avrebbe potuto riproporlo all'infinito. Ma quando tutto sembra che stia in prendere il volo, ecco che il brano si infrange come un'onda sulla battigia, rallentando d'impatto. Duffy prova a mantenere il ritmo sfornando un grande assolo, ma è già partita la coda finale, dominata dagli strumenti. "Il dolore porta al vero amore, noi con lui andiamo incontro alla verità. Oh, questo amore è magnificamente puro, anche se un coltello ci ha spezzato il cuore". L'interpretazione de testo non è semplice, se Cristo è fede e promette verità, la vita è crudele e pronta ad accoltellare, stroncando l'amore, spezzando le ali.
Impermanence
Il volto più astrato e impalpabile dell'album prende le sembianze di Impermanence, un brano efficace ed essenziale, dall'indole spettrale. "Spara frecce nell'ombra, un volo, sangue delle rose, morte e poi risorte. I pensieri della vita portano lacrime, ma il volo è così aggraziato". Le note costruiscono un volo nel cielo plumbeo. Lì su in alto si ammira la terra, una terra aggredita dalla violenza, dalle lacrime, dal dolore. Il volatore è un sonnambulo, probabilmente, il protagonista delle liriche sta sognando di volare, ma è tormentato dagli incubi, e perciò non riesce a smettere di piangere. "Le lacrime sono il flusso dei sogni, navi fantasma in fiamme, impermeabilità". Bisogna essere impenetrabili, non far filtrare la sofferenza inferta dall'esistenza. Tutto scorre, l'impermanenza è la condizione naturale dell'esistenza, dove nulla resta in eterno, tutto termina. Se il testo è così astratto, ed è forse quello più vicino alla visione avuta dalla band nel nord della Finlandia, sotto il sole di mezzanotte, la sezione ritmica è soave come proveniente dal cielo stesso.
Under The Midnight Sun
La cantilena finale, un'ode al buio, arriva con la misteriosa Under The Midnight Sun. Tastiere, voce sussurrata, arpeggio, danno vita a un sogno, un'allucinazione a occhi aperti, ipnotizzati dal sole di mezzanotte. "Sotto il sole di mezzanotte, con le creature selvagge, seduci con lacrime calde. Lacrime versate per il mondo. Mi sono gettato ai tuoi piedi ma mi respingi. Mi sento un martire, una tigre all'alba". È il canto del profeta, del martire che si immola in nome dell'amore, ma che viene respinto. È un'invocazione dal Dio Sole, ancora alto in cielo, nonostante l'ora tarda. Il sole non ha voglia di andare a riposo, resta lì, fisso oltre l'orizzonte, a contemplare i suoi discepoli. "Sono il tuo amante, le tue labbra sulle mie. Allevato dalle ceneri, viti contorte, sirene, sospesi nella vita e persi nell'illusione. Tutto svanirà nel tempo, sotto il sole di mezzanotte". Tutto svanirà, la vita stessa si infrangerà, e allora si raggiungerà il buio eterno. Ma c'è ancora tempo per godere di un po' di luce. "Siamo creature della natura, persi nell'illusione dell'amore, il tessuto mortale decade, nessun impero resisterà, solo terre aride. Una canzone di rabbia, un uccello in gabbia". L'ultima strofa è la voce di Astubry, il pensiero dell'artista che si sente in gabbia, pieno di rabbia, nonostante la morbidezza del suo canto. Siamo su territori gotici, ed Under The Midnight Sun è pura meraviglia.
Conclusioni
A 40 anni dalla fondazione della band, Ian Astbury dimostra di essere ancora ispirato e animato da un certo fuoco sacro. Le glorie commerciali di un tempo sono ormai lontane, ferme a più di 30 anni fa, con l'ultimo classico del gruppo, il grande Ceremony. Oggi, i Cult non hanno più nulla da dimostrare, sono tra i grandi del rock mondiale, e tanto basta. Under The Midnight Sun dimostra ancora una volta la grandezza di questi artisti, e già le due tracce lanciate come antipasto avevano fatto presagire le coordinate di un ottimo album. Le liriche riflettono sull'esistenza, come da tradizione Cult, ma si tingono di tonalità nere, ispirate al periodo storico che stiamo vivendo. Come posseduto da spiriti irrequieti, lo sciamano Astbury racconta, in otto episodi, i suoi impulsi interiori, riconnettendosi alla natura, a un mondo incantato che vede il suo declino.
