TESTAMENT
Titans of Creation
2020 - Nuclear Blast
DAVIDE CILLO
10/05/2020
Introduzione recensione
Sono passati quattro anni, "Brotherhood of the Snake" è ormai alle porte, fiero degli apprezzamenti riscossi e dell'aver portato i Testament ad essere, nuovamente, una piacevole conferma dell'universo metallaro. Testament, un grande nome del thrash metal californiano certo a nessun lettore estraneo, un nome che giunge con la recensione odierna al tredicesimo capitolo discografico della propria carriera. Una carriera gloriosa, che conta ad oggi 37 anni di ininterrotta attività. Era il 1983 quando la band si formò sotto il nome di "Legacy", il 1987 l'anno d'uscita dell'album del debutto discografico, "The Legacy", pietra miliare del genere rimasta indimenticata. L'anno dopo, la conferma con "The New Order" e, da quel momento in poi, una carriera in ascesa, seppur con alti e bassi dal punto di vista commerciale, specie nel corso della seconda metà degli anni '90, periodo non felice per gli artisti thrash metal in generale, che soffrirono dell'avvento di nuove sonorità e dell'affermazione di nuove correnti musicali. Anche i Testament, in parte, non furono esenti da adattamenti, con il thrash metal grezzo e tutto d'un pezzo degli esordi che giunse a compromessi con sound più tipici del metal estremo novantiano, e la stessa voce di Chuck Billy a sfociare non di rado in un gutturale growl. I 2000, il nuovo millennio, periodo universalmente riconosciuto come periodo di rinascita della corrente più classica del thrash, ha visto i Testament tornare a ripercorrere in gran parte il sentiero del primo periodo della carriera, senza però abbandonare del tutto l'evoluzione artistica novantiana: la band ha ottenuto così un risultato unico dal punto di vista stilistico, ed è oggi certamente riconosciuta anche per la sua originalità, specie per una band del settore. Quattro anni d'attesa non sono poi molti, specie con i tempi della musica moderna, che vede uscite molto più sporadiche rispetto a quanto accadeva negli anni gloriosi della nascita del rock: è interessante, dunque, vedere in quali vesti la band si affaccia a quest'uscita. Partiamo dall'etichetta discografica, con la conferma della Nuclear Blast, per arrivare alla parte indubbiamente più importante, la formazione: nessun cambio, i Testament confermano la loro line-up d'oro composta da alcuni dei più leggendari artisti della scena. I due chitarristi, Eric Peterson e Alex Skolnick, inamovibili, così come il vocalist Chuck Billy, una delle colonne portanti della band. A completare la formazione, come negli anni precedenti, ci sono due "virtuosi" dei loro strumenti, due bandiere del thrash che al mondo non possiedono uguali. Stiamo parlando di Gene Hoglan, alias "l'orologio atomico", alla batteria, ex membro fra i vari dei Dark Angel, nonché artista che ha influenzato il batterista degli Slayer Dave Lombardo nel corso della sua formazione, e componente portante dei Death di Chuck Schuldiner di "Individual Thought Patterns" e "Symbolic". Al basso poi un musicista dalla tecnica assoluta, quasi inarrivabile, ovvero Steve DiGiorgio, maestro con il suo fretless, anche lui ex Death ed ex Sadus, una band che nell'ambito thrash/death regalò uscite uniche: indimenticabili il primo album della band "Illusions", del 1988, e i successivi "Swallowed in Black" e "A Vision of Misery", rispettivamente del 1990 e 1992. Con una formazione d'oro, dunque, la stessa di "Brotherhood of the Snake", i Testament si affacciano dunque a "Titans of Creation", album come accennato protagonista della nostra recensione: si tratta di un super full-length, questo "Titans of Creation" si compone infatti di ben dodici tracce, per complessivi 58 minuti d'ascolto. Per "Children of the Next Level" è stata realizzata una videoclip, ne accenneremo, per "Night of the Witch" un lyric video. Il disco è stato co-prodotto e registrato al Trident Studios, mixaggio e mastering al Backstage Studios. Lanciamoci dunque nell'ascolto di questo tredicesimo album dei californiani Testament, carichi di curiosità ma anche di aspettative, per una band da cui è giusto aspettarcisi sempre moltissimo, sperando che quest'album non ci deluda. Volume al massimo, buon ascolto a tutti!
