TEARS FOR FEARS

Mothers Talk

1984 - Phonogram Records

A CURA DI
ANDREA CAMPANA
02/02/2020
TEMPO DI LETTURA:
10

Introduzione recensione

Finita l'era di The Hurting, il loro primo album, i Tears for Fears si muovono subito avanti verso il loro prossimo lavoro, che uscirà nel 1985: Songs from the Big Chair, un vero e proprio successo planetario che sarà anche un trionfo di stile e un'esplosione di trovate artistiche una più fantasiosa dell'altra. Il terreno viene preparato come si deve, in seguito al mezzo passo falso di The Way You Are: singolo uscito alla fine del 1983, pubblicato in fretta e furia per mantenere la visibilità della band, ma proprio per ciò riuscito solo in parte e rimasto poi inviso agli stessi autori. Per riprendersi, Roland Orzabal e Curt Smith si affrettano a dare una bella scossa al loro metodo produttivo, dedicandosi ad un'altra composizione del 1983 che avevano già suonato in tour in versione embrionale: Mothers Talk. Trattasi di un pezzo estremamente significativo, che con ritmi assatanati e musicalità grandemente eclettiche segna una cesura totale e definitiva con l'era di The Hurting, e introduce l'approccio tutto inedito che condurrà i Tears for Fears a realizzare un album complesso ma trionfale come Songs from the Big Chair. La canzone viene dapprima registrata con un nuovo produttore, Jeremy Green, ma come con la prima versione di Pale Shelter del 1982 le cose non vanno bene; i due non sono convinti, e richiamano uno dei due produttori "storici", Chris Hughes, per rifare il pezzo da capo. Il risultato è completamente diverso da qualunque cosa i Tears for Fears abbiano fatto fino a quel momento, e sconvolge letteralmente la loro direzione musicale, allontanandoli definitivamente dalla new wave più synth e malinconica dei primi lavori, ed avvicinandoli invece a suoni che seguono molteplici rotte. Influenzati dall'elettronica, dalla nascente house, dai ritmi dance e dalla pratica del sampling (sempre più diffusa grazie alle prime storiche produzioni hip-hop), i due guardano ad un'evoluzione musicale che, come già si poteva prevedere dall'ascolto del primo album, intende creare la "nuova" musica "pop/rock", affrancata dall'idea del rock organico e ideologico anni '70, e che qui si pone invece come introspettiva e celebrativa al tempo stesso, sperimentale ma colpevolmente commerciale, cerebrale ma anche diretta ed esagitata. Il singolo viene pubblicato il 6 agosto 1984, e promosso nel corso dei mesi da ben tre diversi videoclip, distribuiti in modo sparso tra le emittenti videomusicali. La pubblicazione raggiunge la posizione numero 14 della classifica inglese, un buon risultato tutto sommato, ed entra nelle charts anche in Canada, Irlanda e Nuova Zelanda. In seguito, dopo il successo enorme di Songs from the Big Chair, la canzone sarà ri-pubblicata in versione "remix" (in realtà una registrazione ex-novo affidata al produttore Bob Clearmountain) anche negli Stati Uniti, nel 1986, raggiungendo una ragguardevole posizione numero 27 nella celebre classifica Billboard Hot 100. Non un successo stellare quindi, in quanto le vendite (com'è giusto) non incontrano la natura originale e innovativa di questo tentativo dei Tears for Fears di cambiare bruscamente strada; tuttavia, tra i singoli pubblicati dal duo, Mothers Talk rimane un vero e proprio fulmine a ciel sereno, un'uscita di natura inaspettata che dà tutta l'idea di come Orzabal e Smith siano impazienti di mostrare tutte le loro capacità e la loro voglia di cambiare e provare di continuo. In Songs from the Big Chair la canzone prenderà perfettamente posto, in ottimo equilibrio tra le tendenze più intemperanti del disco e tra quelle invece più canoniche e volte alla ridefinizione dell'estetica pop. Curioso come inizialmente Orzabal, autore del pezzo assieme al tastierista Ian Stanley, non sia troppo convinto dell'utilizzo della canzone come singolo, ma non per i motivi che si potrebbero pensare: egli infatti ritiene che il pezzo sia addirittura troppo "commerciale", solo perché enfatico e rumoroso. Siamo a metà anni '80, e buona parte delle hit pop utilizzano percussioni con echi, cori da stadio e tastiere a volume altissimo; inoltre, impazza Phil Collins con la sua invenzione del "gated reverb", vere e proprie "mura" di batteria che seguono l'intenzione del "wall of sound" di Phil Spector, e che vengono riprese e fatte rumoreggiare in diversi successi, Mothers Talk compresa. Questi sono elementi che, nel 1984, vengono considerati "commerciali". Oggi, invece, una canzone tanto esagerata e tesa, con una struttura tanto incostante, non troverebbe alcun posto nelle nostre radio.

