TEARS FOR FEARS
Mothers Talk (US Remix)
1986 - Phonogram Records
ANDREA CAMPANA
27/10/2020
Introduzione recensione
Tempo la metà degli anni '80, i Tears for Fears si fanno strada nella scena musicale non sono con una serie di hit assolutamente memorabili (per la maggior parte legate ai loro primi due album) ma anche con un approccio musicale che, all'insaputa un po' di molti dei fan stessi che li seguono, consente loro di viaggiare tra i suoni e di portarsi musicalmente molto più in là di parecchi loro coetanei e conterranei. Come discepoli del punk rock e dell'innovativa visione della musica, proposta da Sex Pistols e soci, come un qualcosa di semplice, immediato ed energico (in contrasto con le super-produzioni dei vari Pink Floyd, Queen, ecc.), i Tears for Fears riscrivono da capo una loro personale evoluzione del rock. Evoluzione che ben presto si contamina delle tecniche di registrazione innovative dovute alla progressiva diffusione delle tecnologie digitali, nonché delle influenze elettroniche e synth che soffiano dalla (non troppo) lontana Berlino sulla nuova generazione di giovani musicisti inglesi che, volendosi liberare dalla retorica e dalla ridondanza della musica della generazione precedente, a fine anni '70 sono appunto in cerca di influenze simili. E così, di singolo in singolo e di album in album, Roland Orzabal e Curt Smith lavorano nell'eccellenza della ricerca sonora in ambito new wave, sperimentando nuove musiche e infondendovi il materiale grezzo delle loro hit, pronte per la classifica una volta arricchite da arrangiamenti fantasiosi, moderni e temerari che in realtà, lungi dal perdersi in un universo di puro solipsismo artistico, vanno a costituire anzi quella che si potrebbe definire la nuova musica pop. Un po' quello che fanno nello stesso periodo anche i Depeche Mode, oppure, in maniera meno eclatante e tuttavia molto più significativa, Trevor Horn e Geoff Downes (noti come The Buggles). A differenza di questi ultimi due artisti, o di un Gary Numan, o di un Brian Eno, oppure di un Robert Fripp o di un Peter Gabriel, i Tears for Fears non intendono assumere il ruolo di rivoluzionari: almeno, l'intenzione di base delle loro canzoni non è questa. L'emotività e l'introspezione che permeano i loro primi singoli, a partire da Suffer the Children e naturalmente nella famosa Mad World, sono sufficienti premesse per muovere in avanti il loro impegno. L'approfondimento psicologico di tematiche quali i traumi infantili, l'isolamento o la spersonalizzazione indotta dal lavoro all'apice del capitalismo (quello che oggi chiamiamo "burnout") sono i pilastri sui quali si erige il loro liricismo, mentre l'avanzamento musicale che segue di pari passo le canzoni serve solo a caratterizzarne l'atmosfera e non come esperimento di per sé. In altre parole: i Tears for Fears, a inizio e metà anni '80, non sanno di essere degli innovatori. O meglio: non si rendono conto di quanto lo siano, e come si diceva non se ne rende conto nemmeno la gran parte del pubblico che li ascolta e li sostiene. Nel caso di un Peter Gabriel, per esempio, la voglia di allargamento dei confini della musica e dei generi e l'ambizione di produrre suoni epocali e significativi è un aspetto ravvisabile già tranquillamente nella sua attività con i Genesis, e poi in maniera ancora più marcata nei suoi album da solista e specialmente in Peter Gabriel (II, detto Scratch, 1978) e Peter Gabriel (III, detto Melt, 1980). I fan di Gabriel non si stupiscono affatto delle sue divagazioni artistiche, e anzi ne apprezzano tutte le sfaccettature. Ecco, nel caso dei Tears for Fears non si verifica niente di tutto questo. Il pubblico generalista e più morigerato nei gusti è distratto dai video che girano su MTV e dalla natura "catchy" dei ritornelli, mentre gli ascoltatori più impegnati, che del duo inglese potrebbero cogliere l'intensità della produzione più complessa e oggi meno nota, guardano già da altre parti, verso band che in breve si sono guadagnate la nomea di gruppi "all'avanguardia", come Public Image Ltd. i primi Cure, Siouxsie and the Banshees, la Gang of Four, i Talking Heads, i Devo, e così via. Così, quando l'era di Songs from the Big Chair (1985) si avvicina, in tantissimi mancano di approfondire i lati più nascosti e artisticamente rimarchevoli dell'album, "fermandosi" invece alle hit da radio (Shout, Everybody Wants to Rule the World, Head over Heels) che popolano l'etere e le classifiche della metà del decennio. Mothers Talk, in quanto primo singolo pubblicato per l'album, nel 1984, ottiene anche un buon successo di classifica, ma rimane oggi relativamente sconosciuta per il conoscitore superficiale della musica anni '80. Appunto: troppo impegnativa, concitata, con un tempo irregolare, un'atmosfera grezza e tesa, tematiche di certo non rilassanti (la paventata guerra nucleare) e impossibile da ballare.
