TEARS FOR FEARS
Elemental
1993 - Phonogram Records
ANDREA CAMPANA
16/02/2022
Introduzione recensione
Anno 1993. I Tears For Fears sono emersi dalla decade precedente, quella d'oro e immortale degli anni '80, come infallibili costruttori di hit e conquistatori di classifiche. Nati nel coacervo della scena post-punk e maturati con i suoni plastici e sintetici della new wave, i due (Roland Orzabal e Curt Smith) sono riusciti presto ad indovinare un suono accattivante e di grande appeal che ha fatto presa sul pubblico come quello di poche altre band contemporanee. Lo stile cantautoriale di Orzabal, in particolare, unito alla sua peculiare visione della musica e alla sua voce possente, ha condotto il duo ad essere considerato come parte della punta di diamante della scena new wave inglese, specie nel corso della trasformazione di quest'ultima in un più moderno genere pop rock. Fasti e successi, quindi; finché la svolta del decennio non cambia tutto. Con la fine degli anni '80 infatti cambia non solo la musica, ma tutto un modo di pensare relativo a costume, società, moda, psicologia e consumo di massa. Nasce una nuova epoca "alternativa", spinta dalla caduta del Muro di Berlino e dalla fine della Guerra Fredda, che porta specialmente quello che un tempo di definiva "l'occidente" sull'orlo di una crisi introspettiva, una crisi di valori soprattutto tra i giovani delle nuove generazioni. Il risultato? Il "ritorno" del rock chitarristico: un rock più intimo, cupo, negativo e nichilista, al quale molti danno il nome di grunge. In Gran Bretagna, nel frattempo, al fenomeno fa da specchio il sorgere del britpop, la riscoperta delle radici del rock inglese dai Beatles in poi, con un tocco di eccezionalismo molto british e un restyling aggiornato ai tempi apocalittici della fine del millennio. Dove finiscono, in tutto questo, i Tears For Fears? Per prima cosa, si "sciolgono". O meglio: Curt Smith, incapace di far collimare il proprio pragmatismo con le ambizioni artistiche incommensurabili del collega, lascia il duo e perciò il nome Tears For Fears è da legarsi, da quel punto in poi, più che altro al solo Orzabal. Che, chiamato il collega, conoscente e collaboratore Alan Griffiths, si dedica alla produzione di un album tutto nuovo che cerchi di mantenere la grandiosità (e per certi versi la "retorica") delle produzioni del decennio precedente incontrando, nel contempo, la riscoperta delle chitarre e di un suono rock più nuovo, sporco e graffiante di quello dell'era classica, quella degli anni '60/'70; un'era, del resto, che Orzabal sta già ri-esplorando attivamente fin dai tempi di The Seeds of Love (1989), con le sue ispirazioni Beatlesiane e l'idea di una ricerca di un rock "universale", che cerchi messaggi di pace, amore e lotta contro il sistema. Un po' ingenuo, un po' scontato per gli anni in cui i Nirvana stanno conquistando le classifiche e la generazione solo un poco più giovane, quella X, vive una decade di vuoto di valori che Orzabal, pur avendo compiuto un percorso non troppo diverso, da interprete ed emblema degli anni '80 difficilmente può capire. E infatti, Elemental, il quarto album dei Tears For Fears che esce nel 1993, non riporta quasi nulla della genialità che aveva reso dei capolavori il primo e il secondo nella discografia della band, e compie un errore anche abbassando i toni rispetto al terzo, che seppur confuso e ridondante mostrava perlomeno un'idea di base a tenere incollato il tutto. Detto questo, Elemental ha comunque i suoi ottimi momenti e almeno tre o quattro canzoni si potrebbero inserire in una lista di quelle, nella discografia della band, che di certo non sfigurerebbero a fianco ai loro classici più intoccabili. Si parla della title track, appunto, Elemental; di Break It Down Again, il singolo che un po' apre l'era da solista di Orzabal e allo stesso tempo ne chiude la sequela di successi; di Cold, canzone decisa e intuitiva che rivela una formula ben ideata ma purtroppo, poi, non seguita. In sostanza, l'album vede un gruppo storico e di grande portata cercare di adattarsi, invecchiando (e orfano di un componente) ad un'era che non è la sua: un'era molto diversa, che va affrontata con strumenti differenti (letteralmente). Venendo a mancare l'atmosfera del rock da stadio (arena rock, spesso detto) della decade d'oro appena finita, la grandiosità dei progetti di Orzabal si perde, anche senza Smith a fargli da "filtro", in una collezione di canzoni ben scritte e ben prodotte ma, per la maggior parte, davvero poco memorabili e destinate a lasciar dietro ben poca memoria di sé. Ecco perché, per tutti questi motivi, Elemental si può a tutti gli effetti contare come l'album che segna, per i Tears For Fears, l'inizio del declino.