Children of the Next Level
E si parte con "Children of the Next Level" (Figli del livello successivo), un brano che mostra sin dal primissimo istante tutta la potenza e compattezza del sound degli odierni Testament, che si unisce magnificamente all'eccezionale lavoro svolto in fase di produzione. Il riff è contraddistinto da un groove accattivante e, pur non colpendo per originalità, certamente non l'obiettivo di questa sezione ritmica, rimane stampato in testa come pochi. Neanche giungiamo al secondo minuto ed un primo breve assolo di Skolnick ci conduce alla seconda strofa, con il pezzo che grazie al perfetto comparto ritmico ad opera della coppia Hoglan-DiGiorgio riesce ad acquisire tutta la potenza necessaria, nonostante una certa mancanza di variazioni e cambi di carte in tavola. Il primo vero rallentamento del pezzo arriva al terzo minuto, con la parte di solista che funge da un bridge per un riff mid-tempo ed una sezione armonizzata fra le chitarre che ricorderà moltissimo, dal punto di vista stilistico, alcune proposte anche dai nuovi Exodus. Il vero e rapido assolo del pezzo arriva al quarto minuto d'ascolto, con la tecnica di Skolnick e il tocco magico del chitarrista che rendono più che valido ogni secondo di questo frangente solistico. Dal punto di vista dell'esecuzione, Testament, manco a dirlo, è sinonimo di garanzia. Merita plauso infine la scrittura della traccia vocale di Chuck Billy, davvero calzante alla canzone. Il testo parla del passaggio dalla limitata dimensione terrestre a cui apparteniamo ad una più elevata, quella del regno dei cieli, porgendosi domande esistenziali sulla nostra esistenza e ponendosi questioni circa l'esistenza di creature extraterresti, fino alla citazione di episodi di cronaca surreale come il suicidio di massa di San Diego. Non argomenti del tutto scontati, comunque, per una thrash band, ma del resto da questo punto di vista i Testament ci hanno nel corso degli anni anche saputo abituare bene. Parallelamente al testo, è di questo brano la videoclip a cartone animato, espressione appunto delle liriche, con il video che è stato realizzato da Balasz Grof. A voi questa canzone è piaciuta? Spero di sì, perché è già tempo di lanciarci nell'ascolto della successiva!
WWIII
Secondo capitolo del full è "WW III" (Terza guerra mondiale), ed i Testament davvero sin dal primissimo millisecondo d'ascolto portano la guerra più totale. Il basso è roccioso, Steve si impone nel mix, unendosi alle robuste ritmiche della chitarra ricoprendo un ruolo di primo piano all'interno dell'insieme di suoni del pezzo. La batteria di Gene Hoglan qui si supera, con frangenti di doppia cassa da urlo che martelleranno i timpani dell'ascoltatore come più non potrebbero. Chuck Billy ripercorre la voce classica, abbandonando del tutto quei frangenti più growl che avevamo visto specie in full come "Low", ed il pezzo complessivamente mantiene velocità sostenute ma mai troppo eccessive, eccezion fatta appunto per la pazzesca parte batteristica di Hoglan. Se nel precedente brano avevamo constatato quanto fosse di primo piano la componente ritmica, qui non possiamo che rimarcare ancora una volta questa chitarristica: i Testament paiono non avere la minima intenzione di fermarsi, e le capacità tecniche di ogni musicista dona un comparto ritmico dallo spessore quasi ineguagliabile, persino all'interno del genere. Il pezzo vede fra l'altro degli stop and go, i Testament rischiano più rispetto alla precedente "Children of the next level" e lo stesso assolo di Skolnick è introdotto dopo un brusco ed improvviso rallentamento. Coinvolgente il ritornello, che culla l'ascoltatore e trascina in maniera fluida il brano. Dovendo tirare una somma, tuttavia, resta la batteria qui a colpirci più di ogni altro elemento, e questo è dire tutto, dal momento che le chitarre e il basso (qui altissimo nel mix) certo non mancano di qualità. Nel corso del testo del pezzo viene raccontato dello scoppio di un'ipotetico terzo conflitto mondiale, un autentico armageddon, che distruggerà gli abitanti della Terra a suon di testate nucleari. La classe politica che ci governa, la brama di potere, tutti complici di questo catastrofico e disastroso conflitto senza precedenti. Nel pezzo ci ritroviamo a vivere nei panni di un uomo, protagonista di questa oscena guerra e spettatore esterno, che ricopre il ruolo di raccontare ogni orrore del conflitto. Lo stesso protagonista, in "WW III", cerca un rifugio sicuro, ritrovando veramente ben poco per cui vivere, e ben pochi luoghi dove nascondersi. Beh, noi non possiamo che sperare di non ritrovarci mai a vivere uno spettacolo del genere perché, lo scoppio di una terza grande guerra, non ci siamo mai sentiti di escluderlo a priori.
