TEARS FOR FEARS
The Hurting
1983 - Phonogram Records
ANDREA CAMPANA
03/01/2020
Introduzione recensione
The Hurting (Il ferire) è il primo album in studio dei Tears for Fears, pubblicato il 7 marzo 1983 per la Phonogram Records. Spinto dal successo di diversi singoli molto popolari per il duo, e cioè Mad World, Change e Pale Shelter, l'album ottiene un immediato successo di pubblico, arrivando alla posizione numero uno della classifica inglese due settimane dopo la sua pubblicazione e rendendo dall'oggi al domani Roland Orzabal e Curt Smith due dei musicisti più noti e celebrati dell'intera scena new wave. In seguito diventerà uno dei più venduti album del genere, arrivando a vincere il disco d'oro dopo tre settimane dalla data di uscita, e raggiungendo addirittura il disco di platino nel gennaio del 1985, alle soglie del grande successo internazionale del duo. The Hurting è, come detto, prima di tutto un album new wave: riporta cioè tutte le caratteristiche di un genere nato dal punk rock e dalle sperimentazioni che quello stile aveva, pochi anni prima, introdotto nella musica rock. Dopo il 1977, il punk aveva infatti cominciato a complicarsi accogliendo le influenze più disparate: dal reggae (The Clash, The Police) al funk (Gang of Four) all'elettronica (Gary Numan, Depeche Mode), finendo poi per coinvolgere anche artisti del rock classico come David Bowie e Peter Gabriel (quest'ultimo molto influente per i Tears for Fears) e generando sottoculture molto popolari come quella goth (Siouxsie and the Banshees, The Cure). I Tears for Fears vanno ad inserirsi prepotentemente in questo panorama con un album, The Hurting, che ne riprende diversi stili caratteristici, ma li coniuga a seconda delle esigenze artistiche del duo. Vi compaiono infatti elementi di gothic rock, caratterizzati da trattazione di traumi, paure e incertezze, e da toni cupi e intenzionalmente "deprimenti", ma anche synthpop, genere invece basato sull'uso intensivo di tastiere, sintetizzatori e ritmi elettronici generati digitalmente. La formazione più "rock" del duo si incontra anche con un background mod (sottogenere musicale e culturale inglese che retrodata agli anni '60), sperimentato dai due nel loro gruppo precedente, i Graduate. Inoltre, anche se The Hurting non si può considerare un vero e proprio concept album, è innegabile che il titolo (il quale può essere inteso in vari modi: la ferita, il dolore, l'atto del ferire) ne riassume il contenuto in un filo conduttore, che è quello appunto della sofferenza. In particolare, Roland Orzabal e Curt Smith prendono ispirazione, a partire dal nome stesso del gruppo, dalle teorie dello psico-terapeuta Arthur Janov, il quale sosteneva che per curare disfunzioni mentali e psicosi dell'individuo si debba scavare tra i traumi e i drammi infantili, in maniera da "sciogliere" dei nodi irrisolti rimasti legati dentro la persona per anni. Mettendoci del suo, traendo ispirazione dalle proprie esperienze d'infanzia, è soprattutto Orzabal, il principale compositore e leader de facto del gruppo, ad indirizzare quasi tutte le canzoni in questa direzione: Mad World, Pale Shelter, Suffer the Children, sono tutte canzoni che trattano direttamente questi temi. Anche le altre, come si vedrà, girano sempre intorno a concetti come sofferenza, introspezione, solitudine, alienazione, difficoltà di comunicazione, paura del cambiamento, e così via. The Hurting è un disco dal fortissimo potere emotivo, che d'altra parte non si risparmia nel voler esprimere ogni sentimento, se pur attraverso illuminate metafore ed allegorie, in maniera comunque diretta e molto personale. Un'energia che viene trasmessa appieno anche grazie, un po' per paradosso, alle sonorità fortemente commerciali e ai ritornelli molto invitanti che il duo sa inventare. Laddove la musica "pop", da radio, è tradizionalmente legata a temi leggeri, come l'amore (corrisposto, tendenzialmente) e il divertimento, qui invece i Tears for Fears non hanno paura di invertire questo schema, affidando le proprie riflessioni esistenziali a refrain accattivanti, melodie semplici da memorizzare subito, e ritmiche che fanno sottilmente l'occhiolino alla dance e alle discoteche. Tutta una serie di elementi che se da un lato allineano perfettamente The Hurting alla regolare produzione new wave in un anno come il 1983, dall'altro lo rendono un lavoro a sé, particolare e a tratti atipico, che infatti si pone come base di una crescita musicale notevolissima che giungerà solo pochi anni dopo e che si rivelerà tanto inaspettata quanto fortunata, in termini di vendite, di successo, ma anche di traguardi artistici. Di questa evoluzione The Hurting costituisce il punto di partenza, il momento in cui davvero inizia la storia di uno dei gruppi simbolo degli anni '80 e, piaccia o meno, di un'intera era musicale.