Mothers Talk

Mothers Talk (Le madri parlano) parte subito in maniera decisamente inaspettata per lo stile dei Tears for Fears: sentiamo un'orchestra, campionata da una canzone di Barri Manilow (non è noto quale), che lascia subito il posto a un ritmo concitato e veloce, sul quale Orzabal e Smith cominciano a cantare versi che come vocalità si allontanano immediatamente dai lamenti del primo disco. Interviene un basso molto techno, continuo e frenetico, appaiato ad una chitarra funky e poi a tastiere che hanno un che di inquietante. I ritmi procedono in maniera virtuosa, utilizzando contro-tempi, e quando si giunge al secondo refrain, delle "hit" di orchestra tagliano le battute come lampi, prendendo ispirazione forse da alcuni lavori dei Genesis nei quali il succitato Phil Collins fa la stessa cosa ma solo con fiati leggeri in stile Motown: esempi di questo espediente stilistico sono le canzoni Paperlate e No Reply At All del gruppo prog inglese. L'influenza dei Genesis sembra tornare anche in un'altra occasione in Songs from the Big Chair, e cioè nella triade Broken/Head over Heels/Broken (live), che ricorda il modo in cui in Los Endos, del 1976, vengono ripresi i temi principali di Dance on a Volcano e Squonk queste ultime tre canzoni sono inserite nello stesso album, A Trick of the Tail, il primo dei Genesis senza Peter Gabriel. Tornando a Mothers Talk, la canzone procede su toni sempre più deliranti e forsennati, per poi concludersi con una specie di coda strumentale fatta di percussioni, effetti di eco e riverbero, e una piccola dimostrazione della bravura al basso di Curt Smith in un breve assolo ripetuto. Il singolo esce in varie versioni, compresa una extended version di sei minuti, che giocano tutte con gli stessi elementi sonori presenti nell'originale, rimescolandoli e mixandoli ma mantenendo sempre il ritmo fortemente dance e la forza invasiva del pezzo. Il remix di Bob Clearmountain invece è l'unica versione di Mothers Talk a differire notevolmente dal singolo del 1984: più lenta, più misurata, comprende interventi di sassofono e voci femminili. In quel periodo l'influente produttore sta lavorando con Bruce Springsteen, Hall & Oates e Bryan Ferry: non stupisce quindi che la sua influenza apporti un approccio notevolmente più "soul", più caratteristico di un artista americano. Se la musica nella canzone si propone in maniera quantomeno aggressiva, il testo fa di più: i Tears for Fears scartano finalmente le tematiche di traumatologia infantile che avevano segnato il primo album, per dedicarsi ad un tema molto più attuale: la Guerra Fredda. Nello specifico, ispirandosi al fumetto per adulti When the Wind Blows di Raymond Briggs, del 1982, gli autori (Orzabal e Stanley, ripetiamolo), sembrano voler fare un commento sulla pericolosità della situazione e degli equilibri precari tra la presidenza Reagan e quella in Russia di Yuri Andropov: sono gli anni in cui Reagan parla tranquillamente di "impero del male", riferendosi all'URSS, e il rischio di una crisi nucleare come quella del 1962 non è così improbabile. Il fumetto, infatti, racconta di una coppia piuttosto anziana che, seguendo fedelmente le istruzioni del governo in seguito ad un attacco nucleare all'Inghilterra, finisce? non bene. Ecco le