Elemental
L'album si apre con "Elemental" (Elementare), la memorabile ed imponente title track che sembra anticipare un lavoro memorabile (il quale però poi, come vedremo, non si rivelerà esattamente tale). La canzone si presenta con un forte e deciso rock alternativo dalla ritmica sostenuta e funziona grazie ad un giro di basso indovinato e una melodia che, su tutte quelle presentate nell'album, rimane particolarmente conficcata in testa. Elemental sarà pubblicata anche come singolo l'anno successivo rispetto a quello dell'uscita dell'album, il 1994, accompagnata anche da un video - il più interessante tra quelli girati per i brani di questo disco - che vedrà Orzabal assieme ai componenti della sua band in uno scenario aggiornato all'immaginario fantasioso e sperimentale degli anni '90. Proprio questa infatti, dopo quella degli anni '80 - che ne ha visto l'affermazione - è l'epoca d'oro dei videoclip, realizzati non con grandi mezzi e idee magniloquenti, ma piuttosto a partire da spunti semplici e con trovate alternative e spesso bizzarre. Nel caso dei Tears For Fears, che del video musicale hanno fatto come mezzo il proprio cavallo di battaglia per ormai un decennio, è essenziale restare al passo e almeno in questo Orzabal e colleghi riescono sicuramente, traendosi fuori dal "pantano" dei lavori videomusicali anni '80, spesso retorici e poveri d'inventiva. Il testo del brano assume la rara funzione (nella discografia della band) di un inno all'autoaffermazione, alla positività e alla libertà personale: un bel passo avanti rispetto all'introspezione e ai malinconici lamenti d'amore del decennio precedente. Orzabal canta: "Questa gara è già cominciata / Scendi dal tuo cavallo, sali su questo treno / Benvenuto nel mondo reale / Corriamo come il vento". Liriche chiaramente celebrative, che sfociano nel possente ritornello, culminando in un climax musicale notevole e che è forse tra gli ultimi davvero ragguardevoli nella discografia della band: "In questi giorni è tutto nella mente, è elementare / Non dire che sei su [di morale] quando sei giù, è elementare".
Cold
"Cold" (Freddo) è, insieme ad Elemental e Break It Down Again, sicuramente la traccia più riuscita del disco. Un pop/rock dall'atmosfera molto anni '90 ma allo stesso tempo, pur essendo molto chitarristico, dall'impronta anche "leggera", adatta ad un grande pubblico. Il brano si regge su di un'atmosfera delicata con arpeggi di chitarra distorta, una ritmica sostenuta e dall'incedere regolare e un refrain che segue la classica alternanza strofa quieta / ritornello agitato, così tipica di quel decennio. Orzabal gioca anche con il rap nei pre-ritornelli, così come si divertiva a fare nella hit di qualche anno prima, Sowing the Seeds of Love (1989). La canzone si può dire riuscita perché segue uno schema molto più semplice e diretto rispetto a molti altri brani della band di questo periodo, che si perdono invece in tratti poco consistenti e a farne le spese sono spesso la melodia e altri elementi "catchy". Cold va invece subito al punto, e questo pur essendo un pezzo dai tratti sicuramente non immediatamente incisivi. Di grande aiuto è di certo anche il videoclip girato per accompagnare il singolo estratto, per il quale viene selezionata proprio questa canzone. Orzabal si trova immerso in una strana atmosfera, rinchiuso in un blocco di ghiaccio mentre altre persone cercano di estrarlo, in un trionfo di filtri blu che però in qualche modo consente di mettere in scena situazioni adatte ai tratti della canzone. La trovata viene dallo stesso aneddoto che ispira il testo della canzone: una lettera ricevuta da Orzabal da parte di un paparazzo che, ignorato dal cantante, gli chiedeva perché fosse così "freddo". E il cantante prende in giro questa sua nomea, dichiarandosi appunto ironicamente freddo con una serie di metafore: "Freddo, sono stato scomunicato perché sono freddo / La mia temperatura è stata stabilita e sono freddo / Portami il mio vecchio maglione / Niente più mi farà stare bene". Nel testo appare esserci anche un riferimento alla vicenda riguardante il manager della band, Paul King, che nel 1990 ha dichiarato bancarotta dopo aver approfittato della gestione delle finanze del gruppo (motivo per il quale finirà in prigione nel 2004). Infatti il verso: "King got caught with his fingers in the till" si può tradurre come "Il re è stato beccato con le mani nella cassa", ma il cognome è quello del manager e il senso dell'accusa si rivela da solo.
