Tears for Fears
EVERYBODY WANTS TO RULE THE WORLD
1986 - Phonogram Records
ANDREA CAMPANA
29/09/2020
Introduzione recensione
Siamo nel 1986. Il mondo della musica sta cambiando, di nuovo, dopo l'ultima grande rivoluzione, quella punk, di fine anni '70. Il cambiamento interessa in realtà molteplici campi, diversi generi, e chiama in causa fattori precedentemente non presenti, come l'influenza di MTV. In Gran Bretagna, patria di alcuni tra i più popolari gruppi dell'epoca, si va esaurendo la potenza della NWOBHM (New Wave of British Heavy Metal), dalla quale fondamentalmente emergono soprattutto due gruppi, su versanti più o meno opposti: gli Iron Maiden e i Def Leppard. I primi, propositori dell'heavy metal più classico e oggi quasi studiato nelle scuole in quanto tale; i secondi invece presto convertiti ai sorrisi smaglianti e ai ritornelli orecchiabili del glam metal, genere di punta della seconda metà del decennio, promosso soprattutto appunto da MTV. Altri gruppi metal inglesi continuano ad avere successo, come i Judas Priest o l'Ozzy Osbourne recentemente partito da solista. Ma in termini di hard rock ed heavy metal sono presto gli americani a prendere la parola, con l'esordio, nel periodo 1984-1986, dei famosi Big Four del thrash metal: Metallica, Megadeth, Anthrax e Slayer. Anche il glam fa forti passi avanti, con band come Bon Jovi, Twisted Sister, Mötley Crüe e soprattutto Guns N'Roses. In questa popolare versione, il metal nato in terra inglese perde gran parte della propria aggressività per concentrarsi più sulle proprie qualità apprezzabili presso le ampie masse (e le folle negli stadi, come nel video di Paradise City dei Guns N'Roses). Con il punk, rivale ma in qualche modo corrispettivo del metal, accade più o meno lo stesso. Una branca del genere si instrada verso il complesso, cupo e spesso ambizioso post-punk, con gruppi come Joy Division, Siouxsie and the Banshees, Echo & the Bunnymen, i primi Cure, i primi U2, i Gang of Four, i Public Image Ltd. I corrispondenti negli Stati Uniti, arrivati al genere già da tempo, sono Television, Devo, Talking Heads, Blondie (le primissime produzioni). Da qui alla famosa new vave il passo è breve: basta aggiungere tastiere, sintetizzatori, forti bassi, influenze che spaziano dagli strascichi della disco music all'eredità del reggae jamaicano e fino all'influenza elettronica tedesca veicolata da David Bowie con la sua Trilogia Berlinese. Ed ecco presto The Police, i Clash dell'ultima ora, gli XTC, i Depeche Mode, i Simple Minds, i Talk Talk (primo periodo), i New Order (ex-Joy Division, riformatisi e re-inventatisi dopo la morte di Ian Curtis). Una branca particolare è quella dei gruppi New Romantic, che sfruttano sonorità derivanti da new wave e post-punk ma ben si accomodano nei video trasmessi a ruota da MTV, diventando presto divi assoluti dai bei faccini: Duran Duran, Spandau Ballet, Culture Club ed ABC sono tra i gruppi più famosi di questo sotto-genere. Ecco, è più o meno da queste parti che si collocano i Tears for Fears. Vengono musicalmente dal punk e si sono evoluti attraverso un periodo new wave con forti connotati synthpop ma anche momenti introspettivi e psicologici non comuni alle liriche delle band dell'epoca. A metà anni '80 hanno appena attraversato un periodo di grande successo con l'album Songs from the Big Chair (1985), che già li ha visti muoversi lontano dalla semplicità e dall'immediatezza dei generi di derivazione punk per sposare sempre più elementi derivanti dal rock classico, guardando a Genesis e Beatles, ma anche con sempre maggior interesse alle nuove tecnologie elettroniche. Roland Orzabal e Curt Smith, questo il nome del duo, "governano" letteralmente il mondo (della musica) con singoli come Shout, Head Over Heels ed Everybody Wants to Rule the World. Proprio questo è il singolo che nel 1986, all'apice del successo, si decide di riadattare per scopi benefici. La popolarità dei due è alle stelle, grazie ai numerosi ritornelli felicemente indovinati in tutte le loro hit, e anche grazie ai videoclip che li vedono, da protagonisti, divenire due dei volti più noti in assoluto di tutta la musica anni '80. Il loro nome, come duo e come band (i turnisti collaborano spesso alle composizioni in maniera significativa, ma il fulcro del progetto è sempre nella coppia Orzabal/Smith) emerge in maniera particolare proprio perché si pone un po' a metà strada tra tutte le realtà sopra descritte. I Tears for Fears sono "belli" e popolari nei loro video, ma non al livello dei Duran Duran. Non sono complicati da capire come i New Order, né (in questa fase) tenebrosi come gli Echo & the Bunnymen. Ecco perché diventano dei miti per buona parte del pubblico, ed ecco perché il 1986 si rivela il momento perfetto, per loro, per pubblicare il singolo Everybody Wants to Run the World. Il periodo, del resto, è adatto: dopo il Live Aid, tenutosi nel 1985, c'è un grande interesse verso qualunque opera di beneficenza, e che i due agiscano per interesse, per pubblicità o perché animati da un genuino senso del dovere (un dovere da compiere anche dall'alto della loro posizione di musicisti ormai affermati, nonché, a questo punto, ricchi), il progetto si fa.