The Hurting
È subito la title track, The Hurting (Il ferire) ad introdurre il disco, su toni immediatamente coinvolgenti e intriganti. Il pezzo è molto rock (per il genere), con forti presenze di chitarre e riff, basso stile post-punk e ritmica semplice. Un pezzo mid-tempo con occasionali derive synth, che mette tuttavia al primo posto il messaggio, il quale introduce il tema portante dell'intero lavoro: "È un sogno orribile / Sto affondando in fretta / Può una persona essere così cattiva / Da ridere e ridere / Da solo / Puoi alleviare il mio peso / Puoi vedere il mio dolore / Puoi ti prego spiegare / Il far del male / Puoi capire un bambino / Quando piange nel dolore / Puoi dargli tutto ciò di cui ha bisogno / O ti senti come lui? / Per tutto il tempo / Ti è stato detto che sei nel torto / Quando sentivi che era giusto / E sei rimasto a combattere / Mettiti in riga con le cose che conosci / Senti il dolore / Senti la tristezza / Tocca la ferita e non mollare / Mettiti in riga con le cose che conosci / Impara a piangere / Come un bambino / E la ferita non tornerà". Come in Suffer the Children, nel testo l'autore Orzabal sembra rivolgersi al genitore del bambino (forse il proprio genitore), interrogandolo su cosa prova, sul perché non sente empatia per la condizione di solitudine del figlio e sul perché non si sente in colpa nel lasciarlo da solo. Quella del genitore viene dipinta come una figura insensibile e quasi "malvagia", laddove in seguito ci si rivolge anche al bambino stesso, che deve lottare contro la solitudine pur sentendosi in colpa per i suoi sentimenti rancorosi ("You've been told you're wrong / When you felt it right / And you're left to fight"). La parte finale del testo è quella che di più, in tutto il disco, fa riferimento diretto alle teorie di Arthur Janov e del suo "urlo primevo" (Primal Scream): la terapia dello psicologo prevede una regressione agli stadi più infantili in modo da richiamare ed affrontare appunto i traumi subiti in giovane età: quell'urlo primordiale è infatti l'urlo spontaneo del bambino che ancora non sa esprimersi altrimenti, e che quindi libera ogni sfogo senza freni o misure.
Mad World
Mad World (Pazzo mondo) è certamente la canzone più famosa dei Tears for Fears di questo periodo, anche grazie alla versione cover del 2001 inserita nella colonna sonora del film di culto Donnie Darko. Si tratta della composizione più cupa e nichilista del disco, che ancora una volta tende ad esplorare traumi e sofferenze dell'infanzia per poi ri-collegarli ad alienazione e paure dell'età adulta. Musicalmente il pezzo utilizza la medesima formula che ricorre per tutta la tracklist del disco: sintetizzatori, tastiere, percussioni elettroniche computerizzate, una sequenza di accordi semplice ed una melodia accattivante. Il cantato di Curt Smith si rivela particolarmente adatto a questa traccia, nell'interpretare con toni struggenti e lacrimosi una poesia musicale profonda e fortemente emotiva, che viene però adattata ad uno stile anche estremamente orecchiabile. Il testo della canzone fornisce delle immagini abbastanza chiare e lampanti, che girano tutte attorno alle diverse concezioni della sofferenza, come da titolo dell'intero lavoro: "Tutto attorno a me ci sono facce familiari / Facce consumate, posti consunti / Luminosi e solleciti per le loro gare quotidiane / Andando da nessuna parte, andando da nessuna parte / Le loro lacrime riempiono i loro bicchieri / Nessuna espressione, nessuna espressione / Nascondo la testa, voglio annegare la mia tristezza / Nessun domani, nessun domani / E mi sembra un po' divertente, un po' triste / I sogni in cui sto morendo sono i migliori che ho mai fatto / Trovo difficile parlartene perché lo trovo difficile da accettare / Quando la gente corre in tondo è davvero, davvero un pazzo mondo / Bambini aspettano il giorno in cui saranno felici / Buon compleanno, buon compleanno / Fatti per sentirsi come ogni bambino dovrebbe / Siedi e ascolta, siedi e ascolta / Sono andato a scuola ed ero molto nervoso, nessuno mi conosceva, nessuno mi conosceva / Ciao insegnante, dimmi qual è la mia lezione / Guarda attraverso di me, guarda attraverso di me". Nello specifico, qui il compositore/narratore (Orzabal) sembra volersi soffermare sul rapporto difficile e insicuro che l'individuo alienato intrattiene con il mondo attorno a sé e con le figure che lo circondano, viste immancabilmente come negative e pericolose.