Break It Down Again
"Break It Down Again" (Distruggerlo di nuovo) è l'ultima canzone dei Tears For Fears veramente importante, a livello di classifiche e specialmente di popolarità. Esce prima dell'album ma è quella che soprattutto il grande pubblico meglio ricorda di questa tracklist. Le parti che funzionano meglio sono la delicata melodia della strofa e l'intenso ritornello, nel quale Orzabal ritrova non solo la voce ma anche l'entusiasmo di quello che, se non si fosse già negli anni '90, potrebbe in effetti essere un altro successo anni '80 della band. Questo è il primo brano del disco che pare far diretto riferimento allo scioglimento del duo e alla separazione artistica tra Orzabal e Smith, che qui viene vista di fatto dal primo dei due più come occasione di rinascita che come motivo di cordoglio. Lo provano le musicalità chiare e celebrative sulle quali l'artista sembra in effetti festeggiare una sorta di ritrovata "libertà", quella cioè di poter proporre la sua musica senza filtri e compromessi con un partner con il quale il dialogo non c'era ormai più. Il testo affronta quindi l'idea del ricominciare, del rimettere insieme i pezzi, del partire da zero, del mettere un punto e andare a capo. "Quindi questi sono i miei sogni / E questi sono i miei occhi / Stare in piedi come un uomo / Testa dura come un cavallo / Quando tutto è confuso / Meglio distruggerlo / Nel mondo dei segreti / Nel mondo del suono / È nel modo in cui ti nascondi sempre dalla luce / Lo vedi da te, sei stato seduto su una bomba a orologeria / Nessuna rivoluzione, forse qualcos'altro / Potrebbe mostrare qualcosa di nuovo su di te e la tua canzone interiore / E tutto l'amore e tutto l'amore del mondo / Non fermerà la pioggia dal cadere, i rifiuti dall'accumularsi sottoterra / Distruggerlo di nuovo / Voglio distruggerlo / Quindi questi sono i miei schemi / E questi sono i miei piani / Consigli utili dai ragazzi / Notizie fresche dalla forza / Non si dorme non si sogna / Dicono gli architetti della vita / Bambini grossi che rimbalzano, pane e burro - Posso averne una fetta? / Non fanno menzione della bellezza della decadenza / Ombrelli gialli, rosa e blu / Tienili per un giorno di pioggia / Perdere tempo in giro / Pregare al potere, suonare per la folla con il tuo grande suono da hit / E loro non si faranno consumare, non si faranno consumare / Suona per la folla, suona per la folla / È nel modo in cui ti nascondi sempre dalla luce / Veloce via dal paradiso come Mosè su una motocicletta / Nessuna rivoluzione, forse qualcos'altro / Potrebbe mostrarti qualcosa di nuovo per aiutarti con gli alti e bassi".