Mothers Talk
Forse è proprio questo aspetto che conduce alla decisione, due anni dopo, di produrre un nuovo remix della canzone, pensato esclusivamente per il mercato americano. Questa versione alternativa di Mothers Talk (Le madri parlano), chiamata semplicemente Mothers Talk (US Remix), viene rallentata, resa più atmosferica e calibrata nelle parti strumentati, premendo di più sui cori e aggiungendo percussioni "tribali", mentre allo stesso tempo il volume delle sferzate di chitarra viene considerevolmente abbassato. Viene inoltre aggiunto un ritornello sul finale, con ingombranti momenti chitarristici e dei cori call-and-response affidati a voci femminili. Il finale cupo e straniante dell'originale, caratterizzato da echi e bassi spiritici, qui viene del tutto tagliato via. Nel complesso, la canzone risponde più ad uno stile synthpop, appunto, da discoteca, che non a quella specie di ritmo proto-techno che rendeva il singolo del 1984 tanto innovativo. Il remix viene realizzato assieme all'influente produttore Bob Clearmountain, che in quegli anni lavora con artisti quali Bruce Springsteen, Hall & Oates e Bryan Ferry. Nel testo Roland Orzabal e Ian Stanley, tastierista della band e co-autore del pezzo, affrontano lo spettro della Guerra Fredda, che proprio in quegli anni sembra star raggiungendo un punto nuovamente critico. L'ispirazione per la canzone viene dal famoso fumetto per adulti When the Wind Blows di Raymond Briggs, del 1982. Una satira su di una coppia di anziani sposi che, trovandosi nel mezzo di un attacco nucleare, reagiscono con calma e compostezza, seguendo le istruzioni del governo che sono però contraddittorie e si rivelano presto inefficienti. Il testo: "La mia espressione cambia con il tempo / Fine settimana, possiamo cavarcene fuori / La mia espressione cambia con il tempo / Possiamo cavarcene fuori / Quando il vento soffia / Quando le madri parlano / Non è che non sei buono abbastanza / È solo che possiamo renderti migliore / Dato che hai pagato il prezzo / Possiamo tenerti giovane e tenero / Seguendo le orme di una pira funeraria / Sei stato pagato per non ascoltare, ora la tua casa va a fuoco / Svegliami quando la faccenda inizia, quando tutto comincia a succedere / Alcuni di noi sono orripilati / Altri non ne parlano / Ma quando il clima comincia a bruciare / Allora saprai che sei nei guai / Seguendo le orme di una ragazza soldato / È tempo di metterti i vestiti ed affrontare il mondo / Non senti che la tua fortuna sta cambiando / Quando tutto comincia a succedere / Posa il tuo capo vicino al mio cuore / Il battere del tamburo è la paura del buio". Il testo della versione remix è lo stesso della versione originale, ma la modificazione dell'atmosfera della canzone a favore di un carattere più dance soul in qualche modo ne sminuisce alquanto l'impatto. L'appiattimento delle sonorità restituisce un pezzo accomodato alle musiche più in voga all'epoca, vanificando tutto il potenziale devastante della prima versione della canzone, contenuta anche nell'album. Anche la meta-narrazione affidata al finale "grottesco" del singolo del 1984 scompare, e in questo modo non possiamo più sapere come va a finire la storia narrata nella canzone. Certo, le parole rimangono, ma con un simile "lifting" è molto improbabile che il vero significato venga colto (quando già la versione originale della canzone, in realtà, si poteva dire di difficile comprensione). L'operazione in ogni caso ripaga, almeno in parte: il singolo raggiunge il numero 27 della classifica americana (questo dopo due precedenti numeri 1 e un numero 3), e il numero 87 di quella canadese. Forse ne vale la pena, forse no. Fatto sta che dopo questa uscita i Tears for Fears resteranno inattivi per tre anni, e al loro ritorno abbandoneranno completamente questo tipo di sperimentazioni elettroniche indirizzate ai favori del dance floor.