In una recente intervista, è lo stesso autore a far luce sulle tematiche, che definisce come vibrazioni che richiamano la fisica quantistica, gli spiriti della natura, le sostanze psichedeliche e il subconscio. Under The Midnight Sun, distribuito da una piccola etichetta, a testimonianza dello status ormai relegato quasi all'underground della band, accontenta, e non poco. Otto gemme nere, per una durata forse troppo concentrata, ma sicuramente in grado di dare un senso di compattezza e di omogeneità. Difficile scegliere i pezzi migliori, sono tutte tracce di grandissima qualità. Il singolo Give Me Mercy è un vero spettacolo, così come la soave A Cut Inside. Vendetta X richiama i Cult più vigorosi di fine anni '80, Outer Heaven è un brano posseduto dalla psichedelia, con la sua base elettronica semplice ma pungente, mentre Knife Through Butterfly Heart è una ballata da capogiro, con un bridge centrale da pelle d'oca. Un battito di ali, fugace, effimero, che la band avrebbe potuto ripetere all'infinito, talmente bello e suadente. E poi troviamo l'ipnotica e impalpabile Impermeance, che sembra uscire dall'esordio Dreamtime, per terminare con la title-track, leggiadra, una poesia gotica che chiude un lavoro eccezionale.
Forse si sarebbe potuto fare un piccolo sforzo in più, magari aggiungendo un paio di brani, oppure arrangiando in modo più complesso quelli presenti in scaletta. Una decina di minuti in più avrebbero aggiunto valore all'opera, tanto per arrivare ai canonici 45 minuti. Ma è il desiderio di un fan di vecchia data e che attendeva l'album con trepidazione. Va bene, va bene così, i Cult hanno fatto ancora centro, anche se in pochi se ne accorgeranno. L'attenzione mediatica è svanita da un pezzo, e anche in modo inspiegabile per questi artisti senza tempo, ma ormai è andata così.
Ispirato da una passeggiata estiva, nel cuore della notte, nel nord della Finlandia, quando il sole non tramonta mai, Under The Midnight Sun è stato accolto fin troppo freddamente dalla critica, ed è un vero peccato, perché l'undicesimo album dei Cult merita tantissimo. Lungo l'ascolto, il disco trasmette una certa serenità, come se l'ascoltatore passeggiasse insieme alla band e fissasse un orizzonte infinito, verso un sole basso e pallido, incapace di andare a riposo. La produzione calibrata e pulita di Tom Dalgety, già a lavoro con Therapy?, Killing Joke, Ghost e Pixies, valorizza la voce inconfondibile di Astbury, le pennellate di Duffy, e le atmosfere ascetiche, al confine della malinconia, e così gli strumenti di Grant Fitzpatrick (basso) e John Tempesta (batteria). Una forza oscura e spiritata guida il minutaggio.
I Cult fanno un balzo indietro nel tempo e tornano direttamente al 1984, lo fanno attraverso un lavoro pieno di amore e di passione ancestrale, che riflette sulla fugacità del tempo e della vita stessa. Nonostante il buio, c'è ancora speranza per il mondo, fin quando il sole non tramonterà per sempre e gli spiriti smetteranno di danzare. Under The Midnight Sun si assapora all'imbrunire, è un'opera delicata e astratta, ha la consistenza di uno spettro che sussurra dolci parole.
2) A Cut Inside
3) Vendetta X
4) Give Me Mercy
5) Outer Heaven
6) Knife Through Butterfly Heart
7) Impermanence
8) Under The Midnight Sun