Pale Shelter
Pale Shelter (Rifugio pallido) è, assieme a Suffer the Children (vedi sotto), una delle canzoni che più riportano le esperienze personali dell'autore Orzabal, ossia ciò che egli ha vissuto durante un'infanzia solitaria, nella quale il sostegno dei genitori, pur essendo presente, non si traduceva mai in affetto sincero. Tali emozioni sono affidate ad una canzone molto energica, un vero e proprio sfogo, nel quale un elemento come la chitarra acustica, che ricorre di continuo in contrasto con tastiere e synth, simboleggia tutta la forza introspettiva che l'artista ha voluto inserire nella composizione. Pale Shelter è anche uno dei pezzi più "pop" del disco, orecchiabile, danzabile, coinvolgente, e questo nonostante la natura meditativa delle parole: "Come posso essere sicuro / Quando la tua intrusione è la mia illusione / Come posso essere sicuro / Quando tutto il tempo mi fai cambiare idea / Chiedo di più e di più / Come posso essere sicuro / Quando non mi dai amore / Mi dai un rifugio pallido / Quando non mi dai amore / Mi dai mani fredde / E non posso operare su questo fallimento / Quando tutto ciò che vorrei essere è / Completamente al comando / Come posso essere sicuro / Dato che tutto ciò che dici mi fa aspettare / Come posso essere sicuro / Quando tutto ciò che fai è guardare attraverso di me / Sono stato qui prima / Non c'è un perché, non c'è bisogno di provare / Pensavo che avessi tutto / Ti chiamo, ti chiamo". Il "rifugio pallido", nell'interpretazione qui fornita, è appunto la casa nella quale il narratore (un bambino) vive con i genitori; oppure, per estensione, la loro stessa presenza. Si tratta effettivamente di un rifugio, di un riparo, sì; però è pallido in quanto "freddo", privo di emozioni, indifferente. Come, insomma, lo è la presenza di una mamma e di un papà che è solo questo: presenza, priva di quella vicinanza emotiva e di quella partecipazione morale della quale ogni figlio ha bisogno.
Ideas as Opiates
La quarta traccia dell'album, Ideas as Opiates (Idee come oppio) costituisce come una sorta di "pausa", che arriva dopo i momenti molto intensi di Mad World e Pale Shelter. Il pezzo è un incedere lento, quasi ipnotico, con una base musicale discreta, accompagnamento di pianoforte e un ritmo leggero e costante. Una ballad, in pratica, che in quanto tale dà molta meno importanza all'orecchiabilità del brano e molta di più all'atmosfera costruita. È anche possibile che un tale tempo "calmo", un po' psichedelico, sia un effetto ricercato per ricreare appunto l'idea dell'effetto di un oppiaceo; o magari, essendo il duo nato in terra inglese, dell'oppio vero e proprio. L'idea di partenza del testo non riguarda stavolta in alcun modo i traumi infantili o le ansie dell'uomo, ma si indirizza piuttosto su argomenti più filosofici e "politici". Si parla di auto-convinzione, estremizzando la famosa frase di Karl Marx "la religione è l'oppio dei popoli" e identificando la religione come solo una tra tante "idee", pensieri e costruzioni immaginarie nelle quali i suddetti popoli scelgono di credere per non affrontare la dura mancanza di significato della realtà quotidiana. "Dì quello che vuoi / Dì quello che ti pare / Perché scopro che tu pensi a ciò che rende tutto più facile / E le bugie si spargono sulle bugie / Non ci importa / Il credo è il nostro sollievo / Non ci importa". Il testo è molto breve ed altamente concettuale, mentre il tono con il quale Orzabal canta la canzone oscilla tra l'emotivo e il sarcastico. Un pezzo che, nel suo piccolo, fa bene da contrappunto ai più noti e roboanti successi che si trovano sparsi nel resto del disco.
