TEARS FOR FEARS

Pale Shelter

1982 - Phonogram Records

A CURA DI
ANDREA CAMPANA
09/12/2019
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione recensione

Come secondo singolo pubblicato nella loro carriera, i Tears for Fears scelgono il pezzo Pale Shelter, che reca con sé anche un sottotitolo in riferimento al refrain della canzone: "You don't give me love" (Non mi dai amore). La canzone è parte di una coppia di demo, assieme a Suffer the Children, che nel 1981 vengono presentati alla Phonogram Records e portano il duo al loro primo contratto. Si tratta quindi di un momento significativo: la composizione, seppur semplice e di poco sviluppata, convince subito i discografici, lasciando intravedere già tutto il potenziale della musica di Roland Orzabal e Curt Smith. La demo originale della canzone nasce da una semplice sequenza di due accordi suonati a ripetizione da Orzabal alla chitarra acustica per settimane, finché una mattina i due musicisti non decidono di lavorare su questa base, creando tutta la canzone in poche ore. La demo viene poi registrata a casa del tastierista Ian Stanley, che diverrà poi un collaboratore fisso del progetto (un "terzo" Tear for Fear). Assieme alle due b-sides, The Prisoner e We Are Broken (quest'ultima una prima versione della canzone Broken, poi inserita in Songs from the Big Chair del 1985), Pale Shelter viene pubblicata in varie versioni (poi si vedrà quali) che attraggono un tipo di successo per ora ancora parziale ed erratico. I due musicisti sono inizialmente costretti a lavorare assieme al produttore Mike Howlett, noto membro del gruppo prog Gong, nonché della prima incarnazione dei Police, chiamata Strontium 90. In quel periodo, a inizio anni '80, il produttore lavora con diverse importanti band del panorama new wave, come Orchestral Manoeuvres in the Dark, Thompson Twins, Teardrop Explodes e Gang of Four. Nonostante la sua fama, però, Howlett non riesce a ricoprire bene il suo ruolo assieme ai Tears for Fears, che rimpiangono di non potersi affidare di nuovo, come per Suffer the Children, a David Lord (impegnato a sua volta sul quarto disco di Peter Gabriel). La collaborazione riesce male, data anche l'insistenza del produttore nell'uso smisurato della drum machine Linn LM-1. Il singolo viene pubblicato, ma come il suo predecessore non riesce ad entrare in classifica. Ecco perché poi la canzone verrà registrata nuovamente, nel 1983, con i produttori Chris Hughes e Ross Collum (stessa sorte avvenuta a Suffer the Children, il singolo precedente), privata del sottotitolo e inserita nell'album di esordio della band, The Hurting. Sarà questa versione, appaiata con la b-side We Are Broken, ad ottenere un buon successo di classifica, raggiungendo la posizione numero 5 sia in Regno Unito che in Irlanda; complice, va segnalata, la spinta dei contemporanei successi, pubblicati nel frattempo, Mad World e Change. Nel 1985, poi, in seguito al grande successo di Songs from the Big Chair, la Phonogram decide di ri-pubblicare la prima versione del 1982, che stavolta ottiene un riscontro ben più notevole, arrivando alla posizione numero 73: notevole, se si pensa che si tratta di un singolo di tre anni prima, e il videoclip girato per l'occasione non si vede più da allora (inutile dire che non esiste ancora YouTube, e sono le emittenti video-musicali come MTV a decidere cosa trasmettere). Segno, comunque, che la canzone aveva sempre avuto un potenziale per il successo (come del resto moltissime altre canzoni del duo), e che necessitava solo di dedizione e promozione in più da parte della casa discografica. In definitiva, se Suffer the Children è una prima traccia di tutto ciò che i Tears for Fears sono capaci di realizzare, Pale Shelter è il passaggio dalla teoria alla pratica: una canzone ben più coinvolgente, più profonda e anche più ambiziosa, per certi versi, rispetto al lavoro precedente, e che introduce già dalla prima sua prima versione tutte le sonorità che renderanno The Hurting un piccolo grande classico della new wave. Complice, lo si è citato, il videoclip appositamente girato dal duo a Los Angeles all'inizio del 1983. Realizzato da Steve Barron, il video utilizza una serie di giustapposizioni che riprendono i temi di solitudine e alienazione trattati nel brano: la società moderna, frenetica, non lascia quasi spazio a tali sentimenti, e i due Tears for Fears lo constatano tristemente camminano tra le scene e cantando i versi con la laconicità di chi si affaccia ad una verità inevitabile.