Everybody Wants to Rule the World
Partiamo da Everybody Wants to Rule the World, uno dei più grandi successi dei Tears for Fears (forse il più grande), che alla metà esatta degli anni '80 conquista le classifiche mondiali. Lo fa grazie ai toni accattivanti da stadio, al ritmo ballabile dovuto all'incalzante basso elettronico che regge tutto il pezzo, alla melodia e al refrain orecchiabili e facilmente memorizzabili, e infine grazie al divertente videoclip che gira a ripetizione su MTV. Si tratta di una delle canzoni che certamente giocano il ruolo più fondamentale nella costruzione del saldo successo del duo inglese. Un successo che ad un certo punto diviene tale da non poter esimere i due dal sopportarne anche quelli che si potrebbero definire gli "oneri" collegati ad esso. Everybody Wants to Run the World viene registrata nel 1986 e per ammissione stessa di Roland Orzabal lo si fa solo "Per toglierci Bob Geldof dalle scatole". Chiaramente l'affermazione è scherzosa, ma possiamo immaginare che all'epoca l'insistenza di Geldof nel voler coinvolgere chiunque nei suoi progetti benefici fosse qualcosa di difficilmente evitabile: basti pensare a quello che riesce a realizzare e a quanti nomi riesce a coinvolgere, tra Band Aid e Live Aid. Il musicista, famoso dapprima come cantante del gruppo The Boomtown Rats e poi come protagonista del film Pink Floyd: The Wall (diretto da Alan Parker, recentemente scomparso, e ovviamente basato sull'omonima opera di Roger Waters), "spopola" infatti per tutta la decade, avendo una mira sola: fare beneficenza per l'Africa. Convince così i due Tears for Fears a prendere uno dei loro maggiori successi e a ri-registrarlo da capo per il progetto Sport Aid. Lo scopo è organizzare una serie di eventi sportivi in tutto il mondo al fine di raccogliere fondi per aiutare le popolazioni africane, specie quella dell'Etiopia, che all'epoca sono colpite da una grave carestia. Il progetto viene realizzato assieme a John Anderson dell'UNICEF, e riesce a raccogliere fino a 37 milioni di dollari in tutto il mondo. Culmine ne è la Race Against Time, la "corsa contro il tempo", cioè una maratona di dieci chilometri che vedendo protagonisti vari atleti si tiene simultaneamente in 89 paesi diversi il 25 maggio 1986. La canzone dei Tears for Fears si adatta in qualche modo perfettamente a fare da colonna sonora dell'evento. Come? Semplicemente sostituendo nel titolo e nel refrain la parola "rule" (comandare, governare) con la parola "run" (correre). Il testo della canzone rimane per il resto invariato, la seconda strofa viene omessa e la terza modificata, ma la struttura del pezzo resta identica e gli accordi gli stessi. A cambiare, oltre a "run", sono la base ritmica, che vede l'aggiunta di una sorta di sottofondo in stile etnico, e alcune decorazioni di fiati piacevoli ma in fondo non essenziali. Comunque, lo scopo è raggiunto: il singolo esce (senza b-sides) e, complice appunto la grande popolarità del gruppo (tenuta debitamente in conto) ottiene pure un discreto successo, raggiungendo la posizione numero 5 della classifica inglese e addirittura la 4 di quella irlandese. Il testo, così come viene "selezionato": "Benvenuto nella tua vita. Non si torna indietro. Anche quando dormiamo. Ti troveremo. Comportati meglio che puoi. Volta le spalle a madre natura. Tutti vogliono correre per il mondo. Aiutami a trarre il massimo. Da libertà e piacere. Niente mai dura per sempre. Tutti vogliono correre per il mondo. C'è una stanza dove la luce non ti troverà. Si stringono le mani mentre i muri crollano. Quando lo faranno sarò proprio dietro di te. Tutti vogliono correre per il mondo. Dì che non ne avrai mai, mai, mai, mai bisogno. Un titolo di testa, perché crederci? Tutti vogliono correre per il mondo".