Dream Deceiver
Il terzo pezzo si intitola "Dream Deceiver" (Truffatrice dei sogni), e possiede una durata quasi pari ai cinque minuti di ascolto, proprio come il brano precedente. Superiore ai sei minuti, invece, era stato il capitolo introduttivo del full "Children of the Next Level". I Testament con il seguente brano ci raccontano di una storia, una storia che vede antagonista una perfida ingannatrice che, infiltrandosi nei sogni delle sue vittime, li trasforma in incubi. Così, l'uomo di cui la vicenda narra è vittima di questo malocchio, passando notti tormentate e infestate da quest'influenza esterna. Il momento in cui si chiudono gli occhi, notte dopo notte, diviene così sempre più un incubo. Le visioni portano con sé una canzone, una canzone demoniaca, che porta la vittima lentamente ad impazzire, impossessandosi della sua anima. L'uomo così, specie nella parte conclusiva del pezzo, supplica di essere lasciato in pace, senza però purtroppo trovare mai pace. Un finale negativo, da vero horror, così come appare il racconto di un autentico horror quella di questa "Dream Deceiver", quasi una "Nightmare" con tanto di Freddy Krueger pronto a lacerare le sue vittime. Accostamenti fra i Testament e il mondo cinematografico, del resto, non sono certo mai stati rari. Il brano con le sue melodie pare ripercorrere in tutto e per tutto il sapore delle liriche, ma con quella decisa vena thrash metal che ha reso i californiani celebri nel mondo. Il sound robusto e compatto si va qui ad unire ad una traccia molto musicale e cantata, vicina per molti aspetti ad alcune tipiche del quarto album della band "The Ritual" del 1992. Potremmo stigmatizzare questo brano definendolo più commerciale, ma siamo in presenza di una traccia a suo modo validissima ed in cui certo non mancano i frangenti più "metallari" in senso stretto, così come una parte solistica godibile a tutto tondo. Il pezzo è molto quadrato, chiudendosi poi con il ritorno a strofa e ritornello. A qualcuno questo brano potrebbe sembrare troppo melodico, forse troppo commerciale, ma comunque personalmente, alla resa dei conti, l'ho apprezzato nonostante la significativa svolta stilistica dalla più aggressiva vena dei pezzi precedenti.