Memories Fade
Memories Fade (Le memorie svaniscono) è forse l'unica canzone in The Hurting che riguarda una relazione romantica vera e propria, o meglio (immancabilmente, visto il tema generale), la fine di quella relazione. La canzone è un lamento che segue la rottura di una coppia, e ciò che rimane all'amante abbandonato. Le tonalità di conseguenza assumono colori foschi, oscuri, che rendono questa la canzone più strettamente post-punk del disco, in quanto ricorda molto lo stile dei Joy Division e dei New Order. Il basso ha un'importanza primaria nel reggere tutta la parte musicale, così come il sottofondo elettronico che stabilisce un ritmo deciso e "disperato" al tempo stesso. Ecco il testo: "C'è solo il bisogno / Amo il tuo bisogno / Così tanto che sto perdendo me stesso / Non posso vedere la ragione per il dolore / Con gioia affamata / Sarò il tuo giocattolo / Solo sperando che tu giocherai / Senza speranza il mio corpo comincia a cadere / Le memorie svaniscono ma le cicatrici restano / Arrivederci amica mia / Amerò mai di nuovo / Le memorie svaniscono ma le cicatrici restano / Non posso crescere / Non posso muovermi / Non posso sentire la mia età / Il vizio come morse di tensione mi stringe in fretta / Bloccato da te / Cosa posso fare / Quando la storia è la mia gabbia / Guardo avanti ad un futuro nel passato / Più parlo, più dico / Meno tu sembri ascoltare / Sono senza parole in una maniera tutta mia / La tua mente è debole / Il tuo bisogno è grande / E niente è troppo caro / Per te, purché porti via il dolore / Le memorie svaniscono / No, non fingere di poter giustificare la fine / Le memorie svaniscono ma il dolore resta". Le parole riflettono su un amore disperato, un tempo corrisposto ma ora non più, e del risultante dolore inascoltato del narratore che, lasciato solo con sé stesso, cerca disperatamente di far cambiare idea all'ex-compagna. Un approfondimento meno psicologico e più "quotidiano", un'esperienza universalmente condivisibile, la cui descrizione però potenzialmente banale viene convalidata e impreziosita anche stavolta da una musica forte, un cantato memorabile e melodie che si sposano perfettamente con la base musicale asettica e fredda. Il pezzo ne esce fuori, alla fine, più che bene.
Suffer the Children
Suffer the Children (Benedici i bambini) è un altro caratteristico numero new wave, nel quale i Tears for Fears si dedicano ad un arrangiamento leggermente più "rock", dato soprattutto dalla presenza delle chitarre nel refrain e dell'ottimo assolo sul finale. Per il resto, la canzone si caratterizza ancora come una sequela di cadenze electo-synth, decorate più che adeguatamente dalla voce di Orzabal, che qui è tra l'altro più sincero e auto-biografico che in ogni altra canzone del disco. Senza fare troppi giri di parole, l'artista parla dell'abbandono infantile, e di cosa succede quando un figlio viene lasciato a sé stesso in assenza dei genitori. Un tema, come si vede, del tutto congruente a quello trattato in Pale Shelter, cosa che non deve affatto stupire: quello dei traumi infantili è un leitmotiv che ricorre per tutta la prima fase della carriera del duo, per i motivi spiegati nell'introduzione. Il testo recita: "È una faccenda triste / Quando non c'è nessuno là / Lui chiama aiuto nella notte / Ed è così ingiusto / Almeno così sembra / Quando gli hai dato la vita / E tutto questo tempo ti ha buttato giù / Dovresti andare a prenderlo quando non c'è nessun altro / E convincerlo, solo parlargli / Perché nel suo cuore lui sa che non sarai a casa presto / Lui è un figlio unico in un'unica stanza / E dipende da te, dipende da te / E sembra così strano che alla fine del giorno / Fare l'amore possa essere così bello / Ma il dolore della nascita / A cosa serve / Quando poi non finisce come dovrebbe / Benedici i bambini". Qui la narrazione di Orzabal si fa assolutamente onesta e diretta, e descrive esperienze semplici ma segnanti. Differentemente da Pale Shelter, in Suffer the Children il cantante intavola una discussione che coinvolge direttamente i genitori (o il genitore, visto che vi si riferisce al singolare), muovendo accuse ma anche cercando di comprendere i suoi motivi.