Conclusioni
Con Everybody Wants to Run the World si chiude definitivamente una fase fondamentale della carriera dei Tears for Fears, e lo fa in un modo bizzarramente oggi poco ricordato dai fan. In effetti Everybody Wants to Run the World, nonostante il relativo buon successo commerciale, si trova oggi completamente nell'ombra della memoria dei fan stessi del gruppo. Questo dipende dalla sua stessa natura: il fatto di essere un doppione non troppo audace, anziché un remix o una versione alternativa rispetto all'originale, è allo stesso tempo il massimo motivo di interesse ma anche di disinteresse per questo singolo. Interesse perché discograficamente si tratta di una operazione unica, praticamente isolata: ripubblicare la stessa canzone con il titolo cambiato e una singola variazione nel testo? Chi ci avrebbe pensato? Certo, il pezzo è stato registrato da capo, ma a questo punto si può considerare più come "un'auto-cover" che come qualunque altra cosa. Insomma, un unicum. E il disinteresse, però, sta proprio qui: perché ascoltare la stessa canzone, ancora e ancora, senza quasi nulla di nuovo che solletichi la curiosità a dovere? Pare di sentire, come spesso accade oggi, uno di quei classici rifatti da qualche band assunta per l'occasione solo per non dover pagare i diritti di sfruttamento della registrazione originale, e poi usati per le pubblicità più infime e inutili. Non è proprio questo, certo, quello che accade con Everybody Wants to Run the World. Negli anni '80 la beneficenza equivale già a pubblicità, è vero: non siamo al Concerto per il Bangladesh organizzato da George Harrison a inizio anni '70. Tuttavia, la presa di coscienza collettiva che interessa parecchi musicisti di quel periodo non può essere ridotta solo a questo. Pensiamo a quando per esempio Peter Gabriel ricorda Steve Biko, dedicandogli la canzone omonima, attivista sud-africano assassinato nel 1977 (l'Apartheid resterà una delle tematiche politiche chiave per tutti gli anni '80, fino alla liberazione di Nelson Mandela nel 1990). O a quando Paul Simon si reca sempre in Sudafrica a collaborare con i musicisti locali ("rubando", si dice, molte loro idee) per il famoso album Graceland (1986). E vanno poi ricordati naturalmente gli altisonanti progetti Do They Know It's Christmas?, singolo realizzato dalla famosa Band Aid nel 1984, e naturalmente We Are the World, controcanto americano sulla stessa linea d'onda. Ecco, Everybody Wants to Run the World si inserisce, se pur molto più discretamente e umilmente, in questa sequela di progetti. Va quindi considerata in questo contesto, come realizzazione e invenzione di un clima che, per una ragione o per l'altra, porta musicisti e artisti ricchi e agiati a rivolgere la loro arte verso le popolazioni africane in difficoltà. Lo spettro della passata colonizzazione e il depauperamento delle risorse africane da parte delle (ormai ex-) potenze europee c'entra solo in parte. Anche perché, come sappiamo, lo sfruttamento di quelle popolazioni e l'interesse occidentale nella politica e nell'economia locale proseguono a tutt'oggi, mentre nel frattempo lo "sguardo" internazionale si è spostato in Medio Oriente, su Afghanistan, Iraq e Siria. Questo per dire che sì, per certi versi l'interesse verso l'Africa degli anni '80 può, ahimè, essere considerato come una moda passeggera: che, in quanto tale, è infatti passata. Ma considerato tutto questo, da qui ad asserire che quella dei Tear for Fears sia stata solo un'operazione puramente commerciale, cinica, intrapresa per comodità con il pronto incentivo di un notevole ritorno d'immagine - ebbene, fino ad asserire questo, ne passa. La natura di questi progetti di beneficenza, anche se a volte mossi da ipocrisia e organizzati con doppi fini, è spesso più complessa di quanto farebbe comodo immaginare. Possiamo credere che, per esempio, negli anni '80 molti di questi artisti, nello specifico Bob Geldof e Midge Ure (autori di Do They Know It's Christmas?) siano davvero convinti, fino in fondo, dell'importanza di quello che facevano. E lo stesso Live Aid, diventato al fin della fiera un po' una auto-celebrazione della scena musicale dell'epoca - nell'ambito della quale gli artisti si incoronano a vicenda "salvatori" del mondo - presenta questa duplice natura. Far del bene è far del bene, quali che siano i vantaggi o gli svantaggi personali per chi lo fa. La faccia "buona" del capitalismo artistico anni '80 si mostra e si risolve un po' in questo concetto. Il contributo dei Tears for Fears, per quanto minimo rispetto a quello di altri artisti, è sufficientemente rilevante da consentire loro di condividere un po' di questa gloria benefica, ma (per fortuna?) non rilevante al punto da coinvolgerli, per esempio, in diatribe e polemiche su come il denaro ricavato sia stato usato, o su quale motivo reale abbiano avuto per intraprendere un progetto del genere. Non c'è spazio neppure per una critica, perché tempo qualche mese e per i due quello di Everybody Wants to Run the World è un capitolo chiuso.