Mr. Pessimist
Il brano più lungo dell'album, "Mr. Pessimist" (Il Signor Pessimista), inizia con un incedere lento e ritmato molto improntato a sonorità acustiche dai tratti ethnic, niente di nuovo nell'opera di Orzabal. Il cantante sfrutta la sua caratteristica voce melodiosa per accompagnare un lento climax in crescendo, trasportando la canzone su toni sempre più intensi in una costruzione simile a quella di altre canzoni del gruppo, come Shout. Nel suo percorso il brano mostra l'evidente influenza ritmica del contemporaneo genere trip hop, già rappresentato all'alba degli anni '90 dai Massive Attack. Sempre su questo modello, si evita una vera e propria "esplosione" di musica da rock da stadio, preferendo soffermarsi sul mantenimento di un'atmosfera sonora intrigante e pesata, che nella seconda parte della canzone lascia spazio ad una coda pianistica dagli accenti jazz. La canzone è accompagnata da liriche molto complesse e filosofiche, nelle quali Orzabal sembra esprimere scetticismo, quando non disprezzo, per la concezione definitiva che le religioni impongono al concetto di tempo e per come lo sfruttano nella loro dottrina. Rivelatori versi come "Signor evangelista / Dovresti battere un tamburello / Vai a lavarti le mani e le dita / Finché la tua mente è pulita"; e "Ascolta signor pessimista / Con il tuo gusto cattolico / Oh senti, signor pessimista / Noi non ci riconosciamo [in quello che predichi]". In pratica Orzabal attacca la concezione escatologica della religione, intesa come inizio e fine di una vita carnale legata ad una rigida divisione tra spazio e tempo organizzata secondo i dettami delle sacre scritture. Invece, Orzabal sembra voler esprimere una propria concezione della vita e della temporalità molto più vicina a quella di Kurt Vonnegut: laica e se vogliamo scientifica, purché sempre astratta: "E queste cose che trovo / Sul fondo della mia mente / Dove il tempo dura per sempre / Mi sento tutto rimescolato, penso di essere tutta l'umanità". Allo stesso tempo il cantante ricorda che "Nessun uomo è immortale", fornendo un dogma di liberazione espresso nella seguente strofa: "Tuono e pioggia, noia e dolore / Danno vita alla cinica fiamma / Tuono e pioggia, ancora cerco di resistere / Resistere al signor pessimista".
Dog's a Best Friend's Dog
"Dog's a Best Friend's Dog" (Il Cane è il Migliore Amico di un Cane) è il grande brano rock alternative del disco, nonché uno dei più fortemente chitarristici e uno dei più vicini alle nuove tendenze grunge anni '90, che vengono sottilmente accarezzate ma sempre con un afflato pop. Orzabal si diverte chiaramente in un pezzo dall'incedere deciso costruito per suonare giovanile ed energico, testimone anche della transizione dal rock anni '80 a quello più acustico e diretto anni '90 in una traslazione che ricorda per esempio il lavoro contemporaneo dei Simple Minds. Il testo della canzone gioca sul famoso detto "il cane è il miglior amico dell'uomo", in una connotazione negativa dell'animale, piuttosto rara (e perciò acuta) che viene sfruttata per descrivere chiaramente un particolare individuo dal carattere aggressivo e pretenzioso. Sembra in effetti che Orzabal si richiami alla metafora già impiegata da Roger Waters nella sua divisione dell'umanità in tre tipologie di animali (gli altri due sono la pecora e il maiale), laddove il cane rappresenta, Orwellianamente, la categoria più corrotta e senza scrupoli. "Gattino meglio che te ne vai / O questo maledetto farà del male a qualcuno / Dritto come una freccia / Sto portando a spasso il cane" è una delle strofe rivelatrici. Un'altra chiaramente a sostegno di questa metafora è: "Alcuni sogni che fai da solo / Ringrazi Cristo che stai tornando a casa / Meglio dare un osso al cane / Vai, vai, vai / Mastica, mastica, mastica". Complessivamente, uno dei brani più potenti e riusciti dell'intera tracklist.