Pale Shelter

Come canzone, Pale Shelter (Riparo pallido), si pone in quanto ad atmosfera in aperto contrasto con il primo singolo dei Tears for Fears, e cioè Suffer the Children. Se infatti quest'ultima canzone, pur trattando tematiche delicate, comunicava in qualche modo un senso di positività e speranza, le cose cambiano con Pale Shelter, che tende ad un "umore" ben più sconsolato, malinconico, sofferente. La canzone, come tutte le più famose (ma non tutte in assoluto) del duo, viene scritta da Roland Orzabal, ma cantata stavolta principalmente da Curt Smith, il bassista e altra metà significativa del progetto musicale. Come Suffer the Children, questo pezzo parla di un bambino che non riceve il dovuto affetto dai genitori, e si sente perciò abbandonato a sé stesso. Ancora una volta, è l'autore, Orzabal, a ripescare nei suoi ricordi di infanzia e nel rapporto straniante con il padre, per dare espressione musicale alle ferite di un passato non piacevole. Espressione che musicalmente si riassume nella forma di un altro pezzo tipicamente new wave, con uno sfondo di sintetizzatori, tastiere e percussioni elettroniche vagamente dance. Il carattere "triste" del pezzo è dato dal cantato fortemente emotivo - che tra i due è spesso prerogativa di Smith, avendo egli una voce più chiara e acuta; infatti sarà lui a cantare Mad World -, dall'uso del falsetto nel refrain e dai ricorsi di chitarra acustica (strumento storicamente legato ad espressività intimista, si pensi alla musica folk). A partire dalla seconda strofa, viene introdotta una chitarra elettrica (molto probabilmente suonata da Orzabal) che segue un arpeggio jingle-jangle, caratteristico negli anni '60 dello stile di Roger McGuinn (nei Byrds) ma vent'anni dopo, nel periodo di cui parliamo, ripreso spesso da molti chitarristi new wave come Julian Cope, Peter Buck e Johnny Marr. In seguito, l'arpeggio si evolve in veri e propri "mini-assolo" che portano nella canzone una certa inquietudine, sempre per rifletterne naturalmente i versi. Nella variazione, dopo il secondo refrain, si può ascoltare una parte di basso molto interessante e molto tecnica di Curt Smith, piuttosto inusuale per un genere non particolarmente legato al virtuosismo come questo, e che proprio per questo fa ben notare l'abilità di Smith col suo strumento: abilità troppo poco spesso citata, e che colloca il bassista tra i grandi del suo strumento nell'ambito new wave, al fianco di Gordon Sumner (Sting), John Taylor e Simon Gallup. Il testo della canzone, come accennato, riguarda i ricordi d'infanzia di Orzabal, che qui si traducono in una serie di immagini che servono a rendere l'idea di un periodo di abbandono, difficile da affrontare e da ripercorrere. Già l'immagine del titolo, quella del "rifugio pallido", dà l'idea di una casa, un tetto sopra la testa, come si dice, che sì esiste, e accoglie il bambino senza riserve: ma è pallido, cioè privo di calore, indifferente, spento. Analizziamo il testo: "Come posso essere sicuro / Quando la tua intrusione è la mia illusione / Come posso essere sicuro / Quando tutto il tempo mi fai cambiare idea / Chiedo di più e di