Night of the Witch
Con il successivo brano, "Night of the Witch" (Notte della strega), non ci si discosta di molto dalle tematiche del pezzo precedente. La canzone è di una durata pari ai sei minuti e trenta secondi di ascolto. Nelle liriche della traccia i californiani ci narrano di una malvagia strega, una strega dotata di poteri sovrannaturali e in grado di scagliare magie potentissime. Padrona dell'arte della magia nera, la malvagia donna è infatti perfettamente in grado di assassinare le sue vittime, dopo essersi nascosta nell'ombra, per prendere possesso dell'anima delle persone da lei scelte. Lei, dal canto suo, vorrebbe poter maledire l'intera umanità, che odia visceralmente, e ciò si pone effettivamente come obiettivo. Affiliata al demonio, donna senza scrupoli, in grado di appropriarsi della volontà di qualunque persona, membro portante della malefica cerchia delle streghe. Lei si prepara, giorno dopo giorno, al suo grande obiettivo, quello di scatenare le forze del male sulla Terra, in un brano che nel suo racconto si accosta nuovamente alle tematiche horror, tanto che ce ne vengono diverse in mente di pellicole celebri a cui questa traccia potrebbe star facendo riferimento. C'è da fare attenzione, ad ogni modo, alla sua padronanza dei demoni. E' di questo pezzo il lyric video del disco, un brano dove la doppia cassa di Hoglan colora a scariche la robustezza dei riff di chitarra più che mai, unendosi alla raschiatissima voce di Chuck Billy. La sezione batterista è velocissima, potentissima, così come carismatico è il groove del riff nel supportare il vocalist. Ad un minuto ed un quarto di ascolto giungiamo alla parte del pezzo che in molti potrebbero contestare, molto affine al metal moderno, con la voce di Chuck che si fa assolutamente in screaming. Effettivamente, anch'io ho delle remore su questa parte, senza dubbio la meno gradibile di un brano che appare comunque generalmente positivo. Il ritornello, in quanto tale, ovviamente si ripete, e se non lo si apprezza appare duro amare il brano in generale. Una nota positiva finale per l'assolo di Skolnick, ovviamente impeccabile, e per l'ottimo riff che ne segue, che davvero riunisce in maniera eccezionale la componente più dura e quella più musicale dei californiani.
City of Angels
Si continua con il brano più lungo dell'intero full-length: si tratta di "City of Angels" (La città degli angeli), con una durata pari a ben sei minuti e quarantatré secondi di ascolto. Il titolo, ovviamente, è chiaro riferimento alla nota città californiana di Los Angeles. Il pezzo parla del "night stalker", il predatore notturno, il serial killer divenuto celebre nel 1985 Richard Ramirez: uccise almeno 14 persone e ne torturò altrettante, divenendo tristemente noto alla cronaca del continente a stelle e striscie. Texano, nato nel 1960, si dette al satanismo e all'utilizzo di droghe, divenendo una temutissima minaccia a piede libero. Ha passato poi, dopo la cattura, gran parte della sua vita alla San Quentin Prison, per poi morire di cancro nel 2013, all'età di 53 anni. Il brano, nel corso delle sue liriche, esalta il lato più malato e malvagio del personaggio, descritto come un autentico affiliato del demonio. Una mente completamente folle, incontrollabile, tremendamente spietata e preda delle peggiori ossessioni, che impiegò le forze dell'ordine di Los Angeles a tempo pieno fino all'attesissimo momento della cattura. Da tematiche di questo genere, ci aspetteremmo un brano estremamente diretto e violento, ma è così solo in parte: il brano non esagera mai in quanto velocità, possiede anzi molte parti riflessive e melodiche, a partire dall'intro di basso di Steve. La stessa voce di Chuck si fa spesso melodica, colorando l'arpeggio di chitarra. Quanto alle parti aggressive, distorte, queste fanno più leva sui groove pesanti e potenti piuttosto che sulla rapidità, sfruttando al meglio una melodia di base non particolarmente originale o coinvolgente. Carico di musicalità e peso melodico anche l'assolo di Skolnick, per un brano che si conferma in buona parte differente rispetto a quanto poteva essere nelle nostre aspettative. Più rapida e squillante la seconda parte di chitarra solistica, che comunque non cambia le carte in tavola del pezzo, pur proponendo momenti piacevoli e di tecnica assoluta: il risultato finale non ci impressiona, come quello del pezzo precedente, ma si lascia comunque ascoltare volentieri. Giunti a questo secondo pezzo nella media, dopo un inizio d'album di impatto, ci chiediamo se effettivamente l'album soddisferà le nostre aspettative mostrandosi portatore sano del nome Testament.