Sea song
Sea Song (Canzone del mare) è la b-side associata a questa versione remix di Mothers Talk. La canzone è una cover di Robert Wyatt, tratta dal suo famosissimo album del 1974, Rock Bottom, celebre tra fan e musicofili e indicato anche come uno dei migliori lavori discografici mai realizzati dal noto critico Piero Scaruffi. La scelta è voluta e sentita visto che l'ispirazione derivante dalla musica di Wyatt si ritrova anche in I Believe, ballad pianistica che costituisce un intermezzo importante in Songs from the Big Chair e che viene anche pubblicata come singolo. Nelle note del disco I Believe è dedicata proprio "a Robert Wyatt, se sta ascoltando". E naturalmente anche il singolo di I Believe, come questo di Mothers Talk Remix, comprende come b-side la cover di Sea Song. La versione della canzone dei Tears for Fears, rispetto all'originale, è misurata e molto semplice. Viene cantata da Orzabal con un pianoforte in sottofondo e un piccolo intervento orchestrale verso la fine. Il testo: "Sembri diversa ogni volta / Vieni dall'oceano increspato di schiuma / È la tua pelle che riluce dolcemente al chiaro di luna / Per metà pesce, per metà focena, per metà cucciolo di capodoglio / Sono tuo? Posso giocare con te? / A parte gli scherzi / Quando sei ubriaca sei grandiosa / Quando sei ubriaca è quando mi piaci di più / A notte fonda, va tutto bene / Ma non posso capire la 'te' diversa / Al mattino quando è ora di giocare / Ad essere umani per un po' / Sorridi, ti prego / Sarai diversa in primavera, lo so / Sei una creatura stagionale / Come la stella marina che giunge a riva con la marea, con la marea / Quindi finché il tuo sangue corre ad incontrare la prossima luna piena / La tua follia si incastra bene con la mia / Il tuo capriccio [your lunacy] si sposa bene con il mio / Proprio il mio / Non siamo soli". La canzone originale di Wyatt sembra parlare di una specie di sirena, ma non la sirenetta della fiaba di Andersen. Questa è più un animale e appare solo in certi periodi o stagioni. Il protagonista della canzone sembra sognare una specie di storia d'amore impossibile con questo essere semi-mitologico.