parole: "La mia espressione cambia con il tempo / Fine settimana, possiamo cavarcene fuori / La mia espressione cambia con il tempo / Possiamo cavarcene fuori / Quando il vento soffia / Quando le madri parlano / Non è che non sei buono abbastanza / È solo che possiamo renderti migliore / Dato che hai pagato il prezzo / Possiamo tenerti giovane e tenero / Seguendo le orme di una pira funeraria / Sei stato pagato per non ascoltare, ora la tua casa va a fuoco / Svegliami quando la faccenda inizia, quando tutto comincia a succedere / Alcuni di noi sono orripilati / Altri non ne parlano / Ma quando il clima comincia a bruciare / Allora saprai che sei nei guai / Seguendo le orme di una ragazza soldato / È tempo di metterti i vestiti ed affrontare il mondo / Non senti che la tua fortuna sta cambiando / Quando tutto comincia a succedere / Posa il tuo capo vicino al mio cuore / Il battere del tamburo è la paura del buio". Nel testo si crea una dicotomia: da una parte le "madri", che parlano, ordinando cosa fare, e che rappresentano negativamente l'ipocrisia e l'immobilità delle istituzioni, incapaci di riconoscere la vera emergenza; e dall'altra i "giovani" (potrebbe trattarsi della classica figura infantile tanto cara ad Orzabal) che "non devono fare boccacce", ossia devono seguire le istruzioni e non contestare ciò che viene loro detto. Chiaro che il punto di vista di Orzabal è ironico: la situazione è tesa, e non fare nulla significa subire senza reagire, come infatti avviene nel fumetto. La prima strofa, in questo senso, fa riferimento ad una raccomandazione, metà scherzo metà rimprovero, che le madri fanno ai bambini in Gran Bretagna: se fai le boccacce, poi quando cambia il tempo il tuo volto resterà così. "My features form with the change in the weather". La frase "We can work it out" si può tradurre come "cavarsene, tirarsene fuori, sbrigarsela", e viene utilizzata in assonanza con la parola "weekend", che può indicare un momento di riposo o anche per estensione la "fine" di qualcosa, riflettendo la paura della catastrofe nucleare. Le strofe successive si spiegano da sé: chi fa quello che gli viene detto e non protesta, si ritrova la casa bruciata quando la bomba nucleare esplode. Versi come "Wake me up when things get started" e "Follow in the footsteps of a soldier girl" sembrano associarsi al concetto di una chiamata alle armi: poiché lo sgancio di una bomba sarebbe il segnale proprio dell'inizio di un conflitto armato. La storia non finisce bene, esattamente come nel fumetto, e Orzabal sceglie di darne un'idea con due dei suoi versi migliori, molto metaforici e simbolici: "Put your head right next to my heart / The beat of the drum is the fear of the dark". Cosa significa? Si può spiegare così: "Stammi vicino, facciamoci forza a vicenda [in When the Wind Blows i protagonisti sono sempre una coppia], sentiamo le percussioni militari [che potrebbero anche essere ulteriori ordigni esplosi] e quindi abbiamo paura "del buio", di un avvenire nero dal quale non sappiamo cosa aspettarci". Il finale musicale della canzone non lascia speranza: la parte di basso, grottesca, lascia intendere una disfatta totale, definitiva, e la vita "muore" esattamente come il pezzo termina, tra echi confusi e suoni imperscrutabili.