Fish out of Water
"Fish out of Water" (Pesce Fuor d'Acqua) è un altro pezzo pop rock non particolarmente convincente, nonostante un intro che promette suoni audaci e coinvolgenti. Si tratta di una canzone principalmente pianistica, dall'incedere sostenuto, affidato quasi esclusivamente alla melodia vocale di Orzabal. Un effetto particolare che ricorre nel corso del brano sembra quasi riportare a certe scuole prog come quella dei Marillion, ma finisce e termina come piccolo inserto occasionale all'interno del pezzo. Un altro gruppo che sembra un po' vagamente di ascoltare sono i Pink Floyd di A Momentary Lapse of Reason (1987) e The Division Bell (1994), nella loro versione meno cervellotica e più fedele ad un suono "epico". Di certo è proprio questo il risultato che tenta di raggiungere Orzabal con brani come questo, proseguendo la logica di legittimazione della sua musica presso "i piani alti" della scena ma mancando della convinzione e delle idee che caratterizzano la band nel suo periodo d'oro. Neanche il quasi obbligatorio climax da concertone, con piccoli assolo di chitarra distribuiti qua e là ma mai definitivamente sviluppati, convince sulla riuscita di un brano che in qualche modo sembra limitato fin dalle premesse. La parte interessante arriva nel testo del brano, che, a differenza della conclusiva Goodnight Song (nella quale la cosa è non chiara, vedi sotto), si rivolge senza dubbio all'ex-collega Curt Smith, in una sorta di canzone-accusa che parla direttamente dello scioglimento del sodalizio tra i due e in questo senso assume - nelle parole dello stesso Orzabal - la funzione di una canzone alla How Do You Sleep?, un brano polemico del 1973 indirizzato da Paul McCartney a John Lennon. Certo, forse Orzabal e Smith non sono esattamente Lennon e McCartney, ma di certo il loro conflitto assume toni molto simili. Del resto Smith replicherà poi a sua volta con un'altra canzone, intitolata Sun King (come, non a caso, un altro brano dei Beatles). In Fish out of Water, Orzabal assume toni sprezzanti ed ironici nei confronti dell'ex-compagno di band: "Hai sempre detto di essere quello compassionevole / Ma adesso ridi verso il sole / Con tutti i tuoi compagni di scuola che pensano che ce l'hai fatta / L'unica cosa che hai raggiunto è quel look abbronzato sul tuo volto / Stai sognando via la tua vita / Pesce fuor d'acqua / Vai a nuotare nella marea oggi / Pesce fuor d'acqua". Il cantante opera anche un confronto tra i primi, mitici anni della band, e il periodo presente; lo fa, certo, non senza una certa nostalgia e con toni che vagano tra sarcasmo e rimpianto. "Sedevamo e parlavamo dell'urlo primevo [tematica portante di molte canzoni del primo periodo dei Tears For Fears / Per esorcizzare il nostro passato / Era il nostro sogno da adolescenti / Ma adesso è 'nuota o affonda' da quando la tua memoria non funziona più / Adesso nella cucina di Nettuno sarai cibo per le orche assassine / E sul crocifisso che ha fatto sua madre / È appeso solo un altro martire [sacrificato] alla hit parade".
Gas Giants
"Gas Giants" (Giganti Gassosi) - il titolo si riferisce ovviamente ai pianeti come Giove, Saturno e Urano - è uno strumentale d'intermezzo strutturato come un bel brano ambient che nelle premesse segue le tonalità di Listen (1985) ma si concentra su suoni e atmosfere senza dare quasi spazio alcuno a voce e liriche. Un pattern continuo di tastiera si arricchisce pian piano di suoni decorativi distorti, un po' computeristici. Non c'è quindi un'alternanza strofa/ritornello, né si può udire un vero e proprio crescendo. Si tratta piuttosto di un passaggio musicale che suona molto come un divertissement, e un po' anche come un riempitivo per completare la tracklist. Le uniche parole che Orzabal canta, in unico momento nel quale il brano appare voler assumere un qualche significato al di là della sua semplice presenza musicale, sono: "Giganti nel giorno dell'armistizio / Presi tra la roccia e il rinnegato". Liriche di difficile interpretazione, che non sembrano in effetti ricollegarsi al riferimento siderale del titolo. I "giganti" menzionati in occasione di un qualche giorno dell'armistizio - la fine della Seconda Guerra Mondiale? - potrebbero essere dei capi di stato, in particolare quelli delle nazioni sconfitte - Hitler, Mussolini, Hirohito - trovatisi "tra la roccia e il rinnegato". In realtà qui il testo parafrasa l'espressione idiomatica inglese "between the rock and a hard place", che corrisponde in italiano più o meno a "tra l'incudine e il martello". Il "rinnegato" potrebbe essere l'ideologia delle potenze dell'Asse, spesso retoricamente mirante a richiamare le masse operaie e impoverite, ma "sconfitta" dalle potenze alleate, ossia dalla "roccia", che non può fare altro che schiacciarle.