più / Come posso essere sicuro / Quando non mi dai amore / Mi dai un rifugio pallido / Quando non mi dai amore / Mi dai mani fredde / E non posso operare su questo fallimento / Quando tutto ciò che vorrei essere è / Completamente al comando / Come posso essere sicuro / Dato che tutto ciò che dici mi fa aspettare / Come posso essere sicuro / Quando tutto ciò che fai è guardare attraverso di me [ignorarmi] / Sono stato qui prima / Non c'è un perché, non c'è bisogno di provare / Pensavo che avessi tutto / Ti chiamo, ti chiamo". I versi esprimono chiaramente incertezza, e confusione, dal punto di vista di un bambino che guarda al genitore (o "ai" genitori) aspettandosi affetto e sicurezza, e invece riceve in cambio solo "mani fredde" cioè prive di calore, di sentimento. L'incertezza derivata dalla mancanza di attenzione e di dedizione trasmette un'insicurezza perpetua ("All the time you change my mind"), che spinge il bambino a "chiedere di più e di più", senza però ottenere mai l'amore di cui ha bisogno. La parte interessante arriva quando il narratore (il bambino stesso, forse Orzabal da piccolo) osserva che non può "operare" su "questo" fallimento (ossia, su ogni singolo fallimento, per estensione, nella vita), perché tutto ciò che vorrebbe essere è "al comando": il bambino, in quanto tale, non è indipendente, né come mezzi né come modalità di pensiero. Non può affrontare da solo le situazioni. Non si trova quindi "al comando", un comando che spetterebbe appunto ai genitori, che però, come sappiamo sono assenti. Il bambino si trova da solo su un aereo senza pilota. Per cui quando succede qualcosa di negativo, una sconfitta, un fallimento, un evento negativo (l'aereo va fuori rotta), non c'è nessun "pilota" che possa intervenire, nessun genitore che possa aiutare il bambino ad affrontare ciò che ha subito, e ad elaborare correttamente l'avvenuto, in maniera da trarne una lezione costruttiva, e di non subire un trauma. Il bambino inevitabilmente smette di guardare ai genitori come a figure di sostegno, e precipita in una mancanza di significato ("There is no why, no need to try") che data la sua giovane età non sa come affrontare. Pensava che i "grandi" avessero tutto, ossia che sapessero tutto, che avessero la soluzione; li chiama, ma non rispondono, perché sono letteralmente non presenti. Quando ci sono, ignorano i bisogni del piccolo: qui viene usata l'espressione "You see me through", cioè in inglese, letteralmente, guardi attraverso di me. La stessa espressione viene usata spesso per esprimere l'idea di qualcuno che viene ignorato, ingiustamente o meno: la usa Paul McCartney nella canzone dei Beatles intitolata I'm Looking Through You, del 1965; gli stessi Tears for Fears la ri-utilizzano nel singolo successivo a questo, Mad World, stavolta riferendosi a un insegnante: "Hello teacher tell me what's my lesson / Look right through me, look right through me". Nel finale della canzone, la voce continua a ripetere quasi disperatamente "You don't give me love, you don't give me love". Non c'è un finale positivo, la situazione non si risolve, e le ferite (emotive) riportate restano.