Watch Me Bleed
Watch Me Bleed (Guardami sanguinare) è un perfetto inserto tra le canzoni più famose del disco, un pezzo sempre new wave ma con una componente acustica e una forte prominenza della chitarra che, come nella title track, emerge particolarmente. Nel pezzo si nota subito una certa somiglianza, nella parte vocale, con un'altra canzone di The Hurting, cioè Memories Fade (vedi sopra), mentre lo stile musicale ricorda molto le produzioni contemporanee di Echo & The Bunnymen e dei Cure. Questa è la canzone che più di tutte nel disco riguarda il dolore come sensazione e come concetto, non soffermandosi quindi tanto sulle cause o sulle conseguenze, ma analizzando ciò che prova l'individuo segnato da sofferenza interiore, e come si sente nel nasconderla agli altri. Il testo: "Il paradiso arriva per chi aspetta / Ma so che non sto andando da nessuna parte / E tutti i gesti di ieri / Hanno davvero aiutato ad aprirmi la via / Anche se non c'è nessuno vicino a me adesso / Com'è che tutti possono toccarmi / Vedi che la tortura sulla mia fronte / Non riguarda il qui ed ora / Guardami sanguinare, sanguinare per sempre / Anche se il mio volto è composto, mente / Il mio corpo sente il dolore e piange / Qui la tavola non è nuda / Sono pieno ma mi sento vuoto / Dato che tutto il calore sembra così freddo / Dato che sono giovane ma mi sento vecchio / Guardami sanguinare, sanguinare per sempre / Non è permesso essere scortesi / Ma lo stesso l'odio vive nella mia mente / Non farò rumore, non mi lamenterò / Chiuderò i miei occhi, non mi lamenterò / Mi farò indietro e mi prenderò la colpa / E proverò a dire a me stesso che sto vivendo / E quando tutto è stato detto o fatto / Dove posso andare? Dove posso correre? / Cos'è rimasto di me o di chiunque altro / Quando neghiamo la ferita?" Il testo più lungo dell'album, esplora con una certa auto-commiserazione tutti i particolari della sofferenza emotiva trasformata in dolore fisico, che però va tenuto accuratamente nascosto per evitare il biasimo altrui e l'ipocrisia della morale comune che vorrebbe l'individuo felice, gioviale e propositivo. Il narratore si rende conto del proprio vittimismo, e infatti ci riflette: non dovrei lamentarmi, sono giovane, ho quello che mi serve (la tavola "non è nuda" nel senso che è imbandita; metafora di una vita non certo scevra di soddisfazioni). Allo stesso tempo però, sul finale, egli riflette sul fatto che dovremmo essere vicini alle nostre emozioni, e non negarle, ma anzi comprenderle e cercare in tal modo di affrontarle; che è poi ciò che si propone di fare l'intera collezione di canzoni in The Hurting. Infatti: negli ultimi versi viene richiamato di nuovo l'atto del "ferire" che dà titolo all'album, e che qui si traduce nella "ferita" dall'atto stesso derivante; cosa ci rimane una volta negato il dolore? Diventiamo automi che pur di adattarsi al mondo preferiscono smentire la propria umanità? Questa è la paura paventata dalla forte emotività di questa canzone.