Conclusioni
Con questa ultima uscita, colpo di coda dell'era di successo commerciale più importante per il duo, i Tears for Fears valicano con estro la metà del decennio e si avviano verso la seconda parte degli anni '80, quella che li vedrà crescere, maturare, ma anche un po' perdere tutta la fama e la celebrità guadagnate all'epoca di Songs from the Big Chair. Come accade sempre agli artisti che ottengono grandi risultati in poco tempo, scalando le classifiche il giorno dopo quando fino al giorno prima erano dei nessuno, anche Orzabal e Smith cercano in qualche modo di "giustificare", forse più a sé stessi che al proprio pubblico, questo loro enorme successo. Ed ecco quindi che avviandosi lentamente al 1989 e all'uscita di The Seeds of Love - il loro album più complesso, forse un canto del cigno, forse l'ultimo passo prima del baratro - i due iniziano a mettere nelle proprie composizioni e nella propria musica un'attenzione alla ricerca e un occhio alla perfezione che fanno al confronto impallidire il già intenso lavoro di Songs from the Big Chair. Anche l'esperimento tardivo ma interessante del remix di Mothers Talk sembra quasi una specie di gioco da bambini, visto poi invece l'impegno che i due impiegano nella produzione del lavoro successivo. Come a dire: "Guardate, non siamo solo quelli di Shout ed Everybody Wants to Rule the World. Siamo veri musicisti, siamo artisti, sappiamo fare tante cose e anche impegnative". Qualcosa che chiunque approfondisca un minimo la discografia della band, andando oltre i soliti arcinoti successi, non tarderebbe certo a scoprire. Ma all'epoca non va così e mentre buona parte del pubblico collega il successo e la celebrità dei due ai singoli succitati e a pochi altri brani magari ascoltati per caso in radio, nel frattempo il tramonto dell'era d'oro della Second British Invasion minaccia di consegnare Orzabal e Smith all'oblio così come, di lì a poco, succederà per esempio ai Culture Club o agli ABC (gruppi del resto musicalmente distanti dai Tears for Fears ma a loro associati, specie negli Stati Uniti, in virtù di una provenienza geografica comune ma anche di un linguaggio musicale con radici in fondo uniche, quelle del punk). Non forse che il duo paventasse più di tanto una tale fine; difficile dire che la nuova direzione intrapresa, quella "Beatlesiana" (aggettivo da intendersi in riferimento alla passione nella sperimentazione musicale e nella produzione di suoni ambiziosi) venga intrapresa con lo scopo specifico di sfuggire all'annichilimento. Tuttavia, anche se in quegli anni molti non se ne rendono conto, gli '80 sono il decennio per eccellenza delle "meteore" (Berlin, Alphaville, Go West) ed è in effetti un po' questo il medesimo destino che toccherà ai Tears for Fears, ambizione o no: quello di scendere, dopo essere saliti in fretta, ancora più in fretta ma "dall'altro lato", se immaginiamo il successo musicale come una montagna. Le produzioni del duo resteranno sempre valide e lo sono ancora oggi. Ma quest'ultimo remix di Mothers Talk, sapendo quale sarà il futuro della band, suona un po' come un ultimo disco suonato da un dj ad una festa che è stata grandiosa ma che è ormai finita: gli invitati se ne sono andati e rimane solo la sala vuota con bicchieri di plastica schiacciati a terra, scodelle di stuzzichini che conservano poche briciole e qualcuno addormentato ubriaco su qualche divano. Certo, gli anni '80, quelli del successo dei Tears for Fears, non si possono riassumere solo così. Ma rimane il fatto che per la band in qualche modo, in una qualche maniera legata al loro impegno come artisti, quel fantastico decennio termina effettivamente con i toni apocalittici di questa Mothers Talk in una nuova, definitiva (nel senso di ultima) versione. Ed è quasi assurdo pensare che una canzone che racchiude una complessa metafora sulla fine del mondo rappresenti anche l'ultimo vero momento di spontaneità giocosa per i due, l'ultimo sprazzo di uno stile musicale prima intuitivo, ancora fortemente (alla lontana, s'intende) debitore del punk rock, e che poi si farà invece calcolatore, pensato, costruito. I fan non ne avranno un primo assaggio fino appunto al 1989, quando Sowing the Seeds of Love, con il suo video psichedelico e accattivante, diverrà l'ultimo vero classico della band e inizierà la fase conclusiva del loro apice produttivo. Poi, più in là, negli anni '90, ci sarà la separazione del duo, le produzioni incerte e manieristiche del solo Orzabal, la dispersione del nome del complesso dietro al fantasma della Mad World versione Gary Jules all'inizio del nuovo millennio, e infine il nuovo incontro e la ripresa dell'attività "da reduci", da veterani, fino ad oggi. Ma è un futuro, visto dal 1986, ben lontano. Siamo ancora in quel decennio nel quale può accadere di tutto, e tutto in effetti accade. I Tears for Fears sono ancora tra i protagonisti e mentre l'era di Songs from the Big Chair si chiude e davanti a loro si prefigura quella, ancora senza nome, di The Seeds of Love, è difficile non immaginarseli sorridenti e fiduciosi.
2) Sea song