Ishtar's Gate
Lanciamoci nel successivo "Ishtar's Gate" (Il cancello di Ishtar). Ishtar è la dea dell'erotismo e della guerra nella mitologia babilonese, derivata dalla sumera Inanna. Ishtar si contraddistingueva per essere allo stesso tempo dea benefica, portatrice di pietà ed amore, e terrificante, con guerra e tempeste. A lei, fra l'altro, era dedicata una delle otto porte di Babilonia, protagonista delle liriche del pezzo. I Testament, nel corso del brano, descrivono questa divinità in ogni suo tratto, compreso il suo dualismo, enfatizzando il significato che il cancello aveva per il popolo babilonese e i rituali tipici della religione. Apprezzo molto questa capacità della band di parlare spesso di qualcosa di interessante, evitando liriche scontate e trite e ritrite all'interno del genere: ciò contribuisce a tenere spesso gli album carichi di significato anche sotto questo punto di vista, spesso trascurato un po' troppo all'interno dell'universo metallaro. Siamo curiosi di andare ad analizzare il pezzo, per capire se si discosta o meno rispetto a quelli subito precedenti del disco a livello di sound e di impronta stilistica. Complessivamente, a livello di tempi siamo lì, i Testament basano le loro ritmiche continuamente su velocità lente e medie. Il brano è più potente rispetto alla precedente "City of Angels", avendo però in comune attimi di "respiro", qui dati continuamente dal basso di Steve DiGiorgio. Attimi melodici veri e propri mancano del tutto, al contrario i Testament preservano la loro componente tipicamente musicale, mettendo qui sulla scena appunto il distorsissimo basso di Steve, che certo non si tira indietro quando sopraggiunge il momento di essere protagonista: avere componenti di tale spessore, dopotutto, ha i suoi vantaggi! I cinque minuti del pezzo ci mostrano qualcosa di complessivamente qualitativamente superiore rispetto ai due episodi precedentemente conclusi, pur non impressionandoci poi particolarmente. Passiamo ora al pezzo successivo, il settimo di questo disco.
Symptoms
Il pezzo è intitolato "Symptoms" (Sintomi), e narra di un travagliato percorso vissuto attraverso il proprio malessere e a causa dei propri demoni interiori. In "Symptoms" viviamo la storia di un protagonista triste e sofferente, che si autoinfligge dolore e sofferenza nella sua quotidianità. Il sentimento d'amore, generalmente provato nella vita verso gli individui più cari, si è trasformato in un generale senso di disprezzo, una spina tossica, una spirale senza fine di tormenti ed agonia. Il cervello dell'uomo di cui il pezzo parla è governato da pensieri oscuri, talvolta malvagi, che portano il protagonista fondamentalmente buono a provare un forte senso di vergogna: si tratta di un dolore autoinflitto, un circolo vizioso che potenzialmente non conosce conclusione alcuna. Ed è proprio su questo che il brano dei Testament si sofferma: su come certi tipi di emozioni, negative, possano autogenerarsi di continuo, autonutrirsi, e di come talvolta si renda necessario un aiuto esterno. La traccia ha una durata pari ai quattro minuti e trenta secondi di ascolto, più breve dunque rispetto alle sei precedenti. L'introduzione ci mostra sin da subito un sound decisamente nuovo per la band, tecnico ma tendenzialmente moderno e melodico, con il basso di DiGiorgio in primissimo piano a sfondare il mix. Dopo pochi secondi, a questa intro segue un roccioso riff tipicamente thrash metal classico, con tanto di voce di Chuck Billy a colorare la melodia. La voce del cantante, in alcuni frangenti, si fa qui per la prima volta del full in growl, ed è coadiuvata da cori di backing vocals ancora una volta tendenzialmente tipici delle sonorità metal più moderne. Qualcuno di voi forse conoscerà miei gusti e preferenze generali in quanto a recensore, e potrete supporre che per me questo parallelismo fra "Symptoms" e metal moderno sia negativo in senso assoluto: non è così. In qualche modo, al contrario, questo settimo brano si mostra più interessante e dinamico rispetto ai precedenti: certo, non posso dire di essere rimasto impressionato ma, certamente, come pezzo è approvato!