Empire Building

Empire Building (Costruzione di un impero) è una delle due b-sides che si possono ascoltare nelle varie versioni del singolo di Mothers Talk. Si tratta di una canzone che, come doveroso per una b-side, si propone in maniera molto più "umile" ma anche alternativa rispetto al proprio lato A. È infatti una specie di strumentale elettronico, che segue sempre lo stesso ritmo e non contiene un testo cantato vero e proprio, ma diversi inserti vocali che sembrano provenire da film o serie televisive, e che non paiono organizzati secondo un filo logico: una voce dice "Tutto è bellissimo giù in Sudafrica", mentre un'altra soggiunge "Lorraine ha la sinusite, dopo tutto". La canzone è quindi senz'altro un esperimento, un passaggio musicale che registra il duo (Smith e Orzabal sono gli autori, assieme anche stavolta a Ian Stanley) nell'atto di esplorare e scoprire le possibilità di composizione offerte dalla tecnologia musicale dell'epoca. Sarebbe inutile leggerci molto di più. Da aggiungere solo che il titolo, non facendo riferimento ad un contenuto specifico o ad un tema portante, potrebbe essere inteso non come verbo ma come nome proprio di cosa, e in questo senso collegato immediatamente al famoso Empire State Building di Manhattan; simbolo comunque, di per sé, dell'imperialismo (quello americano).

Sea Song

Sea Song (Canzone del mare) è un altra b-side reperibile in alcune versioni del singolo di Mothers Talk. Si tratta di una cover, una delle poche registrate dai Tears for Fears, di un brano di Robert Wyatt del 1974, canzone d'apertura del disco di culto Rock Bottom, amatissimo tra i musicofili più accaniti e rappresentativo del lavoro dell'ex-Soft Machine. La scelta non è casuale, dato che Wyatt viene omaggiato direttamente con un altro singolo dei Tears for Fears di quel periodo, I Believe: questa ultima composizione, scritta da Orzabal, è infatti dedicata "a Robert Wyatt, se sta ascoltando". Inoltre, quando viene pubblicata come singolo nel 1985, anche I Believe ha come b-side la cover di Sea Song. La versione originale di Sea Song, interpretata da Wyatt, è un pezzo lento guidato da un piano acustico, comprendente diverse divagazioni strumentali, interventi di sintetizzatore che ricordano vagamente l'uso che ne fa Keith Emerson in quel periodo, e una lunga coda nella quale il cantante si sbizzarrisce con la voce come Tim Buckley. La versione dei Tears for Fears è invece molto più essenziale, interpretata fondamentalmente dal solo Orzabal con un accompagnamento di piano e molti meno effetti, tolto un crescendo orchestrale nella seconda metà. Anche la durata viene quasi dimezzata, lasciando comunque spazio per un'interpretazione ottima e che conserva pienamente lo spirito dell'originale. Il testo: "Sembri diversa ogni volta / Vieni dall'oceano increspato di schiuma / È la tua pelle che riluce dolcemente al chiaro di luna / Per metà pesce, per metà focena, per metà cucciolo di capodoglio / Sono tuo? Posso giocare con te? / A parte gli scherzi / Quando sei ubriaca sei grandiosa / Quando sei ubriaca è quando mi piaci di più / A notte fonda, va tutto bene / Ma non posso capire la 'te' diversa / Al mattino quando è ora di giocare / Ad essere umani per un po' / Sorridi, ti prego / Sarai diversa in primavera, lo so / Sei una creatura stagionale / Come la stella marina che giunge a riva con la marea, con la marea / Quindi finché il tuo sangue corre ad incontrare la prossima luna piena / La tua follia si incastra bene con la mia / Il tuo capriccio [your lunacy] si sposa bene con il mio / Proprio il mio / Non siamo soli". La canzone, nell'interpretazione di Wyatt, sembra far riferimento a una sorta di sirena, che però diversamente da quella di Hans Christian Andersen è più animale, e sembra farsi viva solo in certe stagioni o, come i licantropi, con la luna piena. Le liriche mescolano quindi poesia, mitologia e motivi fiabeschi, mettendo al centro, beninteso, una storia d'amore impossibile.