Power
"Power" (Potere) si preannuncia già dai primi secondi come uno dei brani "forti" di questa tracklist, indirizzato com'è alla costruzione della classica formula, ormai tipica dei Tears For Fears, del rock fatto per i grandi concerti all'aperto, con un pubblico appassionato e coinvolto. Con il dovuto eco ad accompagnare l'importanza del messaggio, Orzabal esprime una grande poesia contraria all'importanza del potere e alla malignità di coloro che lo detengono: "I rivali dell'anno scorso spartiscono il loro sangue / Il marinaio votato al segreto / Cavalca le onde e argina la corrente / Le maree dell'inimicizia senza fine / Il potere ora è tutta la rabbia / Figli e figlie della pistola / Bambini affamati che crescono / I phaser settati su 'distorsione'". Orzabal critica violenza, ipocrisia e dannosità dell'esercizio del potere, così come in diverse altre sue canzoni del passato. La prima parte del testo, come si può ben cogliere, contiene anche un riferimento ai phaser, le famose armi utilizzate dagli equipaggi delle varie serie di Star Trek. In un'alternanza strofa/ritornello che gioca su toni molto forti e solenni, Orzabal sciorina il proprio proclama anti-establishment passando di metafora in metafora, concludendo, con un accento molto anarchico, che il mondo sarebbe migliore senza alcun potere. "Vestito per uccidere, immaginavano che avresti potuto / Amico o nemico o famiglia / Sacrificheremo la bianca vergine / La sua morte sarà la mia vita / Non scusarla, usala / Tieni il leone nella sua gabbia / Libero dalla fame, libero dall'inferno".
Brian Wilson Said
"Brian Wilson Said" (Brian Wilson Ha Detto) è tutto un programma già dal titolo. Un chiaro omaggio allo stile compositivo e di produzione dei Beach Boys e specialmente di Brian Wilson, il genio dietro alle più grandi composizioni della band americana, nonché uno dei più importanti compositori "pop" (ossia, non accademici) del '900. L'influenza di Brian Wilson è immensa in tutta la musica degli ultimi cinquant'anni (basti dire che lo stesso Paul McCartney cita proprio una sua canzone come la sua preferita di sempre) e non stupisce che Orzabal, fan del pop anni '60 e della composizione arguta ma leggera, voglia esprimere questo omaggio in un fantastico interludio "light-hearted" che regala un paio di strofe cantautoriali con un delicato interludio strumentale d'alto livello e d'ispirazione jazz. Il testo mira all'auto-incoraggiamento (La mia vita, niente è stato facile finora / Spero che la mattina dipinga la sera / Più che ordinaria / La renda più che serena). Le liriche contengono anche un riferimento diretto proprio ai Beach Boys: "Le ragazze della California ti spezzano il cuore / E ti rendono libero". Qui si richiama chiaramente la hit California Girls, una delle più celebri canzoni degli anni '60, successo del gruppo californiano scritto appunto da Brian Wilson e pubblicato nel 1964.