We Are Broken

We Are Broken (Siamo spezzati) è una delle due b-sides che compaiono appaiate al singolo Pale Shelter in varie versioni reissue; l'altra, The Prisoner, non verrà qui trattata perché presentata poi senza variazioni nell'album The Hurting. We Are Broken, come potrà intuire subito qualunque fan dei Tears for Fears, è una versione iniziale di Broken, canzone centrale dell'album di grande successo del duo, Songs from the Big Chair. Nella versione più nota, del 1985, la canzone assume toni decisamente rock, con assolo di chitarra audaci e distorti, tempo veloce e parti di batteria eclettiche. Nell'album in cui comparirà una volta riscritta, Broken farà da introduzione per la ben più nota Head Over Heels, la cui melodia portante viene infatti già accennata durante la canzone; alla fine di Head Over Heels poi, sempre nel 1985, Broken verrà ripresa in una versione live, registrata all'Hammersmith Odeon a Londra nel dicembre del 1983, che chiude la triade. Riassumendo: in Songs from the Big Chair, la sequenza è Broken/Head Over Heels/Broken (Live). Qui, la versione pubblicata assieme a Pale Shelter, pur contenendo già la struttura fondamentale della versione dell'85, è ben diversa. Si tratta innanzitutto di una canzone molto più synthpop, che si affida ad un ritmo sì veloce ma sostenuto, e sempre molto elettronico, come quasi tutte le produzioni del duo di questo periodo. La canzone si presenta già con un'atmosfera fosca, in linea con le liriche, e ricorda certe future produzioni dei Depeche Mode, specialmente quelle in Black Celebration (1986). L'intro è affidato ad una sezione della canzone riprodotta al contrario, come nella musica psichedelica degli anni '60 (effetto che introduce anche la stessa Pale Shelter), per sfociare poi in una sequenza elettronica che sosterrà tutto il pezzo, accompagnata occasionalmente da una chitarra leggermente distorta. Anche in questa prima versione compare la melodia che sarà poi quella di Head Over Heels, due anni dopo: segno che il duo ha forse già pensato a creare quella mini-suite che diventerà celebre, simbolo anche di un approccio musicale non semplicistico e votato ad una certa sofisticazione. Il testo della canzone anticipa un tema che verrà trattato compiutamente anche in un'altra canzone del 1985, The Working Hour, e cioè quello del confronto tra l'uomo moderno e la società, che gli richiede sempre più sforzi e sacrifici, solo per restare vivo. Non si fa riferimento specifico al mondo del lavoro, ma è implicito che il motivo per cui il protagonista alla fine si ritrova "piegato" ("Broken", in inglese, significa letteralmente "rotto") dipende da una routine stressante, che non lascia respiro. Idea tra l'altro molto ben presente negli anni '80, epoca di completo arrivismo, culto del self-made-man e imposizione totale della morale capitalista; non scordiamoci anche che a Downing Street in quel periodo c'è Margaret Tatcher. Ecco come si esprime il testo della canzone: "Tra la ricerca e il bisogno di far funzionare tutto / Smetto di credere che tutto andrà a posto / Piegati, siamo piegati / Cammino su per la collina, ma mi fanno girare di continuo / Mi muovo in segreto quando i miei piedi sono sul terreno / Piegati, siamo piegati / E nell'occhio della mia mente / Un piccolo ragazzo provoca rabbia ad un piccolo uomo / Divertente come il tempo vola". Le liriche utilizzano espressioni astratte e idiomatiche in inglese per dare l'idea degli sforzi quotidiani dell'uomo, che deve ogni giorno cercare un modo di far quadrare tutti i conti e di mettere a posto la propria vita ("To work it out", cavarsene fuori, risolvere la situazione; anche qui, si può citare una canzone dei Beatles: We Can Work It Out). L'uomo deve salire una collina, la cui cima rappresenta la meta, l'obiettivo, il raggiungimento di una pace sia materiale che spirituale; ma mentre vi si dirige, non può tenere un passo regolare perché "viene fatto girare" di continuo, voltandosi qua e là ad affrontare le numerose difficoltà che si presentano lungo la via ("Being turned around and round"). Il verso successivo recita: "Secret in motion when my feet are on the ground". Questa espressione si può interpretare in questo modo: il protagonista (sempre Orzabal, autore e vocalist anche in questa canzone), cerca di proseguire sul suo cammino, su per la "collina ", quando i suoi piedi sono a terra (che si può interpretare in riferimento all'espressione "stare con i piedi per terra", ossia soffermarsi su questioni concrete, non farsi trascinare via, mantenere il controllo); lo deve però fare in segreto, per paura di essere coinvolto nuovamente, da un momento all'altro, da nuove sfide e da nuovi problemi che lo possono distogliere dalla propria determinazione. "My mind's eye" è un'espressione inglese per indicare l'immaginazione, che in questo caso ritorna ancora a ciò che è accaduto nell'infanzia (come in Suffer the Children e Pale Shelter): la rabbia del bambino, rimasta, come sappiamo, inespressa e senza sfogo (e soprattutto senza guida), ha finito per contagiare l'uomo, così che anche dopo tutti gli anni passati la soluzione ancora non si trova, le difficoltà rimangono, e anzi si acuiscono di fronte alla quotidiana competizione data dall'età adulta.