Conclusioni

Mentre il 1985 e Songs from the Big Chair si avvicinano, i Tears for Fears maturano rapidamente e cominciano a sentire tutta l'urgenza di dare un senso ad un successo ottenuto così all'improvviso e tanto inaspettatamente. Roland Orzabal e Curt Smith sono già proiettati completamente al di fuori della new wave, anche se la loro non è tanto una presa di posizione artistica quanto una necessità impellente di esplorare, cercare, scoprire, mettersi alla prova. Mothers Talk dà un taglio netto alla prima parte della loro carriera, caratterizzata prevalentemente da toni synthpop, liriche introspettive e atmosfere malinconiche che prestavano il fianco al gothic. Qui invece fanno prepotentemente il loro esordio musiche e suoni impetuosi, memorabili, che intendono colpire l'ascoltatore con forza e imporre così ancora di più l'immagine di un duo che, nel 1984, è ancora "solo" una delle tante realtà in crescita della musica inglese. Avuto già un riscontro notevole di pubblico (un po' meno di critica) ed essendo tra i più venduti artisti del periodo, si rende necessario per i due musicisti pensare a cosa dovranno fare dopo: in che direzione proseguire? Come già anticipa il contenuto "dualistico" di The Hurting, il primo album (sperimentazione e orecchiabilità, ricerca e ritornello pop), le direzioni nelle quali si guarda sono le più disparate: c'è l'elettronica, che a metà decennio si sta rapidamente affrancando dal synthpop per evolversi in techno (in America) e house (anche in Inghilterra); c'è il pop, quello puro, fatto in questo periodo (come accennato sopra) di produzioni enfatiche e suoni penetranti; c'è il rock, che si fa sempre più "da stadio" e in questa canzone partecipa stilisticamente con le potenti "schitarrate" che accompagnano il refrain; c'è la black music, che si ritrova nelle chitarre sempre più funky, le quali a loro volta sono filtrate dal primo post-punk; c'è la world music, che contribuisce con ritmiche forsennate e stratificate, in quel periodo appannaggio principalmente di band come i Talking Heads, ma la cui influenza è tranquillamente ravvisabile anche in un pezzo come il singolo di cui si sta parlando. Appaiata con due b-sides alternate tra le varie versioni, e cioè Empire Building e Sea Song, la composizione risulta ancora più impreziosita e sintomatica di tutto quel modo nuovo di concepire la musica e l'utilizzo dello studio di registrazione che guiderà i Tears for Fears durante la fortunata era di Songs from the Big Chair: da una parte un esperimento mirato alla misura delle possibilità tecnologiche come Empire Building; dall'altro una cover perfetta, che riprende in maniera pulita e precisa uno dei numeri migliori di un artista di culto e di altissimo livello, compiendo quindi anche una scelta ricercata (non è certo una cover dei Beatles), che una volta di più racconta l'intenzione del duo di non porsi limiti nell'accoglimento di ascendenti diversi nella loro arte musicale. Che il singolo non sia uno dei più venduti del gruppo, o che non ottenga lo stesso riscontro popolare di canzoni come Mad World, poco importa; importa poco anche che ad oggi Mothers Talk non sia una delle tracce più ricordate dei Tears for Fears, dato che tra l'altro verrà seguita prontamente da successi ben più imponenti come Shout e Everybody Wants to Rule the World. Importa poco perché non potrebbe essere altrimenti, data la riuscita bizzarra del pezzo e la presenza di liriche altamente metaforiche, difficili da interpretare. Ma, non appena ci si affaccia alla discografia del duo, questo singolo risalta immediatamente sia come uscita a sé stante, sia come, lo si è spiegato, parte di un album altrettanto teso a tentare tante strade nuove, al punto da possedere molteplici anime; anime che comunicano quindi con un pubblico il più ampio possibile, e alle quali si dovrà l'ingresso definitivo dei Tears for Fears nella cultura popolare, nella storia della musica, nell'universo in transumanza della new wave e in diversi altri contesti di capitale importanza. Ragioni, tutte queste elencate, più che valide per definire legittimamente Mothers Talk come il vero punto di partenza per il grande successo dei Tears for Fears.

1) Mothers Talk
2) Empire Building
3) Sea Song
correlati