Change
Change (Cambiare) arriva come ottava traccia di The Hurting, ed è un altro della sequela di successi precedentemente pubblicati come singoli dai Tears for Fears tra il 1982 e il 1983. Si tratta di una canzone dai tratti più post-punk che new wave (anche se, in questo disco, il confine viene sempre mantenuto sottile), e che comprende bizzarramente alcune sonorità, suonate su (o meglio imitazione di) xilofono, che richiamano la musica tradizionale giapponese. Anche i due bridge della canzone, ognuno a suo modo, sembrano abbastanza scostarsi dall'essenzialità pop di altre canzoni della tracklist, coinvolgendo derive strumentali brevi ma significative. Come tematica, anche questo testo preferisce non trattare delle sofferenze dell'infanzia, ma parlare di qualcosa di ben più complesso come l'idea del cambiamento, dividendo il protagonista/narratore in due diverse forme che vengono confrontate in una sorta di dialogo allo specchio: "Sei entrato nella stanza / Mi è venuto da ridere / La faccia che indossavi era fredda / Eri una fotografia / Quando è troppo tardi / È troppo tardi / Non avevo il tempo / Non avevo il coraggio / Di chiederti come ti sentivi / È questo ciò che ti meriti / Quando è troppo tardi / È troppo tardi / Cambiare / Tu puoi cambiare / E qualcosa nella tua mente / È diventato un punto di vista / Ho perso la tua onestà / Tu hai perso la vita in te / Camminiamo e parliamo nel tempo / Io cammino e parlo in due / Dov'è che la fine di me / Diventa l'inizio di te? / Cos'è successo all'amico che conoscevo / Se n'è andato?" In queste liriche il cambiamento non viene visto per forza come qualcosa di positivo o di negativo, ma piuttosto come un motivo di complicazione e fonte di ulteriori dilemmi esistenziali.
The Prisoner
The Prisoner (Il prigioniero) è una canzone che in The Hurting appartiene a quella parte "in controluce", di canzoni non tanto costruite per il successo quanto ideate per sperimentare, provare cose diverse e giocare coi suoni. In questo caso si tratta di un pezzo sì synthwave, ma dal carattere quasi industrial, molto alla lontana, definito da suoni graffianti e volutamente rozzi, con una parte ritmica che si ispira a Intruder di Peter Gabriel e che serve, in una maniera diversa, come contributo nel ricreare quello stesso tipo di atmosfera inquietante e grottesca. "Qui dietro le mura / Mi sento così piccolo / Respiro ma non percepisco / Qui la rabbia è con me / L'amore mi libera / Lo provo ma non ci credo / Qui nella mia mente / Sto prendendo tempo / Aspettando ma non connettendomi / Qui la rabbia è con me / L'amore mi libera / Il prigioniero ora sta scappando". Così recita il testo della canzone, anche se paradossalmente i medesimi concetti espressi sono ben riassunti già dalla stessa musica: sono i versi qui, strano ma vero, la decorazione, e non i suoni. Le musicalità della canzone già danno un'idea ben precisa della condizione di un prigioniero che è tenuto in ostaggio prima di tutto da sé stesso e dalla propria solitudine, e che in quanto tale cerca una chiave che per lui può essere solo l'amore, l'uscita dall'isolamento. Il testo sembra in questo caso un po' la didascalia di un dipinto appeso in un museo, che tuttavia non fa altro che limitarsi ad asserire ciò che all'ascolto del pezzo risulta, emotivamente e concettualmente, già ben evidente. E infatti, la voce interviene in maniera discreta e decisamente sottotono, lasciando molto più spazio e venendo inevitabilmente sovrastata dai toni bellicosi della musica.