The Prisoner

Una delle b-sides presenti in alcune versioni del singolo di Pale Shelter è The Prisoner (Il prigioniero), canzone che fin da subito si fa notare per la propria natura ben distante da quella dei tipici pezzi della band. Qui si affrontano sì sonorità synthpop, ma con un approccio prevalentemente strumentale, basato su sequenze di tastiera, tendenze rumoristiche e percussioni ossessive ispirate alla canzone Intruder di Peter Gabriel (1980). L'atmosfera non è solo cupa o malinconica, ma si può definire addirittura futuristica e persino distopica; ciò data la natura fortemente sperimentale (per il livello del duo) della composizione, un tipo di esperimento in realtà non del tutto estraneo alla loro musica, ma in quegli anni più tipico di gruppi synthpop come Orchestral Manoeuvres in the Dark, New Order o Heaven 17, che dello studio dell'arte synth fanno una vera missione. Tuttavia, questa è esattamente la traccia da far ascoltare a chi conosce i Tears for Fears solo per i loro famosi ritornelli di metà anni '80, in quanto rivela tutta la voglia del duo di esplorare e di mettersi alla prova, forzando i propri limiti e sfidando in parte anche l'ascoltatore casuale. Da qui la scelta di inserire la canzone come b-side: dopo aver sentito un lavoro appagante e pulito come Pale Shelter (nonché, tutto sommato, convenzionale come struttura e suoni), forse l'acquirente/fan potrà incappare in questa composizione atipica, computeristica, avveniristica. Il testo ha uno spazio poco importante in questa canzone, e si riduce a una breve sequenza di versi che veicolano un messaggio trasmesso però, paradossalmente, in maniera più efficace dalla musica che non dalle parole stesse: "Qui dietro le mura / Mi sento così piccolo / Respiro ma non percepisco / Qui la rabbia è con me / L'amore mi libera / Lo provo [feeling] ma non ci credo / Qui nella mia mente / Sto prendendo tempo / Aspettando ma non connettendomi [relating] / Qui la rabbia è con me / L'amore mi libera / Il prigioniero ora sta scappando". La prigione in questione è, chiaramente, una prigione mentale eretta con i muri della solitudine e dell'incomprensione. Il prigioniero è un auto-condannato, e i muri da lui alzati hanno in questo caso molto a che fare con gli stessi teorizzati da Roger Waters (in The Wall dei Pink Floyd, ovviamente) tre anni prima: il prigioniero resiste, prova, sente, ma non riesce a superare le barriere che lo tengono rinchiuso. Solo l'amore, naturalmente, lo può salvare.