False Prophet
L'ottavo brano si chiama "False Phophet" (Falso profeta), ed è una narrazione generale sul quanto spesso sia accaduto che qualcuno, travestito da predicatore, abbia trasmesso valori sbagliati all'insegna della religione, talvolta ricorrendo anche allo strumento della violenza, psicologica in primis. Le intere liriche appaiono come un invito, da parte di questo falso profeta, rivolto a sue potenziali vittime. I Testament inizialmente basano questa loro canzone su ritmiche frammentate e segmentate, almeno in un primissimo momento: ben presto infatti impenna a tutta potenza la doppia cassa ruggente di Gene Hoglan, che senza placarsi per un istante ci conduce alla potente strofa vocale di Chuck. Se la batteria resta fondamentale ancora più del solito nello scandire i ritmi e nel definire la potenza del brano, devastante è allo stesso modo lo straordinario riff di chitarra. Si tratta di un brano classico, con struttura classica alla Testament maniera, ma riuscito decisamente bene e senza dubbio coinvolgente come più non potrebbe essere: uno dei capitoli più positivi, se non forse il più positivo in assoluto, dell'intero full-length. Ottimo anche il rallentamento di metà brano, dove Chuck scandisce con vigore la frase "no more pain" a più non posso. Segue uno straordinario e tecnicissimo frangente di chitarra solista, dove Skolnick oltre a confermarci ancora una volta le sue impeccabili qualità come musicista, disegna un assolo bellissimo e tutto da non perdere. In una struttura molto quadrata, tipica e da sempre utilizzata dalla band, si ritorna subito dopo alla voce e alla conclusione del pezzo: che questo brano sia il preannunciare di un finale di disco con il botto? Noi non possiamo che sperarlo, perché "False Prophet", nei suoi quasi cinque minuti di durata complessiva, ci ha tenuti letteralmente incollati all'ascolto, al massimo del volume. Aldilà della qualità a ritmi alternati, il tempo durante l'ascolto di questo disco sta volando, e mancano solamente tre brani più conclusione finale al termine del full.
The Healers
"The Healers" (I curatori), è un brano che parla di spiritualità e tradizione, di spiriti e benedizioni. Un percorso attraverso le origini di Chuck, con le liriche forse tratte dal libro del 2017 "Star Blue Soldier" di Donahue B. Silvis, il cui nome del personaggio principale appare nel testo del pezzo. La canzone, nona del disco, è di una durata pari a quattro minuti e venti secondi, andiamola ad ascoltare: aperta da un ottimo e roccioso riff mid-tempo dall'enfasi espansiva, dopo poco meno di trenta secondi d'ascolto l'ingresso di voce di Chuck introduce la strofa di canto, sui ritmi non eccessivamente rapidi del riff d'apertura. Il brano poi forse si perde un po', diventando un po' generico e privo di elementi carichi di particolarità, ed a colpire è principalmente, nuovamente, la grande parte batteristica di Hoglan. E' un pezzo Testament da metà album, senza troppe pretese, e che qui manca di qualcosa rispetto a quello che la storia della band ci ha saputo raccontare: capiamoci, si parla sempre di un grandissimo gruppo, composto da eccezionali musicisti e con tutto al posto giusto, ma semplicemente proprio per questo motivo ci aspetteremmo sempre qualcosina di più. Ascoltandolo, mi sembra un po' un pezzo nato da una linea di canto, come se l'idea iniziale della canzone fosse venuta proprio a Chuck e su questo i chitarristi abbiano disegnato un pezzo, ma questo non potremo mai saperlo. Pur distanziandosi dalla qualità della precedente "False Prophet", "The Healers" prosegue la linea dura e metallara del gruppo anche nel corso delle fasi conclusive di questo full-length, che ora vede due brani più breve strumentale finale a separarci dalla meta. Voi cosa ne pensate? Anche voi vi aspettereste forse qualcosa di più da brani come quello appena ascoltato, o ritenete che sia esclusivamente una mia sensazione?Vi lascio con questo quesito, e lanciamoci nell'ascolto della canzone che ora ci attende.