Start of the Breakdown
Il pezzo di chiusura, Start of the Breakdown (Inizio del crollo), è un momento particolarmente raffinato che si affida ad intrecci e fitte trame di percussioni, tastiere e contrappunti armonici creanti un tappeto musicale complesso, che ricorda ancora una volta certi lavori dei New Order. La musica è riflessiva, procede in un lento crescendo che non raggiunge mai un vero climax, mantenendosi invece su un percorso che dà sempre molta enfasi ai piccoli accenni strumentali, nei quali vengono coinvolti i suoni più diversi. Il risultato è la creazione di un panorama eterogeneo, stratificato, multicolore; arte che i Tears for Fears perfezioneranno bene nei lavori successivi, e la cui affermazione si può ben riscontrare in un successo ancora (anche stilisticamente) molto distante come Sowing the Seeds of Love, del 1989. Start of the Breakdown è una chiusura più che degna, nella quale il duo si rifiuta di congedarsi con un facile momento pop, e lo fa invece sfidando un'ultima volta l'ascoltatore e acquirente del loro lavoro all'apprezzamento di sonorità più ricercate e meno immediate. Le parole di questa canzone, parimenti, sono particolarmente filosofiche e intricate nel loro significato: "Gratta via il ghiaccio, lascia che il telefono squilli / Il senso del tempo è una cosa potente / E amiamo ridere, amiamo piangere / Mezzi vivi amiamo / Muoverci lentamente quando balliamo nella pioggia / Asciutte scaglie di pelle quando c'è ghiaccio nelle vene / E amiamo piangere, mezzi vivi / È questo l'inizio della crisi? / Gratta la terra, scava nel terreno di sepoltura / Il senso del tempo non sarà trovato facilmente / E dieci su dieci per quelli che si difendono, e fingono / La crisi è una richiesta finale / Restiamo saldi con la testa fra le mani / Mentre amiamo piangere, mezzi vivi". Cosa significa tutto ciò? In Start of the Breakdown ci si trova di fronte al testo di gran lunga meglio riuscito di tutto The Hurting, e di tutta la prima fase della carriera dei Tears for Fears. I versi compiono una meditazione, che non è mai conclusiva, nel tentativo di identificare il vero momento che può portare l'individuo alla crisi definitiva: "breakdown" significa più letteralmente rottura, crollo, esaurimento anche nervoso. Ci sono espressioni altamente significative e molto poetiche, che vanno ben oltre i semplici sfoghi emotivi di Mad World e Pale Shelter: "We love to cry, half alive" indica per esempio la natura incompleta dell'uomo, il quale è "mezzo vivo" proprio perché non sa che cosa lo può completare; allo stesso tempo, "ama piangere" perché si crogiola colpevolmente nel proprio dolore (emozione che è concettualmente la colonna portante stessa dell'intera tracklist), respingendo ciò che potrebbe renderlo felice perché difficile da ottenere o da conservare. I vincitori ("dieci su dieci": punteggio pieno) sono, ancora una volta, quelli che fingono e rifiutano invece di rimestare nel torbido (grattare via il ghiaccio, scavare in un "cimitero" nel quale vengono sepolte colpe e inadempienze). C'è poi qui uno dei migliori versi di tutta la carriera del duo: "Dry skin flakes when there's ice in the vein". Cosa vuol dire? L'uomo che ghiaccia dall'interno, a partire cioè dalle vene, si consuma poco a poco, e la sua pelle viene via in scaglie congelate, cioè a strati, a simboleggiare un lento congelamento che è la morte di ogni emozione, e quindi un annientamento. Da rimarcare che, iniziando dalle vene, questo congelamento non deriva da un fattore esterno, ma è presumibilmente l'individuo stesso a causarlo. In sintesi: come gran finale del loro primo LP, i Tears for Fears si esprimono in una canzone sorprendentemente matura, in quanto a suoni e versi, per i loro standard dell'epoca. Quasi come a dimostrare che tutto quel dolore così scrupolosamente analizzato, traumaticamente vissuto e febbrilmente descritto, alla fine è servito a qualcosa: a capire che non c'è una vera conclusione, non c'è un vero inizio della "crisi" perché la crisi è perpetua, fa parte della natura umana. Non resta che affrontarla.