Conclusioni

Rispetto al loro singolo d'esordio, Suffer the Children, con Pale Shelter i Tears for Fears cominciano a mostrare il loro lato più cupo, indirizzato all'esplorazione di sonorità più "avvilite" e molto più in linea con la musica new wave inglese di quel periodo. Il contrasto creato dalla natura easy-listening di Pale Shelter e la delicatezza dei temi trattati è un chiaro indizio dell'etica musicale dell'epoca: il confronto con i problemi personali viene incanalato e riletto in un contesto musicale appagante, che sempre riprendendo i suoni elettronici ormai già molto diffusi in tutta la scena pongono anche le basi per quella che è in fondo la musica pop di inizio anni '80, almeno in area inglese e europea. Una direzione completamente diversa rispetto a quella del rock classico del decennio precedente, i cui artisti anzi si vantavano di produrre suoni autentici, realistici e ideologicamente anti-sistema. I Tears for Fears, invece, si accodano volentieri, magari anche senza accorgersene in un primo momento, ad un'ondata di band che otterranno un successo commerciale notevole e per certi versi disinvolto: ancora oggi, molti guardano negativamente a questo tipo di approccio, perché si considera che i suoni elettronici, essendo sintetici e quindi non prodotti dalla pura abilità del strumentista con uno strumento acustico, rappresentano "il falso", una musica viziata, sofisticata, adulterata, condizionata, frutto della fredda anima di macchine e dei primi computer. Eppure, è proprio con queste sonorità sintetiche che i Tears for Fears riescono ad interpretare correttamente il loro tempo, adottando un approccio a specchio: non combatto contro il mio tempo, ma semplicemente interpreto e restituisco ciò che mi comunica. Il contrasto bambino/adulto, che collega Pale Shelter e We Are Broken, può essere considerato anche in questo senso: un'epoca passata, innocente, ma di un'innocenza perduta, senza direzione, senza significato; e quella presente, di una maturità che contiene un vizio di forma, che è corrotta dall'interno, e che si deve però adattare al mondo contemporaneo, volente o nolente. Lo stesso vale per la musica rock (o meglio, per quella punk), per come sviluppata dai Tears for Fears: nel 1982 i suoni elettronici non sono per forza considerati indice di simpatia per le classifiche e ambizione per la vendita. Anzi, sono molti gli artisti, come Peter Gabriel o i New Order, che utilizzano tali suoni per sviluppare la musica rock verso una direzione nuova, diversa da quella più ideologica e a tratti politica degli anni '60 e '70. I Tears for Fears si inseriscono in questo contesto, adottando l'intenzione punk di rinnovamento e di rottura, e applicandola in un paesaggio caratterizzato da continue innovazioni stilistiche e tecnologiche. Ecco perché Pale Shelter è uno dei migliori esempi del tipo di suono che guida la musica inglese (e non solo) in questo periodo storico; a fare da controcanto, naturalmente, c'è la scena heavy metal (la cosiddetta New Wave of British Heavy Metal), che si basa su metodi musicali diametralmente opposti: musica anti-conformista, rabbiosa, ribelle, rumorosa quanto serve e provocatoria quanto basta, che si tiene poi accuratamente discosta dall'elettronica e da ogni tendenza anche solo vagamente "pop". Ma il punto è che in questo schema confuso gli stessi Tears for Fears non sanno veramente dove stanno andando: come i protagonisti delle loro canzoni, sono incerti, sperimentano, tentano, provano, ma per il momento non vanno troppo oltre l'idea di farsi influenzare dai maggiori artisti contemporanei e di attingere alle tendenze musicali di quegli anni per conferire alle proprie canzoni espressività e anche quello che viene concepito come un indirizzo al cambiamento e alla rivoluzione musicale. Lo sarà, per certi versi, anche perché il synthpop pone le basi per molti stili moderni di musica elettronica, senza contare che trent'anni dopo, negli anni '10 (2010-19), moltissime band guarderanno all'innocente conformismo musicale di questo periodo con simpatia e uno strano senso di nostalgia. E sono proprio questa innocenza, questo sano bisogno di cambiamento, questo primevo sfogo emotivo, i sentimenti che emergono da canzoni come Pale Shelter: immacolata nella propria artefazione, calda nella sua perfezione sintetica, profonda nella sua espressione di confessione spontanea. 

1) Pale Shelter
2) We Are Broken
3) The Prisoner
correlati