Code of Hammurabi
Decimo pezzo del full è "Code of Hammurabi" (Codice di Hammurabi), brano di quasi cinque minuti totali. Nelle sue liriche la canzone si racconta, come avrete potuto evincere dal titolo, del Codice di Hammurabi, la leggendaria raccolta di leggi scritte di Babilonia del diciottesimo secolo avanti cristo. Nel prologo delle leggi, il sovrano indicava di come queste fossero a servizio della divinità, il dio della pace e giustizia, il distruttore degli empi. Lo stesso sovrano, nel corso di questo prologo alla parte giuridico-legislativa in senso stretto, si descrive come un rispettoso seguace del divino. Tuttavia, e su questo il testo della canzone si sofferma molto, le leggi di Hammurabi si basavano sull'arcaico sistema della legge del taglione, oltre a non distinguere il crimine doloso da quello colposo. Si ritiene che la stele, originariamente presente nella capitale, fosse stata riprodotta in serie: l'assiriologo Jean-Vincent Scheil, membro della missione archeologica durante la quale fu scoperto il codice, in meno di un anno completò la decifrazione, pubblicando la traduzione nel 1904. Attualmente si trova nel Museo del Louvre, una copia invece a Berlino. Da notare in ultimo luogo come le leggi, sempre in un sistema arcaico ma che si sarebbe conservato ancora a lungo nei secoli, prevedevano un trattamento differenziato del reo a seconda della sua appartenenza sociale e possibilità economiche: insomma, una vera e propria divisione in classi, con ciascuna propri diritti e propri doveri. Il pezzo, introdotto dal distorso e rumoroso basso di DiGiorgio, propone subito successivamente un riff che appare anche influenzato, in piccola parte, dai Death di Chuck Schuldiner, gruppo in cui lo stesso DiGiorgio ed Hoglan militavano. Segue subito successivamente una parte thrash metal più classica, con tanto di batteria a tappeto e rauca di voce di Chuck Billy a colorare il tutto. Il ritornello prevede cori vocali, sull'"eye for an eye" (occhio per occhio) delle liriche. Si tratta di un brano senza dubbio interessante e che sa intrattenere, superiore rispetto alla media del full, e che nel suo minutaggio non ci stancherà mai. Bellissima la sezione centrale, dove l'eccezionale di Skolnick disegna una melodia dalla prelibatezza unica, che impenna in quanto a velocità nel corso della seconda parte. Si ritorna proprio alla strofa, nella classica struttura della maggioranza dei brani targati Testament.
Curse of Osiris
Dalla Babilonia passiamo all'antico Egitto con l'undecisima "Curse of Osiris" (Maledizione di Osiride), brano che illustra la storia della divinità. Questa canzone, con la sola eccezione della prossima e conclusiva strumentale, è la più breve dell'intero album, con tre minuti e venti secondi di ascolto di durata complessiva. Osiride, assassinato a causa di un complotto del fratello minore Seth, è dio funerario e giudice dei morti. Fra l'altro Osiride, così come Iside, furono venerati a Roma fino al IV secolo d.C., quando nel 392 fu bandito il paganesimo con l'imperatore Teodosio I. Ad ogni modo i Testament, nel corso del brano, si concentrano prettamente sul ruolo di giudice che ricopriva, e sulla severa ma limpida e rigorosa applicazione della giustizia. Il pezzo è il più veloce di tutto il disco, con ritmi serrati e sostenuti, forse mai del tutto estremi ma certamente molto incalzanti. Le influenze del metal moderno ritornano qui in cattedra, Chuck Billy in determinati frangenti adotta anche un cantato completamente in screaming, per un pezzo che si mostra sommariamente dalla dubbia riuscita e alquanto a fasi alternate dal punto di vista qualitativo. "Curse of Osiris" è un brano di cui si poteva completamente fare a meno, e che personalmente non cattura la mia attenzione per nessuno dei suoi elementi. Principalmente, mi appare come anonimo all'ascolto, le stesse parti più thrash metal in senso stretto e classiche non sono davvero nulla di particolare, oltre a non adottare lo stile contraddistinto e riconoscibile della band. Insomma, forse qualcosa che poteva essere sottratto al lunghissimo minutaggio complessivo dell'album, ma di questo avremo ben modo di parlarne nella fase conclusiva di recensione. Ci attende solamente un brevissimo capitolo all'odierno epilogo musicale, ma ci saremmo onestamente aspettati qui un qualcosina in più. Andiamolo ad ascoltare, ad ogni modo.