Goodnight Song
La canzone conclusiva del disco si intitola "Goodnight Song" (Canzone della Buonanotte): un po' come quella Goodnight che chiude il White Album dei Beatles, si tratta di una canzone di congedo che assume la forma di un pop/rock leggero anche in questo caso testimone dell'evoluzione della new wave una volta scattati gli anni '90. Forse uno dei brani meno notevoli della tracklist, sicuramente una conclusione poco degna rispetto ai grandi successi coinvolgenti nel passato della band. L'arrangiamento è fumoso e impreciso, la melodia molto poco memorabile e la chitarra sembra essere stata aggiunta più perché bisogna che non per reale necessità. Questo pezzo appare in effetti anticipare di molto quel suono un po' "pallido" che accompagnerà la discesa nella mediocrità dell'operato di Orzabal con il nome Tears For Fears e non è troppo un caso trovarla in fondo ad un disco che invece, dalle premesse, prometteva un finale ben più degno. Le liriche, piuttosto deboli, non perorano la causa: nel testo Orzabal paragona la fine di una relazione alla conclusione di uno spettacolo dal vivo (un suo spettacolo, ovviamente) con metafore che riportano la sua volontà di chiudere una volta per tutte e, allo stesso tempo, di non volersene andare. "Il tempo potrebbe tenere vivo / Quel vecchio canto del cigno / Che abbiamo suonato sempre / Finché non viene il tempo di dire arrivederci / La mia voce è affaticata / La mia lingua è attorcigliata". L'unico punto interessante: il riferimento potrebbe essere non ad una relazione d'amore qualunque, ma alla separazione, ormai avvenuta da mesi, di Orzabal da Smith. Di qui la metafora del concerto dal vivo, che riporta alla dimensione che i due sono stati soliti condividere per dieci anni e più. "La canzone della buonanotte / Suonata così male / Incolpa il pubblico / Gridano così tanto, così a lungo". Il successo è stato alla base delle ragioni che hanno portato all'uscita di Curt Smith dal duo e Orzabal sembra imputargli di "incolpare il pubblico", quando invece ovviamente i problemi sono da ricercarsi ben altrove. "Sarei dovuto restare per rompere il ghiaccio / Ci ho pensato una volta o due / Ma niente cambia mai / A meno che non ci sia del dolore". La separazione appare quindi inevitabile, e anche se Orzabal non sembra voler allontanare da sé la sua parte di colpa, di certo pare che da quel che s'è fatto non si possa tornare indietro.
Conclusioni
Quello di Elemental non si può definire esattamente un fallimento, di certo non secondo le intenzioni di Orzabal e colleghi. Si tratta semplicemente del lavoro di una band che, come tante altre, non riesce a sopravvivere al cambiamento e al mutamento dei tempi e della scena musicale senza "tradire" sé stessa. Quello che succede di solito, come, per fare un esempio, nel caso dei Genesis, è che la band suddetta, specie se reduce da grande successo, tende ad incorporare suoni nuovi e a sposare tendenze moderne fino a qualche anno prima impensabili o impreviste. Nel caso dei Tears For Fears, invece, accade qualcosa di ben differente e che comunque non è inusuale: facendo capo ad una personalità particolarmente idealista e radicale come quella di Orzabal, la formazione non cede all'abbraccio della musica "nuova" (grunge, britpop o altro che sia), non completamente. Si limita semmai solo a prestarvi un fianco, porgervi una guancia, mantenendo salda la presa su quelle musiche "catchy" anni '80 ma piegandole allo stesso tempo alle nuove tendenze. Il gruppo quindi rimane un po' paradossalmente fedele a sé stesso, che è però una cosa che ripaga solo se si agisce dall'alto di un seguito di culto (come vale per esempio per i Bad Seeds o per The Fall); i Tears For Fears, essendo mostri da classifica, difficilmente convincono un pubblico che del resto li segue principalmente per via di poche hit e mancano anche di coinvolgere coloro che li apprezzano in base alle loro produzioni più audaci e atipiche. In parole povere, la nuova versione della band "non convince" e fa il suo ingresso sulla scena degli anni '90 con poco mordente ed affacciandosi, del resto, verso una massa di ascoltatori mutata e dai gusti ben differenti rispetto anche soltanto a pochi anni prima. Ragione di più per la quale Orzabal e la sua band, che comunque a questo punto hanno passato da molto la loro fase di maggior successo e miglior creatività, iniziano una lenta discesa caratterizzata sempre più da una sorta di noncuranza nei confronti del successo e da una crescente ricerca di musicalità specifiche, interessanti perché interessano a lui (ad Orzabal) e finalmente noncuranti dei risultati in classifica. Unica pecca: un tale percorso di chiusura e radicalizzazione non conduce a risultati eclatanti, come nel caso dei vicini colleghi Talk Talk. Al contrario, risulta in musiche sempre più melense e indecise, che conducono al completo fallimento di Raoul and the Kings of Spain (1995), un disco dopo il quale la carriera della band sarà effettivamente in dubbio e tale resterà fino alla reunion con Curt Smith, appena nel 2004.
2) Cold
3) Break It Down Again
4) Mr. Pessimist
5) Dog's a Best Friend's Dog
6) Fish out of Water
7) Gas Giants
8) Power
9) Brian Wilson Said
10) Goodnight Song