Conclusioni
The Hurting giunge nel 1983, un anno nel quale la new wave non solo ha già dato molto come genere, ma comincia anzi ad avviarsi verso la propria scomparsa e diluizione in una moltitudine di tendenze diverse. È l'anno in cui escono album come Porcupine di Echo & The Bunnymen, War degli U2, Synchronicity dei Police, Construction Time Again dei Depeche Mode e Power, Corruption & Lies dei New Order; tutti lavori, assieme a The Hurting, che pur rappresentando l'apice delle possibilità stilistiche della new wave, ne decretano in qualche modo la fine. Si parla di artisti che sceglieranno, tutti quanti, di muoversi presto in nuove direzioni, trovandosi troppo "stretti" e a disagio nell'ambito di un genere che si prende sulle spalle la "responsabilità" di perpetuare l'eredità del punk rock. Tutti gli altri generi, compresi il rock classico, la world music e l'elettronica, costituiscono territori intriganti da esplorare, per ampliare le proprie visioni artistiche ma anche, banalmente, per trovare nuovi spunti al fine di non diventare ricorsivi e ripetitivi all'infinito. Ecco perché The Hurting si può vedere come uno degli ultimi grandi album della new wave. Un lavoro giunto alla fine di un'epoca, e realizzato da artisti molto eclettici i quali, se fossero giunti in un altro periodo, avrebbero composto di sicuro un disco ben diverso. Roland Orzabal e Curt Smith sono, in questo senso, non due "punk", non due idoli, ma piuttosto due cantautori che possiedono una precisa sensibilità per la melodia e il ritornello pop; e mantenendo, però, anche sempre un'etica e un'integrità da applicare incessantemente al loro lavoro, così come un'impazienza e una curiosità verso la conoscenza dei suoni e della musica che consente loro di non procedere mai per un unico percorso, ma al contrario di guardare contemporaneamente in più direzioni diverse. The Hurting, nel suo piccolo, riporta già questo approccio: diverse hit pop come Pale Shelter e Mad World (anche se di pop non hanno certo i toni, non ne si può negare l'efficacia commerciale) si alternano più o meno coerentemente a momenti più "alternativi" e scomposti come The Prisoner, Ideas as Opiates e Start of the Breakdown. È in qualche modo proprio il contrasto fra queste due anime del duo a fare la fortuna di un disco che altrimenti avrebbe poche chance di successo: canzoni in cui psicologia post-Freudiana viene trattata in singoli synthpop radio-friendly? A chi verrebbe questa idea? Eppure, se ci si pensa, è più o meno la stessa formula utilizzata da un gruppo intoccabile come i Joy Division, laddove però la formazione di Ian Curtis e colleghi associa il sentire della sofferenza ad immagini sonore corrispondenti: spente, abrasive, tenebrose, taglienti, morte. Invece, i Tears for Fears fanno il contrario, inventandosi la perversione di unire il trattamento di temi delicati e certo non allegri a musicalità che consentono loro di esprimersi su questi argomenti in maniera paradossalmente piacevole ed appagante. Una natura schizofrenica quindi, quella che si ritrova in questo primo album dei Tears for Fears e che fa il paio con la loro contemporanea ricerca di successo da classifica da una parte e di introspezione artistica dall'altra. Una band che già da questo primo album non sembra tanto voler seguire una direzione precisa; non come per esempio i Depeche Mode, che già si stanno muovendo con sempre maggior coerenza verso l'alternative, o non come i New Order, che abbracciano con crescente convinzione l'elettronica e la nascente techno. No, i Tears for Fears guardano ovunque, cercano dappertutto, non chiudono nessuna porta e nessuna finestra; certo gioca il suo ruolo il dialogo tra i due, la natura ossia dualistica del progetto artistico, che ne facilita il progredire "binario" sopra descritto. E, come tutte le crisi di personalità, prima o poi questo conflitto interno si dovrà risolvere, portando infatti, un decennio più tardi o poco meno, allo scioglimento della partnership. Questo per dire che la forza e la "bellezza" dei Tears for Fears sta proprio negli innumerevoli conflitti, interni ed esterni, che caratterizzano la loro arte musicale: conflitti che li rendono fragili, vulnerabili, forse a volte incostanti, certo spesso insoddisfatti. Ma è il prezzo da pagare per realizzare un piccolo gioiello musicale come The Hurting, il quale rappresenta adeguatamente sia l'acme stilistico di un intero genere (assieme ad altri lavori coevi), sia un punto di partenza ottimale, un trampolino di lancio perfetto, per una band che farà poi la storia della musica, pop e non.
2) Mad World
3) Pale Shelter
4) Ideas as Opiates
5) Memories Fade
6) Suffer the Children
7) Watch Me Bleed
8) Change
9) The Prisoner
10) Start of the Breakdown