Catacombs
Vi aspettavate una outro dell'album arpeggiata, magari con una macabra melodia in minore alla "The New Order"? Non è così! "Catacombs" (Catacombe) mostra un frammentato e semplice riff, principalmente in down picking, con un tappeto di tastiera in sovrapposizione. Utilizzerò un solo aggettivo per descrivere questa traccia: anonima. Questo pezzo conclusivo non trasmette assolutamente nulla, e sembra completamente fuori posto anche nel suo ruolo di brano di chiusura del disco. Della durata di due minuti esatti, non c'è un solo attimo di questo dodicesimo breve capitolo strumentale che colpisce o cattura l'attenzione, al punto che persino la precedente "Curse of Osiris", che pur non ci ha fatto impazzire, sarebbe stata una chiusura migliore per questo full-length.
Conclusioni
Insomma, dopo una discreta premessa iniziale, questo "Titans of Creation" del 2020 ci lascia con il boccone alquanto amaro. Con "Children of the next Level" e "WWIII" viviamo una partenza okay, poi una flessione. Il disco vive i suoi momenti migliori probabilmente con la sesta "Ishtar's Gate" e l'ottava "False Prophet", due tracce davvero degne di nota e che, prese singolarmente, meritano di essere riascoltate. Delude invece molto la parte conclusiva del full-length perché dopo la mediocre "The Healers", con la buona "Code of Hammurabi" ci si aspettava un finale con il botto. "Curse of Osiris" e "Catacombs" invece ci deludono bruscamente, appaiono quasi insensate, le peggiori del disco. Di "Catacombs", addirittura, non se ne coglie il senso. Adesso, dobbiamo essere oggettivi, un album come questo preso in maniera oggettiva è certamente sufficiente, ma è l'accostamento al nome Testament e ai grandi, anzi leggendari musicisti presenti nella line-up che ci delude. Purtroppo, si sa, l'ispirazione compositiva non conosce tecnica, non conosce storia e non conosce regole. Tuttavia, qualcosa per dare una marcia in più a questo album poteva essere fatta, ed è questo ciò che davvero stupisce negativamente: possibile che dei musicisti di questo calibro non si siano accorti che ci sono brani e minuti di troppo? Possibile che nessuno si sia reso conto, riascoltando, che pezzi come ad esempio "The Healers" e le conclusive "Curse of Osiris" e "Catacombs" sono totalmente asettici rispetto al resto del disco? Vivendo momenti alternati fra tracce valide e altre che ci lasciano perplessi, la sufficienza di questo tredicesimo album targato Testament non appare ahimé neanche troppo larga. Al contrario, le lyrics di ispirazione umanistica sono ben più interessanti rispetto a quelle della media delle thrash metal band, ma questo è dettaglio bisogna dire non di troppo conto. Eric Peterson, Alex Skolnick, Chuck Billy, Gene Hoglan, Steve DiGiorgio, letteralmente cinque eroi del genere, dal punto di vista tecnico sono invece impeccabili. Così come non lo è la produzione, e dinanzi a mixing e mastering finale c'è davvero solo da alzare le mani. Cinquantotto minuti e trentaquattro secondi di ascolto, per quanto riguarda il minutaggio complessivo del disco siamo alla soglia dell'ora, ma anche la scelta per quanto riguarda la scaletta e la posizione dei brani lascia dubbi, per citare per esempio ancora una volta la non troppo convincente outro finale, avrebbe comunque avuto maggior senso se posizionata all'inizio del disco, o al limite in una posizione centrale. Copertina di influenza un po' ellenica quella che raffigura tre maschili e possenti titani della creazione nell'opera di dar vita all'universo, in una scelta di colori che fa leva sulla contrapposizione fra un freddo e monocromatico blu ed un caldo color rosso. Apprezzo molto la rappresentazione dei pianeti e del creato sullo sfondo, la copertina è davvero ben disegnata, diamone atto. Il logo in alto e centrale, poi, si unisce perfettamente alla composizione di immagini. Come voto finale al disco direi un sei e mezzo, con un augurio che il prossimo lavoro, ancor prima che essere qualitativamente superiore, venga strutturato e revisionato meglio nel suo complesso. Fateci sapere cosa ne pensate, e se a voi invece quest'uscita ha adeguatamente soddisfatto. Alla prossima, in alto le corna sempre.
2) WWIII
3) Dream Deceiver
4) Night of the Witch
5) City of Angels
6) Ishtar's Gate
7) Symptoms
8) False Prophet
9) The Healers
10) Code of Hammurabi
11) Curse of Osiris
12) Catacombs